Libri > Harry Potter
Ricorda la storia  |      
Autore: Eloise_Hawkins    16/11/2011    7 recensioni
Percy, che con il solito zelo si è recato in biblioteca per qualche compito extra, viene interrotto nel suo studio scrupoloso da Penelope Light, graziosa Corvonero che dopo avergli proposto di studiare insieme, gli farà conoscere nuove emozioni e sensazioni mai provate prima dal pomposo e diligente Prefetto.
Questa storia ha partecipato al contest: "Scegli la coppia e vinci un pacchetto", indetto da +Chu+, classificandosi quinta e vincendo il Premio per il miglior bacio Het
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Percy Weasley
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Galeotto fu il libro e chi lo scrisse





 
Nickname autore: Eloise_Hawkins
Titolo: Galeotto fu il libro e chi lo scrisse
Pair: Percy/Penelope
Prompt scelto/i: Studiare insieme; stringa di dialogo ("Come siamo finiti così?" - "Credimi, meglio che tu non me lo chieda").
Rating: Giallo
Genere: Romantico, Slice of life, Fluff
Avvertimenti: One-shot
Beta-reading: //
NdA: La storia è ambientata durante il secondo anno di Harry. Ho evidenziato il dialogo utilizzato tramite il corsivo e il sottolineato.
 

Il leggero sfrigolio delle fiamme sotto i calderoni riempiva l’aula di un brusio che dipingeva con sublime realismo il clima di terrore che vigeva nei Sotterranei. Il Professor Piton, l’espressione indifferente e imperturbabile – quasi annoiata – camminava tra i banchi con le mani dietro la schiena, lanciando di tanto in tanto un’occhiata distaccata a qualche calderone: la sua reazione era sempre indecifrabile, e gettava un’ombra di panico sullo studente designato dal suo sguardo algido.
Probabilmente, se Penelope non fosse stata certa delle sua capacità, non avrebbe trovato tutta quella situazione quasi soporifera. Mentre si guardava intorno non vedeva altro che sguardi agitati, chiome arruffate e volti pallidi e imperlati di sudore, più per il panico imperante che per il calore del fuoco. E, facendo attenzione, poteva capirne anche il motivo: esalazioni colorate salivano in elaborate volute verso il soffitto.
Gli sbuffi di fumo inodore e incolore che aleggiavano sopra il suo calderone, esibendosi in spirali che la facevano ben sperare, invece, rendevano il buio dei Sotterranei e l’afa insopportabile una combinazione quasi ipnotica. La giovane spinse una ciocca di capelli dietro l’orecchio, e versò l’ultima goccia di Sangue di Drago nel calderone; poi mescolò una volta in senso orario, e osservò la sua Amortentia assumere un delicato candore madreperlaceo. Il profumo di muschio e libri impolverati la avvolse con una potenza inaspettata. Ed era… Solvente Magico di Nonna Acetonella per ogni tipo di Sporcizia, quello che sentiva in sottofondo? Arrossì un poco, aggrottando al contempo le sopracciglia, e guardando quasi smarrita il volto untuoso e distaccato di Piton, improvvisamente apparso davanti a lei: sembrava vagamente infastidito dall’ottima riuscita della sua pozione.
Il suono della campanella la salvò da quello sguardo inquisitorio e gelido; senza attendere un altro attimo, fece Evanescere il contenuto del calderone – dopo aver avuto cura di prelevare una fialetta di pozione – e fuggì dall’aula con un sospiro di sollievo. Odiava Pozioni, e detestava ancora di più il clima creato da quel viscido professore. Il familiare brusio proveniente dalla Sala Grande, invece, le strappò un sorriso rilassato. I suoi passi, tuttavia, la portarono verso la Biblioteca: non aveva fame, e non c’era niente che la calmasse di più del religioso silenzio di quel luogo sacro.
