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Autore: Ato    21/11/2011    9 recensioni
C’erano sapori che a provarli sulla punta della lingua lasciavano impressioni diverse. Ottobre aveva un sapore del genere, ma più disperato.
A una bambina sembrava quello di un chicco d’uva rossa, scurissima, da masticare dopo averne consumato qualche strato con unghie mangiucchiate e labbra sporche di succo aranciato. Per lui, ottobre sapeva di vino elfico e calici che qualche volta si frantumavano sotto la pressione di dita troppo rabbiose per essere innocue.
[...]
«È solo una bambina. Avrà perso qualcosa».
Avrebbe dovuto dire qualcuno, ma era la Granger quella che sapeva pronunciare le parole impronunciabili.
Però la sua bocca rimase chiusa, immobile.
Allora Draco si chiese che sapore avesse ottobre sulla lingua della Granger.
Genere: Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Astoria Greengrass, Draco Malfoy, Hermione Granger | Coppie: Draco/Hermione
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Ci sono dei momenti in cui i grazie sembrano parole impossibili.

Non è questo il caso.

Grazie a chi ha letto, a chi mi ha accolta con un sorriso, con malinconia (prima o poi la smetterò di buttare tutti in questa atmosfera che di malinconico ha giusto le margherite che continuo a importunare); grazie a chi mi ha detto bentornata e mi ha sopportato quando io ho detto che non so se sono tornata, se sono tornata in me o nella tastiera, e nemmeno se sono tornata bene; grazie a chi si è lasciato toccare dai mostri, e grazie anche a chi mi dirà che forse davvero è il caso di farci l’amore, coi mostri.

Filomena.

Monsters

Shower me with lullabies

 

 

 

“You shower me with lullabies, as you’re walking away”

Placebo    _

 

 

Al di là delle parole impronunciabili che conosceva solo la Granger, c’erano parole altrettanto impronunciabili, che gli fluttuavano in testa tra un pensiero scomodo e uno esilarante.

Draco sapeva che c’erano cose che proprio non andavano dette, per evitare di limitarle a poche parole. Cose del genere erano i desideri, per esempio.

La Granger avrebbe detto bramosie, e poi gli avrebbe fatto andare di traverso il suo succo di zucca. A Draco veniva in mente qualche altra donnina che anni prima si era finta una giovane Ebe, e gli veniva in mente anche l’anima pia che da lei si era fatta soggiogare.

Sarò l’Ebe che versa – E che io bramo immortal come quella. – E Salazar!

Qualcosa del genere. Una storia orribile.

Perciò per Draco l’Ebe non mesceva, ma versava.

Per la Granger naturalmente l’Ebe mesceva – Mesce, Malfoy, si dice mesce. Versare sarebbe stato davvero troppo semplicistico.

Allora a Draco non rimaneva altro che ricordarsi di un particolare rassicurante: la Granger non sapeva né mescere, né versare. E lui non avrebbe mai detto a nessuna quanto la bramava.

Non quando febbraio era così gelido da fargli chiedere se esistesse ambrosia bollente; se Astoria si fosse rifugiata proprio dietro quella statua con la speranza di trarne una goccia fatta di marmo freddo e paradiso. Draco aveva proprio voglia di sapere che l’ambrosia fosse bollente, o se la Granger ne conoscesse la ricetta – sapeva sempre tutto, la donna delle parole impossibili.

Draco sapeva soltanto una cosa: che se il paradiso lo bevi a sorsi, poi ti scotti la lingua. E lui non avrebbe più conosciuto il sapore di ottobre, né quello delle stagioni. Ma solo quello della Granger e della sua ambrosia.

Mentre lei se ne stava a picchiettare le dita sul muro, dicendo qualcosa come mandarinismo o almanaccare. E lo diceva con vocina sottile e sorriso sulle labbra, in un tono talmente confidenziale che Astoria dovette credere di essere davanti a un’amica di sempre.

