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Autore: Dira_    13/11/2011    34 recensioni
Severus Piton desiderava due cose dalla vita quando ha aperto gli occhi ed ha scoperto di non essere morto: pace e serenità. Sono ben diverse. A parer suo, non ne ha ottenuta che una, la prima. La seconda è costantemente minacciata da Harry Potter e le sue progenie. A dirla tutta una. Figlia femmina.
Puoi scappare fino in Irlanda, alla fine esatta del tuo mondo, ma il passato tornerà sempre a farti visita. Ed avrà gli occhi del cielo del Connemara.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Potter, Lily Luna Potter, Severus Piton | Coppie: Lily Luna/Severus
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da Epilogo alternativo
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Una Casa alla Fine del Mondo
 
 


Hello darkness my old friend, I've come to talk with you again

Because a vision softly creeping , left it's seeds while I was sleeping
(Sound of Silence, Simon & Garfunkel)
 
 
 
1998
 
Onestamente non pensavi saresti sopravvissuto alla guerra.
Nagini aveva morso, tu avevi detto addio al mondo guardando per l’ultima volta gli occhi di Lily sulla faccia del suo irritante moccioso. Fine della storia.
Una morte eroica, una morte catartica.
E invece no.
Qualcuno ha pensato bene di venir a recuperare il tuo corpo alla Stamberga Strillante e – sorpresa! -  ha scoperto che nel tuo vecchio cuore rinsecchito batteva ancora della vita.
Tenace, inopportuno, pipistrello.
Madama Chips ha stabilizzato le tue condizioni e i Guaritori del San Mungo hanno fatto il resto.
Quando hai riaperto gli occhi erano trascorse settimane e molti fiori erano stati cambiati nella tua stanza d’ospedale.
Con autentica irritazione, hai scoperto che la maggior parte di essi veniva da Potter e i suoi amici.
Sapevano, hai intuito, avevano visto. Conoscevano la verità.
La cosa più sensata da fare a quel punto, è stata rimettersi in posizione verticale, racimolare i pochi effetti personali scampati al crollo dei Sotterranei e andarsene. Via.
Non che qualcuno ti abbia esattamente trattenuto. O cercato. Hai percepito, anche senza dover incontrare facce conosciute, l’imbarazzo di averti malgiudicato. L’imbarazzo di non saper cosa fare dei vecchi pregiudizi su di te.
Hai scelto di rendere le cose facili al Mondo Magico. Sparire dalla vista comune è stata la scelta più assennata che potessi fare e, a conti fatti, l’unica per te sopportabile.
Scegliere la tua nuova casa non ti ha preso più di una mezza giornata, passata a riflettere nel misero salotto di Spinner’s End; l’Irlanda.
Paese con una buona comunità magica, ma sparsa a manciate sulle coste. Paese civile, che comprende il rito del the. Terra in cui la magia si respira ad ogni passo, in cui spazi sconfinati spingono lo sguardo più in là di quanto tu abbia mai fatto ad Hogwarts o a Cokeworth. Paese per solitari.

E così, Severus Piton ha lasciato l’Inghilterra. Per sempre.
Non è stato difficile. Non è stato doloroso come avresti pensato; troppi ricordi, troppo odio e amarezza al di là del mare. La ricostruzione, la speranza e la somma di certe melensaggini da propaganda non hanno mai fatto per te.
Dopotutto, la tua rinnovata vita è stata solo la coincidenza di uno sciocco ragazzino che è venuto a recuperare il tuo corpo.
 
 
2008
 
Dieci anni precisi. Dieci anni di meravigliosa e compatta solitudine.
Il Connemara¹ è stato amico e complice perfetto per quello che è diventato un quieto vivere piuttosto soddisfacente.
La tua casa è il tuo rifugio; hai adocchiato, non appena messo piede sulla regione che ospita la Sky Road² – nome evocativo, bisogna ammetterlo – poco meno di un villaggio,  un aggregato di casupole, Ardmore³. Ti sei fermato per qualche giorno nell’unica locanda della zona, ti sei guardato attorno. E poi l’hai trovata; una casa a picco sulla scogliera, così in cima ad un crinale che sembrava impossibile credere che qualcuno fosse davvero riuscito a costruircela. Lontana, fiera, distante. I muri in pietra grigia, il tetto spiovente d’ardesia. E il lento digradare verso gli scogli perigliosi del mar d’Irlanda.
L’hai pagata in contanti alla vecchia e confusa proprietaria, una sciocca babbana che ha preferito mandarla in rovina piuttosto che impiegarla in usi migliori.

Vi hai lavorato anni, che davvero ce n’era bisogno. Senza la magia ti sarebbe crollata in testa alla prima mano d’intonaco.
Ma il lavoro non ti ha mai spaventato, e attualmente sei il fiero proprietario di una casa che rispecchia le tue esigenze.
Ad Ardmore pochi ti conoscono, e ancor meno ricordano la tua faccia. Ci vai poco e preferisci farti spedire i beni essenziali tramite posta. La tecnologia babbana si è evoluta rispetto ai tuoi anni inglesi e i babbani hanno sempre avuto una deliziosa tendenza all’isolamento che è invece sempre mancata al Mondo Magico.
In effetti, in questi anni alcuni dei protagonisti della tua vecchia vita hanno tentato di riportati indietro.
Minerva, prima di tutti. Lettere da Caithness⁴ che ti invitavano per una chiacchierata tra vecchi amici, lettere da Hogwarts che ti spronavano a tornare alla tua vecchia occupazione.
No, grazie.
Hai sempre cortesemente rifiutato ogni esortazione e alla fine Minerva ha smesso. Continua a scriverti però. Le rispondi e finisci inevitabilmente per consigliarla a proposito dell’incompetente che ha assunto per sostituirti. 
Supponi che non vi sia nulla di male; abbandonare completamente il vecchio mondo è impossibile, ma prendervi le distanze è consigliabile.
Poi c’è Potter; Potter e le cronache familiari che ti fa recapitare ogni mese, inevitabili come una bolletta. Non hai idea del perché pensi tu possa essere interessato al suo fidanzamento, all’inevitabile matrimonio con la minore degli Weasley e alla nascita della sua irritante prole.
(Gli hai affidato i tuoi ricordi sperando di morire, risparmiandoti così la sua inopportuna gratitudine. E invece no.)
Hai avuto un moto di stizza quando hai scoperto che ha chiamato uno dei suoi orribili marmocchi come te. Ti sei controllato. Era una trappola, chiaro come il sole.
Non  hai mai risposto alle sue lettere; dare corda ad un Potter, l’hai imparato sulla tua pelle, è lo sbaglio peggiore che un uomo sano di mente possa commettere.
Poi un giorno, arriva un’altra delle sue rivoltanti missive piene di buoni sentimenti. Ed è la peggiore di tutte.
 
