Capitolo 17
La
vita è un fiume in continuo movimento, è
cambiamento, è trasformazione, è
mutevolezza. Prima s’impara questo concetto e meglio si
sarà pronti ad
affrontare ciò che lei ha in serbo per noi.
Da
quando avevo conosciuto Emile, la mia vita aveva subito molti scossoni
e il
flusso di cambiamenti che mi stava travolgendo sembrava non volersi
arrestare:
la comunità aveva definitivamente chiuso e con essa si
chiudeva un capitolo
della mia esistenza.
Avendo
acquisito una certa esperienza nel campo, trovai lavoro nelle cucine di
un fast
food; non era proprio un ristorante a tre stelle ma aveva di buono che
adottava
i turni, così a seconda dell’orario di lavoro,
avevo anche la possibilità di
stare con Claudine e/o fare qualche ora di volontariato nel nostro
centro di
ascolto, senza dover rinunciare a nulla di ciò che erano i
miei impegni
quotidiani. Inoltre la paga mi avrebbe permesso di prendere un
appartamento che
fosse solo mio ed essere finalmente indipendente.
Non
avendo tutti i pomeriggi liberi però, costrinsi Alberto a
chiamare nuovamente
un secondo infermiere per dare una mano a Sabrina:
«Mi
dispiace tantissimo, sono stata io ad offrirmi per stare accanto a
Claudine ed
ora ti lascio così su due piedi!»
Ero
mortificata, non riuscivo a non sentirmi colpevole verso Alberto per
avergli
offerto un aiuto che ora dovevo ritirare.
«Bambina,
tu hai fatto anche troppo! Quale ragazza della tua età
avrebbe sacrificato
tutti i suoi pomeriggi e anche qualche sera per accudire una donna
malata? Non
devi scusarti di nulla, hai la tua vita da vivere, ci
penserò io a ma chère,
com’è giusto che sia.»
Eravamo
in cucina, seduti a parlare: avevo atteso il suo arrivo per avvisarlo
della mia
futura assenza e appena gli dissi di avere una notizia importante da
dargli, mi
fece accomodare davanti ad una tazzina di caffè e qualche
cioccolatino. Sentendo
la mia costernazione, mi diede uno
dei suoi meravigliosi abbracci da padre che riuscivano a tirarmi su il
morale e
subito dopo riprese a parlare:
«Anche
Emile deve iniziare a staccarsi da questa casa: la sua vita
professionale sta
iniziando a crescere e dev’essere libero di viaggiare e
muoversi senza restare
ancorato ad una situazione che non si evolverà mai,
è giusto che voi giovani
apriate le vostre ali e andiate incontro al futuro.»
Rimasi
avvolta da quell’abbraccio nel silenzio che seguì,
godendomi quel momento di
affetto, finché
Alberto aggiunse:
«Hai
intenzione di seguirlo?»
Si
stava riferendo al tour promozionale che Emile e il suo gruppo
avrebbero
iniziato a breve: i contrasti interni sembravano essersi assopiti e
l’album era
ad un passo dall’essere registrato completamente. Il prossimo
passo sarebbe
stato la promozione del loro primo lavoro, in contemporanea con la sua
uscita
europea nei negozi di dischi: la casa discografica aveva puntato
soprattutto
sull’estero, avendo grandi speranze sulle vendite
internazionali. Mancavano
solo pochi ulteriori accorgimenti tecnici e i GAUS avrebbero spiccato
il loro
primo volo ufficiale… Ed Emile sarebbe stato lontano da me
per qualche mese…
«No,
non lo seguirò. Ho la mia vita qui e il mio
lavoro… sarebbe del tutto inutile
essere con il gruppo, sarei solo un peso per lui.» Inoltre io e la sua musica non possiamo vivere
così a stretto contatto!
Da
quando avevamo messo a nudo le nostre paure e abbassato ogni difesa,
avevo
automaticamente messo distanza tra me e la sua band: la musica era
sempre stata
la sua ragione di vita e non volevo più che la mia presenza
distogliesse Emile
dai suoi obiettivi, così imparai a non chiedergli
più nulla, a non
intromettermi più nella sua vita professionale. Avevo la
ferma convinzione che
per poter coesistere entrambe nell’animo del mio Pel di
Carota, io e la musica
dovevamo tenerci a debita distanza l’una
dall’altra.