Draco invece ci mise più del dovuto a decidere se sentirsi offeso per principio. Non aveva ben capito se stessero parlottando proprio di lui. C’era una luce strana, negli occhi delle ragazze. Astoria aveva una luce da slytherin, come se l’anima della sorella, invece di lasciare la terra dei vivi, si fosse insinuata proprio dentro di lei. La Granger…. lei aveva gli occhi nebulosi, col sentore di inviti a cena mancati, di quelli in cui si desidera qualcuno talmente vicino da porgergli la mano, per lasciargli assorbire i tremori dell’emozione e della malattia.

Un attimo prima di lanciargli una palla di neve dritto in faccia.

Draco avrebbe sbattuto anche le palpebre, se non fosse stato troppo impegnato a focalizzarsi sui rivoli di gelo che gli mangiavano il viso come se fosse stata una tela da imbrattare. Una palla di neve, dritto in faccia.

Scosse la testa, bagnandosi le mani in mezzo ai capelli praticamente fradici, agitandosi così tanto che un paio di gocce arrivarono pure ai piedi della Granger, che proprio non la smetteva di ridere. Ma c’era qualcosa di più irritante: Draco non sapeva nemmeno come classificare la sua morte. Come si chiamava tutto quel freddo? Congestione? Assideramento? Lei lo avrebbe saputo. Come si chiamava tutto quel freddo?

Forse lo sapeva anche Astoria, che d’un tratto, sorridente, gli si fece vicino. Aveva le mani violacee, la borsa piena di neve da donare alla sorella, e le labbra lucide.

Draco ci mise un po’, a capire che non avrebbe dovuto sapere com’erano quelle labbra. O che forma prendevano sulla pelle di qualcun altro. Ma quando lo capì, proprio quelle labbra si erano fissate all’angolo della sua bocca, e gli avevano lasciato un bacio. «Scusa».

E come si chiama il freddo se qualcuno tenta di scaldarti?

Draco non sapeva neppure questo, sapeva soltanto che fino ad allora aveva tenuto gli occhi chiusi. Tutti e due.

Ricevere un bacio fu come aprirli. Aprirli e aprirli sul mondo. Che sulle scarpe gli aveva rigurgitato un sacco di roba nuova.

Come Astoria, che da ingenuo aveva creduto bambina fino a un attimo prima; che invece era cresciuta grazie al bacio che la sorella le aveva dato prima di morire; aveva tredici anni, e aveva conosciuto la sua bocca.

Roba da impazzirci, quella dei baci.

Draco si sentì orribile.

Una volta, tanto tempo prima, Daphne aveva baciato anche lui, come aveva fatto con la sorella.

Draco si sentì proprio orribile. Perché Astoria, da quei baci, aveva imparato a baciare. Lui invece non aveva imparato nemmeno come si fa a riceverlo, un bacio.

Un bacio che resta, pensò.

Quello di Dapnhe a stento lo ricordava.

Si portò le mani alla testa, disperato. Lanciò un’occhiata stralunata alla Granger, che aveva in viso un sorriso cristallizzato – anche lei aveva freddo?

Draco sentì l’impulso di urlarle che era un mostro, ma questo voleva dire…

 

***

 

Hermione desiderava urlarglielo, che le sarebbe piaciuto essere un mostro, ma questo voleva dire che le sarebbe piaciuto passeggiare nei suoi sogni e trovarvi dimora.

Sogni ancora i mostri.

Draco una volta aveva bevuto, e le aveva parlato come impazzito. Con parole semplici, e per questo non troppo facili da capire.

Le parole impronunciabili erano più facili: avevano un solo significato, ed era uguale per tutti. A Draco invece piaceva usare parole così semplici da sembrare impossibili.  Come la sera in cui le aveva parlato dei baci. E di come sia orribile quando sei incapace di riceverli, o di trattenerli. E perché Astoria ricordava così bene il bacio della sorella mentre a lui era rimasta soltanto l’ombra di un ricordo?

