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Autore: effewrites    19/11/2011    11 recensioni
«Oh, potente Zeus, divino marpione, abbiamo scoperto la verità! Rivelaci la nostra parentela e conducici al Campo Mezzosangue!» proclamai con tono teatrale.
Come c’era da aspettarsi, non successe nulla.
«Mh. Forse non è Zeus. Forse è Poseidone o Ade» riflettei.
«O forse si è solo offeso perché lo hai chiamato marpione» propose Eric.
Sorrisi voltandomi verso di lui. «Sarebbe bello se fosse vero»

Shawna e Eric January hanno sedici anni, sono gemelli e sono due ragazzi normali — con una famiglia di schifo, ma normali.
Ma quando vengono catapultati improvvisamente in un mondo che ritenevano fosse solo frutto della fantasia, cosa rimane di normale nella loro vita?
Genere: Avventura, Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Incompiuta
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January's Curious Case
Parte I: The Beginning of January

Terza norma di Finagle: Non credete ai miracoli: contateci ciecamente. 

“Perfino Chirone, Annabeth e Grover, che avrebbero dovuto festeggiare quel momento, erano scioccati, pensando a cosa potesse significare per il futuro. Mentre io tenevo tra le braccia una persona che era destinata a essere una mia grande amica, o forse la mia peggiore nemica.
— Io sono Talia — disse la ragazza. — Figlia di Zeus.”
 
Chiusi il libro, e chiusi anche gli occhi.
Il silenzio della camera sembrò la cosa più magnifica che le mie orecchie avessero mai avuto l’onore di sentire fino a quel momento. Respirai profondamente, stringendo al petto il libro e realizzando che persino dopo la quinta rilettura, in quella precisa parte ancora mi si rizzavano i peli sulle braccia per i brividi.
Talia era tornata. La mia bella Talia.
Non riuscii a trattenere un sorriso mentre scivolavo giù dal divano del salone e mi dirigevo in punta di piedi verso la mia camera, dall’altra parte della grande, vuota e sfarzosa casa che abitavo con mio fratello e mia madre.
Incespicai per un attimo nell’orlo troppo lungo dei pantaloni del pigiama, quasi corsi il rischio di trasformarmi un una palla da bowling che avrebbe scivolato lungo il corridoio per andarsi a schiantare contro una delle tante porte in legno smaltato — quante diavolo di porte c’erano in casa mia? Giuro, ho anche tentato di contarle una a una, ma è un’impresa da non sottovalutare — finché non riuscii a raggiungere incolume la mia stanza.
Spalancai la porta, avvicinandomi alla libreria stracolma che troneggiava sul muro di fronte al letto. Scorsi velocemente i titoli con lo sguardo, mentre tamburellavo con le unghie sulla copertina del libro che ancora stringevo tra le mani.
Scovai uno spazio tra i testi. Bingo.
Mi chinai a posare il libro che avevo appena finito di leggere per prenderne il seguito, e passare di conseguenza un altro paio d’ore stravaccata sul divano, immersa nella lettura fino a farmi lacrimare gli occhi.
«Voilà» mormorai soddisfatta dopo aver ricollocato il testo al suo posto.
Chiamatemi pignola, ma i libri sono per me sacri. Tra l’altro, più li ho a cuore e più pretendo vengano trattati con amore, cura e rispetto.
Se si sta parlando della saga di Percy Jackson & gli Dei dell’Olimpo, poi, divento così suscettibile che se qualcuno posa anche solo lo sguardo sui miei libri senza il mio permesso, altro che arpie! Posso essere molto peggio di un Zeus incazzato di brutto.
Quindi potete benissimo immaginare la mia reazione quando mi resi conto che uno dei libri della saga non era al suo posto.
Mi pietrificai all’istante, come se Medusa mi avesse rivolto il più penetrante dei suoi sguardi.
Deglutii.
Mantieni la calma, Shawna. Ricorda cosa ti ha detto la strizzacervelli durante l’ultima seduta. Conta sempre fino a dieci prima di perdere il controllo.
Il ladro di fulmini c’era. Il mare dei mostri anche. Ma, in nome di tutti gli dei dell’Olimpo, che stracavolo di fine aveva fatto La maledizione del Titano?!
Il mio sguardo balzava da un libro all’altro. Probabilmente ad occhi esterni sarei sembrata una pazza che seguiva una partita di ping-pong alla velocità della luce. Alla fine mi balenò in mente una risposta plausibile al perché uno dei cinque volumi della saga di Percy non fosse stato esattamente dove avrebbe dovuto stare.
Strinsi i pugni e digrignai i denti, mentre con movimenti rigidi mi trascinavo fuori dalla camera.
Conta fino a dieci, Shawna, conta fino a dieci.
Uno, due, tre, quattro, cinque, sei, set—
«PORCA VACCA, ERIC JANUARY: SEI UN UOMO MORTO!» gridai, lanciandomi a rotta di collo giù per scale.
 
