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Autore: VaniaMajor    21/11/2011    1 recensioni
Ultimo capitolo della trilogia dello Scettro dei Tre. Le rinascenti forze di Takhisis continuano a minare la vita dei fratelli Majere. I Cavalieri di Solamnia premono per avere Steel in custodia, mentre Katlin cerca di recuperare la sua magia e Crysania viene messa alla gogna a causa della sua relazione con Raistlin. Sul futuro grava la minaccia di una totale distruzione...
Genere: Azione, Drammatico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Il ritorno dei Gemelli'
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Author’s note: Avevamo lasciato Dalamar e Katlin in una Solace tanto bella quanto, purtroppo, trascorsa. La gemma di Katlin non è più nel baule di Flint e tutte le strade portano al giovane Raistlin. Come si concilia questo con l’ordine perentorio di non avere contatti pericolosi? Non si concilia…

CAPITOLO 24

ODORE DI CASA

La Taverna dell’Ultima Casa era animata, quella sera. Quattro uomini discutevano di messi e commerci a un tavolo vicino all’ingresso. Un nutrito gruppo di giovani che chiacchieravano e ordinavano da bere si era sistemato vicino al bancone. Un’eterogenea compagnia di locali e stranieri, tra cui un kender, un nano e un mezzelfo, sedeva a un tavolo lungo vicino alla finestra, chiacchierando in toni più pacati. Un piccolo tavolo non lontano dal corridoio che portava alle stanze da letto era occupato dall’elegante coppia di stranieri giunti quella mattina. Otik aveva il suo daffare, ma c’era abituato. Amava il suo lavoro e la gente che affollava la Taverna.
Fu divertito e un po’ sconcertato nel vedere in cosa era impegnata la giovane signora di Haven, quando portò da bere a lei e alla sua guardia del corpo. Su un foglio di carta di buona qualità, la giovane schizzava a carboncino gli avventori riuniti nella sala.
«Siete brava, mia signora.» disse, apprezzando. In verità, brava non rendeva l’idea. Lei sorrise brevemente, con un luccichio di soddisfazione negli occhi che apparve e sparì subito, sostituito da una profonda concentrazione. «Avete parlato con il nano? Se volete, posso chiamarlo.»
«Non ancora. Non disturbatelo. Ci sarà tempo.» rispose lei, con voce leggera. Un’occhiata penetrante dell’elfo che le stava accanto convinse Otik a non perdersi in chiacchiere e a tornare al suo lavoro.
Dalamar si girò verso Katlin. La maga non aveva accolto con sorpresa la notizia della sparizione della gemma dalla casa di Flint ed era giunta alla sua stessa conclusione: doveva averla Raistlin. Il problema sarebbe stato farsela consegnare. Se lo Shalafi aveva avvertito la magia che conteneva, e Dalamar non si sentiva di sottovalutarlo nemmeno in anni così giovanili, difficilmente si sarebbe lasciato convincere a lasciarla andare. Offrirgli una ricompensa poteva renderlo ancora più testardo nel rifiuto.
«La ruberò. Mi introdurrò in casa e la porterò via, così non sarò costretta ad avere contatti con lui. Poi tornerò qui. Passerò da te per avvisarti, quando avrò concluso.» aveva detto Katlin, riflettendo.
«Pensi di farcela? Forse è meglio che me ne occupi io.» aveva chiesto Dalamar, chiedendosi con un angolo della mente come avrebbe reagito Katlin quando si fosse resa conto che avrebbero dovuto dividere la camera. Lei aveva scosso la testa.
«Conosco quella casa come le mie tasche. Non si accorgeranno nemmeno della visita di un intruso, finché non sarà tardi; lascerò tutto al suo posto.- aveva insistito- Tu dovrai distrarli. Spero che vengano a cena alla Taverna, stasera, altrimenti domani dovremo farli convocare da Otik.»