Aveva stabilito che c’era qualcosa di strano, nelle persone che non conoscono un bacio che resta.

Hermione allora si era chiesta se lei era una di quelle persone. Non capiva bene cosa potesse essere un bacio che resta, erano parole troppo semplici, con troppi significati. Però le sembrava di aver trattenuto qualche bacio. Per esempio quello che le aveva dato Ron nella camera dei segreti, o quello di Ginny e della signora Weasley alla fine della guerra, che avevano lo stesso sapore di morte e vittoria. Un sapore che arriva più tardi rispetto a quello delle stagioni.

Forse era un sapore che conoscevano tutti, perché tutti ora vivevano in ritardo, compresi lei, Astoria, e Draco.

Vivevano così in ritardo, che nessuno aveva organizzato una festa di Carnevale. Non avevano fatto in tempo. Allora la festa l’avevano organizzata a marzo, per salutare la primavera con qualche lacrima e con la riservatezza di una maschera dolcissima.

Hermione aveva asciugato con cura gli occhi di Astoria, prima di sistemarle in viso un velo finissimo, un po’ oscuro e un po’ birichino, che stendeva delle ombre sulla pelle e la rendeva misteriosa come un fiore ancora chiuso. Poi era corsa a prendere la sua maschera: era orribile e l’aveva scelta proprio per questo.

Era così terribile che Draco subito la riconobbe, fermandole le mani che per un po’ smisero di tremare.

«Vuoi sentirti dire che sei mostruosa o sbaglio?»

«È soltanto una maschera», precisò lei, improvvisamente non molto audace.

«Allora non avrai nulla da dire se la sposto un po’».

E se nemmeno lei sapeva cos’è un bacio che resta?

Forse si era soltanto illusa… «No, aspetta».

Draco annuì brevemente.

Era strano poggiargli le mani sulle spalle. L’aveva fatto anche Astoria, poco prima, quando avevano ballato insieme e lei l’aveva stretto a sé con tutta la forza di chi conosce un bacio che resta. Hermione invece aveva paura di stringerlo troppo. Era convinta che se l’avesse fatto, le mani avrebbero ripreso a tremare. Era qualcosa che non riusciva proprio a controllare.

Eppure per qualche mese aveva pensato che fosse semplice. Quando gli aveva stretto la mano, al processo, era stata fermissima. Era stata fermissima, e un po’ presa da un ragazzo che con sole parole semplici se l’era trascinata dalla sua parte – dalla parte di chi assaggia le stagioni in punta di lingua, e poi le usa per trasformare la codardia di una vita nel mistero più antico di sempre: quello delle cose belle e disposte a cambiare.

«Draco, mi inviterai mai a cena?»

Ma era disposto a cambiare così tanto?

«Prima devo trovare qualche camicia da sacrificare».

Hermione sorrise un po’, guardandosi intorno. Lei era l’unica con la maschera da mostro. C’era qualcosa di intenso in quella consapevolezza. Forse la speranza che quando Draco avrebbe sognato, quella notte, avrebbe sognato proprio lei.

«Ma prima devo darti un bacio?» gli chiese, andando in panico. Non conosceva nemmeno le regole di un bacio che resta.

Forse Astoria le conosceva. Forse poteva baciarlo proprio dove l’aveva baciato lei. Forse a Draco sarebbe rimasta un’impronta lucidissima, e allora, dopo tanti baci dell’una o dell’altra, lui avrebbe imparato a trattenerli, senza dimenticarli.

Sollevò un po’ la mano, portandola tremante sul suo viso e voltandolo verso di lei.

Forse se avesse avuto un filo di rossetto, la sua impronta sarebbe rimasta meglio, forse…

Forse quello era un bacio che resta. Chissà dove, si disse Hermione. All’angolo della bocca o nei ricordi fatti mostri da sognare?

Draco rimase un po’ immobile, prima di ridestarsi e guardarla negli occhi. «Così», mormorò, assaggiandola come faceva con le stagioni.

Proprio così.