Quando Madama Pince la vide arrivare, squadrò con sguardo severo i primi bottoni della camicetta slacciati, la cravatta blu e argento allentata, e la tunica della divisa abbandonata sul braccio; lei, però, sembrava perfettamente a suo agio quando le chiese il Manuale di Difesa Contro le Arti Oscure: Magie Avanzate. La donna le rivolse un’occhiata sprezzante, e indicò con un cenno del capo un lungo tavolo di legno dietro la giovane strega: era occupato da un ragazzo dai capelli rossi, immerso nella lettura di un grosso libro.
«L’ha preso lui» fu l’unico sussurro che le rivolse prima di tornare alle sue incombenze – non senza averle rivolto un altro sguardo sprezzante, e aver sussurrato tra le labbra qualcosa come “Questo abbigliamento…”.
 

***

 
Il sole di Ottobre trafiggeva la finestra della Biblioteca alle spalle del ragazzo, lanciando l’ombra della sua testa sulle pagine del libro che stava leggendo. Se i suoi fratelli l’avessero visto chino su un Manuale all’ora di pranzo di uno degli ultimi giorni di sole dell’anno, avrebbero sicuramente avuto a che ridere, ma il rigore che Percy Weasley si era imposto sin da quando aveva messo piede per la prima volta in quella scuola avevano reso il giovane sordo a quelle critiche. In quel momento, gli occhi azzurrini che scorrevano attentamente sull’inchiostro della pagine, era talmente concentrato sul suo lavoro che non si rese conto che, da qualche minuto, qualcuno lo stava guardando, cercando di attirare silenziosamente la sua attenzione.
Penelope tossicchiò una seconda e una terza volta, ma nulla sembrò scuotere l’imperturbabile silenzio del Prefetto. Quando, vinta dalla premura, si decise infine a richiamarlo a voce, la sua reazione la infastidì al punto che stava per voltargli le spalle decisa a non rivolgergli mai più la parola.
«Percy» era un sussurro, nel rispetto delle regole della Biblioteca, ma data la distanza tra i due era perfettamente udibile. Lui, per tutta risposta, strinse le labbra, come disturbato da quell’interruzione imprevista, e senza alzare gli occhi dal libro, replicò con sussiego: «Sto studiando». La ragazza sbuffò. Come se non fosse evidente.
«Mi serve il Manuale di Difesa che stai usando» mormorò sbrigativa, senza ulteriori giri di parole. Questo sembrò colpirlo; nella mente del giovane, quella voce si delineò, chiara e familiare, come una benvenuta carezza. Percy alzò gli occhi da quelle pagine, e incrociò lo sguardo castano chiaro della giovane strega. Le sue orecchie sembrarono arrossire appena, ma nulla nella sua espressione rimarcò quel cambiamento, se non una leggera sorpresa nel vederla in piedi di fronte a lui: assumendo un contegno esageratamente plateale, le rivolse un cenno d’assenso.
«Anche a me» replicò pomposamente. Stava per abbassare di nuovo gli occhi, immergendosi così nell’arcano mondo della Legilimanzia teorica, quando un pensiero scacciò quell’idea. Sembrò tentennare appena, mentre le rivolgeva ancora la parola. «Possiamo studiare insieme, se vuoi» il tono era come sempre dignitoso, e strappò a Penelope un sorriso di tenerezza. Sempre il solito Percy.
Quando si sedette accanto a lui, un leggero aroma di muschio le solleticò le narici.
 

***

 
Percy era talmente applicato nello studio, da essersi quasi dimenticato che Penelope era accanto a lui; a ricordarglielo era la ragazza stessa, che con apparente noncuranza si premurava di sfiorargli la mano ogni volta che doveva girare pagina, o di scuotere la testa spandendo nell’aria la fragranza dolciastra di mandorle di cui erano impregnati i suoi capelli, o di muoversi impercettibilmente portando a contatto le loro cosce – la stoffa dei pantaloni cominciava a prudere in modo curioso. Lui ignorava volutamente quei piccoli gesti, anche se di tanto in tanto le lanciava un’occhiata, curandosi che Penny non lo vedesse.
