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Autore: BNikki_    15/11/2011    7 recensioni
Avvolti nell'oscurità più totale, braccati da un nemico che si insinua silenzioso... Kate e Rick possono solo cercare di restare uniti e non perdere il senno...o la vita. Ci riusciranno? ONESHOT
Genere: Introspettivo, Romantico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kate Beckett, Rick Castle
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Quarta stagione
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Disclaimer: Niente di tutto ciò che riguarda Castle è mio. Sob!


Darkness Falls

Buio.
Buio completo. Fu la prima consapevolezza a raggiungere il suo livello cosciente. Sbatté le palpebre più e più volte, ma nemmeno il più lieve chiarore raggiunse le sue retine. Sentì lo stomaco annodarsi in un groviglio di panico.
Sono cieca? Sono sepolta? Morirò? Sono già morta.
La seconda consapevolezza fu il dolore. La testa le pulsava e le ossa del bacino le dolevano, doveva essere stata colpita e aver sbattuto da qualche parte. I tendini delle gambe e del collo erano come lame taglienti nella carne, probabilmente era rimasta per ore in quella posizione rannicchiata, priva di sensi. Ma i suoi polsi... I polsi avevano il fuoco intorno. Mosse un poco le braccia, raccolte vicino al viso in una posizione innaturale, e udì un tintinnio metallico. Era legata. Fece scivolare le dita fino alla morsa che la stringeva, gemendo per il dolore che provava alle articolazioni. Manette.

Buio. Buio pesto.
Aveva ripreso i sensi da circa un'ora. O forse da diverse ore... Non era più in grado di stabilirlo, l'oscurità lo aveva privato di ogni riferimento spaziale e temporale. Sedeva a terra, la schiena contro una parete di mattoni senza intonaco: poteva sentire il profilo di ogni mattone graffiargli le scapole attraverso la stoffa della giacca. Il pavimento era umido, doveva trovarsi sotto terra, in una cantina probabilmente. Aveva già tastato le manette che lo legavano e il tubo, di un paio di pollici di diametro, dietro al quale erano inanellate, ma l'acciaio e il piombo non si piegavano ai suoi strappi e il tubo era saldamente murato nella parete di mattoni.
Aveva urlato. Aveva gridato richieste di aiuto, ma la sua voce si perdeva nella stanza come se non avesse pareti, come se intorno a lui ci fosse solo il vuoto cosmico.
Aveva già tentato per alcuni minuti di trasmettere un S.O.S. in codice morse battendo con le manette sulla tubatura. Punto punto punto linea linea linea punto punto punto.
Ma il buio stava avendo la meglio. Il buio gli stava togliendo ogni forza. E il pensiero di lei lontana, ferita o perduta per sempre lo avvinghiava e lo paralizzava.
Con il viso nascosto nella manica della giacca, le braccia inutili appese alle manette, rimase immobile ad ascoltare i battiti del suo cuore e il rumore della pioggia battente, lontano, attutito. Gli unici suoni nell'oscurità.