Non
mi piaceva l’idea di essere all’oscuro di una parte
così importante della sua
vita, ma se questo era il compromesso necessario per dargli
l’equilibrio
interiore e non farlo più sentire in conflitto,
l’avrei accolto con
gioia e senza rimpianti.
«Hai
ragione bambina, quella è una strada che deve percorrere da
solo… in questo
modo sarà più dolce ritrovarsi,
giusto?» Si staccò da me e mi guardò
negli
occhi con quell’espressione maliziosa che ricordava
terribilmente quella di suo
figlio e comprendendo il significato nascosto delle sue parole,
arrossii:
Alberto si fece la sua bonaria risata e mi diede un bacio sulla fronte:
«Vieni
a trovarci quando vuoi, considera questa casa come la tua.»
Quelle
parole così cariche di affetto mi diedero una gioia
così grande, che iniziai a
sentire le lacrime premermi agli angoli degli occhi, mi resi conto solo
in quel
momento di quanto desiderassi sentirgli dire una cosa simile!
«Pasi,
bambina che succede?» Alberto poggiò le sue mani
sulle mie spalle con il volto
preoccupato, cercando di capire cos’avessi.
«N-niente
Alberto, va tutto bene… è che… grazie,
mi hai fatto felice con quelle parole!»
Avevo il capo chino e tentavo di frenare le lacrime che scorrevano
copiose; il
padre di Emile mi strinse nuovamente a sé e sorrise di
cuore:
«Bambina
mia, sono io che devo ringraziare te per essere entrata nelle nostre
vite! Sei
una persona speciale Pasi, non lo dimenticare mai e non sottovalutarti
mai!»
Restai
abbracciata a lui per un po’, godendomi
quell’affetto e quel calore umano così
dolce e paterno, così desiderato che non volevo
più staccarmene: Alberto era
davvero una persona unica!
«Devo
iniziare a insospettirmi, ci sono troppi abbracci fra voi
due!»
La
voce di Emile mi arrivò alle spalle: presa dalle mie
emozioni, non mi ero resa
conto che fosse rincasato. Ci guardò con espressione acida,
ma i sui occhi
brillavano, non erano adirati, stava giocando con il padre come al suo
solito.
«Hai
ragione figliolo, fai bene a sospettare: sono innamorato di questa
ragazza,
quindi se non la tratterai bene, te la ruberò!»
Alberto
fece un sorriso malizioso verso Emile mentre mi teneva ancora stretta a
sé ed
io d’un tratto arrossii a quell’inaspettato
complimento; il mio Pel di Carota
dal canto suo non si scompose e replicò a suo padre:
«Stai
tranquillo papà, io non lascio andare facilmente qualcosa di
prezioso.» il viso
di Emile aveva lo stesso identico sorriso malizioso di suo padre, in
quel
momento la somiglianza tra loro due divenne impressionante e mi sentii
travolta
da una strana emozione: sapevo che scherzavano, che erano presi da un
gioco
tutto loro che facevano da anni, ma il sentirmi contesa in quel modo,
da due
uomini che amavo in modo diverso ma ugualmente forte, mi fece girare la
testa e
fui quasi sul punto di perdere l’equilibrio quando Alberto si
staccò da me.
«Bene,
ora che abbiamo chiarito questo punto, vado a congedare
Sabrina.» diede un
buffetto sul viso ad Emile e ci lasciò da soli.
Rimasi
dov’ero, inebetita e sconvolta da quella strana sensazione e
guardai Emile
quasi alla ricerca di una risposta alla confusione che avevo dentro. Si
avvicinò e mi osservò preoccupato:
«Qualcosa
non va?»
Alzai
lo sguardo sui suoi occhi grigi screziati d’azzurro:
l’amore che provavo per
lui, unito alla confusione di quel momento mi ammutolirono e mi gettai
direttamente
tra le sue braccia.
«Oh
Emile!» Il mio amato Pel di Carota mi strinse a sé
ancora più preoccupato:
«Pasi
io stavo scherzando, non crederai davvero che dicessi sul
serio?» Feci cenno
col capo, incapace di aprire ancora bocca, «A dir la
verità una punta di
gelosia l’ho provata davvero, ma credo di essere patologico
in questo: sono geloso
di chiunque ti tocchi!»
Il
suo tono era ironico e di sicuro c’era
dell’amarezza all’interno, ma Emile
sembrava aver raggiunto una certa consapevolezza
sull’argomento e non ne faceva
più un dramma… almeno all’apparenza!
