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Autore: Rowena    16/11/2011    3 recensioni
Avrebbe potuto fingere d’inciampare e farle cadere lo strumento di Divinazione dalle mani, avrebbe potuto stordirla con un rapido movimento della bacchetta e convincerla, al suo risveglio, che fosse svenuta… Remus invece scelse la fuga, com’era abituato a fare da sempre. Non poteva permettere che quella donna vedesse la sua tristezza, quella che era abituato a nascondere con cura, che notasse quanto fossero vuoti i suoi sogni, o quanto fosse solo.
[Questa storia si è classificata prima al terzo turno del contest "Storytelling" di Fabi indetto su EFP]
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ginny Weasley, Remus Lupin, Sibilla Cooman
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
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Angoletto dell'Autrice: Questa storia è stata scritta per il terzo turno del contest "Storytelling" di Fabi. Nel mio pacchetto, Luna, c'erano Remus, la Cooman, la canzone degli Who che da il titolo alla storia, il colore verde e la sfera di cristallo, spero di essere riuscita a incorporare in modo decente tutti questi elementi.
Ho voluto interpretare il blue del titolo come il gioco di parole sulla canzone da cui mi sono ispirata, in cui può indicare sia il colore degli occhi ma anche la tristezza che essi nascondono. Remus ha gli occhi di un altro colore (e questo inizialmente mi ha mandata un po’ in crisi), ma interpretando così la canzone mi sono ricreduta. Mi sono sempre chiesta cosa potesse aver detto la Cooman da far scappare Remus a gambe levate, come lei racconta al pranzo di Natale, poi scrivendo è uscita anche l’idea di inserire Ginny… Era un po’ che pensavo a come rendere le sue reazioni dopo il suo primo tragico anno a Hogwarts: nel secondo libro la Rowling dice che quasi subito Ginny torna a essere allegra e solare, ma non riesco a credere che le sia passata così in fretta, e il modo in cui zittisce Harry nel quinto quando ha il delirio da vittima “Nessuno di voi sa cosa vuol dire essere posseduti” me lo ha fatto supporre… Tutto qua. Spero vi piaccia! ^^

Rowi
 


 
 
