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Autore: Eryca    17/11/2011    2 recensioni
Gli dei possono scendere in terra con gli esseri umani?
Questo è ciò che sembra succedere tra le strade di Tebe, nell'Antico Egitto.
Ma sarà davvero Osiride, quello che siede sul trono, oppure un feroce impostore in cerca di prede?
La risposta la darà la scia di sangue che verrà sparsa.
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Seconda Classificata al Contest "Nei panni del Vampiro", sul forum di Efp.
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Genere: Dark, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Storia SECONDA CLASSIFICATA al contest “Nei panni del Vampiro”, indetto da VaniaMajor.

 

Nickname Efp:  Snap95

Nickname Forum:  Snap95

Titolo: “Osiride, sangue e sabbia”

Genere: Dark, Mistero

Rating: Giallo

 

 



 

Osiride

Sangue e sabbia

 

 

Buio.
Anche quella notte, la stanza era immersa nella più profonda tenebra.
Il mio viso, nascosto sotto la maschera, era imperlato di sudore, e ciò mi ricordava la rugiada del mattino che lieve ed elegante si posava sulle foglie degli alberi.
Era così tanto tempo che non potevo godere della splendida semplicità che solo la brina sapeva avere.
Scacciai dalla mente quel pensiero inutile, e cercai di concentrarmi sull’ambiente che mi circondava.
Il salone era ampio e accuratamente decorato con pitture e mobilio pregiato.
Il trono su cui ero seduto, si ergeva al fondo della stanza, in segno di benvenuto ai “nuovi arrivati”.
Non capivo come si poteva sprecare tanto oro e pietre preziose per un morto.
Tutte le pareti erano accuratamente decorate a mano, con disegni e preghiere assolutamente minuziosi. Mi sarebbe piaciuto saper dipingere in quel modo eccelso.
Il soffitto era talmente alto da sembrare quasi eccessivo e megalomane.
Mi resi conto che un uomo piccolo e minuto si stava avvicinando a me, strisciando come un verme sul pavimento sporco di sabbia e fango.
Non era una persona particolare, era il classico maschio mingherlino di mezza età.
I suoi capelli erano probabilmente inesistenti, o in caso contrario nascosti dalla parrucca nera.
Non pensai neanche per un istante a chiedergli di alzarsi, poiché lui era obbligato a umiliarsi in mia presenza.
-Vengo in vostro cospetto, Oh Signore della Morte, Custode delle anime oltrepassate, per chiedervi umilmente di accettare mia moglie, Kenati, nel Regno dei Morti.-
Osiride.
Questo era il nome con cui tutta la popolazione dell’Egitto mi conosceva.
Per loro io ero il Dio dei Morti. Mi veneravano e mi pregavano in ogni ora del giorno, si sottomettevano a me di loro spontanea volontà, e neanche il Faraone aveva una potenza paragonabile alla mia.
Io ero la chiave per la vita dopo la morte, ciò per cui ogni egiziano smaniava.
Io ero il Signore dei Morti.
Nessuno poteva anche solo permettersi di guardarmi negli occhi, per questo venivano coperti da una maschera.
Non era la prima volta che mentivo spudoratamente ad un’intera popolazione, ma quella volta le cose erano filate assolutamente lisce, anzi erano andate meglio del previsto.
Non mi sarei mai aspettato tutta quell’ammirazione.
In fondo, quando ero arrivato a Tebe, avevo solo sperato di trovare un luogo in cui insediarmi e trovare rispetto e una casa in cui stare.
Ma tutto quello sfarzo non mi dispiaceva affatto.
Mi spolverai il gonnellino di lino, e presi ad atteggiarmi come solo un dio poteva fare; d’altronde mi immedesimavo perfettamente nella parte, anche grazie alla mia estrema eleganza signorile.
L’uomo davanti a me annaspava, sintomo del fatto che era impossibilitato a vedere.
Solo la mia vista si raffinava con il buio.
-Inchinati al mio cospetto, sudicio verme! Come osi chiedere un tale favore al tuo Dio?-
La mia voce apparve severa e potente tra i muri della piramide in cui ci trovavamo.
Non avevo alcun problema nel rendere il mio tono di voce perfettamente spietato e brutale, avevo avuto secoli a disposizione per allenarmi.
La prima volta in cui avevo dovuto usare quella tecnica, nei piccoli popoli tra il Tigri e l’Eufrate, era successo un bel pasticcio. Per i primi tempi mi avevano creduto, venerandomi e amandomi, ma poi le cose erano degenerate ed io ero dovuto scappare.