Almeno il bacio sarebbe rimasto nella bocca.

 

***

 

Ad Aprile Astoria ripose una margherita rinsecchita accanto a una maschera da mostro. L’aveva presa nel baule di Hermione l’ultimo giorno di marzo, e l’aveva nascosta dietro la statua di Ebe in dono alla sorella. Forse, da quella sera, i mostri le facevano meno paura. E le margherite le sembravano belle anche se avevano perso la linfa tra le sue pergamene, e vi avevano lasciato un’impronta come quella di un bacio che resta; proprio uguale, eccetto per il profumo.

Astoria gli disse che un bacio che resta sapeva più di camomilla che di margherita.

Draco ci rifletté per un bel po’ di tempo, guardando di sottecchi la Granger che parlava felice con la ragazza nell’unica notte del mese in cui lei non piangeva.

Draco non sapeva nemmeno distinguere una margherita da un fiore di camomilla. La donna delle parole impossibili gli avrebbe elencato almeno tre differenze, ma lui era abbastanza certo che non fosse quello il punto.

Forse il punto era che si ricordava quasi tutti i baci che le aveva strappato, o che lei gli aveva donato, o che semplicemente si erano messi tra loro come vivi mentre camminavano ai lati opposti di un corridoio e uno dei due decideva di attraversare la fiumana di gente per provare a lasciare un’impronta.

L’impronta era il punto.

L’impronta che se non era di un bacio che resta, allora doveva essere mostruosa, almeno in sogno l’avrebbero riconosciuta.

Draco si rigirò tra le mani la caraffa piena di camomilla. Nemmeno gli piaceva quella roba. I baci sì, i baci gli piacevano proprio. Però a quel punto non era escluso che baci e camomilla avessero lo stesso sapore. Magari era vero, magari la camomilla era ambrosia bollente. Draco diede un’altra scossa alla caraffa, parte del contenuto finì sul tappeto su cui era seduto. Non si sentiva a suo agio nella sala comune di gryffindor, anche se era notte fonda e molto probabilmente non l’avrebbe visto nessuno. Ma la Granger ci stava mettendo veramente tanto, a scendere.

Prese a rigirarsi i polsini della camicia, scoprendo il marchio nero con cui pian piano stava imparando a convivere. Gli riusciva un po’ meglio da quando l’aveva sporcato di spumante e da quando la sera ci pensavano dita candide e tremanti a farlo sentire pulito.

«Draco, non mi piace la camomilla».

«Nemmeno a me», ammise, un po’ sorpreso di non averla sentita arrivare.

Doveva essere una delle ultime sere in cui avrebbe visto un camino acceso a Hogwarts e lui voleva sapere se sotto i suoi occhi tremasse di più una fiamma o la Granger.

«Ma almeno aiutami!», si lamentò lei, afferrando una tazza.

Draco si accigliò. Non aveva nessuna voglia di aiutarla. Voleva vedere cosa sarebbe successo alla Granger con la tazza in una mano e la caraffa nell’altra.

Dopo qualche istante ne sorrise poco sorpreso: anche lei aveva dovuto sacrificare la camicia. Ne era uscita molto contrariata, tanto che abbandonò la tazza e per poco non stabilì che fosse più carina a prendere fuoco nel camino.

«Allora facciamo così», decise, portandosi la caraffa alle labbra. Qualche goccia bollente le scivolò giù per il collo dopo il primo sorso. Tossì un po’, presa alla sprovvista, mentre Draco decideva che invece in quel momento aveva voglia di aiutarla, anche se lei stava dicendo libare e gli faceva venire in mente di nuovo la donnina che si era finta Ebe prima di lei.

«Oppure facciamo così», le disse, prendendole la mano e liberandola del polsino bagnato della camicia.

Draco le posò le labbra sulla pelle delicata del polso, quella morbida da cui poteva sentire tremare persino il suo sangue. Le gocce di camomilla che assaggiò con le labbra non gli piacevano, però non aveva più dubbi: era proprio quella l’ambrosia bollente che stava cercando da mesi.

