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Autore: Daifha    20/11/2011    2 recensioni
Sdraiato qui posso vedere le cose da una prospettiva diversa.
Oggigiorno sono tutti troppo di fretta per potersi fermare come me ora a stendersi sull’erba e ammirare il cielo. Beh, il motivo per cui io ora ho tutto questo tempo da perdere è dovuto semplicemente al fatto che (nuovamente) sono stato licenziato, ma non importa, anzi, tanto meglio. La divisa da bidello che dovevo indossare era troppo stretta, non avrei comunque retto più di una settimana.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Shizuo Heiwajima
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Monotonia'
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Questione di prospettiva

 

Sdraiato qui posso vedere le cose da una prospettiva diversa.
Oggigiorno sono tutti troppo di fretta per potersi fermare come me ora a stendersi sull’erba e ammirare il cielo. Beh, il motivo per cui io ora ho tutto questo tempo da perdere è dovuto semplicemente al fatto che (nuovamente) sono stato licenziato, ma non importa, anzi, tanto meglio. La divisa da bidello che dovevo indossare era troppo stretta, non avrei comunque retto più di una settimana.
Forse, o meglio, probabilmente, il motivo per cui sono così irritato è che la causa del mio licenziamento altri non può essere che quello stronzo di Izaya con quel suo dannatissimo sorrisino bastardo che urta i miei nervi più di qualsiasi altra cosa al mondo. E sì che il mondo è pieno di altre cose snervanti. Come ad esempio, i gatti, quelli neri. Non che io creda a stupide superstizioni come quella secondo cui attraversare una strada dopo che ti è passato davanti, appunto, un gatto nero, porti sfortuna. E’ roba da scemi quella. No, è semplicemente perché quegli stupidi animali, più di tutti gli altri, mi ricordano in un modo dannatamente irritante la piccola, minuscola, microscopica pulce, causa al novantanove per cento delle mie scazzottate giornaliere. Beh, ecco. Alla fine Izaya c’entra sempre.
Non so esattamente quale debba essere il succo del mio discorso, anzi, non sono nemmeno sicuro che ne abbia uno, ma, davvero, cosa deve importarne a me?
E’ inutile che io tenti di dare una ragione ai miei pensieri. Tanto loro passano, veloci, quasi istantanei, per poi morire lasciando al nulla il loro significato, scomparendo e non lasciando spesso alcun ricordo del loro passaggio.
Che cosa stupida ed inutile. Non mi riferisco ai pensieri in generale, quanto ai miei. So per certo che ci sono grandi scrittori che con le loro semplici idee hanno dato vita a vere e proprie opere partendo da un singolo pensiero passato di lì per caso, mai morto, mai dimenticato, trascritto su carta e diventato parte di questa stupida realtà. Ma io, con i miei ragionamenti, anche questi stessi, cosa mai potrò farci?
Ecco perché non ho alcuna intenzione di seguire un filo logico nei miei discorsi, non in questo momento almeno: la gente ha davvero bisogno di darsi una calmata. Capisco che ognuno possa avere i suoi impegni, ma, sempre? Ci fosse una volta in cui ho visto qualcuno che non fosse di corsa, con lo sguardo basso e l’espressione da ‘parlami e ti uccido’… Ah sì, Izaya. Certo, non dovrei essere proprio io a parlare di questo, a criticare in tal modo la società, mi rendo perfettamente conto di non essere un cittadino modello da seguire e, soprattutto, imitare. La mia vita è fatta di violenza, per quanto io stesso la odi, e anzi, vi dirò che, con ogni probabilità, io ne sono l’essenza stessa.
Io rappresento la violenza, e viceversa, la violenza rappresenta me.