Ma tutto ciò era stato solo in mio beneficio, poiché ero approdato in Egitto: il popolo più credulone che io avessi mai conosciuto.
Tornai con la mente nella stanza buia, e notai che l’omiciattolo si era letteralmente spiaccicato sul pavimento. Da ciò che potevo notare stava tremando, e forse anche piangendo.
Facevo a tutti lo stesso ridicolo effetto.
-La prego Vostra Grazia, accettate mia moglie nel vostro reame.-
Il mio reame.
Non chiedevo un regno da governare. Mi sarebbe bastato un posto fisso in cui poter alloggiare, una piccola capanna tutta mia, una moglie da baciare, un pargoletto da poter sfamare.
Mi sarebbe bastato avere una vita.
Era passato così tanto tempo dalla notte in cui avevo perso la mia vitalità.
Non riuscivo a ricordare di preciso quando fu l’ultima volta che vidi il sole sorgere, ma rammentavo perfettamente lo spettacolo senza confronti che sapeva offrire.
Un’immagine ricorreva nei miei sogni tormentati: dietro le vette delle alture, in un posto che non ricordavo di aver mai visto, una luce fioca e debole spuntava, quasi a voler timidamente far sapere a tutti che lei c’era. Poi, secondo dopo secondo, quel piccolo barlume diventava sempre più intenso, sempre più giallo, sempre più accecante.. E a quel punto un raggio spuntava illuminando tutto il panorama.
Poi si poteva notare un altro raggio, e ancora un altro.. finché non diveniva un susseguirsi di scie solari sempre più splendide e luminose, che si appropriavano dell’intero cielo.
Ma quando stava per sorgere tutto il sole, dandomi la possibilità di vederlo (anche solo se in un sogno)..
Mi svegliavo dal mio stato di semi-morte, sbarrando gli occhi vitrei, privi di ogni emozione.
Ogni notte era la stessa storia, lo stesso incubo ricorrente che violentava i miei riposi.
Il non poter assaporare il calore della luce mattutina era sicuramente la tortura peggiore della mia condizione.
Qual era il mio status?
No, non ero un dio. Non ero Osiride, il temibile Protettore dell’Aldilà.
Mi ero appropriato di quella tradizione egizia, già esistente, per poter fare i miei loschi scopi, per potermi assicurare protezione e una dimora lugubre degna del re dei morti.
La mia vera identità era sconosciuta a tutto il mondo.
Uno stralcio di verità esisteva in tutta quella menzogna: io appartenevo realmente al Regno della Notte, alla Morte. Ma non esattamente nel modo in cui tutti credevano.
Io ero il Figlio della Notte.
Io ero il Vampiro.
Dall’alba dei tempi, o comunque da un periodo abbastanza lontano da essermelo scordato, ero costretto ad una condizione di semi-morte.
Non mi ricordavo com’era accaduta la mia trasformazione da essere umano a vampiro, poiché avevo rimosso ogni memoria della mia vita da umano.
Le mie reminescenze partivano con l’immagine di me stesso chiuso in una grotta umida, piagnucolante e febbrile.
Certo, avevo dei ricordi sfocati della mia vita di uomo, ma nulla di troppo importante.. A parte le splendide memorie dell’alba.
Il mio stato di non-morto aveva i suoi avvilenti svantaggi. Come ad esempio il fatto di non poter uscire allo scoperto durante il giorno, poiché ero allergico alla luce solare.
Non potevo nemmeno assaporare i cibi. Ed era frustrante.
Avrei tanto voluto mettere in bocca una crosta di pane, e sentire il rumore che produceva nel frantumarsi tra i miei denti. Avrei voluto poter bere un buon bicchiere di limpidissima acqua.
Mi sarebbe piaciuto molto, si.
Che cosa dovevo procurarmi per vivere al posto del cibo?
Qua arriva la parte che io amavo di più.
Sangue.
L’unica sostanza in grado di mantenermi in vita, rendermi immortale e mostruosamente invincibile…
Era il sangue.
Limpido, scintillante, dal sapore metallico e incomparabile… Una voglia incontentabile.
L’unico piacere di cui non potevo fare a meno.
La mia droga.
Puntai il mio sguardo tagliente sulla figura dell’uomo tremante.
Sfoderai il ghigno sadico che non riuscivo a contenere, quando l’istinto di predatore si impossessava del mio corpo e della mia mente.
La voglia era arrivata, nessuno avrebbe potuto fermarla.
-Non ti dovrai preoccupare per tua moglie, perché sarai tu stesso ad accompagnarla nel Regno dei Morti.-
Così dicendo, senza preavviso e con un movimento assolutamente impercettibile…
Saltai alla gola dell’uomo.
Sangue.
 