Tornare a Hogwarts: se gliel’avessero detto quello scorso giugno, Remus Lupin avrebbe fatto una bella risata e avrebbe negato che fosse possibile, almeno per lui che era già stato fortunato a frequentare i sette anni di scuola, nella sua condizione.
E poi, a che scopo sarebbe dovuto ripresentarsi al castello in cui era stato così felice, in gioventù? Non aveva una qualifica – nemmeno aver combattuto i maghi oscuri nella guerra serviva a molto per il curriculum, senza un diploma da Auror – e negli ultimi tredici anni non aveva conservato lo stesso posto di lavoro per più di tre mesi. Forse giusto se fosse schiattato Gazza, il malefico custode, avrebbe potuto prendere il suo posto… O in veste di nostalgico, Silente di certo avrebbe capito: una visita durante l’estate, un bicchiere da Madama Rosmerta, e poi via di corsa, alla sua grigia, mediocre vita. Nulla di più.
Eppure eccolo lì, a riordinare i suoi appunti per la lezione successiva. Professore di Difesa contro le Arti Oscure. Era a dir poco incredibile, come si prodigava a ricordargli il suo adorabile collega che teneva la cattedra in Pozioni. In realtà, Severus preferiva il termine intollerabile, o vergognoso, ma Remus non ci faceva caso più di tanto.
Albus aveva avuto fiducia in lui, ancora una volta, per cui Remus si occupava del suo lavoro senza curarsi troppo delle idee del professore di Pozioni, che tentava d’incenerirlo con lo sguardo ogni volta che i due s’incontravano nei corridoi. Al mago la situazione sarebbe parsa fin divertente, se non gli avesse ricordato la sua adolescenza come una staffilata al cuore.
Ad ogni modo, fino a quel punto le cose erano andate bene: il suo segreto era sotto controllo, con la Pozione Antilupo che volente o nolente Severus gli preparava, e nessuno degli studenti sospettava nulla sulla sua vera natura. E dire che ci era andato così vicino…
La lezione sul Molliccio con gli alunni del terzo anno lo aveva messo in difficoltà: non aveva calcolato il rischio che si sarebbe presentato con Harry Potter – avrebbe dovuto, maledizione! – e vedendo che era arrivato il suo turno si era buttato in mezzo temendo un’apparizione di Voldemort. Era stato fortunato, aveva sconfitto la creatura prima che i ragazzi realizzassero in cosa si fosse trasformata. Il globo luminoso da solo non era così facile da riconoscere, senza magari qualche nuvoletta intorno…
«Mi scusi ancora, professore, e grazie per avermi ascoltato. Non so mai con chi parlare di tutte queste cose: a casa i miei parenti sono stati per settimane sui gusci d’uovo per ogni mio sospiro o momento di tristezza o di rabbia, così ora sto attenta a controllarmi. A volte sembra quasi che non se ne ricordino», disse l’ultima rimasta dei suoi studenti per congedarsi. Tirò ancora su col naso, segno che la crisi di pianto di poco prima non era ancora del tutto passata.
Remus scosse il capo dolcemente, riconoscendo una certa insofferenza a certi atteggiamenti dei familiari: «Probabilmente i tuoi cari non vogliono caricarti delle loro angosce né farti rivivere quello che ti è capitato, ma non sempre è la scelta migliore».
«Non sopravvaluti i miei fratelli, sono sei ragazzi non troppo svegli, almeno buona parte di loro… Dovrebbe saperlo, quattro di loro sono suoi studenti!», scherzò la giovane, un po’ imbarazzata per quanto era accaduto. «Ad ogni modo, grazie ancora. Mi dispiace per il fazzoletto… Glielo farò riavere pulito».
«Non preoccuparti, è il meno», rispose il professore con gentilezza. «Piuttosto, sentiti libera di venire da me ogni volta che ti senti giù. Parlare è sempre d’aiuto».
«Sì, professore…», la ragazza era ormai sulla porta, quando si voltò. «Sa una cosa? Nessuno ha mai saputo ascoltarmi come lei, sembra che ci sia passato a sua volta».
Il sorriso dell’insegnante si fece più teso e innaturale, ma la studentessa non se ne accorse, mentre salutava prima di allontanarsi lungo il corridoio, probabilmente diretta ai bagni delle ragazze per sciacquarsi il viso prima della lezione seguente e dissimulare almeno un poco il suo pianto.
Il professor Lupin osservò la sua allieva finché non svoltò l’angolo, preoccupato: normalmente Ginny Weasley era una ragazza solare e precisa, che a volte non sapeva tenere a freno la sua lingua un po’ tagliente, eppure quel pomeriggio era rimasta taciturna, senza mai intervenire né porre domande, limitandosi invece a guardare fuori dalla finestra con aria malinconica.
Nonostante fosse molto preso da spiegare come difendersi dai folletti alla classe di Grifondoro e Corvonero, all’insegnante non era sfuggita quella stranezza e, insospettito, aveva chiesto all’alunna di fermarsi per un colloquio privato.
Inaspettatamente, Ginny era scoppiata in lacrime dopo appena un paio di domande del professore, scusandosi ripetutamente per la sua reazione emotiva, ma senza riuscire ugualmente a trattenere le lacrime. Remus era rimasto sorpreso: tutti conoscevano la Ginny allegra e vivace, ma a quanto pareva quella tristezza nascosta nei suoi occhi scuri passava inosservata. Era un’ombra che probabilmente l’avrebbe accompagnata per tutta la vita, in qualche modo, possibile che nessuno si rendesse conto di quanto soffrisse quella ragazza?
Del resto, nessuno aveva mai visto la sua tristezza, né il suo segreto più oscuro, almeno per il momento… Erano ancora troppo giovani, pensò il mago, troppo inesperti. Non sapeva se rallegrarsene o meno: da una parte, poteva stare tranquillo e condurre un’esistenza abbastanza normale a Hogwarts, dall’altra era preoccupante che gli studenti fossero così indietro nella sua materia. L’incostanza dei professori non aveva certo aiutato, e probabilmente i ragazzi erano così certi degli stereotipi associati a quelli della sua razza che non riuscivano a vedere oltre il proprio naso. Nessuno nella scuola sarebbe riuscito a scorgere il Licantropo, dietro i suoi occhi…
Ripensò alla ragazza che si era sfogata con lui, sforzandosi di ignorare i suoi capelli rossi, così simili a quelli di una donna che aveva amato, che era stata sua amica. Si poteva, alla sua età, invidiare una bambina come Ginny Weasley? Lei aveva provato sulla sua pelle la possessione, era stata vittima dell’emanazione del mago più malvagio comparso in Gran Bretagna nell’ultimo secolo… Eppure per lei era finita: avrebbe portato per sempre con sé la cicatrice di quanto era accaduto, le sensazioni, l’imbarazzo perfino, ma era libera. Per lui, la maledizione non sarebbe mai terminata, anzi: il peggio iniziava quando gli altri si rendevano conto di chi era davvero. Allora era l’uomo cattivo, il bugiardo, il mostro. Provava un’immensa rabbia, ogni volta, insieme a una profonda vergogna: possibile che fino a un attimo prima fosse una persona ineccepibile, buona, onesta e che, quando la verità traspariva, diventasse un essere immondo da allontanare e temere? Sospirando, Remus si preparò ad accogliere in classe gli studenti del settimo anno: era meglio evitare certi pensieri, così come nascondere certi dolori nel proprio cuore, dove nessuno poteva vederli.
 
