Capitolo
I
A
New Beginning
Una
giornata alquanto uggiosa e, a giudicare dal cielo, propensa ad un
acquazzone
coi fiocchi. Mentre una lumachina solitaria attraversava la strada, una
macchina nera sfrecciava sulla strada silenziosamente, in direzione
dell’enorme
cancello che si poteva scorgere in lontananza. Al suo interno vi era,
oltre al
conducente, una donna sulla trentina, una ragazza, probabilmente sui
sedici-diciassette anni, intenta a guardare il paesaggio attraverso il
finestrino con un misto di svogliatezza e preoccupazione nel suo
sguardo.
La
macchina, giunta nei pressi del cancello, si fermò di fronte ad esso;
le due
persone a bordo scesero, per poi guardarsi intorno.
«Spero
di aver preso la strada giusta...» disse la donna, continuando a
guardarsi
intorno.
«Zia...
non dirmi che per tutto questo tempo hai seguito una strada scelta a
caso!»
esclamò la ragazza che, a quanto pareva, era la nipote della trentenne.
«No,
no, non l’ho scelta a caso! Solo che ho la netta sensazione che questo
cancello
non sia quello principale, ma uno secondario, molto probabilmente
utilizzato
per le emergenze...» replicò la donna, avvicinandosi al suddetto
cancello e
seguita a ruota dalla nipote.
«Di
una cosa sono sicura, però: siamo arrivate a destinazione» continuò,
appoggiando le mani sull’inferriata. «Lo vedi quel palazzo laggiù?»
chiese alla
nipote, che si avvicinò per vedere meglio e che le rispose con un cenno
del
capo «È lì che andrai».
«Wow...
Che culo» replicò la ragazza,
ironica.
La
zia si limitò a sospirare: sapeva perfettamente che la sua adorata
nipotina,
con quell’atteggiamento, avrebbe sicuramente causato qualche problema;
ma non
ci poteva fare, praticamente, nulla.
«Ma... per esempio... non
potevo rimanere
dov’ero? Non vedo nessuna differenza tra questo posto e quello dove
stavo
prima, a parte il fatto che sia... completamente
isolato dal mondo!» esclamò la ragazza, tornando verso l’auto
ed attirando –
involontariamente – l’attenzione di qualcuno.
«Ho
capito, ma non urlare!» le disse la zia, una volta raggiunta.
«Avete
bisogno d’aiuto...?» domandò loro una voce proveniente alle loro spalle.
Le
due si voltarono e videro una ragazza dai capelli castano scuro, lunghi
fino
alle spalle, con gli occhi marroni e vestita con quella che doveva
essere,
molto probabilmente, una divisa scolastica. Non molto distante da lei,
con le
spalle poggiate contro il muro, vi era un ragazzo, vestito anch’esso
con la
suddetta divisa, e con i capelli – vero ma strano – argentati e gli
occhi viola
chiaro.
«Voi
sareste...?» chiese la trentenne, leggermente sospettosa.
«Io
sono Yuuki Cross, mentre lui» indicò il ragazzo «è Zero Kiryu» disse la
ragazza, Yuuki.
Stava
per chiedere chi fossero, quando la zia della giovane l’anticipò,
dicendo: «Il
mio nome è Angela Cecil e questa qui» indicò la ragazza al suo fianco
«è mia
nipote: Aura Thanatos. Dai vostri abiti deduco che siate degli studenti
della
Cross Academy, giusto?» disse Angela.
«Sì,
esatto» le rispose Yuuki.
«Bene.
Allora siamo davvero nel posto
giusto» disse Angela, attirando l’attenzione di Aura, che le si
avvicinò e le
disse: «Allora, prima, quando hai detto che eri sicura di esser nel
posto
giusto, hai mentito!».
«No,
non avevo mentito; solo che non ero sicura!» ribatté la donna,
nonostante
sapesse perfettamente di essere nel torto.
Aura
si passò una mano sulla faccia e commentò, sarcastica: «Che
culo...». E così iniziò un botta e risposta tra la zia e la
nipote.
Intanto
il ragazzo, che non si era minimamente mosso da dove era, Zero,
scrutava le due
con sospetto: Angela era sicuramente umana,
visto che non aveva nessuna caratteristica riconducibile a loro, mentre sua nipote, Aura, non lo
convinceva affatto. C’era
qualcosa di strano in quella ragazza... innanzitutto il colore degli
occhi lo
metteva in guardia, visto che erano rossi. Non erano di quel rosso
acceso a lui
ben noto, ma questo non escludeva il fatto che potesse essere una di loro. A parte la piccola questione sul
colore degli occhi, Zero non riscontrò nessun’altra caratteristica non
umana,
visto che i capelli neri e la carnagione rosea
erano perfettamente normali.