Un gemito.
Un sospiro.
Alzò la testa allarmato e guardò di fronte a lui, gli occhi aperti, spalancati, per essere pronto al pericolo. Ma non vedeva niente, nemmeno il più piccolo barlume di luce.
Ancora un gemito. E un tintinnio metallico.
"Hey!" gridò. La voce si perse di nuovo nel vuoto.
"Hey!" gridò di nuovo.
Poi il miracolo:
"Castle? Sei tu?". La voce di Beckett era flebile, proveniva da un punto a distanza indefinita di fronte a lui.
"Kate!? O dio...stai bene?"
"Sì..." la risposta aveva un tono incerto che non gli piacque.
"Sei ferita?" chiese preoccupato.
"No. Solo...disorientata. Mi hanno colpito alla testa, sono svenuta... Non mi ricordo niente a dire il vero... Tu stai bene?"
"Hanno colpito anche me. Ma sono sveglio da un po’. Ho gridato, ho fatto un baccano del diavolo... Io... non ti ho sentita, pensavo che non avessero portato qui anche te."
"Sono ammanettata ad una specie di tubo."
"Anche io."
"Vedi qualcosa? Una fessura, una finestra?"
"No. E' completamente buio. C'è molta umidità, direi che ci troviamo sotto terra... forse in un rifugio antiatomico?"
"Mmm. In genere sono più confortevoli... Direi più una cantina..."
La sentì dare forti strattonate alle manette nel tentativo di liberarsi. Il tubo vibrava e risuonava come la canna di un organo. Dopo qualche secondo gemette di dolore e si fermò.
"Stai bene?" chiese lui cautamente dopo qualche attimo di silenzio.
"Sì." la voce era un po' amareggiata.
Rimasero silenziosi per qualche minuto. La mente di Kate era al lavoro, cercava di ricordare esattamente tutti gli eventi precedenti al suo risveglio in quella cantina buia.
Stavano lavorando al caso Mallard. Avevano raggiunto in macchina, sotto la pioggia, un posto di nome Bolgary, un pugno di case sparse in una zona collinare del New Jersey, dove la vittima era nata e cresciuta prima di trasferirsi a New York. Avevano parlato con il sindaco e poi con la madre di Mallard, senza trovare la benché minima pista. Prima di rientrare si erano fermati alla stazione di servizio appena fuori dal centro del paese e, mentre alla radio diffondevano comunicati allarmanti sullo stato di allerta meteo per le forti piogge, per qualche motivo Castle aveva chiesto al gestore informazioni su Mallard. Il tizio li aveva indirizzati verso una casa a poche miglia più a valle. Per raggiungerla aveva guidato lungo una strada sterrata che con la pioggia si stava lentamente trasformando in un fiume di fango...
Ma non riusciva a ricordare cosa era accaduto dopo.
"Castle, come ci hanno portati qua sotto?"
"Beh, ricordo che la signora Bent ci ha fatti entrare in casa e ci ha chiesto se volevamo un caffè."
"La signora Bent?"
"Margareth Bent Mallard, cognata della vittima."
Beckett frugò nei ricordi e dopo un attimo le apparve il volto di una donna dai capelli paglierini e le guance scavate.
"Il marito! Il marito è il fratello della vittima, è stato lui a colpirci!"
"E' possibile. Non mi ero accorto che ci fosse qualcun altro in casa..."
Entrambi tacquero per qualche secondo.
"Credi che ci uccideranno?" chiese Castle con un filo di voce.
"Non lo so, Castle. Ma forse se avessero voluto ucciderci lo avrebbero già fatto."
Rick non rispose. D'un tratto entrambi tornarono ad essere dolorosamente consapevoli dell'oscurità che li avvolgeva in maniera quasi solida, come un fluido attraverso il quale era impossibile muoversi e molto difficile respirare.
Forse siamo già morti, pensò Rick, di sicuro l'inferno è un posto molto buio...

"Kate?"
"Mmm."
"Sei sveglia?"
"Sì. Non è una posizione in cui mi è facile dormire..."
"Ti va di parlare un po'?"
Beckett esitò un secondo: i suoi sensi di ragno avevano percepito una vibrazione.
"Hai paura del buio, Castle?" la buttò sullo scherzo. La solita manovra diversiva.
Lui ridacchiò.
"No detective, ho paura che non usciremo mai più di qui..."
Kate non rispose.
Castle si rese conto di non aver detto la cosa giusta e cercò di recuperare:
"...e devo andare in bagno!"
La sentì sussurrare una risatina e si rilassò di nuovo contro la parete.
Dopo un minuto la udì sospirare rassegnata: "Ok, Castle. Di cosa vuoi parlare?"
Ci pensò un attimo e poi rispose:
"Raccontami del cottage di tuo padre, dove si trova?"
Lei sospirò: "Castle, io non..."
"Descrivimilo. Mi serve per il prossimo libro."
Kate esitò, ma alla fine cedette:
"E' in montagna, sui Catskills. E' una piccola casetta in pietra e legno, con il tetto a spiovente per far scivolare la neve. C'è il camino! Io adoro il camino! Nei tre mesi di riabilitazione ho passato ore e ore a leggere e a guardare il fuoco..."
"E' così che ti immaginavo..."
Kate tacque per un momento, poi riprese: "Ho camminato molto. Ci sono dei bellissimi sentieri che si perdono nella foresta. Il parco è molto curato, il sottobosco è pulito ed è facile camminare tra gli alberi."
Mentre parlava la stanza sembrava non essere più avvolta dalle tenebre, ma circondata da alberi e la luce filtrava attraverso i rami immaginari. Il potere della fantasia.
La voce di Rick riecheggiò in quel bosco:
"Mi sei mancata."
La sentì trattenere il respiro e lottare qualche secondo con i demoni della sua mente, ma fu lei a vincere:
"Anche tu, Rick." disse tutto d'un fiato "Ti ho pensato... Io...non potevo chiamarti. Non prima di aver recuperato le forze. Non prima di aver ripreso contatto con me stessa."
"Lo so. Non sto recriminando..."
Non sta recriminando, gli sono mancata. Voleva solo dirmi che gli sono mancata.
"Anche tu mi sei mancato, Rick. Quando usciremo da qui... Il prossimo weekend, ti porterò sui Catskills, così vedrai il cottage e potrai descriverlo nel tuo libro. Nikki e Rook in montagna?"
Lo sentì ridere.
Gli occhi le si riempirono di lacrime... Usciremo mai da qui? Aveva freddo, stava tremando e le mani avevano perso sensibilità.
Si alzò in piedi cercando di riattivare i muscoli intirizziti e ricominciò a strattonare manette e tubo.
Lui fece lo stesso, invano.

