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Autore: alister_    21/11/2011    1 recensioni
(Sylar/Elle, what if? post 3x11)
Dopo ventiquattro anni passati ad essere solo un burattino dell'Impresa, restare senza burattinaio l'aveva lasciata del tutto disorientata. Nel caos tempestoso di una normalità irraggiungibile e di una solitudine insopportabile, si era aggrappata disperatamente allo scoglio più solido che aveva trovato – poco importava che si trattasse dell'assassino di Bob.
In fin dei conti, è possibile un cambiamento per chi si è macchiato di tanti delitti?
[Terza classificata, Premio Trama e Premio Fangirl al contest Storia d'Ammmore di Dark Aeris]
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Elle Bishop, Sylar
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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» N/A: Storia scritta per il contest Storia d'Ammmore indetto da Dark Aeris sul forum di EFP, a cui si è classificata terza, vincendo anche il Premio Trama e il Premio Fangirl :D 

Dedicata in tutto e per tutto a lady_cocca, senza la quale questa storia non avrebbe visto la luce!


Autore:
Alister09/alister_
Titolo della storia:
Wash the blood from your hands
Coppia:
Elle/Sylar
Rating:
Arancione
Genere:
Introspettivo, sentimentale
Tipologia:
long-fic (tre capitoli)
Avvertimenti:
what if?, lime, angst
Introduzione:
(what if? post 3x11) In fin dei conti, è possibile un cambiamento per chi si è macchiato di tanti delitti?
Note dell'autore:
La storia prende le basi dalla domanda che quasi tutti ci siamo posti assistendo alla tragica fine di Elle nella 3x11: e se Sylar non l'avesse uccisa? Che cosa sarebbe successo? Le interpretazioni di questo gesto sono molte e tutte significative, perciò non vorrei andare OOC con un personaggio tanto controverso cambiando questo punto focale della trama; tuttavia, la morte di Elle è stata fortemente influenzata dagli impegni cinematografici dell'attrice Kristen Bell, quindi non posso fare a meno di chiedermi se, in caso contrario, il suo personaggio avrebbe resistito ancora per qualche puntata. In ogni caso, ho cercato di mantenere simile il contesto a quello del telefilm, apportando il minor numero di modifiche possibili. Immaginiamo che, quella notte sulla spiaggia, Gabriel/Sylar non abbia ucciso la ragazza; tutto il resto si è svolto coerentemente a quanto visto nelle puntate conclusive del terzo volume; accompagnato da Elle, silenziosa spalla, Sylar si è impossessato del potere di capire quando le persone mentono o meno, ha ucciso Arthur e ha cercato vendetta contro la Primatech similmente a quanto mostrato nell'episodio 3x13. Elle, la cui esistenza è stata totalmente pilotata dall'Impresa, ha contribuito alla sua distruzione, fuggendo dall'incendio con Gabriel. La storia è ambientata ai tempi del quarto volume, cioè sei settimane dopo gli eventi conclusivi del terzo.
Il titolo è preso da “Oceans” degli Evanescence.



I've been believing in something so distant
As if I was human
And I've been denying this feeling of hopelessness
In me, in me

(Evanescence, Lost in Paradise)



Stretta nella sua camicia strappata, Elle tremava ancora. Nonostante avessero ormai messo una trentina di chilometri tra loro e le fiamme che avvolgevano la Primatech, non riusciva a scrollarsi di dosso quel paralizzante senso di smarrimento che provava da quando era morto suo padre. Dopo ventiquattro anni passati ad essere solo un burattino dell'Impresa, restare senza burattinaio l'aveva lasciata del tutto disorientata. Nel caos tempestoso di una normalità irraggiungibile e di una solitudine insopportabile, si era aggrappata disperatamente allo scoglio più solido che aveva trovato – poco importava che si trattasse dell'assassino di Bob.

Prima di Sylar, Elle aveva conosciuto Gabriel, ed era Gabriel che continuava a cercare sul viso dell'uomo che guidava di fianco a lei, i vestiti ancora macchiati di sangue. Anche se l'illusione di averlo ritrovato aveva avuto l'effimera durata di un'eclissi anulare, non aveva potuto far altro che continuare a seguirlo: nel suo sguardo aveva trovato la risolutezza che lei, senza ordini, non riusciva ad avere.