E’ una cosa triste: mia madre da piccolo mi diceva, con il sorriso sulle labbra ‘Shizuo, sono sicura che da grande diventerai un meraviglioso supereroe che protegge la città dai cattivoni!’ e io, stupidamente, ci credevo, mettendomi a correre per la casa con un mantello rosso sulle spalle, passando interi pomeriggi a pensare a quale fantastico soprannome avrei potuto avere una volta diventato il difensore ufficiale di Ikebukuro, riconosciuto da tutto il Giappone, anzi, da tutto il mondo! Inutile dire che, allora, i miei idoli erano i tipici stereotipi di eroi quali Batman, Superman, Spiderman e, perché no?, la bella e sexy Wonder-woman, e speravo di poter trovare un nome altrettanto figo che potesse diventare celebre in pochissimo tempo…

Ora, il massimo di soprannomi che han saputo trovarmi è Shizu-chan, una sorta di schiaffo in piena faccia giusto per azzerare al minimo la mia già quasi inesistente autostima, soprattutto quando è Izaya a pronunciarlo.
Tsè, perfino Kadota ha un soprannome migliore del mio!
Inoltre, come potete ben vedere, non sono né un supereroe, né un difensore dei diritti di tutti i cittadini di Ikebukuro, né nient’altro. A mala pena posso dire di essere un cameriere, plurilicenziato e senza alcuna idea sul proprio futuro: insomma, proprio una bella schifezza.
L’unica cosa certa che ho nella mia esistenza è che domani, no no, che dico, tra nemmeno dieci minuti, qualcuno, molto casualmente, passerà qui vicino, mi provocherà e, come al solito, i cartelli che si troveranno nel mio raggio d’azione saranno letteralmente sradicati dal cemento, lanciati in aria come fossero legnetti, e, per poco, davvero molto poco, mancheranno il bersaglio verso cui erano indirizzati. Magari, qualcuno che molto casualmente indossa jeans (va bene, qui tutta la stramaledettissima maggioranza della popolazione indossa i jeans…) una maglia nera, una giacca del medesimo colore e, immancabile, il solito, strafottente, bastardo, dannato sorrisetto insofferente sulle labbra. Così tipico.
Così schifosamente tipico.
Infatti, eccolo.

              La mia esistenza si basa sulla violenza, su questa mostruosa forza che mi ritrovo e sulla rabbia che troppo facilmente trova sfogo nei miei pugni. L’autocontrollo è un pregio di cui non sono minimamente dotato, e, vi posso assicurare che, nel mio caso, è davvero qualcosa di problematico: basta un minimo accenno di nervosismo che il desiderio di spaccare tutto, di mettere una volta per tutte fine alla futile esistenza di quell’individuo, qualunque esso sia, che mi sta davanti, prende il sopravvento lasciando che tutta l’adrenalina che ho in corpo si scarichi addosso al malcapitato.
      E in questi casi, non so dire se la pena che provo sia indirizzata più verso me stesso che lui.
Provare pena per se stessi: qualcosa di incredibilmente patetico, ridicolo e, soprattutto, frustrante. Vivere odiandosi, vivere col timore costante di se stessi, vivere sapendo che di lì a qualche minuto potresti uccidere quasi senza accorgertene qualcuno.
Fa paura, vorrei tremare ma temo che se mi lasciassi andare potrei scatenare un terremoto.
Ridicolo.
Io, che desideravo diventare il difensore della città, ora non sono altro che il mostro che ne terrorizza i cittadini.
Frustrante.
Inutile autocommiserazione, io stesso non la sopporto.
Patetico.
 
“Ci tieni così tanto a farti ammazzare?”
“Se preferisci, passo più tardi”
“Non scherziamo, continuerò a riposarmi dopo, ora devo ammazzarti”
“Sai, ci conosciamo da un po di tempo, e ogni volta dici sempre la stessa identica cosa. Eppure io sono ancora vivo”
“Rimediamo subito”
“Non sei costretto”
Izaya aveva ragione, non ero costretto. Eppure, di nuovo, cercai di ucciderlo.
Sarà perché sono troppo legato alla mia stessa esistenza? O, semplicemente, perché la mia essenza me lo impone?
Non importa, davvero, sono troppo legato a questa monotonia perché proprio ora smetta di essere tale.
 
Ikebukuro, ti prego, non odiarmi: in fondo, se consideri Izaya come il cattivone di turno da sconfiggere, io divento davvero il tuo supereroe. E che vuoi che siano un paio di cartelli stradali? Se ci tieni, te li ripago, solo, aspetta che mi trovi un lavoro…
          

 

Mamma, forse non è esattamente ciò che ti aspettavi,
Ma spero ugualmente di non deluderti,
Non ancora…
 
Shizuo

 

  
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