Disclaimer: I personaggi
non mi appartengono e non scrivo a scopo di lucro, altrimenti non sarei qui ma
a Londra dove vorrei essere da una vita <3
Chiedo scusa per eventuali
errori di battitura o peggio di grammatica.
Buona lettura! :D
Per Matthew quella notte era troppo lunga.
Il cielo era scuro, senza il chiarore della luna che
risplendeva alta nel cielo, e le stelle erano poche. Tirava un leggero
venticello ma freddo, troppo per essere il mese di luglio, e le acque scure del
lago rendevano quel paradisiaco luogo il set perfetto per un film dell’orrore.
Quello che lui stesso stava vivendo.
Si era svegliato dopo un incubo, madido di sudore e con il
respiro affannoso, cercando di scacciare dalla sua mente l’immagine del corpo
di Dominic riverso in una stradina di quel buco di città, morto e con gli occhi
verde-grigio ancora aperti, e involontariamente aveva allungato una mano
sull’altra metà del letto matrimoniale, con il rimorso che presto avrebbe
svegliato il compagno, ma toccando solo il candore del lenzuolo.
Era andato letteralmente nel panico. Dove diamine poteva
essere andato? Moltrasio non era grande ma Dominic non la conosceva e sarebbe
anche potuto arrivare al lago senza sapere come.
Poi qualcosa scattò nella mente di Matthew, un’immagine
gli passò davanti agli occhi. Era quella del suo Dominic, con addosso una tuta
logora, forse di quando era giovane, che nascondeva la magrezza disumana del
suo corpo, i capelli secchi e indomati, la pelle di un bianco cadaverico e due
profonde occhiaie a segnargli il viso. Il particolare più agghiacciante era il
continuo sfregare dei denti gli uni contro gli altri, mentre con voce ferma gli
diceva: “Matt, ne ho bisogno” e a cui lui rispondeva con un secco: “No!”.
Aveva capito tutto e, con il cuore in gola, andò verso il
tavolino all’ingresso, dove tenevano le chiavi e il resto, prese il portafogli
e, come aveva previsto, lo trovò vuoto, perfino delle monetine.
Sul momento gli era saltata addosso solo rabbia, tanta da
scagliare il portafogli lontano e da prendere a pugni il muro, facendosi
soltanto male. Era tornato a letto, pensando che se quel coglione voleva
rovinarsi la vita lui non gliel’avrebbe impedito ma adesso, ancora sdraiato sul
materasso, fissando quella piccola crepa sul soffitto, riusciva solo a capacitarsi
di essere un deficiente a stare lì e non andare a cercarlo.
“.. This is the last time
I’ll abandon you. This is the last time I’ll forget you. I wish I could..”
Canticchiò queste strofe con rammarico, ricordando che
quelle parole le aveva scritte pensando a Dominic ma ora avrebbe dovuto
rimangiarsele.
Lo stava abbandonando di nuovo.
Non avrebbe mai più cantato allo stesso modo quella canzone, non se avesse
continuato a stare sdraiato sul quel fottuto letto senza cercare la persona che
amava.
Si alzò di scatto e infilò i primi pantaloni che trovò,
uscì di casa e iniziò a camminare per le buie vie di quel paese del lago di
Como, senza veramente sapere dove andare. Per sua fortuna in Italia tutti i
locali avevano l’abitudine di chiudere presto, tranne che nelle grandi città,
così non avrebbe dovuto cercare in ogni angolo di Moltrasio ma comunque non
sapeva da dove incominciare. Avrebbe potuto chiamare la polizia ma così facendo
avrebbe solo fatto arrestare Dominic, se lo avessero trovato nello stato in cui
Matthew era convinto che fosse.
In fondo non c’era molti luoghi dove cercare: in riva al
lago o al parco giochi, luoghi perfetti per nascondersi a occhi indiscreti.
Provò per primo al lago, così da quietare quel senso di oppressione a livello
dello stomaco, un senso talmente forte da offuscargli anche la mente da
qualsiasi pensiero positivo; il suo primo pensiero, infatti, fu di trovare
Dominic annegato o sommerso dalle nere acque del lago.
Ringraziando il cielo non era successo niente di tutto
ciò. Dominic non c’era, né appresso alla ringhiera né in riva al lago, e così
Matthew poté tirare un sospiro di sollievo ma solo momentaneo, perché comunque
non sapeva dove fosse il suo compagno.
