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Autore: Alessia Da Deppo    14/11/2011    2 recensioni
La mia nuova fanfiction su Lorelai e Luke. Il loro primo incontro raccontato da quest'ultimo. Non so ancora come continuerà questa storia quindi fatemi sapere come vi piacerebbe che proseguisse.
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Lorelai Gilmore, Luke Danes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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- Dio, questa gente mi dà i nervi - continuavo a pensare. Il locale era affollato, quasi non si respirava. In più eravamo solo io e Caesar. E Caesar non è certo famoso per essere il cuoco più brillante e veloce del mondo... e neanche di Stars Hollow, direi. Ero nervoso. Avrei avuto voglia di prendere quel bel faccione grasso di quella signora scortese e sbatterla cento volte contro il muro verde del locale.

«
Questo hamburger non è ben cotto, sa?» mi disse con una faccia da schiaffi e un tono altrettanto maleducato. Forse ero semplicemente io quello nervoso. Non lo so.

«
Dubito non sia ben cotto dato che il mio collaboratore è talmente lento che gli inventori del forno si staranno rivoltando nella tomba.» le risposi con un tono altrettanto scortese.

Chissà chi sono gli inventori del forno, poi. Speravo non me lo chiedesse. E invece lo fece. C'era da aspettarselo da una donna come quella. Grugnii qualcosa e ritornai a vagare per il locale con mille piatti in mano, mentre la mia mente divagava pensando.