***
 
Trovai Eric comodamente stravaccato sul dondolo nel portico, con le gambe penzoloni e un braccio piegato a mò di cuscino dietro la nuca, che stava leggendo con nonchalance il mio libro.
Il vento leggero scompigliava i riccioli biondi che tanto facevano impazzire le ragazze. Aveva nelle orecchie gli auricolari del suo iPod, ad un volume talmente alto che riuscivo a sentire gli strimpellamenti delle chitarre perfino da dietro la portafinestra, che spalancai con la grazia di un mammut in un negozio di cristalli.
Mi avvicinai a mio fratello con passi pesanti, ma lui neanche se ne accorse, preso com’era dalla lettura e assordato dalla musica.
Gli strappai il libro dalle mani, furiosa.
«Stronzo analfabeta!» lo insultai.
Lui mise in pausa l’iPod e inarcò un sopracciglio. «A cosa devo l’onore?»
Feci un respiro profondo e mi imposi di ritrovare la calma, più che altro perché non volevo rischiare che in un eccesso d’ira iniziassi a malmenarlo con il libro che avevo appena tratto in salvo.
Quelle pagine erano troppo preziose per poter essere sporcate con il suo sangue.
Ostentando quindi una tranquillità che non mi apparteneva per natura, aprii la copertina e mostrai a Eric una frase scritta nella mia tondeggiante calligrafia priva di fronzoli.
«”Questo libro è di Shawna January”. Immagino che tu non sappia leggere, se l’hai preso senza neanche chiedere il mio permesso!»
«Il giorno in cui il tuo permesso avrà per me valore sarai la prima a saperlo»
«Sei uno stronzo»
«Sono il più grande»
«Siamo gemelli!» esclamai esasperata.
Eric roteò gli occhi.
Capivo il suo scetticismo. Io stessa stentavo a credere che io e lui fossimo gemelli. Anche se magari ci somigliavamo nei lineamenti del viso. Forse. In minima parte.
Scossi la testa e mi passai una mano tra i ricci castano scuro. Lui mi piantò in viso quegli occhi nocciola cerchiati di verde che erano l’unica prova tangibile e sicura che rivelasse il nostro essere fratello e sorella, dal momento che erano il marchio di fabbrica che nostra madre ci aveva trasmesso per marchiarci a fuoco come appartenenti alla famiglia January.
«Prima che tu e la tua finezza arrivaste per interrompermi, stavo leggendo quella parte che ti fa sempre piangere» ghignò Eric, ma non c’era malizia o cattiveria nella sua voce.
«Dici quando Zoe…?»
Scosse la testa. «No. Quando Talia e Luke si incontrano di nuovo»
Arricciai le labbra e mi strinsi nelle spalle. «Buon tentativo per cambiare argomento, ma passo. Non prendere mai più un mio libro senza prima chiedermelo, Eric. Sono seria»
«Non pensi sia una cosa carina che leggiamo entrambi la stessa saga?»
«Continua a parlare, sappi che però non attacca»
«Però qualche anno fa ti divertivi a recitare con me le scene dei libri!» esclamò Eric tirandosi a sedere e fissandomi con un’aria falsamente offesa.
«Avevo dieci anni e tu non eri ancora così irritante!» ribattei sulla difensiva.
«Pensavi che Annabeth fosse il miglior personaggio fra tutti»
Sbiancai. «Il che ci fa capire quanto io sia maturata in questi sei anni»
«Maturata è una parola grossa!»
«Chiudi il becco»
Eric ridacchiò tra sé e sé, scompigliandosi i capelli con una mano. Avevamo entrambi questo vizio.
Tese una mano aperta verso di me e assunse un’espressione supplichevole che poco si adattava all’Eric che conoscevo io.
«Se prometto di non rovinarlo, posso riaverlo?» mi chiese, riferendosi al libro.
Seppur scocciata dalla sua precedente mancanza di rispetto nei miei confronti, glie lo porsi. Se aveva detto la verità riguardo alla scena di Luke e Talia, allora doveva essere arrivato pressappoco alla fine. Tanto valeva che terminasse la sua lettura, a questo punto.
«Immagino che la mamma non tornerà neanche oggi» mormorò infine Eric, una volta riavuto indietro il libro.
Scossi la testa. «Rimarrà in centro. Ha chiamato prima la sua segretaria, ha detto che era ancora in riunione»
Eric mi lanciò un’occhiata infastidita, anche se non era rivolta tanto a me quanto a nostra madre. Non avevano un bel rapporto, loro due. Oh, be’, in effetti un rapporto non lo avevano neanche. Per gli dei, neanche io ce lo avevo!
La mamma lavorava nel centro città, in un’azienda di nonsocosa in nonsoquale posizione di rilievo. Immagino fosse un incarico abbastanza importante da consentirle di abbandonare i suoi due figli a loro stessi per quasi tutta la settimana.
«Sai perché mi piace Percy Jackson, Nana?» mi domandò mio fratello, giocherellando con un braccialetto di cuoio che portava al polso. Non risposi, ma biascicai qualcosa come un «Lo sai che non mi piace che mi chiami Nana». Evidentemente lui lo prese per un’incitazione a continuare a parlare.
«So che è un pensiero infantile, ma a volte mi piace credere che un giorno scopriremo che nostro padre è un dio dell’Olimpo e che questo è il motivo per cui non l’abbiamo mai conosciuto. Manderà al Tartaro la mamma e ci porterà al Campo Mezzosangue. Saremo solo io e te e saremo felici»
«Io sono già felice» borbottai. La faccenda del mandare al Tartaro la mamma, comunque, non mi andava tanto a genio.
Eric mi guardò con quegli occhi che erano l’esatta replica dei miei. Sembrava quasi cercare con forza nel mio sguardo un qualsiasi indizio per dimostrare a entrambi che quella che avevo appena pronunciato fosse stata solo una grande bugia.
 