Il loro amore si consumava, da poche settimane, in quell’assurdo modo: sguardi di nascosto, sorrisi malcelati, libri aperti sotto occhi che tutto desideravano meno che leggere quelle righe d’inchiostro.
La realtà era che Percy non voleva perdere il suo abituale contegno; ma Penelope sapeva aspettare, e consumava l’attesa con studiata intelligenza: giochi sottili, ma appena accennati. Non ci poteva essere niente di più diverso da loro due: il pomposo rigore di Percy, e l’elegante genuinità di Penelope; l’impegno ricercato dell’uno, e il vispo ingegno dell’altra; la ragione e il sentimento. Se la giovane strega era semplicemente consapevole delle doti del suo cervello, curandosene con la stessa indifferenza con cui faceva attenzione al suo abbigliamento dopo le lezioni di Pozioni, il ragazzo dai capelli rossi non faceva altro che rimarcare quanto lui fosse puntuale nello studio, e dedito ai compiti, tanto che, nei fatti, passavano più tempo a studiare che a parlare. E anche quando facevano le ronde insieme, l’oggetto di discussione era sempre qualche compito di Trasfigurazione, un’esercitazione di Incantesimi, la prova di Pozioni.
«Ti va di provare?» domandò in un sussurro Penelope, dopo quasi un’ora di silenziosa vicinanza. Percy, inaspettatamente, alzò subito lo sguardo su di lei, e sembrò rendersi conto per la prima volta di certi, piccoli particolari: seguì con un rossore sempre più evidente il profilo del collo, che si incavava dolcemente al di sotto della camicetta offrendo una vista più generosa di quanto avrebbe dovuto. La luce proveniente dalla finestra alle loro spalle le baciava, delicata, le gote appena arrossate e il volto armonioso, e rendeva gli occhi castano chiari quasi dorati: a Percy sembrò di vedere delle pagliuzze di malizia in quello sguardo, ma si convinse che se lo era solo immaginato quando lei abbassò, pudica, gli occhi, portandosi una ciocca dietro l’orecchio in quel gesto che aveva imparato a conoscere e che era dettato più dall’imbarazzo che dalla reale necessità.
«Provare cosa?» domandò un po’ confuso, sbattendo le palpebre senza osare nemmeno più sfiorarla. Quand’è che aveva cominciato a fare così caldo? Deglutì, trasse un respiro profondo, e si sistemò meglio nella sedia, le mani sulle ginocchia e la schiena rigida, in una compostezza che nascondeva il suo reale disagio ma che rendeva quasi regale la sua condotta. Un leggero sorriso arcuò le labbra della giovane, che gli lanciò un’occhiata da sotto le folte ciglia scure.
«La Legilimanzia, naturalmente» ridacchiò lei a bassa voce, ma prima che potesse prendere la bacchetta dal tavolo, lui allungò un braccio e la fermò, le mani che si incontrarono a mezz’aria in un contatto bollente subito interrotto dal rossore che si accese sul viso di Penelope.
«Il Ministero non approva certe tecniche di apprendimento» replicò con un’inflessione severa nella voce, evitando accuratamente il suo sguardo. Lei fissò per un attimo la finestra, gli occhi color miele un po’ tristi, ma sulle labbra l’ombra di un sorriso.
«Non facciamo niente di male, Percy. Stiamo solo imparando» mormorò lentamente, come soppesando le parole, solleticandogli i lineamenti con gli occhi e stuzzicando quel suo contegno con un’espressione enigmatica. «Magari può anche tornarci utile, in questi giorni, viste le cose brutte che stanno succedendo» si rabbuiò, ma dopo un attimo il sorriso furbo che le aveva illuminato lo sguardo tornò ad arcuarle le labbra sottili. «Per amore dell’apprendimento, Percy» concluse in un sussurro smielato, e il ragazzo avrebbe giurato che lei si fosse avvicinata di qualche centimetro al suo viso. Tossicchiò appena, indietreggiando in maniera quasi impercettibile, anche se quel gesto non sfuggì a Penelope, che tornò subito con gli occhi sul libro.