Non andavo d'accordo con i clienti. Non l'avevo mai fatto. Neanche quando questo posto era un ferramenta e lavoravo con mio padre. La gente di questo paese entrava qui dentro pretendendo chissà cosa, lamentandosi del lavoro fatto, trovando il minimo particolare sbagliato senza mai dire una buona parola su ciò che di giusto avevamo svolto; e, mentre mio padre rispondeva a tutti con un tono impeccabile, io li guardavo ruggendo interiormente. E talvolta scoppiavo, proprio come ora. Cibo e cacciaviti non sono poi così diversi. Eppure ho continuato ad amare il mio lavoro e soprattutto ad amare questo posto. Forse più l'ultimo che il primo; e sapevo che ciò era dovuto solo ed esclusivamente a mio padre. Mio padre era morto qualche anno prima, in un giorno di primavera come un altro. Non me lo sarei mai aspettato. Ogni giorno passato, scendendo le scale del mio appartamento, ho visto questi tavoli al posto degli scaffali di cacciaviti e attrezzi ed è stato come se me lo avessero detto ancora un'altra volta: "Luke, tuo padre è morto". Io e mio padre eravamo praticamente una cosa sola. Ci capivamo. Ed è quello che non è più accaduto con nessuno. Nessuno riesce a capire i miei silenzi, i miei sbalzi d'umore. Lo so, sono lunatico, ma non sono l'unico al mondo, credo. Eppure nessuno riesce a capire che quando sono nervoso, sono nervoso... né più né meno. Invece no, mi guardano con quel viso scocciato e triste e mi fanno sentire in colpa. Come se non mi sentissi così già sufficientemente di mio. Così ha sempre fatto Rachel, e poi se n'è andata. Sono io quello sbagliato, sono io quello meno interessante di chissà quale bel luogo Europeo, Orientale. Lo credo, lo so, ma non per questo lo capisco. Rachel mi manca ogni giorno. Mi manca la presenza di una donna a casa che mi aspetta e mi accarezza dopo una stancante giornata di lavoro. Non so se l'ho amata davvero, so solo che le ho dato tutto quello che sono. Purtroppo non sono abbastanza, né per lei né probabilmente per nessun'altra donna su questo pianeta. Sono un uomo troppo banale, normale. E' ovvio che dopo qualche tempo si stanchino della mia routine e vadano in cerca di qualcosa di nuovo e più interessante. Non accuso Rachel di niente, e nemmeno Anna. So che sono troppo inquadrato e troppo semplice. - Alle donne come quelle piacciono gli uomini turbolenti! - me lo sono ripetuto milioni di volte, ma alla fine ci sono sempre ricascato: le donne forti mi attraggano come un'enorme calamita. E solo un'ameba potrebbe sopportarmi... e non ne sono neanche del tutto certo. Sono un uomo che ama la normalità e di certo questa non è la cosa più eccitante del mondo. Mi piace andare a cena qualche volta, ma preferisco cucinare per la mia donna, passare una serata insieme tranquilla a casa. Non mi piace uscire né in città né qui a Stars Hollow. Oh, e odio le assemblee cittadine. Ci vado solo per urlare in faccia a Taylor Doose quanto lo detesto. Taylor Doose è un uomo che, per un motivo a me inspiegabile, da sfigato della scuola è diventato il capo della città e forse del mondo intero. Crede di essere l'unico in grado di prendere decisioni fantasmagoriche e puntualmente ne prende di sbagliate o di completamente insensate. Contento lui, contenti tutti. Quando eravamo giovani (io ero al primo anno delle scuole superiori e lui all'ultimo) gli avevo fregato la ragazza. La soddisfazione più grande della mia vita. Ancora adesso, quando il mio carattere lunatico decide di colpire, penso a quest'aneddoto per tirarmi su di morale. Il mio umore cambia radicalmente ogni volta. Che bei ricordi. Peccato che lasciai subito quella ragazza perché non mi piaceva e poi mi sentii in colpa. Non sono mai stato un playboy e credo non riuscirò mai ad esserlo. Per esagerare, sarò uscito con tre donne più o meno. Stato seriamente con due: Anna e Rachel, appunto. E' andata male con entrambe e i motivi veri li ho già elencati. Quello che mi ha detto Rachel è che sarebbe dovuta partire per fotografare i pinguini dell'Antartide e poi fare Dio sa cosa. D'altronde come rinunciare ad una fulgida carriera da fotografa per un uomo come me? Anna invece sparì semplicemente: nessun biglietto, nessuna finta scusa per non dirmi che ero troppo noioso per una donna forte, indipendente e dura come il marmo come lei. Ora sono passati quattro anni da quando Rachel se n'è andata e sono ancora qui a pensarla. Forse il mio vero problema, oltre alla noiosità estrema, è che non so esprimere i miei sentimenti. Non ci sono mai riuscito neanche con mio padre che era sangue del mio sangue e che conoscevo da quando sono nato, figurarsi se ci potevo riuscire con una donna. Queste cose portano soltanto al rimorso: rimpiango di non aver mai detto a mio padre quanto gli volevo bene prima che morisse e rimpiango di non essere riuscito ad urlare a Rachel, quando con le valige e gli occhi lucidi apriva la porta del mio appartamento per andarsene, di non partire, di non lasciarmi in questo buco di appartamento da solo senza lei; e neanche a dirle che saremmo potuti andare a vivere insieme in una casa grande, bianca e col giardino, come voleva lei, purché non se ne andasse. Non l'ho fatto e ora lo rimpiango. Rachel mi manda una cartolina ogni volta che visita un nuovo luogo, più o meno una ogni tre mesi. Non ha capito che di quei luoghi che me l'hanno portata via non me ne frega proprio niente. Preferirei mille volte ricevere una sua foto per vedere se è cambiata, se ha ancora i capelli lunghi fin sotto le spalle come un tempo, se porta ancora la sciarpa rossa che le avevo regalato e che non si era mai tolta. Dopo Rachel sono uscito con altre donne, ma nessuna aveva quella forza caratteriale, quella stranezza affascinante, quel contrapporsi di voglia di libertà, di viaggiare, ad un carattere tranquillo e pacato. Forse quando sarò del tutto disperato, tra circa trent'anni, accetterò la proposta di matrimonio di Miss Patty. Giusto per non passare la vecchiaia da solo.