Nella desolazione notturna della statale, Gabriel accostò l'auto. Elle si voltò cauta a guardarlo mentre spegneva il motore e lasciava cadere inerme le mani sul volante.

Rispose alla sua domanda prima ancora che la formulasse ad alta voce.

-Non so dove andare-, disse.

Esaurita la vendetta, erano entrambi senza meta.



Parte prima

Never fool yourself



Baltimora, sei settimane dopo


Era una sensazione davvero strana camminare la mattina per strada con in mano una lista della spesa; per Elle Bishop si trattava di un'esperienza totalmente inedita.

La luce primaverile s'insinuava tra i suoi capelli, mentre controllava ancora una volta l'elenco degli ingredienti necessari a preparare del pollo alla californiana. Recuperare il tempo perduto: con questo motto, aveva iniziato qualche settimana prima a cercare su internet ricette interessanti con cui impiegare il tempo. Perché, a dirla tutta, le sue giornate erano incredibilmente vuote.

Si spostavano di continuo. In un mese e mezzo avevano attraversato tre Stati diversi e cambiato almeno una dozzina di alloggi. Non erano in fuga, non ancora almeno: finché non avessero dato modo a Noah Bennet di scoprire che erano riusciti a scappare dall'incendio alla Primatech, avrebbero potuto continuare a ritenersi al sicuro. La ragione del loro vagabondare era la perenne inquietudine di Gabriel: non riusciva a stare fermo in un posto, a ricominciare da capo una nuova vita di normalità. L'indole del cacciatore non si era mai realmente sopita dentro di lui, anche se ora non era più la sete di avere nuovi poteri a guidarlo, quanto piuttosto il desiderio irrefrenabile di scoprire le sue origini.

A discapito di tutte le belle parole sui genitori che li avevano manipolati, era intimamente convinto di non poter stabilire chi fosse davvero senza prima aver fatto chiarezza sulla sua nascita. Le prese in giro dei Petrelli bruciavano ancora come un marchio impresso a fuoco sulla sua pelle, troppo perché riuscisse a lasciar perdere quella ricerca.

Trovare il suo vero padre era diventato il suo nuovo obiettivo, dopo che la fine dell'Impresa li aveva lasciati entrambi confusi e smarriti; ad Elle non era rimasta altra scelta che seguirlo, ancora, perché tra loro due la più smarrita era lei. Gabriel aveva uno scopo, sempre.

O, forse, sarebbe stato più corretto dire Sylar. La linea che li separava era sempre più sottile, tanto che Elle cominciava ormai a pensare di non trovarsi di fronte a nessuno dei due, bensì a un individuo diverso, in parte Gabriel, in parte Sylar.

A viaggiare con lei non era né il timido orologiaio del Queens a cui aveva salvato la vita, né l'assassino psicopatico che aveva ucciso decine di innocenti – suo padre compreso; aspetti dell'uno e dell'altro si mescolavano in una personalità perennemente tesa, nervosa, sul filo del rasoio.

Non c'era innocenza in quegli occhi scuri, eppure il solo fatto che non l'avesse ancora uccisa era espressione di un desiderio di redenzione mai realmente sopito. Gabriel Gray era in cerca di risposte, e se avesse trovato quelle giuste, forse, avrebbe potuto finalmente mettere a tacere la voce di Sylar.

Questo, perlomeno, era quello che si ripeteva di giorno in giorno Elle, nel tentativo di soffocare il timore non certo infondato che, da un momento all'altro, per una parola o un gesto sbagliato, potesse stancarsi di lei e sbarazzarsene, come si fa con un vecchio giocattolo ormai venuto a noia. L'intima connessione che li aveva legati durante l'eclissi era irrimediabilmente andata perduta quando Bennet aveva riportato alla loro attenzione la realtà di sangue e bugie in cui erano cresciuti. Eppure, nonostante sulla spiaggia il suo corpo avesse sussultato quando si era avvicinato, Elle non era riuscita a staccarsi da lui.