"Castle? Rick?"
"Sono qui."
"Parliamo. Ho freddo e mi si chiudono gli occhi... Ma non voglio dormire. Ho paura di non risvegliarmi..."
"Kate... Sì, parliamo."
"Sta ancora piovendo..."
"Sì, non ha smesso un attimo. La parete qui è sempre più umida..." disse Rick muovendo la schiena infreddolito. Sentì l'umidità arrivargli sempre più in profondità nelle ossa.
Kate non disse niente. Nel punto in cui era accucciata sul pavimento si stava formando una piccola pozza d'acqua. Aveva provato a stare in piedi o a sedere sui talloni per non bagnarsi, ma in breve tempo la spossatezza si era impadronita di lei e si era di nuovo accasciata a terra, lasciando che i vestisti si inzuppassero. Ma era meglio non dire niente a Castle.
"Che dici Rick, potremmo essere in realtà nel passaggio segreto sotto all'Old Haunt?"
"Già...ma no, non ho sentito abbastanza topi..."
Kate ridacchiò...
"A dire il vero questa situazione mi fa pensare al freezer..." disse lui dopo qualche secondo. Kate annuì ma lui non poteva vederla.
"...con qualche differenza sostanziale..."
Lei rimase silenziosa mentre il ricordo e le sensazioni di quel momento terribile le riaffioravano dalla memoria:
"Ho davvero creduto di morire quel giorno..."
"Io sarei morto felice, perché tutto quello che potevo desiderare lo stringevo tra le mie braccia."
Kate sorrise nell'oscurità, ma lui vide lo stesso quel sorriso. Lo sentì sulla pelle.
"Un caldo abbraccio è proprio quello che mi ci vorrebbe ora, Castle..."
"Stai tremando!". La voce modulata dal tremore l'aveva tradita.
"Castle, non so come dirtelo...credo che ci sia un dito d'acqua qui sul pavimento, questa zona della stanza deve essere in discesa..."
"No, c'è un dito d'acqua anche qui." disse lui con preoccupazione crescente... Non aveva detto niente prima credendola all'asciutto.
"Sta salendo abbastanza rapidamente..."
La sentì alzarsi di nuovo in piedi, l'acqua schizzata, schiaffeggiata dai suoi movimenti.
"Castle dobbiamo uscire da qui!"
Ricominciò a strattonare il tubo. Uno, due, ...dieci colpi di metallo contro metallo, ciascuno accompagnato da un gemito di sforzo e dolore.
"Maledizione..."
Ancora strattonate, stridio di metallo contro metallo. Il rumore di una pioggia di piccoli detriti dentro l'acqua, probabilmente l'intonaco.
"Maledetto tubo!" gridò lei.
"Kate!"
Colpi e gemiti.
"Kate! Fermati!...Kate!"
Si fermò ansimando...
"Ascoltami! Lo so che hai paura. Anche io ho paura. Ma adesso voglio che tu sia sincera... Kate, da quando hai cominciato... il tubo ha ceduto un po'?"
La risposta arrivò come un sussurro:
"No..."
"Ok. Va bene... Kate, ascoltami, voglio che tu smetta. Risparmia le forze... Continuiamo a parlare, ok?"
Nessuna risposta, ma il suo respiro era tornato regolare. "Kate?"
"Rick... io... voglio uscire di qui...". La voce era irruvidita dalle lacrime.
"Anch'io... Ma non voglio che ti spezzi un polso nel tentativo."
"Ho paura, Rick..."
"Sono qui con te! Ascolta la mia voce... Non ti lascerò mai, capito? Non ti lascerò mai!"