Proprio mentre pensavo a questo, entrò nel locale Patty e capii che avevo detto un'esorbitante cavolata e che, con ogni probabilità, avrei preferito morire da solo nel mio appartamento ed essere ritrovato seduto sulla mia poltrona un mese dopo. Miss Patty entrò con una donna che non avevo mai visto, alta e con i capelli neri. Fu l'unica cosa che vidi di lei, ma sentii che diceva: «Necessito di un triplo caffè - e magari corretto - per affrontare un'altra mezza giornata in quell'albergo di pazzi!
».

Le cose erano due: o era una turista che aveva scelto uno di quei ironici alberghetti della città pieni di cose strampalate e cigni in porcellana, e stava per dare di matto, o lavorava qui a Stars Hollow - e allora aveva tutto il mio supporto emotivo -. Comunque Patty sembrava conoscerla molto bene. Non ci feci più caso e subito chiesi al cliente di turno cosa volesse. Proprio quando stavo annotando l'ordinazione sul mio piccolo bloc-notes, mi girai trovando la donna alta dai capelli neri a più o meno cinque centimetri dal mio viso.

«
Ho un insano bisogno di caffè.» esordì.

- Cavolo, che occhi azzurrissimi. - pensai. Subito mi ripresi scuotendo la testa. "Mai farsi trovare sorpreso davanti ad un cliente donna che cerca di superare la fila... nemmeno se ha degl'occhi stupendi.". La ignorai e ricominciai a prendere le ordinazioni dell'altro migliaio di clienti impazienti quanto lei.

«
Ho bisogno di caffè. Ho bisogno di caffè. Ho bisogno di caffè. – canticchiò - Senta, lei non può capire. Sono affetta da un morbo incurabile di caffeinomania. Se lei non mi darà quel caffè, io impazzirò, esploderò e riempirò il suo locale di viscide membra fuoriuscite dal mio corpo! E lei non vuole che accada, vero?»

«Aspetti il suo turno.» replicai guardandola meglio.

Era davvero bella. Mi si strinse lo stomaco guardandola quel secondo nel cercare di capire se effettivamente non la conoscessi. Non mi era mai capitato di vedere una donna e pensare subito che fosse bellissima. Magari ne conoscevo, ne vedevo di donne bellissime, forse anche più di questa pazza caffeinomane, ma non mi era mai capitato di pensarci. L'ho sempre trovato insano, una cosa che fanno solo i pervertiti. Ma ora forse capivo meglio. Non si trattava di volermela portare a letto, era l'ultima cosa che mi passava per l'anticamera del cervello - anche perché probabilmente era in procinto di farsi rinchiudere in una clinica psichiatrica vista la quantità maniacale di cose insensate che fuoriuscivano dalla sua bocca - però in quel momento riuscivo solo a pensare che fosse bellissima. E che era una pazza maniaca da ignorare, certo. Tutto ciò probabilmente era dovuto alla mia solitudine prolungata. D'altronde poco prima avevo pensato che tra trent'anni mi sarei potuto anche sposare con Miss Patty. Presi i quattro piatti che finalmente Caesar era riuscito - probabilmente dopandosi - a cucinare e mi diressi verso i tavoli che dovevo servire. La pazza mi inseguì parlando alla velocità della luce.

«
La prego! Non le costa niente darmi un misero caffè! Cosa deve fare, poi, di così importante? Portare due piatti qua e là! Lo so che sotto quella camicia di flanella a quadri si nasconde un uomo tenero e sotto quella maschera burbera un uomo gentile! Sto per impazzire, mi creda.»
 
«
Non avevo dubbi.»

«Ecco, vede? Ha parlato! Ed ha anche una bella voce!»

«Questo non la porterà da nessuna parte.»

«Okay, ha proprio una voce orribile, sa? Contento? Ora me lo dà questo caffè?»

«Le ho detto che deve aspettare il suo turno.»