Quando di notte posava la testa contro il suo petto, non era solo per paura che il suo cuore batteva all'impazzata: in tutta la sua vita, nessuno le aveva mai dato lo stesso calore che Gabriel le regalava con ogni bacio, ogni abbraccio. Nessuno l'aveva mai fatta sentire così viva, così umana.

Inoltre, era solo grazie a lui se ora poteva camminare tranquillamente per strada, senza provocare un blackout ogni metro: la gratitudine che sentiva per averla capita più di chiunque altro vinceva l'odio che aveva provato nei suoi confronti quando aveva ritrovato Bob con il capo scoperchiato. Il senso di colpa per aver contribuito a renderlo un serial killer faceva il resto.

Varcando la soglia del supermarket, Elle non poté evitare di ricordare che, l'ultima volta che si era trovata tra carrelli e scatole di cereali, si era lasciata una scia di sangue alle spalle. Lei e Gabriel si erano leccati le ferite a vicenda come animali braccati, nel tentativo disperato di sfuggire al loro cacciatore.

Con un sorriso, si guardò intorno. Giovani madri con figli al seguito, casalinghe indaffarate tra un detersivo e l'altro, avvenenti single alle prese con i cibi precotti: l'intera struttura traboccava normalità.

Forse, in fin dei conti, un nuovo inizio era davvero possibile.




Tavola apparecchiata, pollo cotto e già tagliato, persino una candela a illuminare la cucina: gli oggetti di scena erano tutti pronti, a completare quella recita mancava solo il protagonista maschile.

Il cuore di Elle sussultò, quando sentì la chiave infilarsi nella toppa. Si sistemò una ciocca di capelli dietro all'orecchio e si raddrizzò il grembiule, pregustando con un sorriso la faccia che Gabriel avrebbe fatto trovando quella sorpresa.

Quella sera, però, non fu Gabriel a tornare a casa, ma Sylar.

Lo riconobbe dall'espressione stizzita con cui entrò in cucina. Il suo sguardo cupo lasciava intuire che anche quella giornata di ricerche, come le tante altre che l'avevano preceduta, non era andata a buon fine.

Il sorriso le si congelò sul volto, prima che si affrettasse a farlo sparire. Era necessario un cambio di atteggiamento: doveva essere cauta, come un artificiere in un campo minato. Almeno se voleva portare in salvo la pelle anche quel giorno.

-Brutta giornata?-, chiese, sforzandosi di tenere un tono naturale.

-Pessima-, rispose lui, cupo. Squadrò la stanza con occhio cinico, pollo e candela compresi; Elle trattenne il fiato.

-Il vecchio Martin si è trasferito?-, continuò, nel tentativo di spezzare un silenzio mortalmente pericoloso.

-Oh no-. Sylar posò il cappotto nero su una poltrona e cominciò a camminare per la cucina, avvicinandosi a lei e alla sua stupida cena. -Al contrario, ci siamo fatti una bella chiacchierata, quasi fossimo davvero padre e figlio. E' persino stato onesto e mi ha dato l'indirizzo di suo fratello, che, quanto pare, è il mio padre biologico-.

La sua voce conteneva quella calma studiata di cui era solito farsi scudo di fronte alle vittime; no, quella sera decisamente non c'era spazio per Gabriel. Elle respirò a fondo.

-Non mi sembra un bilancio così negativo, no? Domani puoi andare...-

-Ci sono già stato-, la interruppe, alzando la voce. -E non c'era. La casa era vuota, c'era ancora la sua roba, ma di lui nessuna traccia. Ho provato a chiedere ai vicini, ma non ne sapevano nulla-.

Non era difficile immaginare che fine avesse fatto quella povera famiglia di periferia: probabilmente la stessa che avrebbe fatto anche lei di lì a poco, se non avesse avuto il riguardo di tacere e aspettare che Sylar si ritirasse. Cosa che, per il momento, non sembrava assolutamente intenzionato a fare.