 
 
La notte era di un buio particolare quel giorno.
Non era tetra e oscura come ogni volta, ma le stelle che brillavano come piccole lucciole, gli donavano un’aria del tutto romantica e malinconica.
Mi portai alla bocca un bicchiere di sangue; ne conservavo sempre un po’ dalle vittime umane che sgozzavo, in modo da averne una piccola scorta per qualunque evenienza.
C’era una strana quiete, come se delle dolci note musicali stessero suonando, suadenti, nell’aria.
La mia capanna era situata in una parte periferica della città, così da potermi confondere con il resto della gente. Dovevo mantenere una certa discrezione, siccome la mia identità doveva rimanere sconosciuta.
Se qualcuno avesse scoperto che io, mediocre cittadino del Regno d’Egitto, di notte mi travestivo da Osiride e prendevo in giro il Faraone, sarei stato costretto a rifare i bagagli e cambiare nuovamente residenza.
Ma l’Egitto mi piaceva, e non volevo abbandonarlo; era una piccola certezza nella mia esistenza basata sulla solitudine.
A volte, quando dimenticavo la brama di sangue, sentivo il bisogno di avere una famiglia, degli amici, un lavoro.. Ma la mia natura me lo impediva, non ero un uomo.
Ed ero spietato, vendicativo.. affamato.
In un piccolo bauletto di legno, nascosto tra la sabbia, erano contenute le ricchezze che accumulavo fingendomi il Guardiano del Regno dei Morti.
Gli egiziani pensavano davvero che il loro Dio si fosse presentato a loro, e per quest’evento senza precedenti ergevano enormi statue in suo onore.
In realtà erano stati fregati da un vampiro avaro.
Ironia della sorte, già.
Nella vita quotidiana del popolo non ero presente, siccome dovevo rimanere chiuso dentro il sarcofago d’oro, (situato in un buco al di sotto del terreno della mia catapecchia) che mi ero procurato.
Di notte girovagavo senza meta per la città di Tebe, ammirando le splendide costruzioni e il paesaggio dall’orizzonte infinito che solo quella terra poteva donare.
D’un tratto un rumore mi riportò alla realtà: la tenda della mia capanna si stava aprendo.
Chi mi poteva cercare a quell’ora di notte?
Nascosi il bicchiere di sangue dentro ad un cesto di vimini, e mi sedetti composto sul letto di legno, notando che era sporco di sabbia e polvere.
-Chi mi cerca?- chiesi con un tono di voce severo.
Una mano delicata e abbronzata spuntò da fuori la tenda. Apparteneva sicuramente ad una donna.
E dato che era abbronzata doveva essere una schiava o una popolana, poiché le nobildonne erano di pelle chiara a causa del fatto che non uscivano quasi mai dal palazzo reale.
Uscii dalla condizione di staticità assoluta che solo noi vampiri potevamo assumere, e mi concentrai sul mio ospite.
-Vorrete scusarmi signore, ma mio padre, un umile agricoltore che vende i suoi prodotti al mercato, sta cercando degli uomini forti che possano aiutarlo domani mattina. Vi prego di perdonarmi per l’orario inopportuno, ma devo obbedire agli ordini.-
La voce flebile ruppe il silenzio, provocandomi un piccolo spasmo incontrollato; mi succedeva sempre quando udivo voci così femminili e aggraziate.
-Entrate- dissi, ormai curioso di vedere il suo aspetto fisico.
La tenda si scostò del tutto, e la figura che entrò mi lasciò senza parole: era di una bellezza splendida.
