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Autore: Naco    14/07/2006    5 recensioni
Un ragazzo e una ragazza, un amore, una spiaggia. Una felicità dolce e leggera, come il soffio del vento. E poi, all'improvviso, il dolore, la rabbia, l'amarezza di chi perde ciò che più ama al mondo, di chi perde la felicità. E la disperazione, violenta. Come una tempesta.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Io… non credo di poter essere più il tuo ragazzo.”
Sì, decisamente quello era il miglior modo per terminare la giornata, pensai in quel momento, con il mio naturale, e famoso tra i miei amici, sarcasmo. O forse di iniziarla, visto che l’orologio aveva già battuto i dodici rintocchi da almeno due ore.
Per un attimo avevo davvero pensato di aver sentito male, o di avere qualche problema d’udito di cui non mi ero mai resa conto. Perché quelle parole non erano state rivolte a me, era ovvio. Dovevo per forza aver sentito male. O magari, a pochi passi da noi, c’era un ragazzo che le aveva appena pronunciate alla sua ragazza. Poveretta, pensai..
Mi voltai verso quello che invece ero certa fosse e sarebbe stato per molto tempo ancora il mio ragazzo, lentamente, molto lentamente. Eravamo ancora abbracciati, e io poggiavo la testa sul suo petto che profumava di salsedine.
“Credo di aver sentito male. Ti spiace ripetere?”
Lui tentava in tutti i modi di evitare il mio sguardo. Non che questo fosse difficile: la luce della luna a tratti si ritraeva dietro una nube passeggera, lasciandoci al buio anche per qualche minuto. E in un minuto possono accadere tante cose. Troppe,
“Dico che forse… forse non sono la persona adatta a te.”
No, non c’era nessuna coppia lì con noi, quelle parole erano state davvero rivolte a me. Allora era sicuramente un sogno, pensai. Oppure no, si trattava semplicemente la scena di un film. Sì, una struggente storia d’amore, come quelle che piacevano tanto a me, di cui io e lui eravamo gli attori principali. Solo che non ricordavo più la mia battuta.
“Ah.” Non aggiunsi altro, sperando che questo lo incentivasse a dire di più, a suggerirmi quella battuta che proprio non mi veniva in mente; ma lui tacque.
“Perché?” chiesi alla fine. No, decisamente non ero mai stata brava ad aspettare e preferii improvvisare.
“Perché siamo diversi. Troppo diversi. E le cose tra noi non possono funzionare.”
“Sei un pessimo studente di fisica, Ste’” risposi “Non lo sai che gli opposti si attraggono?”
“Non per niente ho rifatto quell’esame per tre volte. E alla fine ho preso un misero diciotto” Ribatté calmo.
Eravamo ancora abbracciati. La sua pelle sapeva di mare, di sole e aveva un ché di vagamente esotico. L’avevo sempre preso in giro per questo.
“Mi ricordi Sandokan” gli avevo sussurrato all’orecchio la prima volta che avevamo fatto l’amore.
“E tu sei la mia Perla di Labuan, Marianna” mi aveva risposto lui, stringendomi a sé protettivo.
Per la verità, non è che somigliassi molto all’amata donna del pirata della Malaysia; anzi, fisicamente ero l’esatto opposto. Ma era bello sentire il mio nome sussurrato dalla sua voce nel mio orecchio. Mi ricordava il suono del mare calmo, appena increspato dalle onde. Mi ricordava le sere d’estate che trascorrevamo così, semplicemente abbracciati ad ascoltare il suono delle onde, a sentire i nostri corpi vicini, senza parlare. E poi un giorno, quasi senza accorgercene, a quei suoni dolci e ovattati, si aggiunse quello dei nostri respiri, che si intrecciavano e comunicavano tra loro in una danza senza fine, quasi conoscessero a memoria le parole di quella canzone silenziosa. E il nome non era più sussurrato dalle onde appena increspate, ma da un vento passionale e vorticoso che soffiava, soffiava su di noi, su di me, su quella spiaggia, su quell’estate calda e romantica.
La mia mente ormai era lì, lontano, e viveva quei giorni, quei suoni, quei momenti, mentre il mio corpo restava su quella spiaggia, immobile, tra le sue braccia, spettatore di quella che era la mia vita. Di quella che era ancora la mia vita.
O forse no?
“Non è colpa tua, Marianna, credimi. Questi mesi trascorsi con te sono stati splendidi e non li dimenticherò mai, saranno un ricordo dolcissimo. Ma io credo che sia giusto che finisca qui. Non voglio che tu soffra inutilmente.”
Ma io credo che sia giusto finirla qui…
… sia giusto che finisca qui…
… che finisca…

