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Autore: Layra Disgrace    13/11/2011    2 recensioni
Ciao Zach,
probabilmente se stai leggendo questa lettera, io sono già morto. Riesco ad immaginarti mentre apri il mio diario, come ti ho chiesto di fare, prendi in mano questo foglio stropicciato e con le lacrime agli occhi inizi a far scorrere lo sguardo tra le parole. Probabilmente il foglio stesso è ancora segnato delle mie, di lacrime, e dalle impronte di inchiostro lasciate qua e là: lo sai che non riesco a scrivere senza macchiarmi le mani.

Una one-shot slash, un mio esperimento personale. Un'epopea di tristezza, o almeno così dovrebbe essere.
Buona lettura!
Genere: Drammatico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Lettera di un ragazzo morto

Ciao Zach,
probabilmente se stai leggendo questa lettera, io sono già morto. Riesco ad immaginarti mentre apri il mio diario, come ti ho chiesto di fare, prendi in mano questo foglio stropicciato e con le lacrime agli occhi inizi a far scorrere lo sguardo tra le parole. Probabilmente il foglio stesso è ancora segnato delle mie, di lacrime, e dalle impronte di inchiostro lasciate qua e là: lo sai che non riesco a scrivere senza macchiarmi le mani. In realtà il pensiero di smettere di esistere da un giorno all’altro mi risulta davvero strano. Queste impronte scure, come tutti miei oggetti, tutte le cose che ho scritto, che ho segnato con la mia presenza, i miei compiti, i miei file nel pc, le nostre conversazioni via internet; ma ancora le mie foto, i miei disegni, i miei vestiti, il lenzuolo che ho usato, il cuscino su cui ho posato la testa…Sono tutte cose che esistono e continueranno a farlo, mentre io…Beh, io non esisto semplicemente più. Che strano.
La mia lettera da uomo morto nasce da un mio desiderio, credo l’ultimo. Ci sono davvero tante cose che non ho mai  detto, cose che vorrei chiarire, cose che vorrei ricordare, cose delle quali vorrei che tu fossi partecipe. Tu alla fine sei stata l’unica persona che ha tentato di salvarmi, anche se inutilmente, quindi te lo devo proprio. E poi beh, lo sai, per me non sei proprio quello che la gente definirebbe ‘amico’.
Da dove inizio?Ecco, ho trovato: il motivo del mio suicidio.
Non c’è molto da dire, mi sono semplicemente stancato di vivere. Non ho alcun motivo per continuare a occupare spazio e risorse in questo mondo forse un po’ troppo crudele, niente mi esalta ma tutto mi rattrista e il pensare al futuro non fa altro che peggiorare la situazione. Ricordi quando vaneggiavo un possibile successo nel campo della musica? Volevo fare il chitarrista, chissà come mai, io che ho pochissima manualità e ancor meno coordinazione. Sembrava che vivessi solo per realizzare questo grande mio sogno. Eppure quel sogno ormai non mi sembra altro che un ricordo sbiadito di un capriccio infantile, nonostante lo coltivassi preziosamente fino a qualche mese fa. Cosa può essere mai cambiato in due mesi? E’ quello che mi chiedo anche io, in realtà. Forse destino, direbbe qualcuno – io non ci credo a quelle stronzate, però.
Ho semplicemente aperto gli occhi in un normale mattino di scuola e mi sono detto
Questa vita non mi appartiene più”. Ma questa mia inerzia nel vivere te l’avevo già descritta no?
Prima di oggi – si perché ho intenzione di uccidermi sta notte – ho sempre creduto che c’era ancora una chance di migliorare tutto, di potermi adattare alla realtà e pensavo sarebbe successo soprattutto grazie a te. Ma il problema è che sono incompatibile con la realtà e la realtà è incompatibile con me. E la realtà si manifesta anche attraverso le persone, no? Pensavo che la mia fosse semplice misantropia, o vanità, o scontrosità – insomma chiamala come vuoi – invece ho capito che dentro di me c’è qualcosa di profondamente sbagliato che va al di là del semplice odio nei confronti degli altri e amore per la solitudine. C’è un qualcosa che non mi permette di stare con le persone, e per persone adesso intendo te. Ogni contatto avuto con te, Zach, per quanto favoloso, ha sempre trascinato con sé una profonda depressione, perché tra me e gli altri esseri umani esiste un muro invalicabile: più tento di scalfirlo con graffi, manate e pugni più le mie unghie sanguinano, la pelle si lacera, le ossa si frantumano. Che senso ha fare una cosa, per quanto mi renda momentaneamente felice, se dopo mi sento spento  per il resto del tempo?
Quindi ho capito che nemmeno tu mi puoi aiutare: parliamo due lingue diverse, tu quella della realtà, io la mia personale e per quanto io mi sforzi a comunicare con te attraverso gesti e parole, i nostri punti di riferimento saranno sempre differenti e mai riusciremo a raggiungere una serena comprensione. Io continuerò a dirti “cioccolato” e tu continuerai a capire “spaghetti” (questo perché mi sta venendo fame, diciamocelo).
Ma nonostante questo, credo di non rimpiangere nemmeno uno dei momenti trascorsi con te.
Ti ricordi quando ci siamo visti per la prima volta? Io sinceramente no, è passato così tanto tempo, ma ricordo bene quando diventammo amici, o meglio, quando io ti annotai nella mia mente come ‘persona interessante’.
Stavamo entrambi andando a scuola col treno, tu eri seduto vicino al finestrino sulla destra, io ero nella posizione opposta, guardando il panorama scorrere attraverso il finestrino di sinistra. Una ragazza dai capelli rossi, prosperosa, altezzosa si avvicinò a te, richiamando l’attenzione con dei colpetti di tosse più o meno marcati. Tu, che portavi gli auricolari sotto la folta chioma nera, la notasti per caso mentre ruotavi il capo e il tuo sguardo si fissò nei suoi occhi verdi. Lei, credendo di aver ottenuto la tua attenzione iniziò a blaterare qualcosa sul fatto che un amico dell’ amica del migliore amico del suo ragazzo aveva chiesto qualcosa riguardo a qualcun altro  (i dettagli mi sfuggirono, mi persi ad osservare il suo seno schiacciato e spinto verso l’esterno del reggiseno, in parte visibile).
Quando la sua bocca si fermò, tu dicesti semplicemente “
Hai mai visto un unicorno con il mantello?”.
Quella ti guardò per diversi secondi, sbattendo le ciglia definite, poi tu ti tolsi gli auricolari, ti voltasti verso di me e mi chiedesti E tu?”.
No, ma credo di aver visto un’antilope in gonnella una volta.”