Continuò a parlare per tenerla calma e farle sentire la sua presenza. Le raccontò tutti gli eventi significativi della vita di Alexis, dal primo dentino al giorno in cui rientrando in casa l'aveva sorpresa sul divano intenta a baciare Ashley. Di tanto in tanto le faceva una domanda e insisteva fino a che non avesse risposto: un modo per controllare che stesse bene e che fosse vigile.
Intanto l'acqua arrivava loro alle ginocchia.

"Sai cosa mi...mi manda in bestia?" disse ad un tratto lei tremante.
"Cosa?"
"Il buio. Se devo morire... accidenti, voglio guardare in faccia la morte! Voglio poter lottare o almeno vedere cosa mi aspetta!".
Tacque e emise un lungo e tremolato sospiro...
"E voglio vedere te... Voglio guardarti ancora negli occhi..."
"Kate..."
Piangeva. Erano immersi nell'acqua gelida e fangosa fino alla vita.

Margareth Bent era un'anima fragile. Era sposata da 15 anni e suo marito, Ralph, la picchiava da altrettanti anni. Lei lo amava, ma soprattutto ne era dipendente. Per lui soffriva nel corpo e nell'anima, ma in cuor suo sentiva che era giusto così, che la sofferenza era ciò che lei meritava. Ralph era più intelligente, aveva studiato, sapeva fare tante cose. Lei sapeva a malapena governare la casa e quando, di tanto in tanto, aveva combinato qualche pasticcio, non una volta prima che lui le desse un ceffone era riuscita a trovare una giustificazione sensata che potesse deviare la sua mano. Aveva anche smesso di tentare di giustificarsi, si limitava piuttosto a dire: "Tesoro, mi dispiace, hai ragione... non sono capace..." mentre lui le faceva sanguinare il naso.
Margareth non aveva nemmeno pensato di avvertire i due poliziotti di New York quando aveva visto Ralph avvicinarsi di soppiatto alle loro spalle per poi colpirli alla nuca con il calcio del fucile. Suo marito era intelligente e sapeva quel che faceva.
Ma poi lui aveva trascinato i due poveretti nel bunker, li aveva incatenati al muro ancora privi di sensi e se n'era andato con il pick-up, lasciandola a sistemare bacinelle in giro per casa per raccogliere l'acqua che gocciava dalle crepe del soffitto.
Pioveva a dirotto. Da ore.
Margareth lanciò un'ultima occhiata al cielo cupo e alla pioggia sferzante e prese una decisione. Lei non era una donna intelligente, ma aveva vissuto a Bolgary da sempre, conosceva quelle colline... e ora quel torrente che le passava dietro casa non prometteva niente di buono. Non era una donna intelligente, ma non avrebbe fatto 'la fine del topo'!
In un attimo infilò gli stivali di gomma e la giacca pesante con il cappuccio. Le chiavi del bunker erano appese nello stanzino, le prese e afferrò un tronchese e una torcia dalla cassetta degli attrezzi.
Quando aprì la porta blindata e vide la scala di cemento scendere e immergersi nell'acqua pensò di essere arrivata troppo tardi: aveva bisogno di loro per andarsene, di almeno uno di loro! Lei non sapeva guidare la macchina.
Ebbe un momento di panico, ma poi udì delle grida provenire dal fondo del bunker inondato.

Negli ultimi minuti il freddo si era impadronito di lei, lasciandola squassata dai tremori. L'acqua le arrivava alle spalle e le stava portando via tutto il calore che aveva, non c'era modo di fermarla. Ad un tratto aveva smesso di tremare e un torpore malsano si stava impadronendo di lei... Con le ultime forze che aveva infilò il braccio tra la parete e il tubo in modo che la sorreggesse con la testa fuori dall'acqua anche quando avesse perso i sensi. Sentiva Rick continuare a parlarle e a chiamarla, ma la sua voce era sempre più lontana e le parole sempre meno intelligibili, fino a quando il buio inghiottì anche i suoni.