La sua voce profonda finalmente mi scosse dal mio torpore.
E fu in quel momento che mi resi conto di come quelle leggere increspature sul mare, senza che me ne accorgessi, erano diventate sempre più vorticose, fino ad esplodere in un suono cupo e profondo.
E solo allora la schiuma, bianca e salmastra, sgorgò dalle profondità del mio cuore, riversandosi sulle mie guance, illuminandosi come cristalli alla luce della luna.
E poi il boato. Fuori e dentro di me. Il sordo fragore di quell’onda che si frantuma contro gli scogli, con violenza. Quel suono agghiacciante che si levò in quella fresca sera d’estate dal mio cuore e dalla mia anima.
L’onda aveva portato via con sé nelle profondità degli abissi ogni traccia di quel che prima vi era stato, sogni, speranze, illusioni che fossero, lasciando solo una sterile distesa bagnata.
Quella che sembrava una pellicola lontana, era davvero la mia vita. E quella che avevo creduto essere la realtà, era soltanto un fotomontaggio fatto a regola d’arte, una sequenza di immagini che forse, in quell’attimo, nell’attimo in cui i due attori avevano recitato, poteva essere vera, ma che poi, guardandola dopo, a distanza di tempo, con occhi attenti, diventava quello che era. Una mera illusione…
“Marianna, mi dispiace, ma io…”
La sua voce mi sembrava lontana, adesso. Come un marinaio che chiama il suo compagno e gli dice qualcosa, ma il fragore delle onde attutisce ogni suono. Perché non ha tempo di sentirlo, il marinaio. Deve mantenersi, se non vuol finire divorato dalle onde, del mare e del suo cuore. Non ha tempo di vedere il suo colore pallido, non ha tempo di accorgersi che quelle braccia si sono allentate, che uno dei due, o forse ambedue, ha deciso di non curarsi dell’altro e di lottare da solo contro la tempesta, che ormai il compagno è lontano, inghiottito dalla notte buia che nuovamente è calata.
Il marinaio era solo.
Solo con il suo passato e il suo dolore, solo con il presente, con quelle onde che continuavano a infrangersi contro di lui, con la stessa intensità, producendo la stessa schiuma bianca e salata, senza fermarsi, neanche per un attimo.
Il marinaio urlava, urlava, chiamava aiuto, ma nessuno lo sentiva.
Nessuno ascoltava le grida di un cuore ferito che chiedeva solo un’ancora di salvezza, un appiglio a cui aggrapparsi. Un cuore che nel giro di pochi secondi era passato dalla felicità più completa alla disperazione più totale.
Il mare vorticoso aveva catturato il marinaio e lui, ormai stremato, non aveva la forza di risalire e si lasciava trascinare giù, sempre più giù