Il corpo sinuoso come quello di una sirena, e il seno prosperoso degno delle dea Hathor.
Un kalasiris (indumento femminile in lino) le copriva il corpo, lasciando però in vista le spalle piccole e la pelle color caramello.
I suoi occhi da cerbiatto erano vispi e sull’attenti, cosa che mi dava l’impressione che non fosse una donna stupida. Anche i capelli erano di uno splendido nero corvino, e le cadevano lungo i fianchi, quasi a farle da veste.
Qualsiasi uomo avrebbe fatto follie per una moglie come quella.
Ma il punto del suo corpo che più mi stava facendo fremere era il collo lungo, accentuato da una collana di rame che le cadeva tra i seni.
Era una popolana, e probabilmente sarebbe rimasta povera per tutta la vita, ma possedeva un’arma micidiale: la bellezza.
Teneva le mani lungo i fianchi, ed era visibilmente agitata. Se qualcuno l’avesse vista dentro la mia capanna, l’avrebbe sicuramente additata come una donna facile.
Le cose funzionavano in quel modo in Egitto.
Mi lasciai andare sul letto, e mi portai sensualmente le mani dietro la nuca.
-E così vostro padre cerca operai-
La ragazza si massaggiò il palmo della mano con l’altro arto, e prese a muovere freneticamente il labbro inferiore.
Il mio livello di eccitazione stava salendo a dismisura.
Avevo una dannatissima voglia di sangue, e quella donna, con il suo fare spaventato e insicuro, si stava servendo sul piatto d’argento.
Ero un predatore e smaniavo poiché le mie prede fossero terrorizzate dal sottoscritto.
-Si, Signore. Sono qui per chiedervi umilmente se potesse interessarvi questo lavoro.-
Figlia di operaio.
Nessuno avrebbe sentito la sua mancanza, e probabilmente nemmeno il padre si sarebbe preoccupato troppo per lei.
Se fosse morta il mondo avrebbe tranquillamente fatto a meno di lei. Non era ricca, non era nobile. Non contava nulla.
Tutto questo era ciò che io cercavo sempre nella mia preda. Non ero un vampiro stupido, non sarei mai andato a nutrirmi del sangue di un aristocratico. Tutti lo avrebbero cercato.
Al contrario, nessuno si curava di chiedersi dove fosse finito uno schiavo, o un povero operaio.
Mi alzai con uno scatto improvviso e agile come quello di un felino.
Vidi la femmina sussultare quando si accorse che non ero più sul letto, ma bensì con il fiato sul suo collo.
Inebriante.
Il suo profumo saliva nelle mie narici e mandava in corto circuito il mio sistema nervoso; emanava  il classico odore di una vergine, lo potevo sentire.
Quella donna aveva tutte la caratteristiche che io bramavo di più nella mia vittima.
Con i suoi grandi occhi nocciola e l’aria da cucciolo smarrito, mi eccitava oltre ogni limite.
E potevo sentire sulla lingua il sapore metallico del suo sangue virtuoso.
Non c’era nulla che potesse impedirmi di nutrirmi di quello splendido esemplare di femmina.
Sentivo il suo respiro farsi sempre più affannato, mentre nell’aria l’odore tipico della femmina eccitata aumentava sempre di più.
Non capivo perché le donne umane fossero attratte così tanto dal pericolo, da esserne anche estasiate sessualmente. Forse amavano sentirsi sottomesse?
A me non dispiaceva, anzi, la componente sessuale era quasi d’obbligo durante i miei pasti.
Per questo preferivo nutrirmi di ragazze vergini, possibilmente belle e in salute; non perché il sangue ammalato mi potesse contagiare, ma solo per una questione di gusto e qualità.