Scaldata da quell’ammissione di debolezza
riuscii a tornare in me e a padroneggiare nuovamente l’uso
della parola:
«Non
hai nulla da temere… anche se potrei fare un pensierino su
tuo padre!»
Risi
a quella frase, per prenderlo un po’ in giro e per
assicurarmi che davvero
fosse un argomento su cui potessi scherzare e per fortuna, ebbi la mia
conferma:
«Eh
già, è il fascino di famiglia, nessuna donna
resiste agli uomini di questa
casa.» Sorrise nel parlare e sorrisi anch’io a
quella battuta che, per quanto
potevo testimoniare io, aveva un certo fondamento: seppur in modo
diverso, gli
uomini di quella famiglia mi avevano ineluttabilmente travolto e rubato
il
cuore.
*****
L’affetto
di Alberto, per me così importante e prezioso, mi fece
pensare nuovamente ai
miei genitori: era trascorso del tempo dal nostro ultimo drammatico
incontro e
dopo aver ricevuto quella manifestazione d’affetto
così esplicita, mi
venne voglia di
vedere coloro a cui avevo
sempre chiesto implicitamente un amore simile.
Quando
bussai alla porta, nuovamente venne ad aprirmi mia madre: era
visibilmente dimagrita
e aveva lo sguardo stanco e mi preoccupai all’istante,
vedendo quanto la
perdita di Simona stesse gravando sulla sua salute fisica e
probabilmente anche
mentale. Fu sorpresa di vedermi, ma sul suo volto tirato notai una luce
di
felicità: nonostante ciò che ci eravamo detti
tempo prima, ero ancora la
benvenuta in quella casa.
«Per
quale motivo sei venuta?»
Eravamo
in cucina, mia madre stava armeggiando con la caffettiera mentre io
l’osservavo
seduta al tavolo: «È passato un po’ di
tempo dall’ultima volta che sono stata
qui e volevo vedervi.»
Mi
dava le spalle per cui non vidi la sua reazione alle mie parole, ma
notai che
si portò una mano al viso come per cacciare indietro le
lacrime: in quel
momento mi si strinse nuovamente il cuore nel vederla così
fragile.
Adele
era sempre stata una donna sicura di sé e orgogliosa: non
aveva mai mancato in
espressioni di affetto verso me e mia sorella, ma la sua rigida
educazione non
le permetteva di lasciarsi andare più di tanto e per me
restò sempre una figura
distante, un mistero irraggiungibile, fissa sul suo piedistallo di
perfezione.
Da quando era morta Simona invece, avevo visto ciò che
quell’educazione aveva
celato ai miei occhi per diciannove anni: era fragile mia madre, la sua
sicurezza era una corazza ben costruita per nascondere le sue emozioni,
per non
essere calpestata e la mia fuga da casa, sommata
all’abbandono di Simona,
avevano distrutto le sue protezioni, la sua sicurezza come madre e la
sua
certezza di averci accanto.
«Mamma
io… non volevo essere così dura l’altra
volta…»
«Lo
so Pasifae, ce l’hai detto chiaro e tondo che con noi dai il
peggio di te.»
«Non
è quello che intendevo!»
La
mia voce iniziò ad alterarsi, ma non volevo terminare quella
visita nuovamente
con un litigio; sperai di riuscire almeno una volta a parlare con mia
madre in
modo civile.
«Come
stai vivendo? Lavori? Ti mantiene qualcuno?»
Chiuse
la caffettiera e la mise sul fuoco, preparandosi a prendere lo
zucchero, senza
mai voltarsi in mia direzione.
«Vivo
da Rita, ma non mi mantiene lei: sto lavorando nella cucina di un fast
food.»
Sapevo
quanto il mio umile lavoro avrebbe creato una smorfia di
disapprovazione sul
suo viso: lei e mio padre avevano avuto grandi speranze per me,
immaginavano di
avere due figlie professioniste, due eminenti dottoresse rispettate nei
rispettivi campi di studio… ed ora c’ero solo io,
impiegata in una fumosa cucina
di un qualsiasi fast food… la loro delusione doveva essere
amara come fiele. Ma
se mi volevano ancora nelle loro vite, avrebbero dovuto accettare sin
dall’inizio chi ero e cosa facevo, era inutile nascondere la
realtà su di me.
«Capisco.»
fu la lapidaria reazione di mia madre, che celava la sua delusione quel
tanto
che bastava per evitare un’altra discussione: almeno avevo
avuto la conferma
che anche lei volesse stabilire una comunicazione con me!