***
 
«Vuoi che guardi nella mia sfera per te?»
Se Remus fosse riuscito a muoversi, probabilmente si sarebbe appiattito contro il muro. Forse avrebbe perfino soffiato, come un gatto, dimentico della sua natura di Lupo Mannaro.
Che cosa voleva quella donna da lui? Chi era, soprattutto? Non l’aveva mai vista, nemmeno al banchetto d’inizio anno. Sapeva che da qualche parte nel castello viveva un’insegnante di Divinazione che conduceva un’esistenza ritirata, almeno così gli aveva detto Silente con uno strano tono, simile a quello di chi non credeva minimamente a certe pratiche magiche ma era obbligato a sopportarle per offrire un pacchetto d’insegnamenti completo e vario.
Poteva essere quella strada donna con gli occhiali spessi e i capelli arruffati che lo fissava con un’espressione stralunata in quel momento? Nelle sue mani, la sfera di cristallo riluceva in maniera sinistra. Una volta di più, il professore si trovò a chiedersi come i suoi studenti avessero potuto scambiare il suo Molliccio per quell’oggetto magico.
«No, la ringrazio ma io… Sono in ritardo», tentò di liberarsi, inutilmente.
Non sapeva come fosse finito in quella situazione: aveva pensato di passeggiare un poco per i piani alti del castello, prima di scendere nei sotterranei per chiedere a Severus la razione di Pozione Antilupo da assumere prima del Plenilunio, quando si era imbattuto in quella strana strega. La donna in realtà non sembrava interessata al suo interesse nella Divinazione, quasi avesse chiesto tanto per umana cortesia. «Cos'è più utile, il sole o la luna? Dimmi, Remus Lupin, mi serve per interrogare la sfera».
Che sapesse? La domanda era ambigua, e per un Licantropo sentir parlare di luna non era mai una tranquillità. Avrebbe voluto rispondere il sole, desiderava dire che per lui era più utile il sole, eppure conosceva la risposta esatta. Non era un quesito posto per caso, era una citazione di un vecchio mago tedesco, morto secoli prima, che aveva tentato inutilmente di trovare una cura alla maledizione del Plenilunio. Si diceva che anche lui fosse stato morso da un Lupo Mannaro, e che avesse finto di avere la gobba per spiegare i tanti dolori che aveva in seguito alla sua trasformazione mensile. Remus conosceva bene quella frase, quella domanda amara e ironica. Era stato Silente a citarla, ricordò, il giorno in cui si era presentato a casa sua per decidere se ammetterlo a Hogwarts o no. È un dubbio che avrai sempre, aveva detto, ma potresti scoprire che ci sono più risposte corrette.
«Cos'è più utile, il sole o la luna?» ripeté, sentendosi obbligato a rispondere dallo sguardo assente di Sibilla Cooman. «La luna, naturalmente: essa risplende quando è buio, mentre il sole splende solo quando c'è luce».
Facendo tintinnare gli innumerevoli braccialetti che aveva indosso, la donna si piegò a scrutare nella sfera di cristallo: «Vedo un cane, un cervo e un topo insieme a te… Per te significano qualcosa?»
Remus scosse il capo, sempre più a disagio, sperando che la donna non riconoscesse la paura nei suoi occhi. Come poteva sapere? E se avesse intuito il segreto della sua adolescenza?
La professoressa Cooman fece schioccare la lingua, senza distogliere lo sguardo dal baluginio della sfera. «Sembrano correre sotto un astro, liberi. Sotto la luna piena, interessante».
Avrebbe potuto fingere d’inciampare e farle cadere lo strumento di Divinazione dalle mani, avrebbe potuto stordirla con un rapido movimento della bacchetta e convincerla, al suo risveglio, che fosse svenuta… Remus invece scelse la fuga, com’era abituato a fare da sempre.
Non poteva permettere che quella donna vedesse la sua tristezza, quella che era abituato a nascondere con cura, che notasse quanto fossero vuoti i suoi sogni, o quanto fosse solo. Non le poteva concedere di intuire ciò che aveva nascosto perfino a Silente, né chi fosse quel cane. Dalle chiacchiere dei suoi studenti, aveva sentito che la donna vedeva Grami ovunque, specie intorno a un certo ragazzo a cui teneva particolarmente, eppure pur dando un’interpretazione diversa a quel presagio, non era riuscito a dire la verità. Forse anche la sua coscienza era altrettanto vuota…
Corse fino a quando ebbe la sicurezza di essersi lasciato alle spalle quella donna così strampalata e le sue arti divinatorie e quando si fermò a prendere fiato, si accorse di essere arrivato al ponte. Quel luogo gli era sempre piaciuto, vi era molta calma, distante da tutto com’era… Ritirandosi lì a pensare, da ragazzo, a Remus sembrava di lasciare le sue due nature, le etichette con cui era visto dall’esterno all’estremità del ponte, finalmente libero di essere semplicemente se stesso.