«Lei non capisce: non resisto un minuto di più! Gliel'ho già detto: esploderò! Necessito di un caffè! Ha presente quella sostanza liquida marrone? Io non vivo senza. Lavoro all'Indipendence Inn e, mi creda, lavorare con un pazzo francese, con più o meno un centinaio di clienti, in una giornata come questa e senza caffè è più o meno come rivivere le Fatiche di Ercole! Basta che lei vada lì dietro quel grazioso bancone, prenda uno di quei barattoli bianchi, ci versi quella fantasmagorica bevanda ricca di caffeina, lo chiuda e me lo dia. E poi io sparirò per sempre.»

Rimase in silenzio per un attimo continuando ad inseguirmi, mentre io cercavo di servire gli altri clienti arrivati molto prima di lei.
«
Niente da fare, bel tenebroso?» disse sbattendo le mani sui suoi jeans.

Mi veniva da sorridere nonostante mi stesse facendo impazzire. Era davvero da manicomio.

«
Allora ho un'altra fantastica proposta che non potrà rifiutare. Ora mi dice quanto costa quella bevanda scesa direttamente dall'Olimpo, io le infilo 5 dollari nella taschina di quella calda camicia - o in quella dei jeans se vuole anche una mini-ricompensa in natura - e poi mi defilo dietro quel bancone, faccio tutto da sola e me ne vado. La migliore idea del secolo, non crede? Potrebbe anche prenderla seriamente in considerazione! Un Duke's... no, aspetti, come si chiama lei? Beh, "quel che è" self-service! Dai, la prego! Mi dia quel caffè! Nessuno la impiccherà perché ha servito una cliente prima di altri! Penseranno tutti che mi stia semplicemente facendo un po' di corte! I più nervosi le diranno che non si fa così, i più maliziosi le faranno qualche coretto, e tutto sarà finito nel migliore dei modi! Lei si sarà liberato di me e della mia parlantina ed io avrò bevuto la mia fonte di sostentamento quotidiana e avrò placato la mia disidratazione perché sto parlando talmente tanto che la mia lingua ha voglia di stramazzare a terra! Un po' come farò io se non mi darà quel caffè, tra l'altro! La supplico! Vede, se...»

«Senta, mi sta scocciando! Si sieda, stia zitta e aspetti il suo turno! Arriverò da lei quando arriverò da lei!» sbraitai.

Incredibile: si sedette al bancone. Ma le mie speranze che potesse tacere erano evidentemente vane.

«
Ehi, bel tenebroso, quand’è il suo compleanno?»

«E a lei che interessa?» replicai guardando il bloc-notes dove stavo scrivendo un’ordinazione senza senso, visto che qualcuno mi stava rendendo matto.

«
Credo ai segni zodiacali. Lei ci crede?»

«No.»
 
«
E’ laureato per caso in monosillabismo?»

«No.»

«Allora mi dice quando è il suo compleanno?»
 
«
Non le darò il suo dannato caffè e non le dirò nemmeno quando è il mio compleanno. E’ per caso una di quelle odiose donne che girano per le case cercando di vendere aspirapolveri? No, perché ne ho già uno ed anche molto efficiente.»
 
«
Wow, dovrei insistere per il mio caffè bollente e rovesciarglielo in testa dopo che mi ha paragonato ad una venditrice di aspirapolveri, ma la risparmio solamente perché è riuscito a pronunciare delle parole più lunghe di una sillaba. – un’espressione alquanto stravagante le si dipinse sul viso e alzò il braccio sinistro - Una venditrice di aspirapolveri… puah! Io le odio quelle!»

«Bene, abbiamo una cosa in comune.»

«Due frasi compiute! Un record, Duke!»

«Luke.»

«Duke era un nome più regale»

In quel momento capii che con quella donna sarei potuto essere scorbutico quanto avessi voluto, ma non sarebbe servito.

«
Allora me lo dice il suo compleanno? Secondo me è un freddo Capricorno.»
 
«
Si sbaglia.»

«Faccio progressi! Posso addirittura eliminare un segno su dodici!»

«Senta, è il 9 Novembre. Ora la smetta di rompere e aspetti il suo dannato turno.»