***
 
Come da previsione, quella sera a cena ci fummo soltanto io e mio fratello.
Era il giorno libero della governante, per cui ordinammo semplicemente una pizza e senza neanche apparecchiare ci sedemmo a mangiarla per terra nel salone.
Quando non ci insultavamo o non ci tiravamo libri e altri oggetti addosso, Eric e io stavamo bene insieme.
Fin da quando ero stata abbastanza grande da capire il concetto di “fratelli gemelli”, le mie amiche mi avevano sempre parlato di questa sorta di connessione che secondo loro si stabiliva tra due gemelli. Avevo sopportato i loro sospiri e i loro «Quanto ti invidio!» per anni interi.
Non avevo mai capito cosa trovassero di speciale nel fatto di avere un fratello gemello. Seriamente.
Eppure quella sera, mentre mangiavamo pizza e bevevamo Cherry Coke — con l’immancabile frase di Eric «Io non la bevo se non è azzurra!» — e tentavamo di evitare che strisciate di salsa al pomodoro rimanessero appiccicate al parquet, mi resi conto che in fondo, connessione o no, avere un fratello non era poi così male.
Ci accorgemmo che aveva iniziato a piovere soltanto quando la finimmo di ridere per una stupidaggine che al momento neanche riesco a ricordare.
Eric affilò lo sguardo, poi si alzò e andò a scostare la tenda.
Si riusciva a intravedere quello che in pochi minuti si trasformò da pioggerellina leggera ma fitta a diluvio universale.
«Spero che mamma non si bagni» mormorai, sorseggiando le ultime gocce di Cherry Coke dalla lattina. Una manciata di secondi dopo un lampo illuminò la stanza, seguito a ruota da un tuono talmente forte che dallo spavento rischiai di strozzarmi con la bevanda.
«Shawna January, non vorrai dirmi che a sedici anni hai ancora paura dei tuoni!» mi prese in giro Eric.
Ci fu un cordiale scambio di epiteti quali “imbecille” e “cagasotto”, quando un nuovo fulmine illuminò il cielo.
Stavolta il bagliore azzurrino fu ancora più evidente, dal momento che saltò la corrente, e il tuono risuonò assordante nelle mie orecchie.
«Merda…» esclamò Eric, sospirando. «Aspetta qui, vado a prendere le pile. Non muoverti»
«E chi si muove!» mormorai, rannicchiata contro il divano, atterrita dal buio. Non che ne avessi paura, non ero fifona fino a questo punto, ma la consapevolezza di essere circondata da cartoni di pizza e tovaglioli e lattine di Cherry Coke mi faceva desistere da dall’idea di iniziare a vagare per il salone.
Eric fu di ritorno qualche minuto dopo, con due pile accese nelle mani per fare luce. Me ne porse una e mi aiutò ad alzarmi, superando il percorso ad ostacoli.
«Dov’è il generatore?» domandai, aggrottando le sopracciglia.
Eric si strinse nelle spalle e scosse la testa. «Non ne ho idea. Ma nel salone della biblioteca ci sono altre torce e anche delle lampade ad olio, se non ricordo male. Dai, diamoci una mossa»
Non mi rimase altra scelta che seguirlo.
Attraversammo il salone per poi aprire le porte in legno massiccio che conducevano al locale adiacente, uno stanzone utilizzato come biblioteca dal momento che era pieno di scaffali stracolmi di libri di ogni genere.
Siccome una delle pareti era interamente occupata da una serie di ampie finestre che davano sul giardino, c’era abbastanza luce anche senza le torce, che tenemmo però comunque accese.
«Wow, da brividi» mormorai osservando la pioggia che batteva furiosamente fuori le vetrate.
«Zeus è incazzato» fu il laconico commento di Eric.
Alzai gli occhi al cielo. «Che facciamo?» domandai sconfortata.
Mio fratello perlustrò la stanza con gli occhi, dopodiché mi rivolse uno sguardo che mi fece porre sull’attenti.
«Un’idea ce l’avrei»
 
