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Autore: Kokato    13/11/2011    3 recensioni
Quarta classificata al "Only 20 Yaoi Fandoms!" contest di Kira K.
È il più grande spadaccino del mondo, e non conosce la sua spada come conosce l’addome di Rufy.
Zoro x Rufy
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Nami, Sanji | Coppie: Rufy/Zoro
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Partecipante al “One hundred prompt project”.

66. Acqua

 

 

 

 

 

 

L’impero di un pirata è fatto di guerra e acqua. S’innalza sulla testa e lambisce i piedi, pugnala sé stesso con una rabbia insospettata. Muta rimanendo sempre lo stesso, cambia Imperatore e cambia politica, è informe e granitico in un modo che gli uomini non riescono ad imitare.

Spodesta imperatori e forgia eroi, fa promesse che non mantiene e si finge mansueto, conquistabile.

Ma all’acqua appartiene e all’acqua sempre apparterrà.

Accanto all’acqua sono nati, accanto all’acqua sono cresciuti, accanto all’acqua hanno prosperato. È ciò che hanno desiderato, e ciò che hanno ottenuto.

Ed ora è ciò che li divide.

 

“Sorride, sorride sempre.”

L’uomo aguzza l’udito, vede il paesaggio attraverso le proprie palpebre chiuse. Quel commento è l’unica cosa che s’incastri nel quadro della sua vita da un anno a questa parte, e lo accoglie con un gemito che dissimula l’attesa. È breve ed esce dalle sue labbra in un secondo, d’infrange nell’aria pesante della stagione di pesca. Ne ha ascoltati molti, e quello è il primo che lo mette sulla strada giusta, che lo fa annuire con uno scrollamento del capo.

“Io credo che sia triste.”

Muove un passo dalla parete di una nave da carico, con la testa bassa. La sua presenza è tangibile ma non del tutto, la gente lo coglie con la coda dell’occhio come se sparisse ogni qual volta l’attenzione su di lui raggiunge un certo livello. È discreto in un modo professionale, i bambini riuniti sulla banchina alzano il volto su di lui solo quando la sua ombra li copre, e pensano che si sia materializzato in un secondo, che si tratti di uno stregone. Rimane a guardarli, loro interrompono il discorso mangiandosi a mozziconi le parole, perché dalle loro bocche i racconti escono a fiotti ed è difficile arginarli.

Di chi parlate?”.

Una bambina pensa si tratti dell’uomo nero, e che sia lì per farsi consolare perché ha sbattuto il mignolo del piede contro il comodino, o perché gli fa male la pancia. “Del Re dei Pirati!”.

“Oh andiamo, non può davvero essere lui!” ribatte un ragazzo con gli occhiali, che pensa di sapere tutto “È chiaro che sta mentendo!”.

La bambina sorride, stringendosi le mani dietro la schiena, zampettando verso l’uomo nero, sul cui viso si dipinge un espressione che dovrebbe intimorirla, ma che non ci riesce affatto.

“È impossibile che il Re dei pirati sia triste, non crede anche lei?”.

 

Ci sono pirati che sono diventati imperatori.

Il tempo li ha resi invincibili, li ha induriti, scolpiti e li ha posti oltre l’acqua ed oltre ogni strategia navale. Hanno visto tutto il mare nel proprio pugno, conoscono ogni solco ed ogni onda ed ogni riflesso e temono ognuna di queste cose più dell’altra.

Arrivati alla fine del mondo, al ciglio ventoso e oscuro del creato, dove il cielo è un gigante grigio che si ritrae dal mare con terrore e tutti gli imperi perdono di senso… hanno sorriso, e desiderato di aver chiuso gli occhi sul mondo che hanno conquistato.

 

Viveva in una caverna dall’altra parte dell’isola, alla fine della bianca spiaggia che la circondava come un anello d’argento. Gli rivengono in mente gli opulenti bottini senza significato, il senso dell’economia che gli è sempre mancato. Le avventure e gli schiamazzi avevano un prezzo arioso e patetico che l’oro e l’argento pagavano solo in piccola parte.

Vede i riflessi delle onde sulla roccia, sente i gemiti di un combattimento. Un gigante viene scaraventato in quel momento sulla sabbia, sollevandola per un metro sopra la sua tonda pancia. Colui che aveva pagato gran parte di quel prezzo è davanti a lui, sorridente, l’impronta immutabile del suo vuoto. L’ambiente gli si adatta come un vestito, luminoso, fresco, trasparente. Lo adocchia e sorride, come se non ci fossero stati dieci anni a separarli, con la stessa pretesa di veder ridere il mondo che aveva da ragazzo.