«Oh, dimenticalo. Ho detto una sciocchezza» disse delusa, facendo spallucce e tornando a leggere. Lui esitò un attimo, prima di impugnare la bacchetta e guardarla come soppesando la reale utilità di ciò che stava per fare: dubitava fortemente di aver bisogno di usare la Legilimanzia, ma, in fondo, quel che il Ministero non sapeva, non poteva far male. Stavano solo imparando.
«Immagino che per amore… dell’apprendimento, potremmo…» anche se le sue parole erano incerte, il tono conservava l’autorità che la sua figura emanava. Penelope, perplessa, lo osservava come in attesa.
«Non devi farlo, se non ti va» si affrettò a dire con un sorrisino teso e imbarazzato. Il giovane scosse il capo, inconsapevole dell’odore di muschio che stava spandendo nell’aria; si ritrovò a chiedersi perché la ragazza stesse arrossendo così violentemente, mentre la osservava.
«No, va bene. È una magia innocua, in fondo. È solo per studio» fece una pausa, schiarendosi la voce, e guardandola con la coda dell’occhio, domandò: «Prima io e poi tu?» Aveva sul volto un sorriso di circostanza che lo fece assomigliare a Gilderoy Allock durante le sue lezioni: quell’aria di superiorità un po’ ostentata lo rendeva adorabile. Annuì, senza aggiungere nient’altro, e, stringendo la bacchetta, chiuse gli occhi, in attesa. La voce di Percy, chiara e limpida, ruppe il silenzio della biblioteca, facendo sussultare Madama Pince, che strinse gli occhi nel sospetto puntandoli sui due ragazzi. La donna osservò i loro movimenti: il giovane aveva pronunciato un incantesimo, aveva agitato brevemente la bacchetta verso la ragazza, e aveva spalancato gli occhi dalla sorpresa dopo qualche istante di apparente calma. Era arrossito violentemente, e aveva abbassato lo sguardo mentre lei apriva gli occhi, lo guardava sorridente e… per le mutande di Merlino, non lo starà facendo davvero?
Colta da un’ira furente che le fece drizzare i capelli in testa, Madama Pince si avviò a rotta di collo verso i due pervertiti che stavano osando sporcare l’immacolato suolo sacro della biblioteca con i loro sciocchi magoni adolescenziali.
 

***

 
«Legilimens» Era stato costretto a pronunciare l’Incantesimo ad alta voce, sia per la difficoltà che questo comportava, sia per ottenere la massima efficienza. Non aveva incontrato resistenze: una patina sottile aveva avvolto le sue percezioni. Si ritrovò a galleggiare confusamente attorno a suoni attuti e immagini sfocate, per poi atterrare di nuovo nel silenzioso mondo della biblioteca. In un primo momento, pensò che avesse miseramente fallito nell’esecuzione del complicato Incantesimo; ferito nell’orgoglio, gonfiò il petto come per concedere al suo ego di riprendersi dopo quel duro colpo. Tuttavia, osservando meglio, si rese conto di non essere più seduto accanto a Penelope, ma in piedi a pochi metri da lei: la ragazza si trovava accomodata con grazia femminile sulla panca che fino a poco prima occupava anche lui; ed era con un Percy che le teneva la mano, mentre insieme leggevano il Manuale di Difesa contro le Arti Oscure: Magia Avanzata. Dopo qualche minuto lei alzò lo sguardo su di lui, gli sorrise e lo baciò con delicata passione sulle labbra. Poi tornarono entrambi al loro studio.