 Salve Professore,
Come sta? So che non riceverò risposta, ma come dico ogni volta, sono un tipo testardo. Così ecco qua. È nata mia figlia, e spero davvero che sia l’ultima perché abbiamo raggiunto il limite massimo di urla infantili. Il battesimo si terrà la settimana prossima e sarebbe fantastico se lei potesse partecipare.


Harry
Ps: Si chiama Lily.

 
Sei rimasto con la lettera in pugno, mentre dalla brughiera risaliva il vento salato del mare, che ha fatto sbattere le ali al Gufo che aspettava la risposta.
Sei rimasto fermo per dieci minuti quasi ti avessero fulminato sul posto.
Infine hai accartocciato la lettera, questo lo ricordi bene. Probabilmente hai anche imprecato come un gentiluomo mai dovrebbe fare. Poi hai congedato il gufo senza allungargli un solo croccantino. Era il gufo di Potter, meritava di rischiare la morte lungo la traversata.

Hai cercato di non pensarci, esattamente come avevi fatto per James Sirius – seriamente? – e Albus Severus – solo ripensarci ti dà la bile.
Non ci sei riuscito.
Due giorni dopo, come spiritato, sei andato al villaggio, all’unica libreria ed hai comprato un ridicolo libretto gommoso con all’interno un’altrettanto ridicola storia su un orsetto e la sua sciocca famiglia.
L’hai gettato nel primo cassonetto che hai trovato sulla via di casa.
Tre giorni dopo, spinto da una forza che ormai sei certo fosse demoniaca, sei tornato alla stessa libreria, ma stavolta hai acquistato il libro più difficile possibile per una creatura che dovrà soffrire i geni Potter; hai semplicemente attinto dal mucchio.  
Con sgomento, archiviando la ricevuta assieme alle altre che detrarrai secondo le leggi della gloriosa repubblica d’Irlanda, ti sei accorto di aver spedito Cime Tempestose ad una bambina di pochi giorni.

Oggi è arrivata la risposta di Potter. 

 
 
 
  Lei ha un senso dell’umorismo davvero malato. 


Speri quindi di esserti liberato di lui; un regalo inadeguato ad un infante è, per certe famiglie, punibile quanto un omicidio a sangue freddo. Damnatio memoria.
E invece no.
 
Arriva l’autunno e il Connemara non è mai stato così bello e insieme malinconico. Si ammanta di bronzo e passi tutto il giorno a guardare il mare lambire le coste color ruggine mentre sorseggi occasionalmente il buon whisky torbato che producono in queste zone. La compagnia di un buon libro completa il quadro.
Sei in contemplazione del tuo infinito personale quando qualcuno suona alla porta.
La sorpresa è tale che quasi ti fa rovesciare il bicchiere panciuto che avevi appoggiato alla vecchia poltrona della veranda sul retro.
Non aspetti la tua spesa settimanale ed è raro che qualcuno si avventuri fin qua; a volte però capita che turisti con un pessimo senso dell’orientamento abbiano bisogno di aiuto per tornare in città.
(Cambiano idea appena ti vedono in faccia e notano la tua notevole cicatrice.)
Di pessimo umore, ti appresti al compito; la sorpresa ti ghiaccia le viscere quando ti trovi di fronte il Bambino Che è Sopravvissuto Per Dannarti l’Esistenza.
“Salve professore!” Esclama con quel suo irritante accento che ormai lo colloca nel Devonshire. “È incredibile, non è cambiato affatto in questi anni… anzi, la trovo persino meglio!” Fa una pausa assolutamente maleducata. “Ha un colorito sano!”
Avresti voglia di sbattergli la porta in faccia, ma poi noti che ha il piede in dirittura dello stipite della porta. Se lo aspetterebbe.

Potresti romperglielo ma poi è certo che l’intero Mondo Magico verrebbe a reclamare la tua testa per aver fratturato il prezioso piede del Salvatore.
“Cosa vuoi Potter?” Ti scolli dal palato. Anche lui è sempre uguale; stessi capelli impossibili, stessa faccia da schiaffi… e stessi occhi che ti tolgono il respiro.
Bentornata, sensazione di aver sbagliato tutto nella vita.
“Mi fa entrare? Qua fuori si gela e…” E poi apre il mantello mostrando un fagottino che si muove come farebbe un gattino. Solo che non è un felino, è…
È sua figlia, realizzi con orrore, ti ha portato a conoscere sua figlia.
Potter sorride a trentadue denti. La cicatrice non si nota più un granché ma quel sorriso che è stato di James sì, eccome.  
“Questa è Lily Luna.” E toglie la copertina dalla testa della marmocchia.
Ed ha i capelli rossi. Lo vedi dalla lanugine che ha sulla testa, abbastanza per vedere che no, non sono color carota Weasley.
E poi spalanca gli occhi, e quasi urleresti di sollievo, perché li ha celesti.
Un banalissimo celeste.
Ti fissa, la marmocchia, ti fissa con la stessa sfacciata supponenza del padre. Poi ti sorride. O meglio, fa le tipiche smorfie che fanno i bambini e a cui gli adulti idioti danno consapevolezza.
“Le piace!”
Ecco, per l’appunto. Questo ti permette di ricominciare a respirare. “Potter, finalmente la mia posizione mi permette di dirti che sei un imbecille e che meriteresti Azkaban. Ti rendi conto che le Passaporte non sono fatte per trasportare neonati?”
“Veramente non si è fatto mai problemi a dirmi come la pensava su di me.” Replica imperturbabile. “Ed è tutto a posto, a Lilù è piaciuto.” Soggiunge. “Però, se continuiamo a stare qui fuori, si ammalerà.”

Non hai scelta. Ti senti come se avessi di nuovo di fronte Voldemort o Silente.
Nessuno dei due ha mai avuto pietà di te. E comprensibilmente, non ne ha Potter.
“Entrate.”
 
 
2013


La bambina continua a venire a farti visita. Lei e il suo irritante padre.
Hai cercato in ogni modo di evitare la cosa, ma Potter non è esattamente un campione di empatia umana, e non sembra capire che per te è un supplizio e per un bambino passare ore a fissare il tappeto di un salotto può non essere esaltante.  

Che poi, per inciso, te la scarica.
Pare che sia un auror. Per questo ha spesso affari da svolgere al Centro Operativo Distaccato di Galway che gli prendono tutta la giornata.
Inizialmente non riuscivi a capire perché te la lasciasse, quando è ben chiaro che possa usufruire di baby-sitter migliori di un arcigno ex-professore.
(Per esempio, tutto il clan di teste rosse a cui si è affiliato.)
Poi, un giorno, ti sei accorto che la ragazzina non parla; non che sia muta. Secondo Potter – e le sue non richieste chiacchiere – la mocciosa non ha niente che non vada, nessuna malattia o deficienza. Semplicemente, non apre bocca. 
È chiaramente viziata, direbbe la parte più carogna della tua coscienza; la realtà è che difficile accostare la parola ad una ragazzina che praticamente sparisce nella tappezzeria.
Hai temuto che urlasse, pretendesse attenzioni, si annoiasse e volesse giochi; invece si limita a colorare di volta in volta degli album disegnati che si porta dietro. Punto.