La fortuna li aveva aiutati. I futuri Eroi delle Lance erano riuniti alla Taverna per cenare, mancava solo Kitiara. Da quando erano scesi nella sala e li avevano trovati già intenti a mangiare, Katlin si era chiusa dietro un viso inespressivo e, sorprendendolo, era tornata nella loro camera per poi riapparire con in mano un mazzo di fogli e del carboncino. Si era seduta e si era messa a disegnare, con una concentrazione maniacale che non le vedeva da un po’. Non aveva osato disturbarla, mentre i visi e i corpi prendevano forma sotto le sue dita.
Eccoli là, i giovani Eroi delle Lance…C’era Tanis Mezzelfo, innocente e malinconico con quel suo viso senza barba, ancora più elfico di come Dalamar l’aveva conosciuto. C’era il nano, Flint, burbero e forte, che faceva da padre a quel gruppo di ragazzini. Sturm Brightblade, rigido come un palo perfino a tavola con gli amici, educato e formale, già Cavaliere nello spirito se non nella realtà. C’erano i gemelli Majere, le cui differenze caratteriali spiccavano ancora più drammatiche negli anni dell’ultima adolescenza. Caramon sembrava un gigante senza cervello, ridanciano e con la bocca sempre piena. Lo Shalafi era un ragazzo magro e schivo, antipatico a prima vista, quel tipo di giovane nato per essere crudelmente deriso o di cui, più saggiamente, avere paura. Il kender era sempre se stesso: una dannata pulce fastidiosa. Dalamar non avrebbe saputo dire quante volte Flint e Tanis avessero restituito oggetti a Otik o agli avventori, tutti apparentemente abituati alla mano lesta del kender. Tasslehoff aveva già lanciato più di un’occhiata incuriosita nella loro direzione: si sorprendeva che fossero stati lasciati in pace fino a quel momento.
«Kitiara.» mormorò Katlin, accanto a lui, con voce gelida. Dalamar alzò gli occhi di scatto per riflesso, poi si affrettò a riportarli sul suo piatto di patate, mentre accanto al loro tavolo passava la figura sinuosa e aggressiva di Kitiara. La giovane guerriera non li degnò di un’occhiata, attraversando la sala senza guardare nemmeno il tavolo degli amici. Era evidentemente furibonda per qualcosa. L’aura che emanava era molto simile a quella che circondava Katlin nei suoi momenti d’ira. La guardò e non si stupì della luce d’odio nei suoi occhi chiari mentre seguiva l’entrata in scena della sorellastra.
«Ehi, Kit!» esclamò Caramon, facendole un cenno che lei ignorò. Tanis la seguì con occhi sofferti, incerto se rivolgerle o meno la parola, ma quando lei uscì senza guardarsi indietro lasciò perdere ogni remora e si alzò da tavola per seguirla all’esterno.
«La fortuna è dalla nostra. Ci siamo liberati anche di Tanis, che ti avrebbe fatto troppe domande.» mormorò Katlin.
«Devono aver litigato.» osservò Dalamar. Chissà se Kitiara aveva già l’abitudine di accoltellare i suoi amanti, nonostante la giovane età? La bocca gli si storse in una smorfia.
«Lei vuole andare a nord, lui non vuole seguirla. Presto si separeranno. Ormai manca poco.» disse lei. Ogni frase fu pronunciata con un tono distante, atono. Dalamar corrugò la fronte, ma prima che potesse chiederle qualsiasi cosa lei posò il carboncino. «Finito.» mormorò.
Gli passò il disegno, un piccolo capolavoro di espressione artistica. Katlin aveva colto l’atmosfera, il legame tra le persone tanto diverse sedute al tavolo. E perché no? Esse erano state la sua vita.
«Regalalo a Flint. Gli farà piacere.- mormorò Katlin- Ecco cosa dirai…»
Dalamar ascoltò attentamente, poi annuì e si alzò, stando attento a tenere il disegno in maniera da non sbavare il carboncino. Si avvicinò al tavolo, ottenendo l’immediata attenzione del kender e di Raistlin, che lo fissava con diffidenza.