Versò il caffè nelle
tazzine e si venne a sedere dov’ero io:
«Sei
felice ora?»
La
guardai in viso: non era una domanda sarcastica, la sua espressione era
sinceramente preoccupata, probabilmente era la prima volta che mia
madre
s’interessava davvero ai miei stati d’animo.
«Sì
mamma, sono felice… per quanto possa esserlo con un dolore
dentro che non andrà
più via.» mia madre strinse una mano e
calò il capo: quel dolore era il legame
che ci univa di più in quel momento e forse come avevo
sperato tempo fa,
avrebbe potuto aiutarci a comprenderci.
«Questa
casa è vuota e fredda senza di voi. Tuo padre si
è chiuso nel suo dolore, non
vuole parlare: con me finge che tutto sia a posto, ma poi lo vedo che
si chiude
nel suo studio e trascorre ore ed ore in
silenzio…» Mio padre era sempre stato
il più rigido dei due: orgoglioso, razionale e poco incline
a slanci d’affetto,
era il genitore con cui più avevo problemi; sentivo un
abisso di distanza tra
noi due, era sempre così impassibile da non sembrarmi umano
e non riuscivo a
pensarlo come l’uomo sofferente descritto da mia madre.
«Dovreste
distrarvi in qualche modo, fare qualcosa di diverso dal solito, uscire, impegnarvi in qualche
attività in modo da non
pensare…» stavo parlando a cuore aperto come se mi
rivolgessi ad una delle mie
amiche e non a mia madre… ma mi resi conto subito che Adele
non era né Rita, né
Sofia.
«Come
potremmo, Pasifae! Siamo in lutto, non possiamo mostrarci impegnati in
qualcosa
o addirittura come una coppia felice che va in vacanza, non sarebbe
corretto!»
Ancora
le apparenze! Persino davanti alla propria sofferenza, alla propria
salute
psico-fisica, salvare la faccia era ancora la regola di vita che
regnava in
quella casa!
«Oh
mamma, ma insomma! Non vedi che vi state distruggendo?!
L’unica scorrettezza la
fate verso di voi, annullandovi e vivendo solo nel dolore! In questo
modo non
vi abituerete mai a conviverci, ma ne sarete sopraffatti e non vi
resterà più
nulla dentro!»
Emile
e Alberto convivevano con un dolore profondo da vent’anni e
mi avevano dato una
grande lezione sulla forza di volontà degli esseri umani.
Non potevo tollerare
che i miei genitori, all’apparenza così forti e
imperscrutabili, si facessero
sopraffare in questo modo dalla mancanza di Simona.
«Anche
se vi chiudete in voi stessi e mostrate al mondo il vostro lutto, Simo
non
tornerà indietro! A chi gioverà dunque questo
comportamento? L’unica persona a
cui dovreste rendere conto è mia sorella e lei non avrebbe
mai voluto vedervi
in questo stato! Reagite per la miseria, reagite e vivete!»
Ecco.
Mi ero agitata di nuovo. Era davvero impossibile per me mantenere la
calma con
loro… feci un respiro profondo prima di tornare a parlare:
«Posso andare un
attimo di sopra? Devo prendere un libro in
camera…» Mi alzai per darmi tempo di
far sbollire la rabbia ed evitare di andare ulteriormente in
escandescenza.
«Questa
è ancora casa tua Pasifae, non c’è
bisogno che tu chieda il permesso.»
*****
Tornare
in camera mia dopo tanto tempo, mi fece uno strano effetto: mi
sembrò di essere
stata catapultata dentro un’altra vita, lontana pochi mesi
nella realtà, ma
distante anni dentro di me. Ormai quella stanza parlava di una Pasi che
non
c’era più, non la sentivo più mia, non
la vedevo come un rifugio tranquillo…
anche se in effetti non lo era mai stato.
Quando
abitavo in quella casa facevo di tutto pur di uscirne, mi sentivo in
trappola,
mi mancava l’aria… Quella stanza non mi sarebbe
mancata in sé e per sé, ma solo
per i ricordi che conteneva: ero entrata per prendere un libro, ma mi
ritrovai
a prendere una borsa e ad infilarci dentro un album fotografico, dei CD
e
qualche altro oggetto, che mi riportava alla mente dei momenti della
mia vita,
che non volevo dimenticare. Uscendo da quella stanza salutai la me
stessa che
ci aveva abitato e mi ritrovai a passare davanti alla porta della
stanza di
Simona. Non riuscii ad impedirmi di entrare.
