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Autore: Lerax    13/11/2011    3 recensioni
Breve lettera da parte di una giovane ragazza di seconda generazione in cerca di un'identità, le riflessioni di un giorno di cambiamenti, forse. Ma basta una parola per cambiare tutto?
Questo racconto ha partecipato e vinto il concorso Lettere e sguardi dall'occidente indetto dall'associazione Oderzo Inquieta
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ho riempito la pagina di Da.

Da da da da da da. Grande grande grande grande grande grande.

L'ultimo ideogramma è venuto proprio bene e, nonostante l'irritazione per l'esercizio troppo stupido, ho un piccolo moto di orgoglio per quel da così armonioso.

Mancano pochi minuti alla fine della lezione, lo capisco dall'agitazione dei miei compagni. Alcuni già preparano la cartella.

L'insegnante tenta debolmente di fermare il trambusto, dice qualcosa che interpreto come "non sono ancora le cinque, mancano dieci minuti", ma ha poco successo e tenta di darsi un contegno dettando i compiti per casa, che ovviamente nessuno scrive.

Si rivolge a me. Mi dice tante cose, ma non capisco; colgo solo qualche parola qua e la.

Fermo Jong che mi passa accanto per andarsene ed allora lui mi traduce in italiano, per casa fai gli esercizi a pagina dodici e studia gli ideogrammi che abbiamo fatto oggi, la prossima volta ti faccio compito.

Ringrazio Jong, sorrido all'insegnante e seguo il mio compagno nel corridoio, insieme a tutti gli altri.

Non ci sarà una prossima volta.

All'uscita mi separo dagli altri, loro vanno al parco, io a casa. Li saluto con un semplice ciao, e penso che non ci rivedremo più.

Non provo dispiacere. Ci siamo visti per due mesi tre volte alla settimana, ma non ho stretto amicizie. Jong ha otto anni, Yi Hua dieci, Huang nove e così via; il più grande, Zhang, ne ha dodici.

Io, quasi diciotto. E' umiliante, sedersi in una classe di bambini ed essere l'unica che non capisce niente. La prima volta che sono entrata, erano increduli. Come, una cinese che non conosce il cinese? Ma sei sicura di essere cinese? No perché sai..

Loro hanno nomi cinesi, parlano cinese mandarino, probabilmente frequentano gruppi di altri bambini cinesi nel tempo libero. Io ho un nome italiano(o quasi), parlo a stento dialetto wu e ho sempre vissuto in comunità italiane. Coetanee cinesi ne conosco due, ma ci parliamo in italiano, con la c aspirata da toscani d'hoc.

Quella di oggi è stata la mia ultima lezione del corso di cinese per bambini. Non ho imparato nulla, sprecato un sacco di soldi e tempo e mi sono annoiata un sacco. Mi ci sono voluti due mesi per convincere mia madre di ciò, alla fine ci sono riuscita.

Giungo vicino alle scuole medie e comincia a salirmi l'inquetudine. E' un riflesso condizionato perchè la scuola è ormai deserta.

La strada più vicina dalla fermata dell'autobus a casa mia, passa vicino ad un campo da calcio e il cortile di una scuola media, saranno in tutto poco più di duecento metri, eppure mi sembrano molti di più.

Ogni martedì e giovedì la scuola media fa orario prolungato e dall'una fino all'una e mezza gli studenti stanno in cortile. Quando il mio autobus riesce ad arrivare in orario, gli studenti sono ancora in ricreazione e trovano che infastidirmi sia un divertente passatempo. Mi gridano i soliti ni hao e cin ciun cian che sono una costante da quando ero piccola ed a me non resta che passare e fingere indifferenza. Ogni parola è un colpo al cuore.

Non sono razzisti. Sono solo maleducati, immaturi, ragazzini da prendere a calci nel sedere; cerco di convincermi che sia così. Voglio credere che ciò che mi ferisce è l'avere diciotto anni e non riuscire a farmi rispettare da un branco di dodicenni. Ma forse la faccio troppo tragica, nelle ultime settimane, in cui le regole si sono fatte più morbide ed è comparso un pallone da calcio, sono stata ignorata e basta. Il calcio è certamente più interessante di una ragazzina al di la del cancello da sfottere

Non c'è nessuno e posso passare in tranquillità.

Il primo giorno di asilo, mi ricordo che tutti i bambini piangevano quando le mamme se ne andavano. C'era anche chi invocava il babbo, ma ovviamente le madri andavano per la maggiore.

E c'era questa bambina, Giulia si chiamava, che piangeva più forte di tutte le altre. La maestra si avvicina, cerca di calmarla un po' e ad un certo punto mi indica. "Guarda c'è una cinesina!". Guarda guarda guarda. Fenomeno da baraccone, bestia rara, animale esotico. Giulia mi guarda e smette di piangere. Per anni tentò di diventare mia amica, ma io la snobbai sempre.