Nell’esatto
momento in cui finì la sua analisi “scientifica”, Aura ed Angela
avevano finito
il loro battibecco, e quest’ultima aveva preso nuovamente la parola:
«Saresti
così gentile da condurci da Kaien Cross? Ho una questione da discutere
con lui»
disse rivolgendosi a Yuuki, la quale annuì e prese a camminare verso
l’edificio
scolastico, seguita da Zero e le altre due.
Una
volta giunti a destinazione, Yuuki e Zero si congedarono, dicendo che
avevano
un compito da fare.
Angela
bussò alla porta, dopodiché l’aprì ed entrò, seguita da una riluttante
Aura. Dietro
la scrivania, sommerso da una catasta di pratiche, documenti e
quant’altro, vi
era il Preside, Kaien Cross. Non appena si rese conto di avere
compagnia si
alzò di scatto, facendo volare alcuni fogli e sistemandosi gli occhiali.
«Kaien
Cross...?» domandò titubante Angela.
L’uomo,
mentre raccoglieva i vari fogli volanti, disse: «Sì, sì, sono io! Un
attimo che
sistemo queste carte...». Peccato che, mentre afferrava l’ultimo, mise
male un
piede e cadde, facendo cadere a terra tutte le carte che aveva in mano.
Aura
guardò sua zia, come per dire “Ma siamo sicuri che questo qui sia
veramente il
Preside, e non il sostituto, oppure il bidello?”, ricevendo come
risposta un
sospiro. Nel frattempo l’uomo si era alzato ed aveva sistemato
velocemente le
carte, ed Angela colse la palla al balzo, chiedendogli: «Sono Angela
Cecil,
colei che ha firmato i documenti per l’iscrizione di mia nipote in
questa
scuola».
«Ah,
sì, sì! È tutto pronto, non resta altro che vostra nipote prenda le sue
cose e
si trasferisca nel dormitorio in cui è stata assegnata» rispose Kaien,
allegro
come una pasqua.
«Bene,
allora posso anche andare. Un’ultima cosa: è stata assegnata alla Night Class, giusto?» chiese Angela,
dopo aver messo la mano sulla maniglia della porta.
«Sì.
Inoltre, non ci sono stati problemi dall’altra parte.
Potete stare tranquilla».
«Perfetto.
Allora posso andare in pace» disse scherzosamente Angela, aprendo la
porta.
«Ah,
Aura» si voltò verso sua nipote «mi raccomando, vedi di farti
riconoscere
subito, ok?» le disse, prendendola in giro come solo lei sapeva fare, e
ricevendo come riposta un “Vai nel culo, zia”.
«Sì,
sì, certo; ti voglio bene anch’io, nipotina» replicò; dopodiché uscì
dalla
stanza, chiudendo dietro di sé la porta e tornando verso la macchina,
che aveva
lasciato molto lontano.
Non
molto tempo dopo l’uscita di scena della zia di Aura, qualcun altro
bussò alla
porta ed entrò, rivelando un ragazzo vestito con lo stesso abito
indossato da
Zero ma bianco, e dai lunghi capelli castano scuro e dagli occhi del
medesimo
colore.
«Kaname-kun,
ben arrivato. Com’è la situazione?» gli chiese il Preside, con un tono quasi confidenziale.
«Tranquilla,
come al solito. Noto che la nuova ragazza è finalmente arrivata» disse
il
ragazzo che, da quanto detto pochi istanti prima dal Preside, si
chiamava
Kaname.
«Sì,
è finalmente arrivata. Non resta che accompagnarla al dormitorio; ormai
le
lezioni sono già iniziate, e non mi pare il caso di interromperle».
Aura,
non appena sentì che per quel giorno non avrebbe fatto praticamente
niente, si
sentì invadere da un’immensa gioia. Lei e lo studio non andavano molto
d’accordo.
«Portarla
in classe adesso equivarrebbe a mandare in fermento tutti gli altri, e
non è il
caso, visto che in questi ultimi giorni sono stati piuttosto
irrequieti; ma
adesso non è il momento di parlare di questo...» disse Kaname, per poi
voltarsi
verso Aura «Vogliamo andare?» le chiese. Aura si limitò ad annuire, per
poi
seguirlo fuori dalla stanza.