«Un affascinante Scorpione! Vede? L’avevo detto che lei era un bel tenebroso, Duke.»
 
«
Luke!»

«Mi scusi!» pronunciò lentamente e con un’espressione diabolica.

La guardai qualche secondo, mentre si faceva allungare un giornale appoggiato lì vicino da un cliente. Non volevo nemmeno immaginare cosa stesse facendo quella povera pazza. Eppure l’idea contorta di darle quel caffè e chiederle come si chiamava, cercare di capire qualcosa in più di quegl’occhi azzurrissimi che luccicavano in quel modo inspiegabile mi balzava sempre più in testa. Un po’ come l’idea che fosse incredibilmente bella. - Io con quella? Ma dai! -. Questa era la risposta più razionale che mi venisse in mente e che mi impediva di rinunciare alla mia maschera rude e incattivita.

«
Lorelai, che diavolo combini, zucchero?» sentii Babette chiedere guardando verso me e lei. Verso noi.

«
Niente di più pazzo di quello che mi vedi fare normalmente fuori casa, Babette.» rispose la donna bellissima.

- "La donna pazza" volevi pensare... vero, Luke? - Chissà se si può pensare una cosa per un’altra. Comunque ora sapevo il suo nome: Lorelai. Lorelai… l’avevo sentita nominare. E ora sapevo anche che abitava vicino a quell’altra matta di Babette. Mentre cercavo di capire qualcosa in più di quello che mi stava accadendo e il perché continuassi a pensare che fosse così eccessivamente bella, la guardai. Stava scrivendo sul giornale, il giornale del mio locale. E poi ne strappò un pezzettino.

«
Ehi, Scorpione tenebroso, tenga.» mi porse il pezzettino di giornale con espressione più seria.

«
Io quel giornale l’avevo comprato per leggerlo intero.»

«Lei legga intanto. Poi se vuole glielo pago.»

"Scorpione: Oggi incontrerai una donna noiosa. Dalle un caffè e se ne andrà."

Alzai gli occhi per guardarla un secondo e mi voltai perché mi stava scappando un sorriso. Finsi di sbuffare, presi la caffettiera, le versai quel dannato caffè e glielo porsi.
«
Bene. Ora se ne va?» dissi appoggiando entrambe le mani al bancone e guardandola voltando il viso da un lato.

«
Caffè caffè caffè!» esultò in modo bizzarro prendendo il barattolo di caffè tra le mani. Ma non se ne andò.

«
Ehi, comunque non butti il mio oroscopo.»

«Perché non dovrei?»

«Lo tenga nel portafoglio e lo porti con sé. Le porterà fortuna un giorno.» rispose frugando nella borsa.

Io grugnii un secondo guardandola ancora. - Ma perché non riesco a staccarle gli occhi di dosso? -

«
Ma davvero non crede agli oroscopi?»

«Che ne so.»
 
«
Saprà quel che pensa…»
 
«
Boh. Se li inventano. Un po’ come ha fatto proprio lei poco fa.» 

«
Che ne sa lei che io non sono in contatto con le stelle?»
 
«
Ma si guardi…»

«Cos’ho che non va?»

«Sembra una che vende aspirapolveri, ricorda?»
 
Lei annuì compiaciuta del nostro battibecco. Ci riusciva bene: battibeccare. In quel momento avrei voluto passare del tempo con lei, del tempo lontani dal locale e da tutta quella gente. E proprio quando quell’idea malsana mi stava balenando in mente, arrivò il colpo di grazia. Vidi che guardando in basso le sue labbra si stavano increspando e poi alzò il viso. Un sorriso enorme, bianchissimo, le si era dipinto sul viso. Pensai di non aver mai visto niente di più bello. Rimasi fermo a guardarla scosso, e non sapevo perché.

«
Perché mi guarda adesso?» chiese.

Dava l’idea di sapere perfettamente perché lo facessi.