Quel mondo parallelo che esisteva solo nella mente di Penelope si dissolse come una nuvola di fumo scacciata da una mano frettolosa, e quando Percy riemerse dalle brume di quello che sembrava un sogno, aveva sul volto un’espressione a dir poco sconcertata. Realizzò di trovarsi sul pavimento del corridoio solo quando la ragazza gli cinse premurosamente il braccio per aiutarlo a rialzarsi; anche lei era a terra.
«Co-come siamo finiti così?» domandò il giovane, riprendendosi dalla confusione e rimettendosi in piedi con uno scatto; cominciò a lisciare con altezzosità la veste, per allisciare le pieghe che la caduta aveva provocato, lanciando sguardi di sottecchi a destra e a manca, come se volesse assicurarsi che nessuno avesse visto un Prefetto in quelle condizioni disdicevoli. Cercò di non guardarla negli occhi, ma la sua risata, cristallina e genuina, lo costrinse a voltarsi: era così luminosa, anche ora che il sole non le accarezzava più il bel volto.
«Credimi, meglio che tu non me lo chieda» replicò lei, stringendogli il nodo della cravatta e lisciandogli i capelli con affettuosa dedizione.
Percy cercò di fare mente locale su ciò che era appena successo: era riemerso dalla mente di Penelope talmente sconcertato per ciò che aveva visto, che il suo cervello era entrato in stand-by; non era riuscito a staccare gli occhi dal suo viso baciato dal sole, dal suo sorriso così malizioso e dolce; non era riuscito a muovere un solo muscolo mentre contemplava le sue labbra sempre più vicine. A quel punto il ruggito di Madama Pince aveva interrotto la romantica scenetta, e loro si erano ritrovati scaraventati fuori dalla biblioteca, con la proibizione di rientrare per i prossimi due mesi. Era vagamente confuso mentre la sua mente ricostruiva ogni minuscolo particolare di quegli ultimi minuti – in particolare il miele fuso che colava dai suoi occhi. Davvero era appena stato bandito dalla Biblioteca? Cielo, era un Prefetto! Questo non se lo sarebbe mai perdonato. Avrebbe macchiato il suo curriculum, e se il Ministero fosse venuto a saperlo…
«Vieni» la voce calda di Penelope lo strappò ai suoi pensieri, che si dissolsero improvvisamente come una bolla di sapone trasportata da un vento inclemente contro l’abbraccio di un cactus. Prima che potesse reagire, o replicare, avvertì la mano morbida  della ragazza avvolgersi attorno alla sua, e guidarlo verso un’aula vuota. Quando furono all’interno, e lei ebbe chiuso la porta, radunò tutto il coraggio Grifondoro di cui era dotato e le parlò.
«Penelope, come hai potuto» la rimproverò severamente, fissando gli occhi chiari dritti nei suoi: la sua voce tremò appena quando incontrò il castano dei suoi occhi. «Siamo Prefetti!» continuò un po’ più incerto; anche se tentennava, l’inflessione dura e superba del tono permeava quelle parole, e la sua espressione era proprio quella di un giovane controllore che coglie sul fatto un trasgressore delle regole. Sembrava deluso, e questo dispiacque alla ragazza: abbassò il viso, mortificata, senza più avere il coraggio di guardarlo negli occhi. Era rossa in viso, e Percy era quasi sicuro che non fosse per la vergogna, né a causa della corsa per sfuggire a Madama Pince.
«Scusami, non avrei dovuto» mormorò Penelope, sul volto un sorriso amaro. «E’ che…» sospirò, alzando il capo e cercando di incrociare gli occhi del giovane: era tornato il solito Percy, il petto in fuori, i modi pomposi, l’espressione seria e professionale, l’ostentato rigore. L’unico segno del precedente attimo di follia era un lembo della camicia, disordinatamente sfuggito alla cintura dei pantaloni. La ragazza scosse il capo, e abbassò di nuovo lo sguardo, facendo spallucce e interrompendo quella frase.