Allora hai ricordato com’erano gli Weasley; ed hai semplicemente immaginato che la ragazzina e il caos che riescono a produrre quando sono concentrati non andassero d’accordo.
Questo non significa che non sia irritante come il genitore; hai sperato che bastasse darle un tetto sopra la testa, e che non dovesse essere necessaria la tua presenza. L’unica volta che hai provato ad allontanarti dal salotto però, ha alzato  la testa di scatto e ti ha fissato sperduta.
Per inciso, è stato pochi secondi fa.
Vedi qualcosa tremarle nella piega delle labbra; deve aver capito che avevi tutte le intenzioni di piantarla lì per una rinfrancante passeggiata sulla scogliera.
Non le è piaciuto.
“Cosa vuoi?” Dici, e ti senti un idiota. Non sai trattare con i bambini, e hai la netta impressione che capiscano solo ciò che fa loro comodo.  
La ragazzina si alza a sedere – colora sempre scompostamente, a pancia in sotto e allungata sul tuo tappeto come se fosse un comodissimo materasso, il suo – e aggrotta le sopracciglia.
È chiaramente contrariata. Non parlerà, ma sa esprimersi a dovere.
In effetti, sarebbe irresponsabile lasciare una bambina di cinque anni da sola in una casa piena di oggetti pericolosi.
Tipo quelli presenti nel laboratorio di pozioni.  
Non per lei, per loro.
“Va bene. Rimarrò qui finché tuo padre non verrà a prenderti.” 
La marmocchia sembra rasserenata dalle tue parole, e riprende la sua opera di colorazione. Stavolta, noti, ha con sé un album di fogli bianchi. Ha iniziato a dar forma alle sue idee, supponi sia giunta l’età. Non sai nulla invece della sua Magia.
Forse non ne ha, come non ha parole. Forse è per questo che Potter se la porta dietro, con quell’aria ansiosa, come se avesse il terrore che si potesse strozzare con il suo stesso respiro. Da quanto hai evinto, il mutismo della bambina non è preso con serenità in famiglia. Da come oggi è venuto cupo e contratto supponi una nuova lite.
Gli Weasley hanno più lentiggini che pazienza, e non è difficile immaginare che, riuniti, premano affinché la bambina dia prova di poter essere della tribù.
La guardi distratto e vedi i capelli ramati acconciati in tante morbide onde – mani materne, indubbiamente. I vestiti curati, la ruga concentrata che ha adesso che sta colorando il contorno di qualcosa di scuro.
Non sembra una Weasley. Non ha neppure le loro lentiggini.
La bambina sentendoti fissata,  alza lo sguardo e ti sorride.  
Ti sovviene un pensiero.
“Forse tuo padre pensa che portandoti da una persona che parla poco tu sia stimolata a colmarne i silenzi…” Osservi. Sai bene di parlare troppo complicato. È questo il punto. “… dovrei avvertire Potter che non ho intenzione di improvvisarmi logopedista. Del resto, se non parli, suppongo tu abbia le tue ragioni.”
La marmocchia batte le palpebre. Ovviamente non ti ha compreso. Sciocco da parte tua lasciarti andare a questo sfogo. Vecchio adagio: la solitudine fa brutti scherzi.
Lasci che torni al suo disegno mentre tu torni al tuo libro.
Un’ora dopo ti senti tirare la manica. Abbassi lo sguardo e la ragazzina ti tende il disegno. Nello stesso momento senti suonare la porta e un bacio sulla guancia.

Assieme.
Ti alzi, sdegnato dalla familiarità con cui la ragazzina ti si è aggrappata addosso. Apri la porta lanciando un’occhiata distratta al foglio; è la tua casa, dato che la scogliera è riconoscibile e così il picco a cui tende.

E sotto, la scritta sgranata e incerta di chi ha da poco imparato la sequenzialità dell’alfabeto.
 
Mi piace il silenzio
 
 
2015
 
La marmocchia ha sette anni. È un anno importante per un bambino del Mondo Magico. È a quest’età che si scopre se si ha poteri o meno, definitivamente.
Se episodi di Magia Accidentale non sono ancora occorsi, è difficile che il ragazzino sia un mago. O una strega, nel caso di Lily, che ancora, a detta del suo ansiogeno padre, non ha dato prova di nessuna dote magica.

Non è raro che nasca un Magonò, anche nelle migliori famiglie magiche. Sai di come i Malfoy abbiano allontanato i loro ‘piccoli, sporchi segreti’.
 
Lily è nel campo vicino casa. E’ una distesa smeraldo liquido in questa primavera, piena di boccioli non ancora schiusi.
Sta leggendo un libro. Non riesci a capire se faccia finta, perché la vedi più volte alzare il naso per aria per seguire il volo delle farfalle che impazzano di cespuglio in cespuglio.
Potter sta portando la figlia da fior fior di specialisti magici e babbani. Niente fino ad adesso l’ha smossa dalla sua idea di tenere la bocca chiusa.

Ora sai perché continua a portarla da te; qui la ragazzina non è forzata a parlare.
Difficilmente apri bocca tu.

A quanto pare, è per lei un ambiente sereno.
Ti verrebbe da ridere, ma probabilmente sarebbe la risata disperata di un uomo oberato da una corvèe che durerà per il resto della sua lunga vita da mago.
Badare ai Potter.
Finisci di ammucchiare l’erba che è cresciuta spropositatamente nel tuo prato. Questi piccoli riti necessari sono parte della tua routine.
Quando fai per rientrare e preparare del the per spegnere la sete – oggi fa curiosamente caldo – ti sovviene che stavolta devi preparare due tazze. Ti volti per chiamare la marmocchia e…

Non c’è.
Un’ondata di sentimenti non ben identificati ti placca in pieno petto come un centauro irascibile; non è facile spaventarsi quando si è passato una vita a fingere di non farlo, e diciassette anni a scordarsi come funziona quella sensazione.

Corri – no, sono falcate – nel campo e la cerchi. Il libro non c’è e non c’è lei.
Dove può essere andata una ragazzina che normalmente ha il terrore di perderti di vista per più di mezzo istante?
Torni in casa, la cerchi in casa. Non è in casa.
Potter tornerà tra un paio d’ore e tu sarai qui, pronto a spiegargli che hai perso sua figlia.