«Perdonatemi…Flint Fireforge?» chiese, rivolto al nano. Quando questi annuì bruscamente, continuò: «La mia Signora desidera sapere se può passare dalla vostra forgia domani mattina. Ha conosciuto i vostri lavori grazie alla Fiera di Haven e intende acquistare. Inoltre…- aggiunse, prima che il nano o altri potessero intervenire- desidera farvi dono di questo. Il vostro gruppo ha risvegliato la sua creatività. Ha visto…dei veri amici, dice.»
Allungò il foglio verso Flint, che lo prese in silenzio, perplesso e senza parole. Tutti allungarono il collo per vedere di cosa si trattava, perfino Raistlin, pur con un certo sussiego. Rimasero senza parole. Dalamar avrebbe giurato perfino di vedere un luccichio sospetto nascere negli occhi del nano. Forse Katlin aveva ragione: quello era un momento delicato, appena precedente a una separazione ormai programmata.
Il primo a ritrovare la parola fu il kender, come al solito.
«Ma…siamo noi! Cioè, il disegno di noi! Guarda, questo sono io! E questo è Caramon, guarda come mangia! E tu…Flint, sei veramente rugoso, sai?» esclamò, estasiato.
«Taci, pomolo di porta! E giù le mani, questo è mio!» sbottò Flint, con un ringhio.
«Raist, guarda! Ci somiglia davvero! E’ possibile essere così bravi a disegnare?» disse Caramon, a bocca aperta.
«La vostra Signora è molto brava, invero.» mormorò Sturm, facendo un cenno del capo alla giovane donna ancora seduta al tavolo in fondo. Gli altri si uniformarono al suo gesto cortese; Tasslehoff, addirittura, si sbracciò in un saluto entusiasta. Raistlin si fece indietro, sbuffando. La cosa non lo interessava.
Katlin sorrise appena, senza dare espressione al proprio viso, poi si alzò e, con un inchino cortese, uscì dalla sala comune per dirigersi, apparentemente, in camera.
«Non si unisce a noi?» chiese Tas, deluso.
«La mia Signora è stanca, la carrozza ci ha traditi sulla strada tra Solace ed Haven e abbiamo camminato a lungo per prendere alloggio qui.» disse Dalamar.
«Siete di Haven?» chiese Flint, poi strinse le labbra in un’espressione di disapprovazione. Si era accorto della sua identità di elfo, finalmente. Dalamar si levò il cappuccio, palesandosi a tutti.
«Ci siamo trasferiti in Solamnia da alcuni anni, ormai. Veniamo da Palanthas, ma le origini della mia Signora sono di Haven…» sospirò.
«Solamnia?!» sbottò Sturm, senza potersi trattenere.
«Palanthas…» mormorò Raistlin. Un luccichio d’interesse avido brillò finalmente nei suoi occhi.
«Ma sei un elfo!» osservò Caramon, con poca diplomazia.
«E’…una lunga storia. Non voglio annoiarvi.» si schermì Dalamar.
«Non ci annoiate.- assicurò Sturm, poi sembrò ripensarci e guardò il nano- Non è vero, Flint?»
«Dai, amico, siediti con noi e bevi qualcosa!- rincarò Caramon- Tanto sei da solo, no? Facciamo quattro chiacchiere, raccontaci del nord!»
«Sai, a Caramon e Sturm piacciono le storie del nord anche perché ci devono andare…cioè, Sturm ci va, e anche Kitiara, mentre noi…» interloquì Tasslehoff, pronto a raccontare a tutti i fatti privati del gruppo.
«Gli elfi non mi piacciono.- grugnì Flint, freddando gli animi- Ma…va bene, siediti. In omaggio alla tua…padrona…che è stata tanto gentile.» Ciò detto ripiegò con ogni cura il disegno, riponendolo in una tasca.