Tutto
era come Simo l’aveva lasciato: i libri sulla scrivania, gli
scaffali in
ordine, i gioielli chiusi nel portagioie sulla consolle…
osservai i libri sulla
scrivania e aprii il testo che stava studiando: Calcolo
numerico, qualcosa di assolutamente incomprensibile per me,
ma che doveva costituire la materia della sua tesi, quella tesi che non
avrebbe
mai completato, quella laurea che dopo anni di studio non avrebbe mai
avuto…
Sentii
un nodo alla gola che si trasformò in pianto quando vidi
ciò che era stato
conservato gelosamente tra quelle pagine piene zeppe di formule
matematiche: foto
mie e sue risalenti alla serata trascorsa insieme mesi fa. La serata al
Sandbox, quando ancora troppo
arrabbiata
con lei, non le rivolsi parola, quando l’esibizione di Emile
mi sconvolse
definitivamente… Non fu certo una serata di comunione tra
sorelle, ma eravamo
insieme ed evidentemente a Simona doveva essere bastato. Scoppiai in un
pianto
a dirotto, sentendo il mio senso di colpa nei suoi confronti riemergere
in
tutta la sua potenza: quella sarebbe stata una ferita che non si
sarebbe mai
rimarginata, l’avrei portata sempre dentro di me come un
monito a non
dimenticarmi mai delle persone che amavo, l’ultima ed eterna
lezione che avevo
ricevuto da mia sorella.
*****
«Quella
casa è piena di ricordi tristi per te, ora.»
Emile
era stato ad ascoltarmi in silenzio mentre gli raccontavo la visita ai
miei
genitori e la scoperta delle foto nel libro di Simona. Eravamo
abbracciati,
adagiati sul suo letto: Alberto era con Claudine e noi due eravamo
intenti a
ritagliarci qualche momento d’intimità,
approfittando di una sera in cui
nemmeno Emile era impegnato con i GAUS.
«Dovresti
costruirti ricordi più felici con loro, o avrai sempre meno
voglia di andarci.»
Mi
strinsi di più a lui: parlare dei miei genitori mi dava
sempre un senso
d’amarezza e di solitudine, avevo bisogno di essere avvolta
dal suo amore più
che mai in quel momento.
«Non
so se ci riusciremo mai! Ero andata con le migliori intenzioni e ho
finito
ugualmente col perdere le staffe…»
«Beh,
intanto tua madre si è dimostrata più
conciliante… dalle tempo, non è facile
per lei.» Emile appoggiò il viso alla mia testa,
stringendomi a sé.
Nella
stanza era accesa la luce soffusa della lampada sul comodino e una
musica dolce
e rilassante proveniva dallo stereo: mi stavo godendo in pieno quel
momento di
dolcezza e pace, se avessi potuto fermare il tempo l’avrei
fatto
immediatamente.
«Lo
so… ma mi snerva il loro modo di vivere, sempre concentrato
su ciò che pensano
gli altri e non su ciò che vogliono loro: quando la vivranno
davvero la vita?!»
«È
una scelta che spetta a loro due Pasi, non puoi obbligarli a vivere
come
vorresti tu, cadresti nel loro stesso errore.»
«Lo
so… sono stata così presa dal rancore verso la
mia famiglia, da non riuscire a
vedere altro, da non accorgermi di quanto Simona volesse davvero
essermi vicina
come io desideravo e non voglio continuare a vedere i miei genitori
sotto
un’ottica rabbiosa, vorrei tanto che mostrassero la loro
umanità, le loro
debolezze, vorrei che scendessero da quel piedistallo su cui si sono
messi da
anni!»
«Vedrai
che lo faranno, se sarai loro vicina; tu riesci a parlare al cuore
delle
persone, riesci a far aprire gli occhi a tutti, ci riuscirai
sicuramente anche
con i tuoi genitori.»
Era
la prima volta che Emile manifestava di avere stima nei miei confronti;
non
avrei dovuto considerarlo come una stranezza, ciononostante mi sorprese
e mi
fece felice:
«Davvero
pensi questo di me?! Credi davvero che abbia questo potere?»
«Non
ti basta vedere cos’hai fatto a me, streghetta?»