Forse è giunta la tua ora. Adesso, durante una gloriosa primavera del Connemara per colpa di una  ragazzina che ha il nome dell’unico amore della tua vita.
Rifletti.
Puoi averla persa di vista per…
Merlino, per quasi un’ora. Sei talmente abituato ad avere la certezza che non si allontanerà dalla tua ombra che hai dato per scontato non sarebbe mai scappata; peccato i bambini lo facciano in continuazione.
Esci di nuovo e batti palmo a palmo la tua proprietà. Poi guardi oltre il crinale, verso il villaggio. Impossibile sia andata così lontano.
Impossibile…
Percorri la strada, a piedi, cercandola. È una bambina ma ha avuto un’ora per camminare.
Ardmore ha le prime case a venti minuti da casa tua. Vieni guardato con perplessità, e salutato. Non ricambi. Non chiedi se è stata vista una bambina, perché è semplicemente grottesco che sia successo.

Hai disciplinato per anni mocciosi la cui missione principale era infrangere le regole e improvvisamente non sei capace di badare ad una settenne che non richiede più di qualche occhiata?
È umiliante. 
Arrivi fino alla locanda che ti ha ospitato nei primi giorni della tua permanenza.
“Signor Piton!” Ti apostrofa la padrona, che sta spazzando l’ingresso. Non è di molte parole, ed hai apprezzato il suo servizio discreto quando hai soggiornato lì. “Bella giornata, ah?”
“Ha visto una bambina dai capelli rossi? Sette anni.” Ti scolli dal palato, riluttante. Non puoi setacciare tutto il villaggio senza scatenare domande.

“Oh, come no.” Dice senza scomporsi. “Era con Eamon e gli altri ragazzini.”
È andata a giocare. Il sollievo e la rabbia sono talmente confusi che la donna ti fissa come se stessi per avere un infarto. Non sei più l’Occlumante di una volta. È difficile esercitarsi quando non c’è nessuno nel raggio di miglia da ingannare.

“È sua figlia?” Chiede curiosa. Eccola là, l’indole da paesana. Non puoi ammettere di non essertelo aspettato.
“No, è figlia… di un conoscente.” Per eufemizzare. La tua nemesi non sarebbe suonata bene alle orecchie di una donna dalle gioie semplici. “Da che parte?”
“Verso l’Auld Haunt.” Indica addirittura. “Questi bambini…” Sbuffa compartecipe.
Non empatizzi e tiri dritto. Arrivi al pub e, a parte il solito folklore di vecchi paesani con pinte di lager alle tre del pomeriggio, non vedi nulla.

Però senti. Uno strillo, infantile e femminile.
Vecchi riflessi – o traumi, più probabile – di guerra ti fanno estrarre la bacchetta non appena sei fuori vista.
E quel che vedi, dietro l’angolo del pub, ti sconcerta.

Il libro che hai dato alla marmocchia è sparso, in pezzi, a terra. Il lavoro di mostriciattoli incivili, indubbiamente. Solo che i suddetti non sembrano gioire della loro bravata ai danni di una bambina indifesa.
I suddetti non ci sono: ci sono però tre rospi gracchianti .  
Lily è al centro del gracidio, con i capelli arruffati e il viso rosso come una mela. Ha gli occhi lucidi e l’espressione furiosa.

… hai già visto un’altra Lily con quell’espressione e sai esattamente chi sono quei tre rospi. Chi erano.
Lily poi ti nota, e apre la bocca. “Zio Severus!” Dice. Parla. Esprime verbo.
Poi ti placca la vita, ma sei troppo sbalordito per scacciarla.

Naturalmente, scoppia in lacrime non ha appena a disposizione i tuoi vestiti per soffiarcisi il naso. 
“Sei stata tu?” Chiedi, anche se è ovvio. I tre rospi hanno bistrattato la bambina sbagliata.

“Cattivi!” Spiega. Ha la voce leggermente roca; non la usa tanto, ma è evidente che sa usarla. Come è evidente sia una strega piuttosto vendicativa.
Potter avrà un colpo apoplettico per la gioia.
“Immagino sia una confessione.” Le dai una pacchetta sulla schiena. È la prima volta che la tocchi, e, in generale, che lasci avvicinare così tanto un bambino.
“Era…” Un singhiozzo. Ha una vocetta infantile, nulla di particolare. Sentirla per la prima volta è un po’ straniante però. “… era il tuo libro.”
Con un colpo di bacchetta incolli le pagine, pulisci la carta e te lo porti alla mano. Lily sgrana quei suoi grandi occhi celesti. Forse è la luce del sole di questa improbabile primavera che riflette il verde che ingloba tutto, ma... sembrano…

Comunque.
Con un altro colpo di bacchetta riporti i marmocchi paesani alla loro forma originale e mentre sono ancora storditi ti premuri di cancellar loro la memoria. Le espressioni confuse e la momentanea afasia saranno un problema dei loro genitori.
“Smettila adesso.” Le intimi. “Non sono un fazzoletto.”
“Non sto piangendo.” Prevedibile risposta da arroganza Potter.

Rassegnato, lasci che si aggrappi ai tuoi poveri, bistrattati pantaloni mentre tornate indietro. L’altra mano è saldamente ancorata al provato libro. Non ricordi neppure di cosa tratti. Probabilmente di argomenti che una bambina di quell’età non dovrebbe affrontare.
Sei decisamente un pessimo babysitter – e questo ti dà molta soddisfazione.
“Credo sia mio diritto sapere perché hai deciso di scappare, sciocca ragazzina.”
Lily si morde un labbro. Non te lo dirà, e in fondo non ti interessa. C’è altro che sei curioso di sapere. Pensavi che la curiosità fosse morta con la tua adolescenza.
(Non è che ti abbia precisamente portato fortuna.)
E invece no.

“Sai parlare.”
La bambina annuisce. “Sì, lo so fare.” Conferma. “Non mi piace.”

“Curioso, per una Potter…” Ti esce spontaneo. Il sarcasmo è l’unico bagaglio che ti sei portato dietro nella tua nuova esistenza. Quello e le tue pozioni. In fondo, un uomo non può mai completamente reinventare se stesso.
Lily aggrotta le sopracciglia. “Io sono Lily.” Lo pretende. Il tono è quello.
“Attestazione superflua.” Ribatti. Perché una replica del genere ti turbi a distanza di decenni è cosa che non vuoi indagare.
Sono i Potter il problema. Da sempre. Voldemort è stato qualcosa di collaterale; a posteriori, davvero, lo pensi.
È Harry Potter e questa ragazzina. Ora le tue nemesi sono ben due.
Ti afferra la mano, e lo fa con una forza che può avere solo una bimbetta che non sa dosare. Non ricordi l’ultima volta che qualcuno ti ha preso la mano. Forse è stata un’altra Lily, in un altro tempo.
I ricordi sono una cosa buffa; a volte sono così nitidi che ti sembra di maneggiarli, come fragile vetro che potrebbe tagliarti le mani. A volte sono distanti quanto il Connemara lo è da Cokeworth. Ma non ti serve un Pensatoio per ricordare la presa tiepida di una mano infantile sulla tua.
Saresti dovuto morire in quella vecchia catapecchia, con la gola squarciata e gli occhi pieni di lei.
Invece sei qui, con una vecchia cicatrice fibrosa, una casa sul ciglio del mondo e una bambina silenziosa che ti tiene la mano ed ha il suo sguardo.
È chiaro che il Destino, il Fato o chi per lui non ha ancora finito con te.
Lo senti quasi ridere.