Ero un buongustaio, certamente.
Però bramavo le donne pure, perché mi facevano sentire uomo; con loro potevo far esplodere tutta la mia rabbia repressa nei confronti del mondo, che mi aveva costretto ad essere un vampiro senz’anima. Potevo maltrattarle a mio piacimento, potevo far uscire il pazzo sadico che era nascosto in me.
Amavo il sangue, lo amavo davvero, ma certe volte avrei preferito avere una vita.
-Io.. Vi ho già visto da qualche parte..- sussurrò la donna, con la voce impastata.
Quella ragazza probabilmente mi aveva visto ad una delle molteplici cerimonie in onore di Osiride, ma era strano che mi avesse riconosciuto, poiché portavo sempre la maschera.
Quasi certamente mi aveva scambiato per un altro uomo.
-Sono sicuro che vi state sbagliando, cara- le alitai sul collo strappandole un brivido.
Se si fosse accigliata dopo aver udito il nomignolo che le avevo affibbiato, allora non sarebbe stata una preda semplice; al contrario, se le fosse piaciuto, era già in mio possesso.
Sentii il profumo della sua eccitazione divenire sempre più intenso, cosa che mi assicurò il fatto che non le era dispiaciuto essere chiamata “cara”.
Era mia.
Il suo sangue era mio.
-No, io vi ho visto.. il vostro corpo.. mi è familiare..-
Ormai faticava anche solo a parlare, poiché erano evidenti i gemiti di piacere che cercava di soffocare.
Se solo avesse saputo con chi aveva a che fare, allora il suo atteggiamento sarebbe mutato.
Ma facevo lo stesso effetto a tutte le donne, e ciò mi facilitava il lavoro, rendendolo anche migliore.
Gli umani erano facilmente condizionabili, e anche un po’ stupidi.
-Sono certo che mi avete scambiato per un altro uomo, io non vi ho mai vista prima d’ora.-
La mia voce lussuriosa le strappò un gemito gutturale, cosa che mi permise di notare la vena del collo che si ingrossava.
Adesso non era l’unica ad essere eccitata.
Fame.
Non riuscivo più a contenere la sete, volevo morderle il collo..
Avevo il bisogno fisico di sentire il suo dolce sangue scorrere nella mia gola, lieve e fluido sulla mia lingua.
Non riuscivo più a contenere il desiderio, che premeva forte nel mio corpo.
-Voi non siete originario di Tebe, vero? Venite per caso da un’altra città dell’Egitto?- poi sentii la paura invadere il suo corpo, ed ella si scostò dal mio corpo che premeva dietro di lei.
-Che succede, mia cara?-
-Non sarete per caso uno straniero? Se foste un nubiano?-
La sua unica preoccupazione era che fossi un uomo macchiato di vergogna. Com’era superficiale.
Ero molto di più.
Ero colpevole di assassinii, di morti, di stragi. Di tradimenti, menzogne.
Un criminale in tutto e per tutto. Altro che “macchiato di vergogna”.
Sfoderai il sorriso più ipnotico che sapessi fare. –State tranquilla, vengo da Giza.-
Un’altra mezza bugia, o mezza verità, che si andava a sommare alla lista di quelle che già aveva detto; a Giza ci ero stato davvero per un lasso di tempo, ma non ero originario di quel posto.
La mia vita era basata sulla finzione. Ero un attore che portava avanti egregiamente la sua pièce.
Nessuno poteva sapere che io ero un vampiro.
-Dicono che a Giza il faraone abbia fatto ergere un’enorme statua dalle sembianze terrificanti!-
