Lettera
di un ragazzo morto
probabilmente se stai leggendo questa lettera, io
sono già morto. Riesco ad immaginarti mentre apri il mio
diario, come ti ho
chiesto di fare, prendi in mano questo foglio stropicciato e con le
lacrime
agli occhi inizi a far scorrere lo sguardo tra le parole. Probabilmente
il
foglio stesso è ancora segnato delle mie, di lacrime, e
dalle impronte di
inchiostro lasciate qua e là: lo sai che non riesco a
scrivere senza macchiarmi
le mani. In realtà il pensiero di smettere di esistere da un
giorno all’altro
mi risulta davvero strano. Queste impronte scure, come tutti miei
oggetti,
tutte le cose che ho scritto, che ho segnato con la mia presenza, i
miei
compiti, i miei file nel pc, le nostre conversazioni via internet; ma
ancora le
mie foto, i miei disegni, i miei vestiti, il lenzuolo che ho usato, il
cuscino
su cui ho posato la testa…Sono tutte cose che esistono e
continueranno a farlo,
mentre io…Beh, io non esisto semplicemente più.
Che strano.
La mia lettera da uomo morto nasce da un mio
desiderio, credo l’ultimo. Ci sono davvero tante cose che non
ho mai detto, cose
che vorrei chiarire, cose che
vorrei ricordare, cose delle quali vorrei che tu fossi partecipe. Tu
alla fine
sei stata l’unica persona che ha tentato di salvarmi, anche
se inutilmente,
quindi te lo devo proprio. E poi beh, lo sai, per me non sei proprio
quello che
la gente definirebbe ‘amico’.
Da dove inizio?Ecco, ho trovato: il motivo del mio
suicidio.
Non c’è molto da dire, mi sono semplicemente
stancato di vivere. Non ho alcun motivo per continuare a occupare
spazio e
risorse in questo mondo forse un po’ troppo crudele, niente
mi esalta ma tutto
mi rattrista e il pensare al futuro non fa altro che peggiorare la
situazione.
Ricordi quando vaneggiavo un possibile successo nel campo della musica?
Volevo
fare il chitarrista, chissà come mai, io che ho pochissima
manualità e ancor
meno coordinazione. Sembrava che vivessi solo per realizzare questo
grande mio
sogno. Eppure quel sogno ormai non mi sembra altro che un ricordo
sbiadito di
un capriccio infantile, nonostante lo coltivassi preziosamente fino a
qualche
mese fa. Cosa può essere mai cambiato in due mesi?
E’ quello che mi chiedo
anche io, in realtà. Forse destino, direbbe qualcuno
– io non ci credo a quelle
stronzate, però.
Ho semplicemente aperto gli occhi in un normale
mattino di scuola e mi sono detto “Questa
vita non mi appartiene più”. Ma
questa mia inerzia nel vivere te l’avevo già
descritta no?
Prima
di oggi – si perché ho intenzione di
uccidermi sta notte – ho sempre creduto che c’era
ancora una chance di
migliorare tutto, di potermi adattare alla realtà e pensavo
sarebbe successo
soprattutto grazie a te. Ma il problema è che sono
incompatibile con la realtà
e la realtà è incompatibile con me. E la
realtà si manifesta anche attraverso
le persone, no? Pensavo che la mia fosse semplice misantropia, o
vanità, o
scontrosità – insomma chiamala come vuoi
– invece ho capito che dentro di me
c’è qualcosa di profondamente sbagliato che va al
di là del semplice odio nei
confronti degli altri e amore per la solitudine.
C’è un qualcosa che non mi
permette di stare con le persone, e per persone adesso intendo te. Ogni
contatto avuto con te, Zach, per quanto favoloso, ha sempre trascinato
con sé
una profonda depressione, perché tra me e gli altri esseri
umani esiste un muro
invalicabile: più tento di scalfirlo con graffi, manate e
pugni più le mie
unghie sanguinano, la pelle si lacera, le ossa si frantumano. Che senso
ha fare
una cosa, per quanto mi renda momentaneamente felice, se dopo mi sento
spento per il resto
del tempo?
Quindi ho capito che nemmeno tu mi puoi aiutare:
parliamo due lingue diverse, tu quella della realtà, io la
mia personale e per
quanto io mi sforzi a comunicare con te attraverso gesti e parole, i
nostri
punti di riferimento saranno sempre differenti e mai riusciremo a
raggiungere
una serena comprensione. Io continuerò a dirti
“cioccolato” e tu continuerai a
capire “spaghetti” (questo perché mi sta
venendo fame, diciamocelo).
Ma nonostante questo, credo di non rimpiangere
nemmeno uno dei momenti trascorsi con te.