 
 
2019
 
Lily quest’anno è andata ad Hogwarts.
 
Passano i mesi e arrivano le lettere. Sai che è stata smistata, con gran sorpresa del suo ottuso branco, a Corvonero. Tu l’avevi intuito; al di là dell’irritante faccia da schiaffi che ha ereditato dal padre, la marmocchia Potter possiede un cervello. Ha più interesse nella speculazione che nell’affermarsi con chiasso, ed era consequenziale che il Cappello scegliesse la Casa delle menti superiori.
(Che certo, ha ospitato anche quel babbeo di Allock. Ma c’è sempre l’eccezione alla regola.)
Le sue lettere sono lunghe e piene di dettagli inutili. Le leggi con un sottile sconforto; del resto ormai l’intero consesso magico che ancora ricorda la tua esistenza, sembra convinto che tu sia il padrino della ragazzina e, che per tale motivo, tu sia preoccupato della sua vita scolastica. Lei compresa.
Non sei il suo padrino.
E non sei preoccupato.
Le giornate scorrono lente, nel Connemara. Le stagioni sembrano intrappolate in un ciclo eterno, che non era così immobile neppure nei tuoi anni scozzesi.
A volte ti accorgi che il tempo scorre solo perché la tua casa ha continui bisogni di manutenzione.
Anche distillando pozioni che vendi ad una ditta di Galway passano comunque interi giorni senza che tu abbia contatti con l’esterno.
È… strano.
Per anni è stato perfetto; di contatti ne hai avuti fin troppi, fin troppo complessi, sbagliati, orribili. C’è stata la guerra, e la guerra è una fornace, un mostro che ingloba, tritura e ferisce. Quando ti sei svegliato in un letto del San Mungo l’ultima cosa che hai voluto fare è stata guardanti indietro. O avanti, se è per questo. Hai preso una pausa dalla vita; del tutto legittimo.

Poi, la solitudine.
Intendiamoci, continua a cullarti. Ma a volte è come se fosse tutto quello che ti è rimasto.
E ti interroghi. Spesso. Ti chiedi perché proprio tu sia sfuggito alla morte, quel maledetto giorno campale, perché semplicemente non sia finita lì, come avrebbe dovuto.
Perché tu e non Lupin e la sua sfacciata compagna, per esempio; avevano un bambino.

Dei tuoi compagni – maldigeriti o meno – non è più rimasto nessuno.
Potter non è più il ragazzino che ti urlava contro, sputando quel ‘signore’ come se non ci credesse neppure un po’. È un adulto dallo sguardo sereno, un padre di famiglia.
La pace. È arrivata per tutti, meno che per te.  
E ti chiedi come sarebbe stato se Nagini avesse affondato ancora una volta i denti nella tua gola.
Qualcuno la chiamerebbe depressione; tu odi certe etichette fatte per chi ama crogiolarsi nella propria miseria. Sei solo immensamente annoiato.

E quella ragazzina era la cosa più snervante, ma perlomeno non prevedibile, che avessi nelle tue giornate.
Ma è la pace; la pace fa andare avanti, ed ecco che tutti crescono, hanno vite.
Tu? Rimani bloccato.

 
 
Arriva Natale e te ne accorgi solo perché al villaggio hanno issato un gigantesco e abete, pieno di decorazioni pacchiane. Riesci a vederlo persino da casa tua, il che è notevole. Gli irlandesi hanno questo senso della teatralità che non capirai mai.
Stai tagliando la legna nella rimessa quando senti suonare il campanello. Non aprirai, saranno le solite premature carole da parte dei mocciosi del villaggio.
(Per inciso hanno cominciato a chiamarti Scrooge.)
“Zio Severus!”
Solo una persona al mondo riesce a chiamarti in quel modo senza avere la minima consapevolezza dell’assurdità del titolo. Lily Luna.
“Zio Severus, so che ci sei!” Continua. “Sono venuta a trovarti!”
Devi risalire prima che cominci a prendere a calci la porta; non l’ha mai fatto, ma sono mesi che non la vedi e Hogwarts gioca brutti scherzi.

Te la trovi però ordinatamente seduta sulle scale dell’ingresso. Riconosci la sciarpa con i colori Corvonero, portata con fierezza.
“Zio Severus, Buon Natale!” Esclama entusiasta. Le avranno inculcato nel cervello la gioia primitiva Weasley per qualsiasi festività.
“Mancano tre giorni.” Le fai notare. “Dov’è tuo padre?”
“È dovuto andare. Quelli dell’ufficio di Galway chiedono sempre di lui…” Si stringe nelle spalle. È cresciuta: è in quell’età dove i ragazzini sembrano piante continuamente innaffiate. Ricordi come ti abbracciava la vita e ti ficcava la testa nello stomaco. Ora ti sfonda il plesso solare.

Anche il viso, prima tondo come una mela, si è affilato. Sta crescendo.
Tu stai invecchiando.
“Entra.” Le dici, e la spingi dentro, rimediando un risolino divertito. Si guarda attorno e quasi ficca la testa nel camino per scaldarsi il viso, quando siete in salotto.
Poi ti guarda e ti sorride. Sembra stare … bene. Di certo Hogwarts deve averla cullata nella bambagia di chi è figlio d’arte.
Prepari il the e te la trovi a due passi di distanza, come al solito. Sua padre ha blaterato qualcosa sul fatto che ti segua come un pulcino. L’ha fatto una sola volta; il tuo sguardo deve averlo dissuaso dal provarci una seconda.
“Due cucchiai di zucchero, e latte.” Dice, picchiettando sulla tazza.
Conosci la marmocchia; non lo fa apposta e questo rende estremamente difficile riprenderla.