Senza pensarci più di tanto fece dietro front e iniziò a
camminare velocemente verso il parco giochi.
Ci aveva portato il ragazzo qualche giorno fa, senza un
motivo preciso, forse per farlo rilassare un po’ e magari far prendere anche un
po’ di colore alla pelle bianchissima. Si erano seduti su una panchina un po’
distante dai bambini che giocavano, in modo da non innervosire il biondo più
del dovuto, non troppo contento di quell’uscita, e anche in modo da rimanere un
po’ appartati in santa pace, senza fotografi o qualsiasi altra seccatura.
Non si dissero niente per mezz’ora, lasciando a Matthew il
tempo di analizzare la figura del ragazzo seduto vicino a lui.
Dominic non era il più la persona che aveva conosciuto un
giorno a Teignmouth. Non aveva più niente che esprimesse gioia e tranquillità e
alla luce del sole la sua figura acquistava sempre più particolari inquietanti.
I capelli biondi erano spenti, disordinati come mai, la pelle era secca, quasi
squamosa come mostravano le chiazze che si potevano vedere sulle sue braccia,
gli occhi tendevano a un grigio quasi innaturale e le occhiaie dominavano sul
resto del viso bianco.
I vestiti larghi nascondevano un corpo che una volta era
stato sodo e muscolo ma che adesso non era altro che ossa sporgenti e pelle
tesa.
Difficilmente sorrideva, anzi non sorrideva affatto,
chiuso in una teca di apatia che dimostrava con chiunque, Matthew compreso. Il
più delle volte era irritato da qualcosa che neanche lui sapeva cosa fosse, ma
quel mal contento lo accompagnava per tutta la giornata, riuscendo impossibile
ogni qualsivoglia forma di conversazione. Solo ogni tanto si calmava, quando
Matthew lo stringeva a sé e gli chiedeva implorante di smetterla; solo allora
tornava quel biondino un po’ pazzo e intraprendente, che piano si avvicinava al
compagno e gli dava un bacio, per poi riuscire ad addormentarsi stretto a lui,
dopo tempo che non lo faceva, mosso dall’insonnia.
Dopo quel momento di contemplazione Dominic aveva stretto
la mano a Matthew e gli aveva sorriso. Dal canto sul il moro rimase molto
stupito da quel gesto ma se ne fregò altamente; ciò che importava in quel
momento erano le loro mani unite e il volto radioso del biondo.
Non erano più tornati al parco giochi dopo quel giorno, un
po’ per via di Matthew che ogni 3 giorni doveva tranquillizzare Chris, Tom e la
famiglia Howard che entrambi stavano bene, nonostante molte volte mentiva
spudoratamente per non far impensierire gli altri, e un po’ per via dello
stesso Dominic che aveva ripreso con le sue crisi e i suoi momenti di
depressione.
Per quanto ci girava intorno, Matthew non poteva negare:
Dominic era un tossicodipendente.
Gli
aveva fatto male ammetterlo ma non poteva negare l’evidenza. Perfino il più
stolto degli uomini avrebbe capito il problema che affliggeva il ragazzo ma
nessuno, a parte lui e pochi altri, sapevano il motivo di questa follia.
L’unico rimpianto di Matthew fu di averlo spinto a fare cose che lo stesso
Dominic non aveva voluto e che l’avevano portato a una lenta autodistruzione
fisica e mentale.
Ricordava benissimo come il tutto era iniziato.
Quel giorno aveva percepito nell’aria qualcosa di
negativo, non che fosse un mago o altro, ma sentiva che qualcosa non sarebbe
andato per il verso giusto. Magari un cavetto mancante, magari la sua chitarra
che non avrebbe suonato decentemente o magari un terremoto. Esagerate come
previsione ma non riusciva a rimanere calmo.
Alla fine andò tutto come di norma, il loro show era stato
grandioso e la folla sembrava non volerli più lasciare andare tanta era
l’adrenalina che ancora avevano da spendere, ma prima o poi sarebbe dovuta finire
e così finì, ma non con il solito festino dopo show ma con una corsa
all’ospedale per un mancamento del signor Howard.