Ti ricordi quando ci siamo visti per la prima
volta? Io sinceramente no, è passato così tanto
tempo, ma ricordo bene quando
diventammo amici, o meglio, quando io ti annotai nella mia mente come
‘persona
interessante’.
Stavamo entrambi andando a scuola col treno, tu eri
seduto vicino al finestrino sulla destra, io ero nella posizione
opposta,
guardando il panorama scorrere attraverso il finestrino di sinistra.
Una
ragazza dai capelli rossi, prosperosa, altezzosa si avvicinò
a te, richiamando
l’attenzione con dei colpetti di tosse più o meno
marcati. Tu, che portavi gli
auricolari sotto la folta chioma nera, la notasti per caso mentre
ruotavi il
capo e il tuo sguardo si fissò nei suoi occhi verdi. Lei,
credendo di aver
ottenuto la tua attenzione iniziò a blaterare qualcosa sul
fatto che un amico
dell’ amica del migliore amico del suo ragazzo aveva chiesto
qualcosa riguardo
a qualcun altro (i
dettagli mi
sfuggirono, mi persi ad osservare il suo seno schiacciato e spinto
verso
l’esterno del reggiseno, in parte visibile).
Quando la sua bocca si fermò, tu dicesti
semplicemente “Hai mai visto un
unicorno con il mantello?”.
Quella
ti guardò per diversi secondi, sbattendo le
ciglia definite, poi tu ti tolsi gli auricolari, ti voltasti verso di
me e mi
chiedesti “E
tu?”.
“No, ma credo di aver
visto un’antilope in gonnella una volta.”
Non
aveva senso e non era nemmeno divertente,
pensandoci bene. Iniziammo una lunga dissertazione su animali esistenti
e non
con improbabili capi d’abbigliamento, lasciando la ragazza
ferma nel corridoio
del treno, osservandoci basita. Quella, dopo qualche minuto, con un “siete due
coglioni” se ne
andò e tu commentasti dicendo “E’
una normale terrestre,
non può capire”.
La
cosa che mi colpì, comunque, fu il tuo sguardo:
eri totalmente serio, come se realmente fossi un marziano caduto sulla
Terra
per caso, come se tu non appartenessi a questa realtà.
Successivamente scoprii
che non è così, che tu capisci molto bene la
realtà e ne fai parte
perfettamente. Peccato.
Ovviamente, poi, ricordo la prima volta che ci
baciammo. Hai in mente la mia ex, quella bassa, biondina? Beh, di
quella non ho
alcuna memoria di alcun contatto fisico, al punto che dubito anche di
averla
mai toccata. Con te è stato semplicemente un tripudio, la
mia nascita, il
momento in cui sentii di avere un posto nel mondo. Era una giornata
strana
quella – non ricordo esattamente la data – ma
ricordo che ero davvero nervoso.
C’erano i soliti problemi familiari (di cui iniziavo a
parlarti proprio in quel
periodo) e tu continuavi a scrivere messaggi a quella sciacquetta che
non posso
non odiare – Clara, se non sbaglio. Eravamo in camera tua,
sul grosso letto
matrimoniale al centro della stanza e iniziai a urlare furiosamente
cose senza
senso, accusandoti di cose che non avevi fatto, minacciandoti di
prenderti a
pugni (cosa che non avrei potuto fare, per motivi pratici). Incominciai
tutto
d’un tratto ad agitare le braccia, a sbattere le mani sul
materasso in modo
convulso. “Sei una troia
succhia
fighe, io sono il tuo fottuto migliore amico, mi devi rispettare!”
gridai. Tu mi prendesti le spalle e mi scuotesti
leggermente, la mia testa ondeggiò avanti e indietro.
Focalizzai la mia
attenzione sui tuoi occhi. Ti avvicinasti rapidamente, come un
fulmine: il
tuono era lo schiocco delle tue labbra sulle mie, un bacio a stampo. Ti
guardai
di nuovo, realmente sorpreso, con la bocca spalancata a mo’
di pesce lesso. Tu
mi dicesti: “embè?”.
“E ora?” ti risposi io. Ti avvicinasti di nuovo, mi
prendesti il labbro inferiore con le tue, iniziando ad accarezzarlo
delicatamente.
Morbidezza, una nuvola. Poi umido, la pioggia. Vertigini, sfarfallio
nello
stomaco. Infine il calore che mi intorpidì il corpo intero
(se fossi stato in
piedi, le mie ginocchia sarebbero diventate gelatina, come spesso
succedeva
fino a qualche tempo fa).
«Ecco
cosa è il sublime.
Altro che i temporali» pensai
abbandonandomi in un abbraccio quasi disperato, nascondendo il viso
arrossato
nell’incavo della tua spalla.