Sorrise e mi diede un bacio
sulla testa; mentre mi godevo quelle coccole ricordai le parole di
Fede: “Tu
hai qualcosa che porta la gente ad aprirsi a te”;
probabilmente avevano ragione,
eppure trovai quasi irrealizzabile l’idea di riuscire a far
aprire i miei
genitori… Probabilmente ero troppo coinvolta per vedere con
obiettività, senza
contare che non avevo mai avuto in me la fiducia che invece vi
riponevano Emile
e Fede; ma volevo crederci? Volevo credere che la mia forza di
volontà mi
avrebbe aiutato ad avvicinarmi al loro cuore? Avevo avuto questa
speranza e
l’avevo ritirata quando, aprendomi a loro, non avevo ricevuto
comprensione;
sarei riuscita a sperare nuovamente, rischiando una nuova delusione?
Ero
persa in quei pensieri quando sentii provenire dallo stereo di Emile un
suono
di violini che mi strinse il cuore:
«Quanto
amo il violino, le sue note più acute somigliano ad un
pianto inconsolabile,
ciononostante è capace di trasmettere allegria e gioia di
vivere in brani come le
gighe irlandesi… è difficile suonarlo?»
Avevo
visto tempo fa, un violino comodamente adagiato nella sua custodia in
quella
stessa stanza, per cui diedi per scontato che Emile sapesse suonarlo.
«Un
po’, non è facile evitare che le corde stridano,
facendoti venire il mal di
denti, ma con un po’ di pazienza e buona volontà,
s’impara a suonare… vuoi
provare?»
Mi
staccai dal suo abbraccio per la sorpresa: non avevo mai pensato a me
stessa
come musicista, davo per scontato di non essere in grado di produrre
dei suoni
decenti da uno strumento musicale, visti i miei tristi trascorsi col
flauto
alle scuole medie e qui si parlava di uno strumento ben più
complicato… però la
domanda di Emile mi tentò e mi ritrovai a desiderare di fare
un tentativo,
fosse stato solo per avvicinarmi un po’ di più al
suo mondo!
«Credi
che potrei farcela davvero?»
«Perché
no? Hai due mani ed entrambe le orecchie, ti serve solo
questo… a parte la
conoscenza dello strumento, ovviamente!» Emile avevo lo
sguardo sereno, non
c’era traccia di sarcasmo in lui, era sincero e sembrava
felice di poter
condividere quel momento con me.
«D’accordo,
proviamo!»
*****
«Attenta,
sbagli la posizione delle mani… guarda, è
così.»
Non
stava andando bene.
Affatto.
Io
e il violino non eravamo nati per andare d’accordo.
Sbagliavo
continuamente la posizione delle dita, l’inclinazione stessa
del violino sulla
spalla e ogni volta che premevo l’archetto, le corde
rischiavano di saltare!
Per poco Emile non ci aveva rimesso un occhio quando si
spezzò una corda
all’ennesima mia zappata, eppure non perdeva le staffe,
né desisteva dallo
spiegarmi come migliorare la mia esecuzione. Eravamo scesi nella
saletta
insonorizzata, onde evitare di svegliare il vicinato con la mia tortura
sonora,
per cui non avevo remore nel dare voce alle note acute del violino; ad
un certo
punto però non riuscii più a continuare. E non
era solo un problema
d’incompatibilità con lo strumento: Emile era
dietro di me per controllare
l’esattezza della mia esecuzione e per spiegarmi meglio la
posizione delle
mani, chinava costantemente il viso accanto al mio e prendeva di
continuo la
mia mano nella sua e quella vicinanza mandava totalmente in fumo la
scarsa
concentrazione e la mia determinazione!
Ad
un certo punto persi del tutto il filo del discorso, inebriata dal suo
profumo
e dalla sua voce e appoggiai il mio viso al suo, chiudendo gli occhi e
beandomi
di quel contatto:
«Pasi…
non mi stai ascoltando, vero?»
La
sua voce era seria, ma non burbera ed io rimasi attaccata al suo viso:
«Possiamo
rimandare la lezione? Non mi sento molto concentrata in questo
momento…» gli
risposi con un filo di voce, le mie energie erano focalizzate nel
tentativo di
non lasciar andare il violino, perché d’improvviso
ebbi la sensazione che tutto
il mio corpo si stesse sciogliendo nel piacere di quella vicinanza.