Aveva dovuto nuotare per arrivare a liberare l'uomo. La donna probabilmente era morta, ma lui, appena gli aveva reciso le manette, le aveva sfilato dalle mani il tronchese e si era precipitato a liberarla.
Fluttuarono fino alle scale dalle quali ora scendeva una piccola cascatella d'acqua, quella che le allagava la casa.
Appena in tempo, pensò Margareth.
Corsero fuori, sferzati dalla pioggia, verso la macchina. Lui trasportava la donna come un fagotto e i piedi gli affondavano nel fango. La sistemò sul sedile posteriore. Lei si mosse. Non è morta!
Montò con lui in macchina.
"Margareth, lei sta bene?" le chiese tentando freneticamente di far partire la macchina.
"Sì." . Perché me lo chiede? Che gli importa?
"Dobbiamo andare via da qui."
Il motore si avviò. Come prima cosa accese il riscaldamento al massimo, poi inserì la marcia e diede gas. Le ruote slittavano impietosamente nel fango e la macchina non si muoveva di un millimetro.
Castle lanciò uno sguardo a Kate priva di sensi sul sedile posteriore. Aveva le labbra blu ma respirava. Ingranò la retromarcia e diede gas dolcemente, lasciando che la gravità li aiutasse a muoversi in direzione della discesa.
Slittando l'auto di mosse e prese un poco di velocità, Castle sterzò e lasciò che la vettura si portasse con il muso verso il pendio, quindi mise la marcia in avanti e partì, sbandando sul fondo limaccioso.

Quando aprì gli occhi la prima sensazione fu quella di essere immersa nella luce. Tentò di parlare ancora prima di recuperare la vista appannata, ma le sue corde vocali non emisero alcun suono.
"Shhh... Non parlare... Tieni, bevi questo."
Mentre del liquido caldo le inondava la gola e le infondeva un po' del calore perduto, mise a fuoco una stanza che non conosceva, immersa da una luce calda e accogliente e gli occhi blu che aveva temuto di non rivedere mai più.
"Rick..." questa volta la voce uscì, un po' roca.
"Shhhh...."
Erano in un letto avvolti da una quantità impressionante di coperte di lana, ma prima di tutto lei era circondata dal caldo abbraccio di lui. Con le mani, finalmente libere, le accarezzava dolcemente la fronte, spostando le ciocche di capelli ormai asciutte ma arricciate dalla pioggia, e le massaggiava delicatamente le belle dita affusolate con piccoli movimenti circolari: erano fredde e indolenzite ma presto sarebbero tornate a posto.
"Stai bene?" gli chiese con un sussurro.
"Sì. E anche tu presto starai meglio..." e sottolineò la frase sfiorandole la tempia e lo zigomo con una coroncina di piccoli baci.
Kate sorrise e non si mosse:
"Te ne approfitti perché sono troppo stanca e dolorante per ribellarmi..." lo punzecchiò.
"Esattamente." le rispose lui continuando la fila di piccoli baci lungo il profilo della mascella.
"Rick?"
Si fermò per guardarla. Aveva le occhiaie profondamente scavate e gli occhi arrossati, ma la sua bocca e tutta la sua anima sorridevano. Era felice di essere viva, felice di vedere la luce e di essere lì con lui. Tutto il resto sembrava improvvisamente meno importante.
"Non ti azzardare a fermarti!" gli intimò socchiudendo gli occhi.
"Non ne avevo intenzione...". E riprese a punteggiarla di baci.




Note e crediti
Ta-daaaan! Erano esattamente 15 anni che non scrivevo una ff tutta mia...
A quanto pare non si è mai troppo vecchi per farlo, oppure ho la sindrome di Peter Pan!
In ogni caso questa settimana sono stata colpita tre volte dal fulmine dell’ispirazione:

  • al lavoro, al Dipartimento di Fisica, sono rimasta bloccata mezzo secondo nell’ascensore al buio! E’ un vecchio montacarichi, roba dei tempi di Enrico Fermi, perciò è normale che si blocchi di tanto in tanto...solo che io ho il terrore degli ascensori!! Nonostante il momento di panico, ho premuto il primo tasto che ho trovato e il maledetto ascensore è ripartito. La sensazione del buio impenetrabile mi è rimasta però...
  • le immagini dell’alluvione in Liguria e in Toscana... Veramente terribili, quindi questa ff è dedicata a tutti quelli che ne hanno subito le conseguenze;
  • le manette di Cuffed! Ovviamente...
Per finire, infiniti e innumerevoli ringraziamenti a Vale, che mi ha betata e consigliata e un saluto al Pape, che mi ha prestato una frase ;-)

p.s. Il titolo è ispirato a quello di un episodio di X-Files
Laura

   
 
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