Ingenua.
Ecco il termine giusto per descrivere quella ragazza. Sembrava così piccola e credulona, una tenera ragazza delle periferie di Tebe, abituata ad essere protetta dai pericoli della vita.
Proprio non si rendeva conto che dietro a quella scultura megalomane c’era un lavoro di schiavi maltratti, di giochi di potere e soprattutto di tombe prosciugate.
Avevo io stesso dovuto processare, sotto nome di Osiride, alcuni scribi, il visir del Faraone e comuni schiavi, per aver profanato la tomba del precedente Faraone.
Certo, i poveri popolani lo facevano solo per accaparrarsi qualche tesoro, e poter sfamare le proprie famiglie. Ma i visir erano dei puri e semplici traditori, infami.
La sentenza era stata di condanna a morte; erano stati impalati vivi nelle vicinanze di Tebe.
Una cosa così terrificante che poteva essere paragonata a ciò che facevo io per nutrirmi.
-Si, è esatto. È molto inquietante.- dissi tornando alla conversazione con la donna.
-Voi l’avete vista?- chiese con gli occhi luccicanti, pieni di ammirazione.
-Certamente. Quando sono venuto qui a Tebe era in costruzione.-
-Qui a Tebe non costruiscono più le piramidi. Le voci dei popolani dicono che i reali abbiano spostato  i loro sepolcri in una valle qui vicina, sotto terra. Deve essere così oscuro come luogo. Non credete?-
Si, le leggende erano veritiere.
Una notte, mentre ero travestito da Osiride, il Faraone era venuto al mio cospetto informandomi del fatto che aveva intenzione di spostare la sua tomba sottoterra, in una valle immensa subito fuori Tebe; mi aveva chiesto se secondo me era una buona idea. Avevo acconsentito.
Non me ne importava un fico secco del posto in cui il corpo del Faraone sarebbe andato in cancrena, ma loro credevano che io fossi la chiave per la loro vita nell’aldilà, quindi dovevo rispettare il copione.
Recitare la parte di Osiride era divertente, ma poteva diventare rischioso.
Avevo anche partecipato alla discussione per la costruzione del Tempio dedicato al dio assoluto Amon; esso era in ancora in cantiere subito fuori Tebe, ed era di una maestosità senza precedenti.
-Oh, ne sono certo. Ma Nostro Sovrano avrà avuto le sue buone ragioni.-
-Sicuramente avete ragione, mio signore.-
Accondiscendente, educata ed elegante.
Anche se era una popolana aveva acquisito alla perfezione le buone maniere di una donna rispettabile egiziana; eppure si stava facendo sedurre senza problemi da me.
La donna deglutì e ciò rese perfettamente visibile la pelle liscia del collo.
La vena piccola e sottile che passava da lì aveva un’aria così invitante, sembrava quasi mi stesse pregando di squarciarla e succhiarla.
Non potevo aspettare altro tempo, dovevo averla, sentire la sua pelle sotto i miei denti.
Oh, sarebbe stato un così grande peccato rovinare quella morbida cute…
Ma come potevo resistere ad una tale tentazione?
Non ero un santo, e non avevo intenzione di diventarlo. Volevo solo mangiar, sfamare la mia inappagabile sete.
Mi avvicinai nuovamente a lei, con un passo veloce e sensuale che solo un vampiro poteva possedere.
Le girai attorno come fa un leone con la gazzella che ha adocchiato, e iniziai una piccola danza sadica e mortale.
La sorpresi a fissare il mio addome, che era ben scolpito e muscoloso come il resto del mio corpo.