«Rinunci
così presto? Così non imparerai
mai…»
La
voce di Emile divenne un sussurro rivolto direttamente al mio orecchio:
sentii
un brivido travolgermi tutto il corpo e per poco non lasciai andare il
violino
a terra! Emile sghignazzò e si staccò da me,
prendendo l’arco e salvandolo
dalle mie mani assassine, poi mi prese il viso in una mano e con lo
stesso tono
sussurrante di prima mi disse:
«Hai
bisogno di molte lezioni, dovrai impegnarti» al che mi fece dimenticare
persino come mi
chiamavo, con un bacio che fece tabula rasa di tutta la mia
lucidità… E con
estremo sadismo si staccò da me e uscì da quella
saletta per portare il violino
in salvo!
Era
proprio un diavolo rosso ma non se la sarebbe cavata così!
Lo seguii ma con le
gambe lunghe che si ritrovava, aveva messo già distanza tra
me e lui, così
decisi di giocare d’astuzia:
«Ahia!»
urlai, bloccandomi sulle scale e accucciandomi sui gradini, sperando
che mi
sentisse e venisse a controllare cosa fosse accaduto.
«Cos’è
successo Pasi, ti sei fatta male?»
Mi
congratulai con me stessa dopo qualche secondo: Emile corse a vedere
cos’avessi
e preoccupato mi circondò le spalle... E a quel punto
l’abbracciai.
«Ora
non mi sfuggirai!»
Rimase
sorpreso per qualche istante e poi sorridendo soddisfatto mi disse:
«Piccola
peste, hai finto di farti del male per essere raggiunta con un
trucchetto! Sei
proprio una perfida strega!»
«Ti
sbagli, sono solo una studentessa diligente: voglio le mie lezioni di
recupero.»
lo bloccai su quei gradini e ripresi da dove si era interrotto in
quella
saletta.
*****
La
mia carriera di violinista non andò molto avanti: nei giorni
seguenti io ed
Emile fummo presi dai nostri impegni e non riuscimmo a fare altro che
sentirci
al telefono. Ma il mio Pel di Carota non era l’unico a
mancarmi della sua
famiglia: volevo rivedere Alberto e mi mancava persino Claudine,
così decisi di
andare a trovarli.
Emile
come al solito era occupato in saletta con il gruppo e speravo sempre
che una
volta finite le prove, il mio Riccioli Rossi salisse a farci compagnia.
Invece
quella sera feci un altro tipo d’incontro.
Nello
scendere al piano terra per prendere da bere, trovai Claudio in cucina
che si dissetava:
la stanza adiacente alla saletta era dotata di un mini frigorifero, ma
evidentemente dovevano essere finite le scorte, oppure Claudio soffriva
di
claustrofobia, visto che era l’unico ad essere risalito.
Appena lo vidi
m’irrigidii, il suo modo di rivolgersi a me era sempre brusco
e l’iniziale
curiosità che avevo avuto nei suoi confronti, si stava
trasformando in una
solida antipatia:
«Claudio…»
lo salutai in modo lapidario onde evitare di averci a che fare
prolungatamente,
ma avevo l’impressione che aspettasse un momento simile per
avere una bella
discussione con me.
«Coda
di Emile…»
Di
nuovo quell’appellativo! E stavolta Emile non era nei
paraggi, era chiaramente
un’offesa diretta a me, per cui non mi feci remore di sorta e
risposi alla sua
provocazione:
«Senti,
non so cosa abbia potuto farti per esserti così antipatica,
ma gradirei che non
mi chiamassi in quel modo, io non sono la coda proprio di nessuno e ho
un nome!
Io sono Pasi e non tollero che tu usi di nuovo quel termine con
me!»
Claudio
mi guardò con un sorrisetto amaro e rispose:
«Perché
altrimenti, cosa fai? Chiami Emile e ti fai difendere?» aveva
un’asciugamani
intorno al collo e una bottiglia d’acqua nella mano destra,
che posò sul tavolo
per ergersi in tutta la sua altezza mentre mi rivolgeva quella domanda
impertinente.
«Non
ho bisogno che qualcuno mi difenda, so farlo benissimo da
sola!» Si avvicinò di
più a me, potevo sentire lo sgradevole odore di sudore che
aveva addosso, ma
non retrocessi, non mi feci intimidire dalla sua mole.
«Tu
non mi piaci e sai perché? Perché Emile
è un grande ipocrita e ogni volta che
ti vedo, mi torna alla mente.»