Non
descrivo, invece, la
prima volta in cui facemmo l’amore: fu un
totale sfacelo. Ma mi ricordo una notte, sempre a casa tua. Non fu
tanto
l’atto, ma il momento successivo. Era autunno, faceva
piuttosto freddo. Eravamo
stesi sotto il piumone blu notte, io avevo la testa appoggiata sul tuo
petto
nudo e leggermente inumidito dal sudore, sentivo il battito del tuo
cuore calmarsi
progressivamente, suono che mi rilassò ulteriormente.
Raggiunsi la pace
interiore quando la pioggia iniziò a colpire ritmicamente il
vetro della
finestra. La natura mi era amica e finalmente avevo trovato la persona
con la
quale avrei trascorso volentieri il resto della mia vista. Con una mano
iniziasti ad accarezzarmi i capelli mossi, io mi addormentai tra le tue
braccia. Non raggiunsi più una così completa
serenità, quello fu uno degli
ultimi giorni della mia vita interiore.
Un pomeriggio dei seguenti mi rivelasti della tua
partenza di due settimane per un particolare progetto scolastico.
Pensavo che
la cosa non mi avrebbe sconvolto, era un periodo breve in confronto ad
una
prospettiva di vita di almeno altri sessant’anni. La tua
partenza fu tranquilla,
ci salutammo con un bacio sulla rispettiva guancia e alcune battute su
una
possibile esplosione dell’aereo.
Durante quelle settimane, però, successe il fatto.
Il mondo cambiò il suo corso, forse la terra
modificò la sua orbita e iniziò a
cadere vertiginosamente verso il basso, infinitamente. Mi svegliai
quella
fatidica mattina e la realtà non fu più la stessa
(e di questo ti ho già
parlato). Quando ritornasti non riuscii più a stare con te
con la stessa
armonia, la natura non era più dalla mia parte, qualcuno
voleva che io morissi
e così successe: prima interiormente, stanotte fisicamente.
E’ già passato un
bel po’ di tempo da quel momento: ancora l’altro
ieri stavi tentando di
convincermi che la vita ha fascino, che sono ancora giovane e il futuro
mi
riserva la felicità, cazzate varie. Tu si che sei un
tutt’uno con la realtà: ti
ho spesso osservato mentre godevi di una passeggiata al parco, mentre
parlavi
con gente nuova, ti ho incoraggiato ad alimentare le tue ambizioni,
sicuramente
molto più realizzabili delle mie. Zach, tu ami la vita e
nonostante la tua
tristezza sei speranzoso, sai che c’è un posto per
te nella società e sei
conscio delle tue capacità di poterlo raggiungere. Sei
semplicemente me, ma con
una innata capacità di relazionarti con il mondo.
Rappresenti quello che io
vorrei essere, vorrei avere il tuo ottimismo, il tuo sorriso, la tua
voglia di
buttarti nell’ignoto, che consideri come una sfida.
E’ questa caratteristica in
noi differente che ti fa chiedere “Cosa
è successo? Perché vuoi morire?”. Ma non capisci, non puoi.
Ma passiamo alla
cosa per cui ti lascio questa
lettera. C’è una cosa in particolare che non ti ho
mai detto e che voglio assolutamente
che tu sappia. Abbiamo passato un sacco di tempo insieme, quasi
un’eternità, ma
mai nessuno di noi due ha sentito la necessità di esprimere
questo concetto. E' una cosa scontata, che entrambi abbiamo sentito, ma
che penso di dover esplicitare... Beh ti amo. Banale, eh? Ma
è così, e lo faccio con tutta la mia anima. Anche
dopo la nostra frattura non ho mai smesso di farlo, è
l’unica
certezza che ho, certezza che purtroppo non è sufficiente a
farmi sperare in un
futuro migliore. Sei stata per me la persona più importante,
sei stato la mia
casa, sei stato il mio punto di riferimento, sei stato la cioccolata
calda
davanti al camino, sei stato il temporale, sei stato ogni singolo
fiocco di una
forte nevicata. Sei stato la mia famiglia, sei stato il piumone blu del
tuo letto.
Sei stato tutto ciò che più ho amato nella mia
vita. Sei stato la vita stessa.
Ma tutto ciò non basta, la natura vince. Io perdo.
Beh, è giunto il momento. Ecco che tra le lacrime
mi appresto a recidere le vene a livello dei miei polsi, già
segnati da diverse
cicatrici (spero vivamente che non faccia troppo male morire, in caso
diventassi un fantasma cercherò di fartelo sapere).
Grazie per tutto quello che hai fatto per me, per
tutto quello che sei stato. Ti ringrazio e ancora una volta, ti amo.
Tuo, non della realtà,
Will.