Le baciò lentamente l’avambraccio, facendo salire la camicia pian piano, sotto mani fermissime, e si bloccò nella piega del gomito, lì dove forse solo la Granger riusciva a tremare – a tremare per lui.

Quando la distese nuda sul tappeto, l’ombra delle fiamme sussultò su di lei. C’era qualcosa di favoloso a danzare sulla sua pelle: era fuoco, ambrosia bollente che si asciugava per il calore e per i baci, mostruosità da sognare nel buio delle notti trascorse ad amare, e nelle pieghe più segrete… fili di parole che erano incomprensibili solo se si dicevano ad alta voce. In quel silenzio era tutto così chiaro…

Era chiarissimo.

La Granger era tutta un cuore. Perciò non la smetteva di tremare. Era tutta un cuore. Ovunque la toccasse – e la toccava persino in tratti di pelle che lei non conosceva – ovunque la toccasse, c’era il suo cuore che tremava.

Ed era, quello della Granger, un cuore ruscellante.

Ruscellante.

Ruscellante era abbastanza impronunciabile da calzarle alla perfezione come solo le parole più belle riuscivano a fare. Le parole più belle e il corpo di Draco. Lui la vedeva proprio così.

«È questo», la sentì pronunciare, mentre le rubava tutte le sue parole.

«Cosa?»

«Il mezzo fraudolento. Sono le tue mani».

Draco sorrise, ricordandosi del suo furto aggravato. Lei l’aveva capito che quel cappellino non l’avrebbe più visto e che gli piaceva così tanto giocare con la sua frangetta?

Forse, tra tanti baci che restano, poteva usare molto più spesso il suo mezzo fraudolento.

Molto più a fondo, pensò, arrivando dentro di lei, che era tutta un cuore ruscellante.

Così. Proprio così.

 

***

 

Astoria piangeva di meno, da quando le offrivano la camomilla. Almeno avevano trovato qualcuno a cui piaceva.

Hermione ne era molto soddisfatta. Il sorriso si incrinò un po’ quando vide quel che nascose tra un paio di pietre l’ultimo giorno di maggio. Le date degli esami del settimo anno.

La scuola era finita. Per sempre. E lei forse non avrebbe avuto tutti eccezionale. O forse sì e il giorno dopo le sarebbe parso comunque poco.

Draco le aveva detto che non importava, sarebbero andati a cercare altre fiamme, per vedere se qualcuna tremava più di lei.

Ne aveva sorriso, meravigliata da tanta insensatezza. Quelle maledette parole semplici l’avrebbero fatta impazzire. Forse doveva chiedere ad Astoria come fare per apprezzare la camomilla. Ora aveva qualcosa in cambio da darle. Un paio di regole dei baci che restano, per esempio.

Sacrificare le camicie.

Le avevano tutte stropicciate, o ombrate da qualcosa che si era riversata sul cotone finissimo e qualche volta non andava via nemmeno con i migliori incantesimi.

Conoscere i propri mostri.

Avevano capito tutti che un bambino ci vede meglio, perché solo i bambini hanno paura del buio, perché riescono a vedere ombre del futuro e le vedono mostri. Avevano anche capito che il ricordo dei mostri li avrebbe accompagnati per tutta la vita, e tutte le notti l’avrebbero rivisto vividissimo, come reale.

Conoscere i propri mostri… e poi farci l’amore.

Era un modo accettabile, per risolvere la questione. Trasformare la peggiore delle persecuzioni nel sogno di tutta la vita, quello che ti tiene la mano ferma anche quando trema, quello che ne assorbe il tremore, della mano, e poi lo spiega in parole semplici per farlo sembrare meraviglioso.

«Dieci minuti al giorno potresti anche chiuderlo, quel libro, no?»

Draco fissava accigliato le date degli esami, come se il libro l’avesse osservato fin troppo.