Dominic aveva invitato il padre al concerto e per tutto il
giorno era andato in giro per il backstage pregando di non sbagliare, di fare
come al solito un grande spettacolo, tutto questo senza degnare nessuno di
alcuno sguardo. Solo nel pomeriggio lui e Matthew erano riusciti a ritagliarsi
un po’ di tempo per stare assieme e, seppur fosse felice per il compagno, dopo
un po’ che il biondo parlava spinto dall’euforia, il moro fu costretto a
zittirlo con un bacio.
E poi, a notte inoltrata, si ritrovarono in quel freddo
ospedale ad aspettare che qualcuno dicesse loro qualcosa. Chris sedeva su una
delle scomode sedie di plastica, guardandosi in giro, mentre Matthew e Dominic
erano in piedi, a fissare fuori dalla finestra il paesaggio scuro.
Per quanto il desiderio fosse forte, il cantante
resistette all’impulso di parlargli, di distrarlo e di sdrammatizzare con
qualche battutina la situazione perché sapeva che non sarebbe servito a niente.
Conosceva l’affetto che il batterista provava per il padre e sapeva che era
giusto lasciarlo ai suoi pensieri, non interferendo in quel momento di muta
preghiera. Tutto ciò che fece fu di stringergli la mano, per dirgli che lui era
lì.
Dopo quelle che parvero ore, finalmente diedero loro delle
notizie, lasciando sottintendere nelle complicate spiegazioni del medico che il
signor Howard non ce l’aveva fatta.
Da quel giorno il batterista dava sempre più segni di
cedimento e spesso era come se ci fossero due personalità che albergavano in
lui: la parte chiusa e triste, quella che non lasciava uscire niente e che mai
si sarebbe rivelata al mondo, e la parte aggressiva, piena di rabbia repressa
che esplodeva al minimo gesto involontario.
Fu per quella ragione che Matthew lo portò in Italia,
pensando che fosse un modo per dare al compagno un minimo di spazio per
tranquillizzarsi, senza persone che ogni minuto gli giravano attorno, e magari
per vederlo sfogarsi. Da quando era successo, non aveva mai pianto.
Non fu quello a preoccupare il cantante le prime notti,
bensì il fatto di trovarlo sempre sveglio e, man mano che i giorni passavano,
vedere sotto i suoi occhi le occhiaie farsi spazio sul suo viso. Sapeva che Dominic
soffriva di insonnia, specie dopo periodi di forte stress, ma dopo più di una
settimana che non dormiva, Matthew non poteva più far finta di niente.
Fu allora commise il più grosso sbaglio della sua
esistenza.
Senza dare a Dominic il tempo di controbattere, lo aveva
spinto in macchina e portato dal suo medico di fiducia, un uomo abbastanza
avanti con l’età che lasciava trapelare alcuni degli acciacchi tipici della
vecchiaia ma che dimostrava ancora un gran senso pratico nel suo mestiere.
Quando visitò il batterista gli fu subito chiaro quale fosse il problema e in
pochi minuti diede disposizioni a Matthew su cosa avrebbe dovuto fare.
Quello che il dottore diede al cantante erano delle
pastiglie, ma non di quelle che prendi per farti passare il mal di testa,
piuttosto di quelle che si vedono nei film americani, piccole e di un colore
tendente al rossastro.
Il medico gli disse che quelli erano dei farmaci da usare
con moderazione, essendo degli antidepressivi molto efficaci, e che avrebbero
inoltre permesso al ragazzo di dormire.
Dominic Howard morì nel momento in cui Matthew Bellamy lo
costrinse con la forza e con l’inganno a ingoiare la prima pillola.
Da quel momento venne alla luce un essere che il cantante
non riusciva più a definire il proprio fidanzato, se non in rari momenti. Era
tutta colpa sua se si era creata quella situazione e ora ne stava pagando le
conseguenze, anche se in minor misura rispetto a quelle che pativa Dominic in
ogni momento.
Si strofinò gli occhi con forza, impedendo alle lacrime di
uscire, e continuò a camminare verso la sua meta. Quando entrò al parco giochi
sentì un cigolio proveniente dalla sua destra, un rumore sinistro paragonabile
al sottofondo di una scena da film dell’orrore, come se quella notte niente e
nessuno volesse dargli un po’ di pace mentale, e involontariamente un brivido
gli percorse la schiena ma subito scacciato non appena appurato che il rumore
era venuto da una vecchia altalena.