“Oggi sono pieno di visitatori!” constata, saltellando, atterrando poi lo sconosciuto avversario non appena questo fa per scagliarsi contro di lui, senza alcuna strategia. “Peccato che non nessuno mi abbia portato da mangiare!” ha un’espressione teatralmente offesa, un labbro corrucciato. Il pancione deposita un poderoso sputo su uno scoglio, sempre più arrabbiato e sempre meno temibile. Non cerca uno spiraglio nella difesa, esala un urlo di guerra e si lancia ancora. “Voglio dire… viene un sacco di gente e nessuno che si preoccupi di portare un cesto di frutta, dei biscotti, della carne… sono forse antipatico?”.

Dicendo questo lo atterra con un pugno che fa vibrare la mastodontica pancia, mandandolo a rimbalzare parecchi metri più in là. Qualcuno può pensare che il Re dei Pirati chieda dei tributi alla sua magnificenza, alle sue vittorie in battaglia, alle mirabolanti conquiste. Ma si volta verso l’uomo e sorride come un bambino che non sa niente del mondo, o che non può credere a ciò che sa.

“ZORO! STO MORENDO DI FAME!”.

L’uomo fa spallucce, ammira per un momento la caparbietà dello sconosciuto che si puntella sulle grosse braccia, vomitando sangue sulla sabbia con un gorgoglio strozzato. “Mi dispiace, Capitano…” si chiede cos’altro ci sia nel mondo che lo tormenti di più della fame del Re dei pirati, eppure minimizza “… nessuno aveva una tonnellata di carne da vendermi”.

“Avresti potuto comprarla da commercianti diversi!” potrebbe dire che non ci sono state esportazioni sull’isola da una settimana a quella parte, ma decide sospirare senza dire niente, osservare come l’ennesimo, sconsiderato sfidante del Re dei Pirati viene schiacciato dalla sua leggenda. Lo stomaco gli borbotta mentre s’inchina all’avversario e ride.

Ride come rideva quando erano giovani.

Hanno cambiato il mondo quanto bastava a non cambiare loro stessi. Si dice che un’Era non può lasciare il passo alla successiva se l’acqua non annega i suoi imperatori, non li rivendica come cosa propria.

Loro attendevano quel momento, come quello in cui avrebbero trovato la completezza della loro leggenda.

L’immortalità delle loro glorie.

Rufy prende il sesso come un gioco.

Ogni singola parte del suo corpo reagisce al tocco tendendosi, vibrando. La crescita lo ha reso un po’ meno rumoroso, un po’ meno inadeguato, ma a Zoro è andata sempre bene così. Nell’immutata maniera che Rufy ha nel gonfiare il petto sotto la sua lingua ritrova la sua giovinezza ed il suo privilegio.

“Ci hai messo tanto a tornare, questa volta”.

Del suo corpo si fida, lo giudica sensuale nella misura in cui lo conosce, lo ricorda. Le ossa si sono allungate, i muscoli sono aumentati, i capelli neri gli ricadono un po’ sulla fronte, ma tutto ciò che ama e che ha amato è ancora lì. Il piccolo e duro sedere, le labbra che si dilatano e seguono i suoi morsi, per poi piegarsi in sorriso. A Zoro non è mai piaciuto sperimentare. È un uomo che solo i piaceri più dirompenti riescono a raggiungere, che gode solo di uno sconvolgimento profondo. È come un bastione che solo il Re dei Pirati è mai riuscito a scardinare, un segreto che nessuna perversione o astrusa novità possono svelare.

E Rufy è la scossa, lo solletica e gli batte i talloni sulla schiena infinita mentre ride e geme e gli si stringe addosso, sempre identico a sé stesso. Il cambiamento è strisciato lento attraverso di lui, giace sulla schiena mentre lentamente il fiato gli manca e lo cerca nella bocca di Zoro, ricadendo indietro con il collo che pulsa, suda e si rialza, cercandolo.

“Non dovresti più lamentarti come un bambino” gli risponde, e l’altro ride perché entrambi sanno che è una grossa sciocchezza. Con l’età le iridi hanno riempito le pupille, comunicano una serietà che non gli appartiene ed una malinconia sommessa. Si dissolve solo quando li chiude e apre la bocca, l’orecchio destro gli si schiaccia mentre spinge la testa all’indietro e soffia sul viso del suo amante. Non hanno un codice di comunicazione ma Zoro gli afferra i fianchi come desidera, lo sposta su di lui reclinandosi all’indietro, e stringe le palpebre per urlare come se non riuscisse a godere e bere il godimento dell’altro allo stesso tempo. Zoro fissa gli occhi chiusi sopra di lui e pensa che gli piace così, è perfetto, comodo, adeguato e la fiducia che vede lo inorgoglisce e lo gonfia e che ogni riflessione si ritirerà appena in tempo per fargli sentire la pressione martellante sul suo membro, per lasciare che la mente si riempia della sensazione dei loro petti che s’incontrano e si separano di nuovo.