Dalamar si sedette, con un sorrisetto soddisfatto. Ora doveva solo tenerli occupati per un’oretta. Non riteneva che sarebbe stata una cosa difficile. Quei giovani erano assetati di notizie dal mondo esterno e lui ne poteva fornire tante da tenerli avvinti per una settimana. Sperava solo che Katlin non incontrasse difficoltà, ma ricordando l’espressione sul suo volto si rimproverò: quando la sorella dello Shalafi era di quell’umore, nemmeno un drago avrebbe potuto fermarla.

***

Non le fu difficile sgattaiolare fuori dalla locanda, approfittando della stessa porta sul retro che anni dopo avrebbe decretato la formazione del gruppo degli Eroi delle Lance. La sala era gremita, gli ordini fioccavano e non fu un problema approfittare di un momento in cui le cucine erano rimaste sguarnite. Si allontanò nella notte, camminando con decisa sicurezza lungo le passerelle e allontanandosi fra le fronde dei vallenwood.
Una strada percorsa centinaia di volte, anche se mai con i propri piedi; le tornava alla mente con facilità, conducendola senza tentennamenti alla casa dei fratelli Majere, che da tempo vivevano soli. Katlin non avrebbe saputo dire cosa provava in quel momento. Forse, nulla. Viveva quel momento come un sogno particolarmente vivido, un viaggio nella memoria che non aveva nulla di reale. Nella sua mente fiammeggiava l’immagine della pietra rossa, la sua magia in forma solida. La voleva a tutti i costi, desiderava averla tra le mani come mai prima. Sentiva che le cose stavano cambiando, che in lei qualcosa si era sbloccato. La magia non l’avrebbe più rifiutata, ora. Doveva solo riportare la gemma nel suo tempo e sottoporsi all’incantesimo di Raistlin. Tutto si sarebbe sistemato.
Purtroppo, al momento suo fratello era proprio l’ostacolo che la separava dalla pietra rossa. Katlin corrugò la fronte, decisa. Raistlin doveva averla riposta in casa, al riparo da occhi indiscreti. Non aveva le conoscenze per rendersi conto della valenza della gemma, ma non gli mancava l’istinto per la magia e doveva aver compreso di aver messo le mani su qualcosa di potenzialmente utile alla sua ricerca nell’Arte. Riusciva quasi a vederlo, mentre blandiva Flint per ottenerla dopo aver sentito le chiacchiere di Tasslehoff al riguardo…
Katlin si fermò. La casa era quella. Si guardò attorno, nel buio, ma non vide nessuno. La casa, benché pulita, era vissuta e necessitava di qualche riparazione. Caramon si dava da fare, ma quando non era al lavoro si faceva allenare da Flint. Inoltre, presto i gemelli sarebbero partiti, lasciando Solace per molto, molto tempo. Entrambi avevano inconsciamente iniziato a recidere i legami con il paese di nascita e solo Caramon vi sarebbe rimasto fedele, alla fine.
Katlin cavò di tasca un paio di arnesi sottili e con due movimenti astuti aprì la serratura. Afferrò le gonne con una mano e si insinuò all’interno della casa, chiudendo la porta dietro di sé. A tentoni, cercò la candela posata al centro della tavola, la accese con una scintilla della pietra focaia, poi si affrettò a chiudere gli scuri per evitare che il pur fioco chiarore fosse visibile dalla finestra. Non perse tempo a guardarsi attorno. Afferrò il moccolo di candela ed entrò nella camera da letto dei gemelli, iniziando la sua ricerca.
Mezz’ora dopo scrutava ogni anfratto della sala da pranzo, frustrata. Non c’era. Non la trovava da nessuna parte! Eppure doveva averla Raistlin! Dove diavolo l’aveva ficcata?! La casa era minuscola e lei conosceva tutti i suoi nascondigli, quindi…perché non la trovava?! Dopo altri quindici minuti di ricerca che la fecero sudare per la tensione, dovette arrendersi. Si sedette al tavolo, le labbra strette in una linea invisibile, le mani serrate a pugno sulle ginocchia. Niente: la gemma non era in casa. Raistlin doveva averla addosso.