«Se
ti riferisci ancora al fatto che sia venuto qui quando eravate in tour
in
Germania, evidentemente non capisci in che situazione
ero…»
«So
benissimo che avevi perso tua sorella e non è quello il
punto. Emile ha sempre
detto a tutti noi che la band doveva essere al centro della nostra
vita, all’apice
delle nostre priorità e che se questo non ci stava bene, la
porta era aperta
per andarcene. Quell’ipocrita non mi ha permesso di andare a
trovare la mia
ragazza in ospedale, quando si è ferita l’anno
scorso e sai perché? Non perché
eravamo lontani nel bel mezzo di un tour, ma solo perché
avevamo un incontro
con la casa discografica! Per un incontro a cui potevano
tranquillamente
partecipare gli altri! Siamo stati via un’intera settimana
per parlare con quel
tizio che abitava lontano da qui e non mi ha concesso un solo giorno
per andare
da lei! E poi nel bel mezzo di un tour, lui si permette di andarsene!
Perché a
lui tutto è concesso, lui è la star,
l’autore dei testi, il grande genio della
musica, il volto dei GAUS! Al divo Emile tutto è concesso,
mentre noi siamo i
suoi schiavetti ubbidienti, non è
così?»
Il
suo rancore mi esplose in viso, Claudio si era calato pericolosamente
verso di
me ed io mi appoggiai al mobile in cucina per poterlo fronteggiare:
«Se
ti sei fatto comandare in questo modo, evidentemente non dovevi tenerci
così
tanto alla tua ragazza! Se l’avessi amata davvero, saresti
andato via senza
badare alle parole di Emile! Far parte di questo gruppo fa comodo anche
a te, è
per questo che sei rimasto con loro, non dare ad Emile colpe che non
ha!»
Claudio
fece una risata amara: «Tu non ti rendi nemmeno conto di
quanto possa essere
cinico e spietato il tuo ragazzo! Mi ha messo davanti al bivio: o
restavo
oppure ero fuori ed eravamo ad un passo dalla firma del contratto. Con
il
futuro pronto dietro la porta, chi mai avrebbe mandato tutto al
diavolo?» Si
avvicinò ancora di un passo, poggiando una mano sul mobile
per bloccare qualsiasi
mio tentativo di fuga.
«La
scelta era comunque tua: se gli hai ubbidito, significa che ti faceva
comodo,
oppure che non hai abbastanza forza da ribellarti.»
Avvicinò
il suo viso al mio, guardandomi con un’espressione piena di
rancore:
«Hai
la lingua lunga ragazzina, ma hai ragione, non ho avuto abbastanza
forza di
reagire… Vedrà il signorino quanto è
importante avere un batterista in un
gruppo, se ne renderà conto subito!»
Così dicendo si staccò da me, prese la sua
bottiglia d’acqua, bevve un sorso guardandomi con sfida e
andò via verso il
piano interrato. Quello sguardo non prometteva nulla di buono ed io
rimasi
tutta la sera con la preoccupazione addosso. Temevo di aver scatenato
qualcosa
di cui mi sarei pentita amaramente…
NDA
Angolo dei Ringraziamenti:
Amorine
mieeeeeeee! Sono felice di avervi reso felici e di aver appagato il
vostro animo romantico, ed io dal canto mio vi ringrazio come sempre
per le parole dolcissime che mi scrivete e gl'incoraggiamenti sempre
entusiatici che mi fate, siete un dono prezioso <3
Grazie un milione di
volte elevato all'infinito a:
Iloveworld,
la
mia
Beta-Tomodachi-Sorellina, che mi fa sentire come se avessi scritto la
Divina Commedia (:*****) e che oltre ad essere una bravissima
scrittrice, è anche una meravigliosa cantante, provare per
credere QUI!
^ ^
Niky, Vale, Saretta, Concy, che recensiscono con
puntualità svizzera, m'incoraggiano e vivono questa storia
con la stessa intensità dei suoi protagonisti; grazie
tantissimo tesore mie, non so come farei senza di voi! <3
Cicci,
Ana-chan,
Ely,
che mi
sostengono e incoraggiano anche senza leggere ^ ^
E grazie mille a tutte
coloro che hanno inserito questa storia tra le preferite, tra le
ricordate e tra le seguite (sisters a parte, of course):
lorenzabu,
samyoliveri,
sbrodolinalollypop,
Aly_Swag, green_apple, celest93, cris325, Drama_Queen, hurry,
Newiyurd, nicksmuffin, Origin753, petusina, sel4ever, ThePoisonofPrimula (Che ho scoperto
essere anche mia omonima... per 1/3 xD), _Grumpy.
ARIGATOU GOZAIMASU a tutte voi!!!!