«No, altrimenti domani sarò babelica come te», e non ci teneva proprio ad avere in testa la sua stessa confusione di date, ingredienti e incantesimi.

Lui decise di restare offeso per circa dieci minuti, in cui Astoria lo aveva abbracciato e gli aveva chiesto di sposare lei, se con Hermione le cose non fossero andate bene.

Draco aveva risposto con un «Certamente» così semplice da farla tremare per l’indignazione, tanto che decise di fargli sacrificare l’ultima camicia che gli era rimasta.

Magari a partire dal colletto.

 

***

 

Riusciva a vedere quanto lui fosse bello? E come li dava bene, quei baci?

Forse sì. Hermione si lasciava baciare tutte le volte che lui ci provava. E allora era bella anche lei, con le occhiaie un po’ pronunciate perché trascorreva la notte a ripassare fiumi di parole impossibili e poi le riversava su di lui, che sembrava felice di farsi riempire da quelle cose che non capiva solo se gliele diceva ad alta voce.

Ma quando erano in silenzio…

Astoria li guardava, incantata.

C’era stato un tempo in cui aveva sognato Draco accanto alla sorella, e poi tutto per lei.

Ma quando quei due erano in silenzio… erano belli di una bellezza che incanta.

Draco non sarebbe stato così bello, con lei. Draco era più bello quando guardava Hermione, se le sorrideva di nascosto, o giocava con la sua frangetta, o si lamentava delle camicie sacrificate, o diceva che la camomilla faceva schifo, però…

Astoria li fissava da dietro la porta di un’aula dimenticata.

Stavano aspettando che lei scendesse ai sotterranei.

Sapevano che avrebbe nascosto l’ultima cosa dietro la pietra, e poi avrebbe chiuso tutto con un incantesimo potentissimo, dietro il sigillo di un amore perfetto, salutato con un bacio che resta, anche se era stato un bacio d’addio.

Per esempio… quei due lo sapevano che era proprio quella la vita? Che la vita è come un bacio che resta? Forse doveva dirglielo lei, ma sembravano così distratti…

Lei tremava, se Draco mormorava il suo nome – Hermione, ho deciso di offendermi – lei tremava, se Draco provava a darle un bacio che resta. Ma lei, proprio lei, stava un po’ meglio.

Anche Astoria stava meglio, grazie a loro. Le avevano dato la possibilità di donare un altro anno di vita a Daphne, nell’unico modo che le sembrava possibile. Non l’avevano mai abbandonata. Forse non sapevano cos’era la vita, ma sapevano quanto fosse difficile crearla e donarne un po’ a chi si vuole bene.

Astoria stava meglio.

Non era l’ultimo giorno di giugno, ma l’ultimo giorno di scuola. E non piangeva.

Aveva solo una pietra da spostare e qualcosa da nascondere…

Qualcosa…

Astoria sorrise.

Qualcosa che resta.

 

 

 

-          Grazie anche ad Astoria tredicenne, che mi ha costretto a ricordare la mia prima cotta per scrivere l’ultimo paragrafo.

-          Sarò l’Ebe che versa – E che io bramo immortal come quella è ripresa dal libretto de La Traviata. Queste due battute sono di Violetta e Alfredo, che sono amabili e libano nei lieti calici e tante cose belle, ma sono più belli ne La signora delle camelie, secondo me.

-          Cuore ruscellante è un’espressione di Baudelaire. Riporto l’intera frase perché io la trovo meravigliosa:

Infine, per completare la tua figura di Maria,

e per mischiare amore e barbarie,

nera Voluttà farò, boia pieno di rimorsi,

dei sette Peccati capitali sette Coltelli,

ben affilati, e come un giocoliere insensibile,

prendendo il più profondo del tuo amore come bersaglio,

li pianterò nel tuo Cuore ansimante,

nel tuo Cuore singhiozzante, nel tuo Cuore ruscellante.

(da A una Madonna).

E chi meglio di Baudelaire conosce le parole impossibili?

 

 

   
 
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