Katlin masticò un’imprecazione, poi si coprì gli occhi con una mano e respirò a fondo, cercando di calmarsi. Inutile farsi venire una crisi di nervi. Era destino che incontrasse i suoi fratelli. Ecco perché non ricordava nulla di una pietra rossa: i ricordi erano stati cancellati dalla magia di Dalamar. Se così doveva essere, così sarebbe stato.
«E io ho perso un sacco di tempo per niente.» mormorò, seccata. Si alzò e si mise a riordinare la casa per cancellare i segni del suo passaggio. Procedendo con metodo, non più accecata dalla frenesia del suo obiettivo, Katlin cominciò a essere conscia di ciò che la circondava. Riconosceva la sensazione al tatto dei mobili, dei vestiti, delle coperte dei fratelli. Il vago odore di cibo ed erbe che aleggiava in casa le era dannatamente familiare. Quando lasciò la camera da letto e vi gettò un’ultima occhiata, non poté fare a meno di pensare a Caramon, fermo nella stessa posizione ad osservare il gemello febbricitante dopo la morte della loro mamma.
Si spostò in sala da pranzo, ma stava perdendo in risolutezza. Il peso di ricordi non suoi iniziava a soffocarla, chiudendole la gola. Si affrettò, spegnendo la candela con le dita umide per non fare fumo e aprendo gli scuri delle finestre. Restò per un attimo in piedi al buio, per la prima ed ultima volta in contatto con quella che sarebbe stata la sua casa, se Takhisis non l’avesse strappata a Krynn nel momento della nascita. Mancava solo la figura di sua madre Rosamun, ripiegata sulla sua sedia a dondolo con gli occhi meravigliati fissi su chissà quale visione, e la voce di suo padre Gileon che annunciava il ritorno dal lavoro.
Gli occhi le bruciarono come se stessero andando a fuoco. Annaspando, Katlin cercò a tentoni la maniglia, spalancò la porta e uscì, chiudendo l’uscio dietro di sé. Corse via, inseguita dai suoi fantasmi.

***

Preda di un nervosismo che gli faceva vibrare le ossa, Raistlin camminava a testa bassa, gli occhi fissi sui piedi in movimento. Aveva lasciato bruscamente i suoi amici al tavolo insieme a quell’elfo chiacchierone. Gli altri erano degli sciocchi: quel tizio non era un semplice viaggiatore, né una guardia del corpo comune. Aveva occhi troppo intelligenti, acuti…e gelidi. Quello doveva aver messo mano al pugnale più volte, nella sua vita. Inoltre, le sue informazioni su Palanthas e dintorni avevano innescato di nuovo il desiderio represso di Caramon di recarsi al nord con l’amico e la sorella.
Raistlin, pur interessato a sua volta, aveva dovuto andarsene. La loro partenza per Wayreth era una cosa decisa, non aveva intenzione di ritornare sull’argomento, perciò avrebbe lasciato che il sonno riportasse il raziocinio all’interno del cranio di quel bue di suo fratello. Era già abbastanza agitato senza bisogno di dover sostenere un’altra sfinente discussione su cosa lo attendeva alla Torre…
Il giovane alzò bruscamente lo sguardo nel notare una figura nell’ombra, in piedi, appoggiata alla balaustra che si affacciava sulle radici dei vallenwood. Era una donna snella, con i capelli sciolti sulle spalle. Corrugò la fronte e si spostò contro il tronco dell’albero, incerto se procedere, con il rischio di dover attaccare discorso con qualcuno di sua conoscenza, oppure attendere nel buio che la sagoma passasse oltre e si allontanasse. Mentre ancora tentennava, la figura alzò il viso alle fronde mosse dal vento. Una lama di luce lunare disegnò i suoi lineamenti con una fugace pennellata. Il fiato si bloccò nel petto di Raistlin. Il suo cuore si strinse in un grumo doloroso.
