4 Luglio 2011

Caro Alfred,
o forse dovrei semplicemente chiamarti America, come quando eri piccolo.
Come quando riuscivo ancora a tenerti tra le mie braccia e sembravi l’esserino più indifeso del mondo mentre dormivi contro il mio petto… ignaro del futuro.
Questa è la lettera numero 228. Caspita, quanto tempo è passato da quella notte! Non mi sembra vero che per tutti questi anni io ti abbia scritto, almeno una volta, in ricordo di quel giorno. Il tuo compleanno.
Quasi mi spiace che un evento così importante sia oscurato da qualcosa di così grande e decisivo. Però, sii sincero, anche tu ogni 4 luglio, oltre a festeggiare, ripensi a quel giorno, a quella sera.
Mi costa una seria dose di umiltà scriverti queste cose oggi, eppure tutto sommato mi sento leggero. Penso sia arrivato il momento di dirtele.
Nonostante io ricordi ancora bene ogni parola, i gesti che abbiamo compiuto, perfino ogni singola goccia di pioggia che cadde a bagnarmi il viso, mischiandosi alle lacrime, al sangue, al dolore di perdere mio fratello… ecco, nonostante questo, quell’evento ormai mi sembra quasi lontano, come te.
Non ti vedo da anni, sempre troppo impegnato con il lavoro da Nazione, ma in realtà la mia è solo vigliaccheria. Il punto è che mi basterebbe anche solo vederti un istante per strada, sapere come stai, cosa fai… se sei felice con la tua amata libertà. Lo so, è un po’ tardi per chiedertelo, ma non ho mai avuto il coraggio di farlo prima di oggi e non voglio perdere per sempre l’occasione.
Perché oggi, ti chiederai. Perché Inghilterra ha aspettato fino al 2011 per farti questa domanda?
Non ci devo nemmeno pensare, la risposta mi trabocca dal cuore.
Perché ho sempre avuto paura. Paura di perderti più di quando io non abbia già fatto, paura di essere accusato da me stesso. Ogni volta che passo davanti allo specchio (si lo stesso dove ti sei provato quel dannato abito) mi guardo e mi rivedo quella notte, sporco di sangue, mentre ti puntavo contro la baionetta.
Non potrei mai spararti, stupido. Lo penso ancora.
Non avrei mai potuto, non posso, né mai lo farò.
Perché tu sei ancora mi fratello.
Chi volevo colpire quel giorno era il mio orgoglio, che ti teneva incatenato a me, volevo farlo a pezzi perché mi aveva reso incapace di vedere il tuo dolore. Dolore che ti sei portato dentro fino ad esplodere in una bandiera dalle 13 stelle.
Ero io lo stupido, non tu.
Sono io che ora vorrei tornare indietro, non tu.
Alla fine non eri tu quello che aveva bisogno di aiuto, nonostante fossi una colonia così piccola.
Mi manchi. Che il mio orgoglio, che mi impedisce di incontrarti da così tanto tempo, bruci all’inferno se osa smentire questa frase.
Mi dispiace, America
Si, è così. Mi manchi davvero fratello.
E sai, mi viene quasi da ridere pensando che alla fine questa lettera finirà chiusa in un cassetto, come tutte le altre 227.
E tu non lo saprai mai.
 
Ah, quasi dimenticavo… Buon compleanno, baka.
 

Arthur

Inghilterra