Lo guarda negli occhi, adesso, gli puntella una mano sul petto per sovrastarlo, per spostare il sedere all’indietro e ridere di nuovo, il capo che gli molleggia sul collo.

La pressione alla base dello stomaco stride, frena, li schiaccia insieme, l’uno sull’altro, e per un momento c’è il mare sotto di loro, la caverna scompare e la sua risata è sincera.

L’orgasmo che li coglie serve a cancellare il presente ed il passato, la conversazione, i nuovi occhi di Rufy, il vagabondaggio silenzioso ed invisibile dell’Uomo nero.

Ha la sfrontatezza di promettere a sé stesso che non se ne andrà mai più, o che lo porterà con sé. Ma dura solo il tempo di un ghigno sul volto del suo Capitano.

L’amore di un Imperatore si manifesta per mezzi imponenti.

Città prendono il nome del prediletto, i sacerdoti hanno nuovi Dei da adorare, il volto dell’amato s’incide su pietra con la presunzione di durare per sempre.

L’amore di un Imperatore non ha sempre vita più lunga di quello di un uomo comune, s’infrange sui muri della storia, si nasconde nel furore della battaglia. Le città cadono, le statue si frantumano. Essi amarono tuttavia i loro sogni troppo ardentemente, chiusero l’Era della Pirateria infrangendo in un tonfo sanguinolento la loro stessa giovinezza. Per quell’amante, per quel compagno d’armi, fu edificato un monumento d’acqua, disperso nel mare.

 

Non è che avesse mai voluto mettere al confronto il suo sogno con quello di Rufy, a conti fatti. Il potere e la gloria non lo soddisfano più da quando non può riversarli sul campo di battaglia, sulle onde, sul capo dei nemici, ed il suo nome non sarà scritto per primo sui libri di storia quando narreranno la grande Era della Pirateria. Il suo nome ha un eco flebile, in confronto a quello dell’Imperatore dei Pirati.

Nami ha ragione, come sempre, anche quando dice che sono stati semplicemente gli entusiasti servi di un sogno che le cronache e le leggende storpieranno, manipoleranno. Fa fatica a portare il suo pancione, ormai. Le liste di nomi e calcoli di probabilità poco attendibili sul sesso del bambino sono sparsi per la piccola casa in riva al mare, su un’isola lontana da qualunque rotta abbiano mai solcato. L’idea di diventare zio esalta Rufy in una maniera fastidiosa, chiede notizie dei vecchi compagni sorridendo, mentre Zoro sorseggia il sakè che per tutto l’anno è stato conservato per lui. Rufy non dice che non sorride mai durante l’anno, ma si sforza di farlo non appena sente i passi di Zoro sulla sabbia e si sbriga a tirare fuori la bottiglia dallo scaffale. Ha una capanna, una casa, non sa neanche come chiamarla ma non gliene importa perché Zoro non ci ha mai messo piede e lì è sempre estate, possono benissimo stare nella caverna con l’illusione di poter andare ancora per mare come una volta. È un momento transitorio, hanno ancora tutta la vita davanti, le perdite si possono coprire con la sabbia e allo stesso modo di possono rimodellare le relazioni -Nami aveva scosso la testa, e nella sua saggezza aveva guardato il pancione pensando che sarebbe tornata, un giorno, ma che non sarebbe stato più lo stesso-.

“Ho visitato la tomba di Brook” accenna, sorseggiando il liquore. Rufy, sdraiato, si fa rotolare un piccolo sasso sull’addome. Rotola, rotola, rotola. Risponde quando un gioco di ombre nella notte nitida nasconde il corrucciarsi tremolante della sua fronte, e sospira: “Hai visto qualcun altro?”. Ha provato ad andarsene da lì bloccandosi sulla soglia del porto, quando le punte delle vele s’intravedevano all’orizzonte. Zoro verrà qui, Zoro sa che sono qui.

Questa staticità lo fa tornare bambino. Un tempo l’oceano fluttuava intorno alla sua piccola esistenza, avanti e indietro, in su e in giù. Finché era troppo piccolo persino per allacciarsi la patta dei pantaloni gli era sembrato gigantesco, mastodontico, un mostro così grande che a malapena il suo pensiero poteva sorvolarlo. Ora che lo ha conquistato e che lo ha accarezzato sulla testa cerca soltanto di pensare che non verrà tradito, che potrà imbarcarsi di nuovo un giorno ed averne ancora. Altra acqua sotto lo scafo e tra le mani. Zoro non risponde.

È il più grande spadaccino del mondo, e non conosce la sua spada come conosce l’addome di Rufy.

 

Gli storici la chiamano ‘Siccità imperiale‘.