«Cosa?» la incoraggiò lui, incuriosito ma comunque distante. Penelope ridacchiò, ma in quella risata non c’era l’allegria spensierata di prima: sembrava quasi deridere se stessa.
«Tu non lo fai mai, Perce» replicò semplicemente, guardandolo ancora una volta negli occhi. Qualcosa, nella sua espressione, cambiò, ma la ragazza non riuscì a capire se fosse ulteriore sconcerto, oppure un lieve dispiacere. Forse qualcosa di diverso da entrambi. Fece un passo verso di lui, incerta, e gli prese la mano. «Non ne hai…» si portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, in quel gesto colmo di pudicizia che Percy aveva notato tante volte, quando stavano insieme. «Sembra che tu non ne abbia voglia» concluse mentre gli accarezzava il dorso con il pollice, come se volesse mantenere un contatto e alleggerire, con quel semplice, affettuoso gesto, la tensione che stava intercorrendo tra i due. Lui deglutì, e fece per dire qualcosa, ma lei fu più veloce: prese ancora una volta l’iniziativa, e alzandosi in punta di piedi, avvicinò il viso al suo così tanto che poteva sentire il sapore e il calore del suo respiro. Rimase sospesa a guardarlo così, la distanza di un bacio a separare tanto le labbra quanto i cuori.
Penelope sembrava quieta, mentre riversava sulla sua bocca i suoi sospiri d’amore; attendeva con quella grazia spensierata e noncurante, così dissimile dall’autocontrollo che lui continuamente si imponeva. Eppure, mentre la guardava, si sentì invadere da una rilassatezza che lo costrinse ad abbassare la guardia; lei lo intuì. Forse fu perché si umettò le labbra con urgente bisogno, improvvisamente desideroso; forse perché rilassò la mano accogliendo con calore la stretta della ragazza. Forse fu semplicemente perché le donne sono dotate di quella perspicacia che le rende capaci di leggere il cuore degli uomini.
Entrambi si mossero nello stesso istante: le loro labbra si incontrarono a metà strada, e presero a intrecciarsi in un gioco che rese i cuori dei due giovani simili a cavalli lanciati al galoppo nella prateria infinita dell’amore. Penelope avvertiva il sapore del ragazzo sulle sue labbra, e sentiva la sua inesperta morbidezza sulla lingua; Percy si beava di quell’aroma di semplicità e quiete che lei sapeva emanare. Per una volta, abbandonò il suo rigore, e si lasciò andare a quelle sensazioni: il profumo dei suoi capelli, la tenerezza delle sue labbra, il suo respiro emozionato.
Quando la porta si spalancò con uno schiocco rumoroso, entrambi impiegarono qualche secondo per realizzare che qualcuno era entrato. Con misurata lentezza si distaccarono, e spostarono lo sguardo verso l’ingresso: la piccola Ginny Weasley li guardava con la bocca spalancata, rossa in viso; dopo pochi secondo, corse via senza emettere un solo suono.
Penelope non si curò nemmeno di voltarsi verso Percy: il ragazzo si era lanciato all’inseguimento della sorella minore prima ancora che la sua chioma rosso fiamma fosse scomparsa completamente dall’uscio, ammonendola con parole che tradivano una certa agitazione. «Ginevra, non si correi nei corridoi!».
Penelope non riuscì a trattenere un sorriso, mentre li seguiva, con flemmatica calma, fuori dall’aula. Con una sensazione di leggerezza mai provata prima nel cuore, si diresse verso la sua sala comune, e non si sorprese minimamente quando vide Gazza che, brontolando lamentele e proteste, puliva la cornice di un quadro con il Solvente Magico di Nonna Acetonella per ogni tipo di Sporcizia. Si ritrovò a pensare che la sera prima era passata proprio da quel punto, mentre faceva la ronda con Percy.

   
 
Leggi le 7 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Eloise_Hawkins