Percorsero
i vari corridoi e scesero diverse rampe di scale, prima che il ragazzo
si
fermasse davanti ad una porta, presumibilmente di una classe: «Le
lezioni si
tengono qui, ogni giorno». Aura si limitò ad annuire nuovamente: aveva
perso la
lingua, oltre al suo “Che culo...”.
Stavano
per andare avanti, quando una serie di schiamazzi provenne proprio da
dietro la
porta, costringendo Kaname a chiedere ad Aura di aspettare un attimo e
ad
entrare nell’aula, facendo cessare, con la sua sola presenza, gli
strepiti. Quando
uscì, riprese a camminare come se nulla fosse successo: evidentemente
doveva
aver pietrificato i presenti con il suo sguardo.
Raggiunto
il Dormitorio, il Moon Dorm, Kaname
condusse Aura fino alla stanza assegnatale e, prima di congedarsi, le
disse: «Tutti
i tuoi effetti personali sono stati portati qui in anticipo, da vostra
zia. Per
qualsiasi cosa, ti prego di rivolgerti a me. A domani». E se ne andò.
Aura,
rimasta sola, si decise ad entrare in quella che sarebbe stata, d’ora
in poi,
la sua nuova “residenza”; la stanza aveva le pareti bianche e due
finestre: una
di fronte alla porta, la più grande, esattamente dall’altra parte della
stanza,
e l’altra, di medie dimensioni, sulla sinistra. Il pavimento era
composto da
semplici mattonelle bianche con un singolo rombo nero al centro. Come
arredamento vi erano un divano color crema sotto la finestra grande, un
cassettone bianco con le maniglie color oro sulla destra, uno specchio
rettangolare con dei fiori di rubino sulla cornice a destra, sopra il
mobile;
ed infine, vi era il letto ad una piazza e mezzo, le cui coperte erano
rosso scuro.
Sopra la testata vi era l’altra finestra.
Alla
sinistra del letto, proprio alla sinistra di Aura, vi era una scrivania
semplice ma allo stesso tempo raffinata: bianca con le finiture color
oro, e
con dei motivi floreali lungo il bordo. Ad accompagnare tale struttura,
vi era
una sedia dello stesso colore e con le stesse finiture e motivi. E se
sulla
sinistra vi era la scrivania e la sedia, alla destra vi era un piccolo
comodino
color perla con tanto di lampadina a forma di rosa. Come ciliegina
sulla torta,
sul suddetto letto c’erano sei rose: rossa, arancione, gialla, blu,
viola e
bianca.
«Devo
dire che non si sono sprecati per il “servizio” in camera... Che culo» si ritrovò a dire ad alta voce
Aura, davanti a tale visuale.
Senza
aggiungere altro iniziò a disfare la valigia, smistando il contenuto
nei vari
cassetti del cassettone, e scovando, con suo orrore, la sua divisa:
anch’essa
bianca e con tanto di gonna.
Cercando
di evitare il contatto visivo con quell’indumento, richiuse velocemente
il
cassetto in cui era e si tolse le scarpe, per poi sedersi sul letto,
proprio di
fronte alle rose.
«Ed
ora di queste, cosa me ne faccio? Le sniffo? Le mangio? Le faccio
appassire? Uffa...
ma un bel cioccolatino come negli alberghi no, eh? Almeno quello
l’avrei potuto
mangiare...» si lamentò, squadrando i fiori.
Fortuna
volle che, sopra il comodino, accanto alla lampada, ci fosse un vaso
con lo
stemma della scuola. Immediatamente prese le rose, facendo attenzione a
non
bucarsi con le spine, e le mise al suo interno.
«Risolto
il problema delle piante... menomale!».
Aura
incrociò le gambe per poi mettersi a testa in giù ed osservare la
camera dalla
nuova visuale; ben presto si annoiò e fece l’unica cosa che, al
momento, poteva
fare: dormire.
Al momento non ho nulla da aggiungere, a parte questa piccola avvertenza: vi prego di non plagiare/copiare/prendere ispirazione dai miei scritti, perché, per quanto possano essere delle semplici storielle scritte per piacere e via dicendo, hanno comunque richiesto tempo e fatica; non mi piacerebbe vedere uno dei miei personaggi, (leggasi anche: OC; Original Character) girellare in una storia che non è la mia, così come vedere una determinata scena messa da un'altra parte. Potrei continuare a fare esempi, ma mi fermo qui, visto che si tratta solo di un avviso e non di un'accusa :)