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Autore: Star91    12/11/2011    2 recensioni
“Ma come? Hai un padre arbitro e non sai come si gioca?”.
Quella frase, anche se scherzosa, mi fece male. Mi sentivo una sciocca. Una completa imbecille.
Avevo ad un passo da me il sogno della mia vita, e andavo a deluderlo così?
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ho sempre creduto che nulla potesse accadere per caso.
Che se venivo interrogata l’unico giorno in cui non avevo studiato era perché,in fondo,meritavo una bella lezione.
Che se non piacevo al ragazzo di cui ero innamorata era perché Cupido ne aveva in serbo per me uno ancora più speciale,con meno grilli per la testa e un’età più matura.
Ero convinta che se il primo respiro l’avevo cacciato in un ospedale di New York era perché il cielo aveva in serbo per Rossana Fallacci una vita unica e insostituibile.
Già il nome dice molto di me: il colore del fuoco, della passione, che escludeva immediatamente tutti gli altri, dal blu oceano al dolce verde della speranza. Non c’era spazio per giallo, oro, né nero. Il cognome, invece, rimandava alla professione di mio padre, arbitro di calcio e della mia vita.
Come molti adolescenti frustrati, anche io ero alla ricerca dello sport del cuore.
Le avevo provate tutte, dal nuoto al basket, dalla pallavolo al baseball; nei mesi invernali avevo cercato di appassionarmi allo sci, ma nulla sembrava sconvolgere il mio animo dolce e meditabondo.
Volevo qualcosa di nuovo, qualcosa su misura per me: un’attività capace di coprirmi le giornate, la mente e il cuore.
La soluzione arrivò per caso, in un pomeriggio d’autunno. Sedevo svogliata su una panchina del parco, il bel polmone verde di fronte a casa mia. C’era più gente del solito quel giorno: ragazzi con gli skateboard, anziane signore a passeggio, madri armate di carrozzino, scapoli in caccia aperta. Immobile quanto il motore di Aristotele, ricavavo lo scorrere del tempo dai giri percorsi dalle signore a jogging.
Mi guardavo attorno e mi domandavo perchè non avessi preferito accompagnare Diletta in palestra. Semplice: odiavo sudare e correre. Questo era ciò che avevo dedotto dal terribile periodo sportivo da cui me ne uscivo.
A dire la verità, però, iniziavo ad annoiarmi anche. Stavo per alzarmi e avvertire mia sorella che l’avrei raggiunta quando mi bloccai di colpo. Gli occhi mi si dilatarono. Parvi quasi perdere la cognizione del mondo. Qualcosa, oltre la siepe, aveva mosso il mio sguardo.
Come avrei voluto, un altro incrociò il mio. Una mano scoccò in alto, muovendosi al dolce ritmo del mondo. Si spostava assieme al mio cuore, sobbalzante più d’un canguro.
Era Federico. Mi stava salutando.
Il solo pensiero di quel nome resettò la mia mente. Figurarsi quando lo vidi venirmi incontro, con quei suoi bei denti lucidi e il passo d’atleta. Indossava una tuta firmata e pulita, di quelle che vendono le società sportive agli allievi.
“Heilà!Sei venuta a fare due tiri?”. La sua voce era gentile e calda, più della cioccolata che avevo bevuto quella mattina. Mi mostrò il pallone che teneva tra i piedi. Era un chiaro invito verso il paradiso.
“Oh, volentieri grazie! Se...avrai un po’ di pazienza. Non m’intendo di calcio”.
“Ma come? Hai un padre arbitro e non sai come si gioca?”.
Quella frase, anche se scherzosa, mi fece male. Mi sentivo una sciocca. Una completa imbecille.
Avevo ad un passo da me il sogno della mia vita, e andavo a deluderlo così?
“Fa nulla” riprese lui “ T’insegno io”. Passammo l’intero pomeriggio tra parate, corse e passaggi. 
Ancora una volta, sentivo che il destino aveva compiuto il suo dovere. O, almeno, così mi sembrava.
Tornata a casa, mi risciacquai con una bella doccia. Mi asciugai in fretta i capelli e corsi alla postazione computer: un’altra giornata se ne stava andando, dovevo appuntare tutto sul blog.
Stavo ancora a contemplare la bellezza di quel pomeriggio quando il cellulare squillò: nuovo messaggio. Lo lessi.

“Ciao come stai? :)” - Giovanni

Ennesimo collasso. Mia madre iniziò ad intonare urla soavi per attirarmi a cena. M’inventai che avevo mangiato fuori. Mi chiusi in bagno e provai disperatamente a rispondere, qualcosa di sensato, di normale. Qualcosa che non facesse capire il mio reale stato in quel momento.
I messaggi proseguirono, e con essi l’ansia. Il suono delle mie dita sui tasti del cellulare. Attendo. All’improvviso, la risposta - bomba:

“Mi chiedevo se domani sera hai da fare.”

Terrore. Terrore puro. Ricordai in fretta le parole di Fede: “Fammi sapere se vieni al parco anche domani, che magari facciamo altri due tiri e poi ci mangiamo una bella pizza assieme”.
Per la prima volta, ciò che mi stava accadendo non sembrava nulla di previsto.
Di colpo mi trovavo di fronte a qualcosa che raramente avevo incontrato. Qualcosa che mi spiazzava completamente: una scelta. Andare a cena con Federico o vedermi col mio ex per chiarire le cose?
Stavolta il destino non poteva aiutarmi. No, stavolta dovevo essere io a decidere. Non c’era una cosa giusta, così come una sbagliata. Affidare la sorte ad una moneta sarebbe stato disumano, come ridurre quei poveri ragazzi ad oggetti.
Ed io, cos’ero io? Fu quello il momento in cui decisi di agire. Da allora non fui più una bambola sotto i fili dell’alto, ma un cavallo libero nel vento. Nessuna briglia a trattenermi, solo l’immensità dei campi e dell’erboso verde.
Avevo sempre creduto che nulla potesse accadere per caso. Ma ora avevo capito che se al pomeriggio guardavo la tv anziché studiare era una mia scelta. Che se avessi smesso di farlo, fato o non fato, matematica l’avrei certo recuperata. Tuttavia non escludevo che la fortuna e la sfortuna, con me, si divertissero a giocare a nascondino.
Uscii in fretta dal bagno, superai mia sorella in corridoio e riaccesi il computer sul mio blog personale. Creai un nuovo post e iniziai a scrivere, con mano lesta e sicura:

“Io scelgo il destino. Il destino, per me ha scelto. Anche domani tornerò a casa coi jeans sporchi: giocando a calcio,succede.”

Ammirai quella frase come un pittore la sua migliore opera. Sbadigliai, spensi il computer e mi addormentai sotto la custodia delle stelle. 

  
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