Era tanto tempo che non vedevo il mio viso riflesso in uno specchio, per cui non avrei saputo descrivere con certezza i miei lineamenti; rimembravo solo che avevo un naso aquilino e due occhi color pece.
 La stanza era immersa in un’atmosfera lugubre, e nello stesso tempo carica di passione.
Il perfetto ambiente per la mia caccia.
Ero così ossessionato dalle vergini, che quando non ne trovavo per un lasso di tempo andavo fuori di testa, facendo strage di corpi.
E la donna che mi stava davanti era la personificazione della castità… così incantevole.
Oh, come la bramavo.
Se fossi stato un egiziano che credeva veramente negli dei, avrei pensato che quella ragazza fosse una delle figlie di Hathor, la dea dell’amore.
Una folata di vento fece spostare la tenda, rendendo visibile il paesaggio all’esterno.
Tra le dune all’orizzonte, si stava alzando un’impetuosa tempesta di sabbia, l’incubo dei mercanti e dei nomadi.
La donna si spaventò e sussultò, ma io le premetti la mano sulla spalla nuda, inducendola a rilassarsi sotto il mio tocco sensuale. Premetti il mio petto nudo sulla sua pelle.
Nulla poteva distrarmi dal mio obiettivo.
-Come vi chiamate?- mi chiese tra un ansimo e l’altro.
-Non è importante. Ma io vorrei sapere il vostro nome, cara…-
Non sapevo nemmeno io quale fosse il mio nome. Ne avevo mai avuto uno?
La sentii accigliarsi, ma con le mie doti di vampiro le soffiai eroticamente nell’orecchio, strappandole un gemito di piacere.
-Mi chiamo.. Afaf.-
Oh, Santa Tenebra.
Quella ragazza era la perfezione allo stato puro. Non c’era preda migliore al mondo.
Afaf, il suo nome, voleva dire “Castità”. Che cosa potevo chiedere di meglio se non una vera figlia della virtù?
Era la purezza allo stato puro. La mia estasi.
La mia libidine.
-Splendida, dolce Afaf del mio cuore.. Donereste il vostro corpo a me?-
La sentii farsi sempre più eccitata e selvaggia, e la sua pelle emanava un profumo invitante: un misto tra passione, ingenuità, purezza.. e terrore allo stato brado.
Era ora.
Era arrivato il tempo in cui la vita di Afaf sarebbe dovuta finire per mano mia.
Tremavo di eccitazione al solo pensiero del suo sangue sulla mia lingua.
-Si..-disse in un sussurro.
-Non ho sentito, ripetetelo..-
-Si- questa volta fu convinta, senza rimorsi né titubanze.
Premetti il mio corpo sulla sua schiena, facendoci diventare quasi un tutt’uno.
La sentii ansimare sempre più forte. Forse il nome Afaf non faceva per lei, in fin dei conti.
Ma cosa importava?
Probabilmente ella stava pensando alla nottata di sesso che avremmo passato, o comunque fantasie erotiche molto esplicite, poiché il suo corpo non mentiva.
E la sua vena si faceva sempre più bella.
Potevo vedere il pulsare del sangue.
Lento e dolce che scendeva per i capillari, scorrendo lungo tutto il suo corpo.
Oh, che delizia, che passione!
Che cosa avrei dato per assaggiare il sangue della Regina!
Il sudore le imperlava il volto angelico, donandole un’aria del tutto estranea alla sua bellezza.
-Oh, mio signore.. Prendetemi, vi prego..-
Il nome Afaf non faceva proprio per lei, ora ne ero certo.
Mi stava esplicitamente chiedendo di toglierle la verginità. Non le passava per l’anticamera del cervello che forse il padre la stava cercando?