Camminò sul selciato del piccolo parco, rammaricandosi di
non aver trovato il biondo neanche lì e, pronto ad andarsene, si girò verso
l’uscita ma qualcosa riscosse la sua attenzione. Un lamento. Non nel senso
esplicito della parola, quello era più un mugolio sommesso, una parola lasciata
scappare con intenzione ma che subito dopo si cerca di fermare, facendone
scaturire un piccolo suono, come un singhiozzo.
Matthew si avvicinò alla fonte del suono e seduto su una
panchina, con le gambe raccolte al petto e la testa nascosta tra esse, trovò
Dominic. Il primo impulso fu quello di correre verso di lui e abbracciarlo,
gridargli addosso di essere un idiota, che l’aveva fatto preoccupare come non
mai, ma la ragione gli impose di sedersi vicino al compagno e aspettare che
fosse lui il primo a parlare.
Nessuno dei due fece alcuna mossa. Matthew sedeva composto
sulla panca, il busto leggermente spostato verso sinistra e gli occhi azzurri
fermi sulla figura accanto a sé mentre Dominic non accennava ad alzare il capo,
lasciando che i raggi lunari illuminassero quella matassa secca che erano i suoi
capelli.
Nessun suono fu udito, se non il vento che ogni tanto
spostava quella vecchia altalena e faceva scrosciare le chiome degli alberi
attorno a loro, ma poi, dopo essere rimasto in contemplazione per un po’, anche
il sonoro sbuffo di Matthew si aggiunse a quella melodia di suoni freddi e
stonati.
Fu allora che Dominic parlò.
- Sei venuto. Perché? –
- Non lo so sinceramente –
Ed era vero. Non sapeva con esattezza cosa l’avesse spinto
ad andare a cercarlo o per meglio dire sapeva che non era solo per amore come
aveva pensato fin dall’inizio; era anche un modo per riscattarsi dai precedenti
errori e per questo si sentiva estremamente meschino.
- Puoi anche andartene allora, non ho bisogno di te –
Quelle parole gli fecero male, ma non per le parole
stesse, più per il tono con cui erano state pronunciate, fredde e dirette,
senza esitazione alcuna che potesse indicare una bugia.
La rabbia ormai era padrona del suo essere.
- Non hai bisogno di me eppure di quella fottuta merda ne
hai sempre bisogno giusto? – esplose Matthew con tutta la sua collera e
frustrazione accumulate durante la notte.
- Mi fa star bene – fu la semplice risposta del biondo.
- Perché?! Io non ti faccio stare bene?! –
Dominic non rispose a quella domanda, continuando a
nascondere il viso tra il petto e le gambe. A Matthew ricordava tanto un
bambino che aveva paura dell’uomo nero e che cercava di scacciarlo chiudendosi
in sé stesso, e i sensi di colpa non tardarono ad arrivare, soprattutto quando
nel silenzio assoluto del parco sentì i singhiozzi del compagno echeggiare.
- Dom.. Io.. – provò a dire il moro ma si interruppe
subito, non sapendo cosa dire. Forse non esistevano parole per descrivere come
si sentiva distrutto da quella situazione.
Poi Dominic alzò il viso e la poca luce che c’era illuminò
i suoi occhi chiari e le guance percorse dalle lacrime.
- E’ proprio per stare bene con te che prendo quella roba
– rivelò con la voce rotta dal pianto – Io.. vedo sempre una macchia nera
intorno a me e mi sento solo, abbandonato. Mi sento chiuso in uno spazio
infinito dove non posso fare altro che sfogare la rabbia e poi è troppo tardi.
Solo dopo mi rendo conto di essermi sfogato sull’unica persona che mi aiuta e
mi ama –
Si fermò un attimo, prendendo un profondo respiro ma senza
staccare gli occhi da quelli dell’amante, i quali esprimevano una profonda
sorpresa.
- Non riesco a vedere una luce, niente – continuò Dominic
- Quando invece prendo le pillole tutto sparisce, rimane solo una sensazione di
pace e di leggerezza d’animo di cui sento di aver bisogno. E ci sei tu –
Prese un altro respiro ma sta volta i suoi occhi si
spostarono su un punto indefinito del parco e la sua voce si fece più grave,
come se ad esprimere quell’ultimo concetto si vergognasse di sé stesso.