Nel bel mezzo dell’Era della Pirateria, dell’epoca che aveva dominato, il Re dei Pirati si ritirò a vita privata a causa d’insanabili conflitti con il suo luogotenente e della morte di un compagno. Si racconta che si fosse fermato al limite del creato, fissando il baratro nero della fine del mondo, e che lo avesse osservato per dieci anni. La sua ciurma si disperse.

La sua gloria sembrava decaduta.

Il Baratie naviga in acque neutre, tra isole che ne rivendicano selvaggiamente il possesso da anni.

In realtà sembra che faccia propri i tratti di mare che solca.

C’è solo acqua, a perdita d’occhio.

Sanji fuma un sigaro, che è uno dei simboli della loro età adulta. Qualche collega del ristorante gli ha impedito saggiamente di farsi crescere i baffi, ed il leggero accenno di barba gli da un fascino che molte clienti adocchiano con discrezione.

Sfila il sigaro dalle labbra per sorridere a Nami, che sul viso porta un paio di occhiali che, secondo lui, la rendono irresistibile. I complimenti di Sanji le erano mancati come l‘aria, gli fa notare che ormai è una madre e che complimenti simili sono infantili.

È l’aggettivo che ricorre di più tra loro, ha un suono strano quando esce dalle loro bocche e hanno sempre paura che possa ferire qualcuno di loro. “Ho fame, Sanji!”.

“Io avrei anche altri clienti, sai Capitano?”.

“Ahah, ma io ho la precedenza su tutti no?”.

Zoro fa ruotare il liquore nel suo bicchiere, di modo che ne lambisca i bordi senza schizzare fuori. È denso e ruota lento, annoda il cervello quanto basta per far credere che non si sono mai lasciati, che sono ancora i signori del mondo. Hanno pagato ogni titolo a caro prezzo, ed il rispetto non basterà a riportarli al passato. Rufy ha lasciato la tunica aperta, come al solito, ed il suo chiasso non aiuta la conversazione.

“Allora signori, cosa avete fatto in questi anni? Qualcosa di grosso?” esordisce Nami, ostentando un sarcastico tono ufficiale.

“Tipo la tua grovidanza”.

“Si dice gravidanza, capitano. Gravidanza”.

“Fa lo stesso. Dove diavolo è il mio nipotino?”.

“Può fare a meno di me, per un po’. Ci sono delle perturbazioni anomale che devo assolutamente registrare”.

Rufy registra solo le prime cinque parole: “Partiamo, Signori?” esordisce, facendole il verso. Nami sbuffa annuendo, Sanji fa tentennare il sigaro, Zoro approva con un cenno leggero del capo.

“Che ne dici, Regina dei pirati?” commenta mellifluo il cuoco, esalando una boccata di fumo scuro sulla faccia dello spadaccino.

“Attento a quello che dici, cuoco da strapazzo!”.

Il pensiero di nuove avventure gli fa piegare indietro il collo, Rufy ride e ordina altra carne urlando in modo da farsi sentire dalla clientela di tutto il locale. Zoro medita che se avrà ancora occasione di offrire la sua vita per lui il suo altisonante titolo avrà un senso. Brinda al suo Capitano, sentendo la gola aprirsi e bruciare.

Le labbra di Rufy brillano alla luce del sole.

 

 

 

Riunirono le fondamenta, l’inizio di tutto. L’acqua batteva leggera sui fianchi della nave del loro ultimo accordo. Quell’Epoca si spense lentamente sotto l’eco dei loro nomi.

La terra riprese possesso del mondo, schiacciando la mole dell’Impero dell‘acqua.

Per quell’amante, per quel compagno d’armi, fu edificato un monumento d’acqua, disperso nel mare.

 

 

 

 

 

NOTE DELL’AUTRICE

Premettiamo che per me ‘sta fic è abbastanza anomala. L’ho buttata lì così perché ultimamente non avevo uno straccio d’idea, e siccome a quanto pare sembrava una sfida scrivere una ZoLu ‘triste’, o perlomeno con un Rufy che non faccia il pagliaccio a destra e a manca senza diventare OOC, ci ho voluto provare. One piece non si presta molto alle Fic tristi per me, ma ho cercato comunque di comunicare una certa malinconia senza scadere nel patetico. Sostanzialmente, durante la loro avventura, i componenti della ciurma sono degli adolescenti, che scoprono anche le brutture del mondo. Qui sono raffigurati dei personaggi di 30/ 35 anni. Qualche compagno si è perso per strada, ma non ho voluto soffermarmi su questo. Sono adulti, hanno conquistato il mondo e si trovano in una fase di stallo dove riflettono su ciò che hanno visto. Ho cercato di guardare dal punto di vista storico, per dare un immagine nel tempo delle loro storie, è una fissazione che ho da un po’. Spero che il risultato sia buono e che i personaggi siano IC, io ci ho provato ma non assicuro il risultato. Spero vogliate dirmi cosa ne pensate con una recensione.

Bye!

 

 

 

 

   
 
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