Comunque non erano affari miei, e io avevo ben altro a cui pensare.
Mi avvicinai al suo collo, e sentii l’odore metallico del sangue invadermi le narici.
D’istinto i canini si allungarono, segno che non potevo più aspettare.
Le trafissi la pelle abbronzata con una velocità sovrannaturale.
Sentii la carne sotto i miei denti, morbida come gomma piuma; si sbriciolava come un pezzo di pane, come una bistecca che viene strappata da un umano.
Lei era la mia splendida, succulenta bistecca.
La sentii urlare di dolore, mentre cercava di divincolarsi dalla mia presa d’acciaio, ma ormai era troppo tardi, e io ero perso in un altro mondo.
Il mondo della morte.
Sangue.
Dolce, splendido, delizioso sangue, scendeva nella mia gola come miele.. Oh, ero stato creato per quello. Non c’erano altre cose che avrei potuto fare nella mia vita di vampiro.
Ero completamento estasiato dal sapore dolce del sangue, che mi riempiva di vita.
Tutto era così perfetto, così giusto.
Sentii che la preda aveva smesso di dimenarsi, ed era immobile tra le mie braccia.
E adesso dov’era finita l’anima di quella bambina straziata dalla tentazione? Che cosa avrebbe pensato suo padre se avesse saputo che la sua piccolina era stata uccisa da un vampiro?
E che cosa ne avrebbe detto l’intero Egitto? Che cosa ne sarebbe stato di loro se avessero scoperto che i loro dei non esistevano?
Afaf era morta, il suo corpo inerme.
Non poteva essere già finito. Ne volevo ancora. Com’era possibile?
Sangue, sangue, sangue. Era un’ossessione. Una droga.
Continuavo a succhiare ma dalle vene non usciva più nulla.
L’avevo prosciugata.
Mi staccai con un gemito gutturale, e lasciai cadere il corpo senza vita a terra.
Dannazione, stupida sciacquetta!
Il sangue mi macchiava il viso, e gocciolava dalle mie zanne color avorio.
-Benvenuta nel Regno dei Morti, Afaf.-
Scoppiai in una fragorosa risata, spezzando il silenzio della morte.
Ridevo di quella stupida ragazzetta che si era fatta convincere da uno sconosciuto, e aveva perso la vita. Era sempre così facile assoggettare le verginelle ingenue.
Ero così soddisfatto della mia cena.
Saporita, sublime. Afaf aveva un sangue davvero delizioso. Mi sarebbe piaciuto dirglielo.
A quel pensiero risi ancora di più.
Aprii la tenda e mi resi conto che la tempesta di sabbia era arrivata a Tebe, e ora erano tutti chiusi nelle case, cercando di ripararsi dal disastro naturale.
Mi lasciai spettinare i capelli dal vento, e la sabbia mi arrivò in viso inducendomi a chiudere gli occhi.
Ero un vampiro, un assassino.
Nulla avrebbe potuto fermarmi.
Alzai la testa al cielo, e i miei occhi incontrarono la luna seducente, che con la sua luce candida mi stava facendo i complimenti per il lavoro appena svolto.
Il pallido satellite era l’unico appiglio che avevo nella mia condizione, la cosa che più si avvicinava al ricordo del sole. Ma era l’opposto.
Ed era proprio quello il motivo per cui io la veneravo; non potevo avere la bontà per cui avevo scelto la crudeltà più assoluta.
Con il sangue che ancora imperlava il mio viso, mi lasciai trasportare dall’atmosfera misteriosa che solo quell’immensa terra aveva saputo regalarmi.
L’Egitto che mi idolatrava, che era dalla mia parte.
 
Osiride, il Vampiro.
 
 

Fine.

   
 
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