- Posso starti vicino senza sentire i sensi di colpa
corrodermi per come ti tratto, riesco ad abbracciarti senza pensare che tutto
ciò che tu fai sia per compassione, riesco a vederti dormire senza sentire
l’impulso di strangolarti nel sonno. Riesco ad essere umano, o almeno avere una
parvenza tale. E solo loro riescono a fare tutto questo –
I singhiozzi si erano fatti più intensi, scuotendo quel
piccolo corpo chiuso in posizione fetale e Matthew lo fissava stralunato e
spaventato allo stesso tempo.
Compassione?
Strangolarlo nel sonno? Era questo che il suo compagno pensava di lui? Voleva
ucciderlo per quello che gli aveva fatto? Credeva davvero che tutto quello che
faceva lo faceva solo per compassione?!
Involontariamente il suo viso si contrasse in un piccolo sorriso di scherno a
sé stesso. Pensandoci a mente fredda Dominic non aveva neanche tutti i torti;
lui stesso si sarebbe ucciso per quello che aveva fatto e la compassione
superava di gran lunga l’amore quando gli dimostrava affetto.
D’un tratto sentì un peso gravargli sulla spalla e poté
distintamente percepire la sua maglietta bagnata dalle lacrime del compagno e
le sue braccia stretta attorno al suo collo. Lo abbracciò con quanto più calore
potesse, stringendolo a sé e posandogli dei piccoli baci tra i capelli, mentre
sentiva i suoi singhiozzi farsi più forti, come la stretta della sua mano sul
suo braccio.
Restarono in quella posizione per poco tempo, quel che
bastava per permettere a Dominic di fermare il pianto e regolarizzare il
respiro, poi il biondo puntò i suoi occhi verde-grigio in quelli del compagno
e, senza attendere alcun segno, lo baciò.
Non era un bacio vero e proprio, solo un leggero sfiorar
di labbra per ritrovare un calore e una morbidezza che entrambi avevano
dimenticato e per sentire di nuovo quella fiammella di passione da tempo
estinta ardere di nuovo vicino al cuore.
Quando si staccarono, Matthew sentì qualcosa posarsi sulla
sua mano e, senza pensarci, distolse lo sguardo da quello del fidanzato per
vedere cosa fosse. Aveva in mano una bustina bianca con all’interno, a occhio e
croce, 50 pillole di colori diversi, che andavano dal rosso sangue al blu
intenso.
Cercò di nuovo gli occhi chiari di Dominic ma al posto di
due occhi colpevoli, come aveva pensato di trovare, trovò solo due piccole
pietre verdi luccicanti di lacrime, scuse e tanta vergogna.
- Aiutami, ti prego – lo supplicò con un filo di voce,
prima che le lacrime facessero capolino ancora sulle sue guance.
Matthew lo avvicinò a sé, facendo cozzare le loro fronti e
con la mano, dolcemente, spazzò via quelle piccole gemme salate dal viso di
Dominic. Tenevano entrambi gli occhi chiusi, bastava sentire il respiro caldo
dell’altro scontrasi con il proprio per avere la consapevolezza che nessuno dei
due avrebbe abbandonato il compagno e la sensazione di tranquillità aumentava,
tanto che il biondo si sporse di più verso quella mano posata sulla sua
guancia, cercando un calore maggiore.
- Te lo prometto Dom – sospirò il moro, continuando ad
accarezzare la pelle del suo amante – Quanto è vero che ti amo da morire, ne
usciremo da questa storia, insieme. Non ti lascerò mai –
-
You’re my guiding light – disse il biondo prima di posare ancora le sue labbra
su quelle della persona amata, questa volta in un bacio più audace e carico di
passione.
Probabilmente
molti si staranno chiedendo cos’è sta cosa :D
E’ una shot che scrissi più di un anno fa, in un momento non proprio
bellissimo, e ritrovandola mi sono detta che la volevo pubblicare, perché un
po’ ci tengo, nonostante non sia il massimo dell’allegria.
Una cosa: il finale non ha una fine precisa, così come il sogno che feci e che
mi ispirò questa storia. Vi lascio liberi di pensare quello che volete: un bel
finale felice o un finale angst :D
Ovviamente siete liberi di dirmi qualsiasi cosa che vi passa nella testa, se
volete. Ogni qualsivoglia tipo di recensione è ben accetta ^^
Thank you!
Lilla xD