Balbettai qualcosa a fatica.
«
Nie… niente. Penso semplicemente che lei sia una povera pazza.»

«Me lo dicono in molti.»

«Non ha mai pensato che potrebbero aver ragione?»

«Certo.»

«Allora si faccia curare.»

«E lei sia più cortese e legga di più gli oroscopi. Ha visto che consigli utili che possono uscirne?»

«Non mi pare. Visto che lei se ne doveva andare ed è ancora qui a stressarmi con la sua parlantina incessante.»

Eppure mi dava l’idea che sapesse che non stavo facendo sul serio, che sapesse che non pensavo né che fosse pazza né che assomigliasse ad una venditrice di aspirapolveri. Magari fossero state tutte così le venditrici di aspirapolveri che avevo incontrato. Il mio mondo sarebbe stato un mondo più felice. – Ma che diavolo stai pensando? -  

Poi si alzo, si rinfilò un cappotto lungo e rosso sbiadito e mi guardò. Con quel rosso i suoi occhi sembravano prendere ancora più vita.
«
Bene, Duke. Si ricordi di portare con sé l’oroscopo, eh! Ci tengo!»

«E lei si ricordi che mi chiamo Luke!» urlai mentre Lorelai stava uscendo dalla porta.

Lei si voltò e ricambiò l’urlo.
«
Le ho già detto che Duke è più regale!»

Lorelai… chissà se l’avrei rivista. Sembrava una donna forte. Quando la parola “forte” mi passò solo per l’anticamera del cervello avrei tanto voluto schiaffeggiarmi. Anzi, sarei stato persino disposto a farmi schiaffeggiare da Taylor Doose. - Forte? Io con le donne forti non devo averci a che fare! -. Le donne forti vogliono gli uomini turbolenti ed io forse ero - come diceva lei - tenebroso, ma turbolento proprio no. E poi era troppo bella per voler uscire con uno come me. Presi l’oroscopo che avevo appoggiato al bancone e lo rilessi. Aveva anche una bella scrittura. Un po’ stravagante, ma bella. Sorrisi scuotendo la testa, estrassi il portafoglio dalla tasca dei jeans e vi infilai con cura il piccolo foglietto piegandolo in due. Non volevo si strappasse. Intanto l’avrei tenuto lì, per quanto non l’avrei mai saputo.

Tutto il giorno ripensai a quella Lorelai. Chissà perché mi aveva colpito, poi. Era una donna che beveva caffè – ed io odio il caffè – ed era probabilmente da rinchiudere in qualche cella sotterranea per farla smettere di dire cento parole al secondo. Era una mitraglia. Insomma, lei era veramente bella ed io non sono un granché. Lei parlava a vanvera ed io, l’aveva detto lei stessa, sarei potuto essere laureato in monossillabismo. Lei amava il caffè e io lo odio. L’avevo vista un quarto d’ora e avevo già notato tre insormontabili differenze tra noi. E chissà quante altre ne sarebbero potute emergere se fosse rimasta altri cinque minuti. Probabilmente troppe. E allora cosa mi spingeva a volerle conoscere a fondo tutte? Mi stavo tormentando. E mi stavo tormentando per una donna vista quindici minuti all’ora di pranzo e che mi aveva quasi fatto ricoverare con lei in un reparto psichiatria. Forse ne avevo davvero bisogno: di un reparto psichiatria. Probabilmente, poi, era già sposata. Una donna così non può essere che già occupata e con una fila chilometrica di pretendenti che solo aspettano che suo marito commetta un passo falso e divorzino. Ero l’ultimo della fila, in fondo, e quello con meno possibilità. - Non riesco a provarci con le donne normali, figurati con una come quella. - E poi, se non fosse stata sposata od occupata, avrebbe semplicemente voluto dire che avevo ragione: era talmente suonata che non la voleva nessuno. E, non ultima cosa, chissà se l’avrei mai rivista.

Eppure quegl’occhi che continuavano a luccicare, quel sorriso che mi aveva rapito… 
 
  
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