***
 
«Quindi spiegami, davvero i January sono una dinastia che affonda le radici addirittura nel periodo del Medioevo?» risi. Eric stava studiando un polveroso volume preso da uno degli scaffali e si era messo a cercare l’albero genealogico della nostra famiglia.
«A quanto sembra» mormorò seccamente, mentre tentava di destreggiarsi con la torcia per farsi luce. Avevamo acceso qualche lampada ad olio, ma non erano molto d’aiuto.
Lo osservai per qualche istante; era completamente assorbito dalla lettura di quel volume, che sfogliava quasi freneticamente.
Come colta da un’illuminazione, mi alzai e afferrai un altro polveroso libro dall’aria tremendamente vecchia. Tornai a sedermi accanto a mio fratello e presi a imitarlo, finché lui non alzò lo sguardo, sorridendo in maniera confusa.
«Si può sapere cosa stai cercando?» domandò.
Mi strinsi nelle spalle. «Quello che stai cercando tu»
«Ne dubito»
Lo spintonai per una spalla. «Idiota. Sto cercando…» distolsi un secondo lo sguardo quando un lampo illuminò la stanza per l’ennesima volta, seguito poi a brevissima distanza da un tuono. «Sto cercando le lettere d’amore segrete che il nostro divino padre scrisse alla mamma quando seppe che lei era incinta»
Eric mi guardò con un misto di terrore e sconcerto prima di realizzare che stavo decisamente scherzando.
«Tu sei pazza» mi disse.
«No, sono solo molto annoiata» ribattei, facendogli cento di stare zitto e lasciarmi fare. «Lettere struggenti in cui il dio le rivelava tutto il suo amore ma anche l’impossibilità di poter vivere una vita con lei. E tra queste lettere potremmo trovarne una in particolare in cui papà rivela alla mamma l’esistenza di un campo per semidei, il Campo Mezzosangue. Le raccomanda di portarci lì all’alba del nostro undicesimo compleanno»
«Peccato che noi di anni ne abbiamo sedici»
«Ti tiro un libro in faccia! Dicevo, avrebbe dovuto condurci lì ma non l’ha fatto. Perché? Cosa glie lo ha impedito? Voleva proteggerci da qualcosa? Se sì, da cosa? E soprattutto, chi è il nostro genitore di vino? Magari… magari uno dei Tre Pezzi Grossi! Questo spiegherebbe ogni cosa! La mamma voleva proteggerci dalla profezia!» esclamai eccitata come se quello che stessi dicendo fosse stato la verità.
Ignorai le frasi di scherno di Eric e mi alzai, alzando le mani verso la finestra.
«Oh, potente Zeus, divino marpione, abbiamo scoperto la verità! Rivelaci la nostra parentela e conducici al Campo Mezzosangue!» proclamai con tono teatrale.
Come c’era da aspettarsi, non successe nulla.
«Mh. Forse non è Zeus. Forse è Poseidone o Ade» riflettei.
«O forse si è solo offeso perché lo hai chiamato marpione» propose Eric.
Sorrisi voltandomi verso di lui. «Sarebbe bello se fosse vero»
Mio fratello sospirò stancamente. «Desidero con tutto me stesso che sia vero. Desidero vivere in un Campo Mezzosangue, ma senza Titani assassini e traditori e ragazze-albero e cose del genere»
«La normale vita di un normale semidio» ironizzai, tornando a sedermi.
Mentre camminavo, forse per via della scarsa luce, non notai un altro pesante libro posato sul pavimento. Vi inciampai e per mantenermi in equilibrio mi aggrappai ad uno scaffale, quasi tirandomelo addosso.
Fortunatamente il mobile oscillò soltanto e poi rimase fermo al suo posto, ma intanto una buona parte dei libri rovinò per terra. Lanciai un urlo.
«Shawna, sei un disastro!» si sbellicò dalle risate Eric, mentre io mi riprendevo dallo spavento.
Mi chinai per terra per riparare al casino che avevo combinato, quando dopo qualche istante sentii la voce di mio fratello che mi chiamava.
Mi voltai verso di lui e lo trovai chino su un mucchio di fogli che sembravano vecchi quasi quanto i libri della biblioteca.
«Cosa c’è?» domandai stancamente, ma non ottenni risposta.
«Eric?»
Era cinereo. Mi avvicinai, preoccupata.
«Non fare il cretino, dai. Che succede?»
Senza proferire parola, mi allungò alcuni di quei fogli. Per qualche attimo pensai che fossero soltanto scarabocchiati, ma dopo aver avvicinato la torcia mi resi conto che erano ricoperti di una scrittura che mi sembrava di aver già visto altrove.
«Che diavolo è?» domandai.
«Greco» rispose Eric.
Alzai lo sguardo alla velocità di una saetta, puntando la torcia negli occhi di mio fratello. «Non scherzare»
Lui imprecò e si protesse gli occhi con le mani, scuotendo poi la testa. «Non sto scherzando»
Continuai ad osservare quei fogli, sorpresa di quanto il cuore mi stesse battendo forte nel petto. «È solo una coincidenza, giusto?»
«Cos’altro ti aspettavi fosse? Dammeli, su, rimettiamo tutto a posto e andiamo a dormire»
 