“Ricordo come prendi il the.” Replichi secco.
“Sono passati tanti mesi da quanto ci siamo visti…” Argomenta con naturalezza. “Le persone dimenticano.”
Se fosse stupida, non sarebbe una Corvonero. Equazione semplice. Ma Lily ha una singolare luce nello sguardo, una serietà che non si addice ad un undicenne.
(Tu eri in quel modo alla sua età, ma tu… beh, tu non eri certo la norma.)
“Mi sei mancato.” Aggiunge, tirandoti la manica per sottolineare il concetto.
Non sai cosa si risponda in questi casi, quindi opti per un doveroso silenzio e la spingi con un gesto verso il salotto. Ti obbedisce, ma noti la ruga che le solca le sopracciglia.
Quando qualcosa la contraria le si legge in faccia.
Sugge il suo the accoccolata vicino al fuoco, lanciandoti occhiate di sottecchi. Ti saresti aspettato un fiume di chiacchiere sulla scuola, sui nuovi compagni.
Niente.
Troppo fortunato per crederci, ti limiti a sederti sulla poltrona e riprendere in mano il libro che avevi interrotto.

“L’insegnante di Pozioni è un cretino.”
Alzi lo sguardo e trovi che ti sta guardando in aspettativa.
Ti ha lanciato un’esca, è talmente palese che non riesce a trattenere il sorrisetto monello che le trema all’angolo delle labbra.

“E questo tuo giudizio è dovuto  al fatto…?”
“…  che ci fa leggere dal libro di testo. Dice che al Primo anno non c’è bisogno di fare lezioni operative. Che potrebbe essere pericoloso.” Inarca le sopracciglia. “Gli ho detto che tu avresti detto che è un incompetente.”
“Hai detto cosa?”    

“Mi ha messo in punizione.” Aggiunge subito vedendo la tua espressione. “E poi il Preside ha detto che avrei dovuto chiedere scusa.” Arriccia il naso. “L’ho fatto. Però non ci credevo davvero. Vale lo stesso, no?”
Ti passi una mano sulle labbra nella speranza di trattenere il ghigno che affiora prepotente. Hai sempre detto a Minerva che aveva assunto un incapace. Sapere che la tua ragazzina…


Beh, hai solo avuto conferma da una matricola. Se lo capisce una matricola, è palese il fatto. È soddisfacente.

“Mi aspettavo che tu sapessi cos’è il rispetto per un insegnante. O un adulto.”
“Lo conosco!” Ribatte. “Ma bisogna meritarselo. Anche gli adulti. O gli insegnanti.”

Geni Potter, indubbiamente; ma il fatto che argomenti con una certa cognizione di causa ti lascia sperare che non sia completamente perduta.
“Mostrare rispetto verso le autorità è un dovere basilare per una persona educata in una società civile, e non mi risulta tu sia una selvaggia.”
Si morde il labbro. Poi sorride di nuovo. “Ma io l’ho mostrato. Poi se ci credo, è una cosa mia.”
Quasi provi pena per il poveraccio che se l’è trovata in classe. O per il nuovo corpo docenti in toto.

“Finisci il tuo the.” Ti risolvi a dire. La lasci al compito e ti immergi nella lettura; pochi momenti dopo ti senti toccare la mano. Te la trovi a due centimetri dal braccio che ti scruta.
“Sì.” Attesti rassegnato.
“Stai preparando nuove pozioni?” Captatio benevolentiae. La ragazzina è sempre stata brava in questo. Fin troppo, dice la tua coscienza, che ti sottolinea come potresti tranquillamente impedirle di infastidirti.
Ci sei mai riuscito? Onestamente.
“Cosa ti fa credere che ti lasci entrare nel mio laboratorio?”
Sorride. “Ora so come funziona.”
Quando la vedi sminuzzare con autentica allegria le radici di asfodelo, pensi che dovresti davvero prenderti un gatto; perché se non hai l’urgenza di spedirla fuori dal tuo spazio più privato, più tuo, beh, significa che la solitudine ti ha finalmente roso il cervello.

“Mi piacciono le pozioni.” Interloquisce. Ecco tornata la parlantina. Va’ ad ondate, come le maree. “Sono precise. Mi piacciono le cose precise.”
I marmocchi hanno la strabiliante capacità di parlar da soli per ore intere.
“Mi piace anche Trasfigurazione. È forte…” Ci riflette. “È interessante.” Corregge il tiro a tuo beneficio, lo vedi da come ti guarda di sottecchi. Controlli la pozioni e la ignori. “E poi mi piace la nostra Sala Comune… è in alto, sulla torre più alta e c’è tanta luce. Quasi come qui, quando arriva il tramonto.”
Chiacchiere umane. Certe persone ne sentono la necessità come respirare. Per te è stato sempre un fastidio. Ma si dice che invecchiando i gusti cambino e…
No, continui a mal tollerare le esternazioni altrui. È Lily che sopporti, perché è una bambina, perché è portata in pozioni e Dio, perché devi davvero prenderti un gatto.
“Non mi sono fatta tanti amici.” Sbotta di colpo, dopo un attimo di silenzio. “Tutti parlano un sacco. Troppo. Perché tutti sentono sempre la necessità di dire tutto? E chiedere… tante cose. Fatti tuoi.”
I figli d’arte. Non dev’essere facile avere un’etichetta per una gloria che non ti appartiene.
Non che ti interessi.

“L’interlocuzione umana è doverosa se si vuole intraprendere relazioni sociali.” Ti limiti a dire. Sembra preso da un libro, è il genere di cosa che confonderebbe un bambino e lo farebbe tacere.
Magari fosse così per Lily.
“A me non serve parlare con te.” Ti allunga il tagliere con le radici. “Tu sei mio amico.”
“La differenza d’età potrebbe al massimo identificarmi come tuo mentore. E non sento la necessità di avere un’allieva.” Sarcasmo. Per fortuna ha ancora problemi a comprenderlo, perché se così non fosse avresti di fronte un piccolo specchio di te stesso, con più sorrisi ma la stessa inquietante capacità di capire troppo.

Questo non ti ha fatto avere un’infanzia felice, per inciso.
“Quando sto con te sono felice, mi piace stare qui.” Replica. “Mi sei mancato quando ero ad Hogwarts. Tu sei mio amico.” Attestazione.
Ci sarebbero molti modi per rispondere e distruggerle infantili speranze di un rapporto nato solo perché suo padre non riusciva a gestire il fatto di avere una figlia muta.
Ci sarebbero.
Preferisci rimanere in silenzio. 
La ragazzina non aggiunge altro; sa quando non insistere con te, l’ha imparato.
Fingi di ignorare i suoi occhi lucidi.
 
Potter torna a prendersela e non puoi dire di esser sorpreso quando allontana la figlia e ti si avvicina con l’aria affranta del genitore che cerca rassicurazioni.
“Lilù le ha detto niente di…” Esita. “Di come si trova a scuola?”
“Potter, se non smania per avere la luce dei riflettori su di sé non significa abbia problemi a scuola.”
“Quindi gliene ha parlato.” Sembra davvero sollevato. Hai quasi la certezza che Potter, che ha la deprecabile tendenza ad indossare i suoi sentimenti come giacche vistose, non riesca a capire sua figlia. Non che non la ami – è un genitore fin troppo protettivo, come supponevi sarebbe diventato, del resto. Ma non ha idea di che pesci prendere quando è con lei.