Non aveva senso e non era nemmeno divertente, pensandoci bene. Iniziammo una lunga dissertazione su animali esistenti e non con improbabili capi d’abbigliamento, lasciando la ragazza ferma nel corridoio del treno, osservandoci basita. Quella, dopo qualche minuto, con un siete due coglioni se ne andò e tu commentasti dicendo E’ una normale terrestre, non può capire”.
La cosa che mi colpì, comunque, fu il tuo sguardo: eri totalmente serio, come se realmente fossi un marziano caduto sulla Terra per caso, come se tu non appartenessi a questa realtà. Successivamente scoprii che non è così, che tu capisci molto bene la realtà e ne fai parte perfettamente. Peccato.
Ovviamente, poi, ricordo la prima volta che ci baciammo. Hai in mente la mia ex, quella bassa, biondina? Beh, di quella non ho alcuna memoria di alcun contatto fisico, al punto che dubito anche di averla mai toccata. Con te è stato semplicemente un tripudio, la mia nascita, il momento in cui sentii di avere un posto nel mondo. Era una giornata strana quella – non ricordo esattamente la data – ma ricordo che ero davvero nervoso. C’erano i soliti problemi familiari (di cui iniziavo a parlarti proprio in quel periodo) e tu continuavi a scrivere messaggi a quella sciacquetta che non posso non odiare – Clara, se non sbaglio. Eravamo in camera tua, sul grosso letto matrimoniale al centro della stanza e iniziai a urlare furiosamente cose senza senso, accusandoti di cose che non avevi fatto, minacciandoti di prenderti a pugni (cosa che non avrei potuto fare, per motivi pratici). Incominciai tutto d’un tratto ad agitare le braccia, a sbattere le mani sul materasso in modo convulso.
“Sei una troia succhia fighe, io sono il tuo fottuto migliore amico, mi devi rispettare!gridai. Tu mi prendesti le spalle e mi scuotesti leggermente, la mia testa ondeggiò avanti e indietro. Focalizzai la mia attenzione sui tuoi occhi. Ti avvicinasti rapidamente, come un fulmine: il tuono era lo schiocco delle tue labbra sulle mie, un bacio a stampo. Ti guardai di nuovo, realmente sorpreso, con la bocca spalancata a mo’ di pesce lesso. Tu mi dicesti: “embè?”.
E ora? ti risposi io. Ti avvicinasti di nuovo, mi prendesti il labbro inferiore con le tue, iniziando ad accarezzarlo delicatamente. Morbidezza, una nuvola. Poi umido, la pioggia. Vertigini, sfarfallio nello stomaco. Infine il calore che mi intorpidì il corpo intero (se fossi stato in piedi, le mie ginocchia sarebbero diventate gelatina, come spesso succedeva fino a qualche tempo fa).
«Ecco cosa è il sublime. Altro che i temporali» pensai abbandonandomi in un abbraccio quasi disperato, nascondendo il viso arrossato nell’incavo della tua spalla.