Se qualcuno mi avesse avvertita di cosa sarebbe successo, avrei riposto io stessa quei fogli nei libro. Fu questione di pochi secondi; bastò un singolo istante in cui, porgendo a Eric le carte, le mani di entrambi fossero a contatto con esse.
Un fulmine illuminò la stanza; la terra iniziò a tremare.
Udii mio fratello gridare: «Che cazzo sta succedendo?», dopodiché tutto divenne nero, e cominciai a cadere…
 
***
 
Tuonava ancora, ma in lontananza. Le dita delle mani erano talmente fredde da far male, e sentivo i vestiti umidi contro la mia pelle. Mugugnai qualcosa, e mi accorsi di essere sdraiata sull’erba.
Sentivo voci in lontananza che divenivano sempre più vicine, finché qualcuno non si inginocchiò accanto a me tirandomi a sedere e sostenendomi.
«Riesci a sentirmi? Mi senti? Andiamo, il peggio è passato, puoi farcela adesso. Sei arrivata» disse un ragazzo, probabilmente la stessa persona che mi stava tenendo tra le braccia.
Aprii gli occhi.
Due iridi di un verde incredibile mi stavano scrutando preoccupate ed eccitate allo stesso tempo. Allargai la visuale, facendo rientrare nel mio campo visivo anche dei capelli neri che incorniciavano un viso tremendamente e stranamente familiare.
«Dove… cosa…?»
«Stai tranquilla» sorrise il ragazzo. «Ora andrà tutto bene. Mi chiamo Percy, e sei al Campo Mezzosangue»
Pensai stesse scherzando. O almeno che stessi sognando. Avrei preferito essere morta e finita da qualche parte tra l’Inferno e il Paradiso — un manicomio celeste mi sarebbe andato bene.
«Oh, merda» mormorai.
 
E quello sarebbe stato solo l’inizio.
 










L'angolo della Malcontenta: OOOOOOOOOOKAY, questa era la fanfiction di cui parlavo la scorsa volta e niente, l'ho pubblicata più che altro per zittire Vale che altrimenti mi avrebbe perseguitata °-° Se volete dare la colpa a qualcuno per quest'obbrobio, datela a lei <.< (ti voglio bene <3)
Allora, c'è da dire che non ho idea di quando potrò pubblicare il prossimo capitolo S: sono presa anche da "La Vendetta di Ate", che rimane sempre e comunque la mia priorità.
Shawna e Eric però non lo so, loro sono uno sfogo :'3
Innanzitutto, di chi sono figli? Benissimo, sappiate che ho disseminato il capitolo di indizi lampanti u.u anche se una certa personcina già lo sa poiché glie l'ho detto io stessa... ee parlo di te, Amber.
Che dire, spero piaccia. 
Non ci spero tanto :'D
*Ansia da pubblicazione*

fatemi sapere, vi prego çwç 
-Eff

  
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