Hai passato anni a scrutare le indoli altrui; sai riconoscere quando è qualcuno è a disagio con il suo stesso sangue.
“Sì.” E non aggiungi altro, beandoti della ruga nervosa che si disegna poco distante dalla sua cicatrice. È sparita ormai, ne intravedi solo i bordi.
“Con me non parla.” Butta fuori infine. “È… non è esattamente una chiacchierona.”
“E questo sarebbe un difetto?”
Schiocca la lingua, stavolta apertamente infastidito. “Lily ha problemi a scuola e non ne parla con nessuno. Ma con lei lo fa.”

Noti un lampo di capelli rossi alla porta dello studio in cui Potter ti ha costretto a riceverlo.
“Onestamente, Potter.” Inarchi le sopracciglia e ti culli in vecchi ricordi; era dolce riuscire a fargli abbassare la cresta. “Cosa vorresti fare? Arrivare in sella alla tua scopa e risolverle i problemi? Quando presumibilmente uno dei problemi è la notorietà della sua famiglia? La tua?”
Ammutolisce. Sai di averlo colpito a fondo. Sei un vecchio pipistrello odioso e amareggiato. Sperava in un consiglio rassicurante?
Forse, da come ti rivolge un’occhiata di fuoco. “Buon Natale professore.” Borbotta. Se ne va dal salotto e poi lo senti chiamare Lily, che sarà tatticamente scappata dove avrebbe dovuto essere, ovvero all’ingresso.

La marmocchia in compenso irrompe in salotto pochi secondi dopo. Ti fa un gran sorriso. “Allora ciao! Torno a trovarti, okay?”
“C’erano dubbi?” Replichi, facendola ghignare. Oh, la conosci quella smorfia. James Potter si rivolterebbe nella tomba. Perché te la sta imitando.

Ti placca in uno dei suoi abbracci, e sei costretto a darle un colpetto sulla spalla per ricordarle che certe manifestazioni hanno una durata. Per quanto ti riguarda, brevissima. “Va’ adesso. Tuo padre sta aspettando.”
“Buon Natale zio Severus!”

 
Alla Vigilia arrivano i suoi auguri ufficiali e un nuovo disegno. Sai che sta tentando con gli acquarelli. Piuttosto acerba, ma promettente.
Il disegno va’ a finire assieme agli altri. Nessuno entra in camera tua e nessuno può sapere dove sono pateticamente appesi.

No, davvero; l’idea del gatto è ottima.
 
 
2021
 
Tieni Lily tra le braccia e non hai la minima idea di come tu sia finito in questa situazione.
In realtà lo sai benissimo. Potter ha divorziato da sua moglie.
 
Questa, la causa scatenante.
Avevi subodorato già da qualche tempo che il paradiso del Salvatore aveva smesso di esser roseo. Le lettere di Lily parlavano di liti sedate con l’aiuto dei fratelli, vacanze mortificanti, recriminazioni vecchie di anni e lettere separate da parte dei genitori.

Non puoi dire di esserne stato sorpreso; statisticamente, i matrimoni contratti in giovane età sono destinati a non arrivare alla vecchiaia. Potter è sempre stato un impulsivo. Sposare la prima donna deputata a sentimenti più complessi di una cotta gli sarà sembrata un’idea splendida, specie perché Weasley. 
Questo pomeriggio - è un estate ordinariamente piovosa - ti sei trovata Lily di fronte alla veranda mentre la bufera impazzava, gonfiando il mare e sbattendo le persiane delle finestre.
Non dentro, davanti.
Tremava, perché indossare un vestito di cotone leggero per affrontare l’imprevedibilità irlandese è stupido.
Tremava e piangeva in mezzo alla pioggia. Non sapevi se era più acqua piovana o lacrime quelle che le scorrevano sul viso.
Lily, come ha dedotto Potter, non è una chiacchierona. È una ragazza quieta, dai lunghi silenzi e dagli strani sguardi. Se non si è abituati, può mettere a disagio.
Tu conosci i suoi occhi da tredici anni, e sai accorgersi al volo quando è il caso di lasciar perdere i convenevoli e portarla dentro casa.
 
Una tazza di the caldo più tardi finalmente parla.
“Si sono lasciati.” Dice e non c’era traccia di incredulità o rifiuto. Era chiaro se lo aspettasse quanto l’avevi intuito tu. “Papà ha preso le sue cose ed è andato dagli zii. Stamattina a colazione eravamo solo …” Si blocca mentre vedi le unghie che dipinge sempre di colori allegri affondare nel palmo. “… non ci ha detto niente. Se n’è andato e basta.”
Non dici nulla, perché supponi che altri abbiano già detto troppo per cercare di calmarla. Peccato che con Lily le parole abbiano l’effetto opposto.

Vedi i palmi contrarsi, stringere. Stringere e trovare vuoto, perché nella foga di uscire e lasciarsi tutto alle spalle si è dimenticata anche la propria bacchetta.
Poi arriva l’urlo. È uno solo, rabbia e frustrazione pura. Ha tredici anni, e ricordi i tuoi tredici anni mentre la tazza tra le sue mani si spacca, mentre lo specchio sopra il camino si incrina e le fiamme beccheggiano alla forza della sua magia.
Avresti voluto spaccare il mondo a mani nude, e non potevi farlo. Non eri neppure capace di difenderti da Tobias.
L’urlo si quieta com’è iniziato. Con un colpo di bacchetta asciughi il the che ha bagnato il tappeto, le sue mani e le gambe nude e sottili, dai ginocchi sbucciati. È caduta mentre cercava la passaporta con cui lei e suo padre si materializzano qui.
(Tra parentesi, premuroso da parte di Potter lasciarle almeno quella.)
“Tornerà.” Dici. “Si può dire tante cose di tuo padre, ma non che sia un codardo o che lasci le cose a metà.” È la prima volta che fai un complimento a quell’idiota e pensi che, dopotutto, non se lo merita.
Ma ne ha bisogno Lily, che ti guarda con quei suoi occhi troppo grandi, troppo vasti, troppo celesti. Ti ricordano il cielo di qui, quando le nuvole vengono spazzate via dal vento del Nord. Non sono gli occhi di lei, sono diversi. Eppure, sono uno dei motivi per cui comprarti un gatto non ha funzionato come speravi.
Piange. La vedi singhiozzare mentre i capelli le chiudono il viso allo sguardo altrui. 
Ti senti sconfortato, perché realizzi che vorresti prendere Potter per i piedi ed appenderlo ad un posto alto, con sotto una buca profonda, possibilmente piena di creature rivoltanti. E mortali.
Perché se non è una colpa sposarsi per un’urgenza di lombi, lo è far piangere sua figlia, che non lo capisce, che non viene capita, ma che lo adora come lo stupido idolo d’oro che è sempre stato per tutti.
“Abbracciami…” Dice. Le tue riflessioni ti hanno portato di nuovo nella parte meno piacevole di te e la guardi senza capire. Si ferma e ripete. “… abbracciami, per favore.”
Non te l’ha mai chiesto. Te l’ha semplicemente fatto sopportare, e andava bene. Severus Piton non è fatto per abbracciare: non ha abbracciato neppure sua madre sul letto di morte.
(E se n’è sempre pentito.)