Ansimavo.
Il mio respiro mi fece corto, quasi stessi per soffocare. L’acqua salata si stava riversando nei miei polmoni e io non avevo neanche la forza di chiedere aiuto.
E quando anche l’ultimo barlume di speranza abbandonava il mio corpo e l’ultimo spiraglio di luce si allontanava con sempre maggiore velocità da me – o forse io da lei - arrivò finalmente anche lei.
La consapevolezza.
La bruciante consapevolezza che tutto era veramente finito. Che mai più sarei sprofondata nel suo abbraccio, mai più le mie labbra avrebbero incontrato le sue, mai più avrei strascorso le mie notti a fare l’amore sulla spiaggia, al chiaro di luna. Mai più, mai più…
Perché tutto questo mi faceva star male, mentre lui, mentre mi diceva che non mi amava più, era così tranquillo? Perché?
Perché a lui non è mai fregato niente di te.
La voce crudele delle onde si insinuava nella mia mente, portandomi per mano verso la Verità.
A lui non era mai importato niente di me.
A lui in quel momento non importava più niente di me.
L’estate calda l’aveva portato da me, e quella stessa stagione, adesso, lo portava via con sé. Verso altri lidi, verso altri calde sere d’agosto, con altre donne, con altre Marianna, magari questa volta bionde e con gli occhi azzurri proprio come lei.
Lui era stato un’illusione, un miraggio. Una fantasia. Come lo era stato Sandokan, come lo era stata Marianna.
Il vento dei ricordi vorticava ancora intorno a me, le onde del mio cuore mi ricoprivano, ma adesso non mi importava più nulla. Quel sentimento di rassegnazione che ormai albergava dentro di me, era tutto ciò che mi restava.
Quel tenue bagliore che avevo visto in lontananza si faceva ormai sempre più lontano, irraggiungibile., E la cosa non mi importava neanche più.
“Ehi! Ti senti bene?”
Mi era parso di aver sentito una voce, vicino a me. Devo essermi sbagliata, pensai. Chi diavolo sarebbe uscito di casa con questa tempesta? Ma forse era solo la voce del vento.
“Signorina?”
Sì, doveva essere il vento, mi dissi. Non poteva essere altrimenti.
“Ehi! Mi stai asc…!”
E all’improvviso, il buio. Totale, nero, profondo, silenzioso. Come il cuore.

* * *

“Sei ancora qui a fissare la tempesta?”
La sua voce mi giunse ancor prima che le sue braccia mi cingessero in un abbraccio gentile. Scostai la testa quel tanto che basta per permettergli di poggiare la sua sulla mia spalla. Sorrisi.
“Sì. Mi piace”.
Lui rise.
“Non ho mai capito perché, ogni volta che c’è una tempesta, resti qui a fissarla per ore.”
Ruotai un po’ la testa verso di lui, fino a incrociare il suo sguardo.
“Perché prima o poi finisce.”
Lui mi guardò interrogativo, con quegli occhi da bambino che tanto amavo.
“Ma certo che finisce! Prima poi tutto finisce”.
Sorrisi, mentre il mio cuore si riempiva di una strana, dolce malinconia. Mi abbandonai completamente al suo abbraccio e chiusi gli occhi, serena.
“Sì, hai ragione. Prima o poi tutto finisce. Anche questa tempesta”.

FINE

Sono proprio curiosa di sapere come vi sembra.
E’ una storia partorita in pochi giorni, che sentivo il bisogno di mettere per iscritto. Un piccolo momento catartico tutto mio, di cui per volevo rendere partecipi anche voi.
Spero tanto di essere riuscita a rendere bene i momenti fondamentali che la protagonista vive da quando il ragazzo che lei ama la lascia. Che sono poi in definitiva quelli che ho provato anche io.
Ho voluto provare a metterli per iscritto, adesso che tutto questo è abbastanza lontano per poterlo guardare e analizzare senza soffrire. Penso di capire perché all’inizio non sia riuscita a scriverci niente su, nonostante avessi voluto, perché sapevo che sarebbe stata una sorta di liberazione.
L’identità di chi arriva in soccorso della protagonista prima e quella del ragazzo che la chiama poi, ho voluto lasciarle alla libera fantasia di ognuno. Possono essere la stessa persona, possono essere anche diverse; possono rappresentare qualcosa, come anche semplicemente quello che sono: un passante e un ragazzo.
Mi piacerebbe tanto che la commentaste e mi diceste cosa ne pensate. Ve ne sarei immensamente grata.
Naco.
   
 
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