«Ma…mamma?» rantolò, prima di potersi frenare.
La donna si voltò con uno scatto che nulla aveva dei movimenti languidi della defunta madre dei gemelli, poi corse via, scomparendo nella tenebra. Raistlin si riportò al centro della passerella, deglutendo la saliva acida che gli aveva inondato la bocca. Il movimento con cui la donna aveva alzato il capo, il languore malinconico dei suoi lineamenti, erano stati la copia fedele di Rosamun Majere.
«E’ un’idiozia.» mormorò tra sé, seccato per quel momento di debolezza, ma qualcosa dentro di lui non pensava di aver sognato. Non era un tipo sentimentale. Quella donna era stata…una visione? O cosa? Un dannato fantasma?!
Impiegò un po’ di tempo per calmarsi e percorrere gli ultimi metri che lo separavano da casa. Aprì la porta, maledicendo suo fratello e la sua abitudine di dimenticarsi di chiudere la serratura, poi accese la candela sul tavolo e si sedette, cercando di calmarsi. I suoi sensi, però, restavano tesi e all’erta, come se vi fosse un pericolo. Anche lì, in casa, sentiva che qualcosa non andava. Si guardò attorno, le labbra serrate, il respiro sottile.
Tutto era al suo posto. La sua anonima, povera casa era la stessa di sempre. Eppure…
La mano gli scese alla cinta. In una scarsella era contenuta una strana gemma ritrovata da Flint, qualcosa che aveva fatto cantare il sangue di Raistlin alla sola vista. L’aveva acquisita quella mattina, prima di pranzo. Ora vi serrò la mano e di nuovo sentì un brivido magico, insieme alla certezza che qualcosa non andava.
La porta si aprì con un colpo, facendolo sobbalzare. Alzò uno sguardo di fuoco sul suo gemello.
«Caramon! C’è bisogno di fare tanto chiasso?!» sibilò, seccato per avergli concesso di spaventarlo.
«Scusa, Raist.- disse subito il gigante, poi sorrise- Che serata! Peccato che te ne sei andato, quel tizio era una miniera di informazioni!»
«Non ne dubito.» replicò Raistlin, alzandosi. Non ne voleva parlare. Si avvicinò alla stanza da letto e lì, sulla soglia, impietrì. Caramon, ignaro, iniziò a spogliarsi per la notte.
«Domani io e Sturm pensiamo di andare a disturbarlo ancora un po’, se è dell’umore.- continuò, sfilandosi la camicia e mettendo a nudo il petto possente- E poi mi piacerebbe vedere la sua Signora. Peccato sia andata a dormire subito, sembra sia bella e…»
Raistlin si voltò verso Caramon con un movimento serpentino che lo zittì. Il giovane si trovò scrutato dagli occhi inquietanti di suo fratello, senza sapere cosa aveva detto per contrariarlo.
«Ra…Raist? Ho…detto qualcosa che non…»
«Domani verrò anch’io a parlare con gli stranieri, Caramon.» lo sorprese Raistlin.
«Ma….credevo non ti interessassero.» borbottò.
«Mi interessano più di quanto tu non creda.» rispose lui, voltandosi di nuovo verso la camera. Non si ingannava: qualcuno era stato in casa, durante la loro assenza. Tutto sembrava al suo posto, ma c’era una foglia sbriciolata per terra, accanto al suo letto. Raistlin aveva dato una spazzata ai pavimenti prima di uscire per la cena. Ma chi, a Solace, avrebbe mai partorito l’idea di andare a frugare in casa di due poveracci come i fratelli Majere?
Due stranieri, forse. Due che cercavano qualcosa di speciale. Qualcosa come una gemma rossa. E Raistlin non si sarebbe sorpreso affatto se l’indomani avesse scoperto che la donna incrociata sulle passerelle, quella che gli aveva mozzato il fiato come per un colpo d’ascia, era la stessa che aveva disegnato il loro ritratto, quella sera.

   
 
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