Non descrivo, invece,  la prima volta in cui facemmo l’amore: fu un totale sfacelo. Ma mi ricordo una notte, sempre a casa tua. Non fu tanto l’atto, ma il momento successivo. Era autunno, faceva piuttosto freddo. Eravamo stesi sotto il piumone blu notte, io avevo la testa appoggiata sul tuo petto nudo e leggermente inumidito dal sudore, sentivo il battito del tuo cuore calmarsi progressivamente, suono che mi rilassò ulteriormente. Raggiunsi la pace interiore quando la pioggia iniziò a colpire ritmicamente il vetro della finestra. La natura mi era amica e finalmente avevo trovato la persona con la quale avrei trascorso volentieri il resto della mia vista. Con una mano iniziasti ad accarezzarmi i capelli mossi, io mi addormentai tra le tue braccia. Non raggiunsi più una così completa serenità, quello fu uno degli ultimi giorni della mia vita interiore.
Un pomeriggio dei seguenti mi rivelasti della tua partenza di due settimane per un particolare progetto scolastico. Pensavo che la cosa non mi avrebbe sconvolto, era un periodo breve in confronto ad una prospettiva di vita di almeno altri sessant’anni. La tua partenza fu tranquilla, ci salutammo con un bacio sulla rispettiva guancia e alcune battute su una possibile esplosione dell’aereo.
Durante quelle settimane, però, successe il fatto. Il mondo cambiò il suo corso, forse la terra modificò la sua orbita e iniziò a cadere vertiginosamente verso il basso, infinitamente. Mi svegliai quella fatidica mattina e la realtà non fu più la stessa (e di questo ti ho già parlato). Quando ritornasti non riuscii più a stare con te con la stessa armonia, la natura non era più dalla mia parte, qualcuno voleva che io morissi e così successe: prima interiormente, stanotte fisicamente. E’ già passato un bel po’ di tempo da quel momento: ancora l’altro ieri stavi tentando di convincermi che la vita ha fascino, che sono ancora giovane e il futuro mi riserva la felicità, cazzate varie. Tu si che sei un tutt’uno con la realtà: ti ho spesso osservato mentre godevi di una passeggiata al parco, mentre parlavi con gente nuova, ti ho incoraggiato ad alimentare le tue ambizioni, sicuramente molto più realizzabili delle mie. Zach, tu ami la vita e nonostante la tua tristezza sei speranzoso, sai che c’è un posto per te nella società e sei conscio delle tue capacità di poterlo raggiungere. Sei semplicemente me, ma con una innata capacità di relazionarti con il mondo. Rappresenti quello che io vorrei essere, vorrei avere il tuo ottimismo, il tuo sorriso, la tua voglia di buttarti nell’ignoto, che consideri come una sfida. E’ questa caratteristica in noi differente che ti fa chiedere
Cosa è successo? Perché vuoi morire?. Ma non capisci, non puoi.
Ma passiamo alla cosa per cui ti lascio questa lettera. C’è una cosa in particolare che non ti ho mai detto e che voglio assolutamente che tu sappia. Abbiamo passato un sacco di tempo insieme, quasi un’eternità, ma mai nessuno di noi due ha sentito la necessità di esprimere questo concetto. E' una cosa scontata, che entrambi abbiamo sentito, ma che penso di dover esplicitare... Beh ti amo. Banale, eh? Ma è così, e lo faccio con tutta la mia anima. Anche dopo la nostra frattura non ho mai smesso di farlo, è l’unica certezza che ho, certezza che purtroppo non è sufficiente a farmi sperare in un futuro migliore. Sei stata per me la persona più importante, sei stato la mia casa, sei stato il mio punto di riferimento, sei stato la cioccolata calda davanti al camino, sei stato il temporale, sei stato ogni singolo fiocco di una forte nevicata. Sei stato la mia famiglia, sei stato il piumone blu del tuo letto. Sei stato tutto ciò che più ho amato nella mia vita. Sei stato la vita stessa. Ma tutto ciò non basta, la natura vince. Io perdo.
Beh, è giunto il momento. Ecco che tra le lacrime mi appresto a recidere le vene a livello dei miei polsi, già segnati da diverse cicatrici (spero vivamente che non faccia troppo male morire, in caso diventassi un fantasma cercherò di fartelo sapere).
Grazie per tutto quello che hai fatto per me, per tutto quello che sei stato. Ti ringrazio e ancora una volta, ti amo.
Tuo, non della realtà,  Will.

   
 
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