Controllo l'ora e mi accorgo che sono in ritardo, ho appuntamento alle cinque e mezza con il vicesindaco. Decido che non ce la faccio a tornare a casa e cambiarmi, devio a vado direttamente al comune, arrivando in anticipo. Aspetto che arrivi il signor vicesindaco, mi fanno accomodare nella sala consigli e mi danno un foglietto, la mia dichiarazione.

Mi perdo in altri ricordi del periodo scolastico. Terza elementare, mi sono trasferita da pochi mesi. Sono insieme ad una compagnia di classe che si lamenta con la maestra "gli altri bambini non vogliono giocare con me perchè sono grassa e con lei perchè è cinese!". L'anno dopo una ragazzina si siede vicino a me in mensa e penso "ma come, vuole sedersi vicino a me che sono cinese?" .

Ma più che traumatizzanti episodi di razzismo sono episodi di scarsa socievolezza e vittimismo imparato dai cartoni alla tv. Se a casa di qualche amica dicevano "per favore prendi il sapone" mi sentivo la piccola fiammiferaia sfruttata e scoppiavo a piangere. Cinese o non cinese, ho sempre avuto qualche amichetta del cuore e nessuno ha mai rifiutato di sedersi accanto a me a mensa o in autobus. Sono io che mi creo i problemi. E' che è difficile, distinguere il confine tra me come persona e me come cinese. Come se fossero due cose distine.

Finalmente il vicesindaco arriva e mi alzo in piedi. Saluto e comincio a leggere. Alla presenza del vicesindaco Io sottoscritta ....., nata a ..., residente in ...... trovandomi nelle condizioni previste dall'articolo 4, comma 2, della legge 92/1992, dichiaro di voler acquistare la cittadinanza italiana.

Manca solo un amen finale. Il videsindaco ha la bandiera italiana alle spalle e un raggio di sole lo illumina rendendolo etereo. Il responsabile Ufficio stato civile inizia a leggere le carte. La lista dei luoghi in cui ho abitato sembra infinita. Finalmente arriva il momento della firma. Firmo io, firma il vicesindaco. Scarabocchi illeggibili che cambiano tutto. Si alza, mi alzo anche io. Eri già italiana, ma adesso lo sei legalmente. Benvenuta. Cosa si dice in queste situazioni? Io mi limito ad un grazie e gli stringo la mano, enorme e ruvida come quella di un contadino. Non so cosa pensare, mi sembra più di esser entrata nei boy scout che in una nazione a dire il vero. Il vicesindaco se ne va e il responsabile della cittadinanza mi chiedo di seguirlo un attimo nel suo ufficio. La cittadinanza sarà effettiva da domani. Dovrò rinnovare la carta d'identità. Anche il passaporto dovrò rifarlo. Devo andare in questura ma, per una volta, non allo sportello stranieri. Anche il permesso di soggiorno deve essere mandato alla questura. Questo è tutto, arrivederci. Arrivederci, rispondo io. Chissà se ci rincontreremo mai, penso.

Domani, al mio risveglio, sarò italiana. Il mondo sarà diverso? Riuscirò a pensare all'Italia come il mio paese d'ora in poi? Potrò tifare gli azzurri ai mondiali senza sentirmi a disagio? Questa sensazione di indefinito, nè carne nè pesce, cesserrà?

Non mi sento cinese, non conosco nemmeno la lingua, ma nemmeno italiana. Non ho un inno da cantare o una bandiera da sventolare oggi nè li avrò domani. Una stupida scritta sulla carta d'identità non cambia niente.

Non conosco il tuo volto, la tua età, la tua vita. Non so chi sei. Non vedrò la tua faccia quando troverai questa lettera anonima nella cassetta della posta, mandata ad un indirizzo scelto a caso tra tanti sull'elenco telefonico. Riderai, la straccerai, ti annoierai, non so.

Un giorno forse le nostre strade si incroceranno, e tu, innocentemente, chiederai come altri mille: "sei cinese?". La risposta reale, nel mio animo, è liberamente ispirata da un film in cui mi rispecchio. "Non sono cinese, non sono italiana...So solo quello che non sono".

Eppure, per pigrizia, per scarsa confidenza, per mille motivi, la risposta sarà "Sì, sono cinese".

 

 

 

 

 

 

Scritta in un particolare momento di gne gne gne, oggi le cose sono un po' cambiate o semplicemente si sono allontanate.

Ispirato a fatti reali, V for Vendetta(la parte finale e la struttura di lettera mandata a uno sconosciuto, proprio come Evey riceve la lettera da Valerie), Balto per citazione finale, di cui l'originale è “non è cane, non è lupo, sa solo quello che non è” ed infine al romanzo “Straniero in terra straniera” di Huxley per il titolo.

Grazie per aver letto e se proprio volete salutare in cinese, la pronuncia esatta di ni hao 你好 è gnii hao :D

  
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