Per fortuna sei sempre stato un discreto equilibrista con le parole. “Pensi davvero che mi voglia sedere per terra?”  
(Complimenti per l’equilibrio.)

Lily ti guarda battendo le palpebre. Poi fa un sospiro e sorride appena. “Sei proprio impossibile, zio Severus…”
“Non è la prima volta che mi è stato fatto notare.” Appunti e poi, semplicemente, lasci che si sieda sulle tue ginocchia e appoggi la testa contro il tuo petto.
Non sarebbe il caso, ti dice una voce. Lily comincia a non essere più una bambina, sta diventando un adolescente. Un adolescente che sta abbandonando la crisalide dell’infanzia e… tutte quelle sciocchezze. È alta, è sottile come un giunco e puoi stare certo che i suoi coetanei hanno già cominciato ad infastidirla.

Dovresti farle notare che il modo in cui si accoccola contro di te è inappropriato.
Però.
Sta piangendo. È una maledetta bambina spaventata, ed è venuta da te perché è ovvio che non ha ricevuto a casa ciò di cui aveva bisogno.

È sempre stato questo il punto.
Non riesci a capire, però, come diavolo riesca ad averlo da te.

Lasci che riduca la tua camicia ad un disastro, sopportando stoicamente. Hai affrontato di peggio. Voldemort, ad esempio. Silente e il suo stramaledetto Bene Superiore, anche.
“Sono contenta che tu sia qui, Zio Severus…” Mugugna con il tono impastato tra il sonno e il pianto. Una mocciosa che, sfinita, si addormenta dopo essersi soffiata il naso addosso a te. Dovresti essere furioso. Da anni, sei solo rassegnato.
“Non vedo dove altro dovrei andare. Questa è casa mia.”
Alza il viso dalla tua spalla. Sorride tanto, ma allo stesso modo è seria. Un equilibrio perfetto. “Non qui… non qui a casa tua. Io intendo dire… che sei ancora qui.” Le vedi le guance colorarsi di rosso. “Io… sarebbe stato orribile se tu non ci fossi stato. Se non ti avessi mai conosciuto.”
Un ciocco scoppia nel camino nel mezzo del silenzio che segue.
Niente fiori e onori sulla tua tomba, Severus. Sei ancora vivo. Congratulazioni. Scusaci. Ora sparisci per favore; ci metti a disagio.

Una strana sensazione, spaventosa e sconcertante ti si diffonde addosso come un’improvvisa febbre.  
Sconcerto, spavento. Quand’è stata l’ultima volta che ti sentito felice, Severus?
Fa male come usare di nuovo un arto anchilosato.
“Il mondo sarebbe continuato a girare anche senza di me.” Distanza. Distanza anche se senti il suo respiro tiepido sulla spalla, e sai che è viva. Che sei vivo anche tu.

Ma come, te n’eri dimenticato?
Sbadato da parte tua.
(Perché diavolo la voce della tua coscienza ha il tono di Albus, adesso?)
Lily scuote la testa. Sottolinea un concetto. “Non il mio, non bene. Tu sei il mio migliore amico, zio Severus.”
Ti sembra che la ferita di Nagini ti blocchi la gola come un laccio. In tutta franchezza, anche respirare è difficoltoso.
“Alzati.” Le intimi brusco. Ti guarda confusa, ma obbedisce come sempre. Non è stato Potter a dirti come sia testarda e risponda a primo comando solo a te?

Sicuramente.
“Voglio restare qui.” Esclama mentre cerchi di trovare un modo per rispedirla a casa e rimanere solo con i tuoi pensieri. Stanno premendo per uscire e non puoi costringerli a lungo. “Posso dormire qui, stasera?”
No, neanche tra un milione di anni.
“… vado a prepararti la stanza.” Replichi docile come un povero idiota che cerca ancora di capire cosa l’abbia colpito e, soprattutto, dove. La lasci che sta prendendo in braccio il gatto di casa – Cagliostro, scelta sua il nome, per quanto ti riguarda poteva rimanerne privo – e sali al piano superiore.
Apri la finestra della camera degli ospiti, per darle aria. Sa di chiuso, com’è naturale: chi ci ha mai soggiornato del resto?
Un raggio di sole buca le nuvole spesse come acciaio e colpisce il mare facendolo esplodere di piccole schegge d’argento.
Non credi nelle epifanie. Sono idiote.
Ma per la prima volta in vent’anni – perché quando qualcosa cambia, deve metterci così tanto per te? – ti percepisci respirare.
Sei vivo. Sbadato da parte tua scordarlo.

 
****
 
Note:


Woah. Non so davvero cosa ne potrà venire fuori, perché onestamente il POV di Piton in seconda persona è… beh, meno difficile che la prima, ma comunque problematico.
Questa due-episodi è tutta dedicata alla favolosa e neonata pagina Facebook – e un po’ anche community – Repayement Ita, fondata da Emme e che mi vede come goffa co-amministratrice.

Cos’è il Repayement? Una possibilità. Dare a Severus un addio o un bentornato come si deve.
Ci sono molti forse: Severus può non essere più trai vivi, Lily Luna può essere una figura di contorto, o fondamentale, può essere amore o solo una possibilità di riscatto.
In senso romantico o meno, facciamo tutto questo per un personaggio che forse doveva morire per riscattarsi, ma forse anche no.

Passiamo  alle note va’, che i pipponi non piacciano a nessuno.
 
Il titolo è preso da libro di Michael Cunningham, che peraltro non c’entra un cavolo. Ma è bello, se avete occasione, leggetelo.
La canzone la potete trovare qui ma spero anche nei vostri Mp3. ;D

1.Connemara: Il Connemara (nome originale, in gaelico irlandese, Conamara) è una regione selvaggia e aspra situata nell'Irlanda occidentale, più precisamente nella Contea di Galway. Qui per maggiori informazioni.
2.Sky Road: (dall'inglese, "Strada del cielo") è una strada costiera del Connemara. Qui per info.
3. Ardmore: in realtà non è una vera e propria località e, suppongo, neppure un villaggio. È un agglomerato di case nella contea di Clifden, il centro culturale e capitale del Connemara. Mi piaceva il nome. :P
4. Caithness: Dove la Rowling ha rivelato sia nata la McGrannit.
  
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