«Professor Lupin?» Non era solo, comprese soltanto in quel momento: Ginny Weasley lo stava fissando con una certa curiosità. «Si sente bene? Ha una faccia…»
Per un momento, il mago desiderò che gli occhi della ragazza diventassero verdi, desiderò di avere la sua amica accanto per poter parlare con lei. Parlare con Lily lo aveva sempre tranquillizzato, anche quando lei non conosceva la sua natura e gli dava dei consigli generici, immaginando che avesse problemi con una compagna che gli piaceva o con i genitori. Tuttavia, gli occhi della sua studentessa erano castani e anche i suoi capelli erano di una diversa tonalità di rosso.
«È solo un’influenza passeggera, non temere», mentì ancora una volta.
La ragazza non sembrò troppo convinta: «Sicuro? Sta male spesso, dovrebbe passare in infermeria… Sicuramente Madama Chips saprà guarirla in un attimo».
Non aveva davanti Lily Evans, ma la dolcezza di Ginny gli ricordava molto la sua vecchia amica. Remus sorrise, sentendo che l’angoscia che aveva provato poco prima stava passando.
«Seguirò il tuo consiglio, ti ringrazio. Stai andando agli allenamenti di Quidditch?»
La giovane scosse il capo, con un certo rammarico. «Purtroppo ancora non sono in squadra, ma andrò a vedere i miei fratelli e a dar loro una mano, se serve. Sono ancora la piccolina della famiglia, gliel’ho detto, ma entro un anno o due giocherò anch’io».
Già dimostrava una maggiore sicurezza rispetto all’ultimo loro colloquio… Probabilmente il Quidditch l’avrebbe aiutata a uscire dal guscio, ed entrare in squadra era un obiettivo fattibile per lei. E Remus, che scopo poteva proporsi per uscire da quel torpore che lo accompagnava da dodici anni?
«Ne sono sicuro. Che ruolo vorresti ricoprire, Battitore come Fred e George? Non sono molte le ragazze che ricoprono questo ruolo».
«A dire la verità, vorrei diventare Cacciatore, ma fino a che il tridente di oggi sarà in piedi non credo ci saranno molte possibilità di inserirmi. Posso solo allenarmi di più e prepararmi a quando ci saranno i provini», concluse la studentessa con un sorriso che sapeva di sfida.
Era molto realistica, osservò Remus. Un ragazzo si sarebbe illuso più facilmente di poter scalzare un rivale dal ruolo che desiderava – lo aveva visto con i suoi occhi – mentre Ginny era rimasta con i piedi per terra e sapeva valutare onestamente la bravura delle sue compagne di casa che giocavano con la Pluffa, senza invidia né alterigia.
«Anche un mio buon amico era un ottimo Cacciatore, sai», commentò con dolcezza pensando a tutte le partite di Quidditch a cui aveva assistito, l’entusiasmo della tifoseria di Grifondoro, le prodezze di James in volo.
«Come il padre di Harry, da quel che mi ha raccontato», commentò con aria distratta la ragazza, quasi avesse intuito i pensieri del professore. «Dovrebbe avere più o meno l’età dei suoi genitori, li conosceva?»
Remus si sentì di nuovo impreparato, ma questa volta mentire sarebbe stato semplice. «Di sfuggita, eravamo compagni di casa, tutti a Grifondoro. Ora ti saluto, Ginny, ho dei compiti da correggere».
«Ma certo… Ci vediamo a lezione, professore!»
Questa volta il mago non la guardò andare via: l’alba della luna si stava avvicinando, doveva ancora recarsi nei sotterranei, assumere la Pozione e prepararsi a passare la notte lontano dagli studenti. Per un attimo considerò l’idea di andare a rintanarsi nella Stamberga Strillante e sfogare da Lupo la frustrazione che sentiva addosso… Ma doveva scegliere l’uomo. Ragionare su quello che era accaduto e passare oltre, come sempre, nelle sue ore di solitudine.
Di certo l’incontro con la veggente lo aveva scosso, in un modo che nemmeno Severus era ancora riuscito a raggiungere – anzi, probabilmente il suo vecchio compagno di scuola avrebbe voluto mettergli altrettanta inquietudine con le sue insinuazioni – eppure sentiva che sarebbe passata. Si sarebbe tenuto lontano da quella stramba donna, da quel giorno in poi, per non rischiare di essere scoperto quasi per caso, per un potere che sapeva rivelarsi insidioso, ma nulla di più.
Al contrario di quello che credevano i suoi studenti, non erano le sfere di cristallo che temeva davvero.
 
 
 
   
 
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