-Un mese e mezzo di ricerche sprecato! Tutta questa fatica per nulla!-, urlò. Elle chinò il capo il silenzio, stretta nelle spalle, puntando ostinatamente lo sguardo sul pavimento. -E, come se non bastasse, torno qui e trovo.... questo!-

Un gesto secco della mano e la teglia volò a terra. Pezzi di pollo si sparsero disordinatamente sul pavimento, sotto lo sguardo ferito di chi aveva passato il pomeriggio a prepararlo.

Tutta la sua fatica, tutta la sua buona volontà, tutta la sua speranza di ricominciare da zero, distrutta e calpestata dai malumori di uno psicopatico. Sentì la rabbia attraversarle il corpo come una scarica elettrica e allontanare il timore che l'aveva paralizzata fino a poco prima.

Una flebile scintilla azzurra saettò tra le sue dita. Aveva ucciso per molto meno: si tratteneva solo perché sapeva di non potersi permettere tiri mancini, con Sylar.

A lui non sfuggì il suo moto di irritazione. Ammiccando con il capo nella sua direzione, chiese:

-Ti ho fatta arrabbiare, Elle?-

La sua voce era di nuovo perfettamente ferma, calma. Sul suo viso si era fatto largo nel frattempo il sorriso sadico e perverso di chi gode nel torturare le sue vittime.

Il suo talismano contro il cattivo umore era quella bambolina bionda da tormentare: Elle lo sapeva, e sapeva anche che non doveva essere tanto sciocca da cadere nella tela del ragno.

Serrò le labbra, strinse i pugni. Una scossa incontrollata le avvolse le nocche; tentò di respirare piano.

-Povera Elle-, la risata di Sylar la colpì come uno schiaffo. -Sola tutto il giorno, a giocare alla casalinga modello, a fingere di essere una ragazza normale. Magari ci hai creduto davvero, eh?-

Ogni sua parola la faceva tremare per la rabbia. Si trovò a conficcarsi le unghie nel palmo della mano per evitare di schiudere il pugno e riversargli contro tutto l'odio che stava covando in quel momento.

La verità era che si sentiva stupida, terribilmente stupida, perché Sylar aveva ragione a schernirla per i suoi sciocchi tentativi di sentirsi normale. Non era normale, non lo era mai stata né lo sarebbe stata in futuro: le sue erano solo le illusioni di una bambina che continuava a giocare per camuffare la sua infelicità. E come da piccola si aggrappava con forza alla giacca di un padre che le voltava sempre le spalle, così ora si lasciava trattare come una pezza da stracci dall'uomo da cui dipendeva come un parassita.

Si odiava per la sua debolezza, e odiava lui per il modo in cui la trattava, dopo averle regalato una parvenza di amore.

La luce del soffitto traballò, si spense e riaccese nel giro di un secondo. Se si fosse permessa di dar voce alle sue emozioni, non sarebbe riuscita a controllarsi.

Il sorriso di Sylar si accentuò.

-Coraggio, Elle. Arrabbiati con me. Sfogati. So che vuoi farlo-.

Lui era il più forte, mentre lei era solo un animale ferito e impaurito: non si trattava solo di un'inferiorità di poteri, ma psicologica.

Elle era fragile, sempre sull'orlo della crisi. Bastava un soffio di vento a mandare in frantumi la sua psiche devastata, e Sylar spesso godeva nel ricoprire il ruolo di poderoso maestrale. Eppure, lei non riusciva a recidere il legame malsano che li univa. Non solo perché temeva per la sua incolumità, e neppure perché c'erano momenti in cui tornava a vedere Gabriel in quegli occhi scuri; semplicemente, Elle non sapeva fare a meno di lui. Da sola, non sarebbe sopravvissuta.

Coprì la distanza che la separava da lui con due rapide falcate e si avventò sulla sua bocca.

Premette con forza le labbra su quelle di Sylar; non appena lui, dopo una frazione di secondo di smarrimento, ricambiò il bacio, tutta la tensione che Elle aveva accumulato si sciolse. La sentì abbandonare il suo corpo e riversarsi in quello dell'uomo con una scarica elettrica intermittente, colma di rabbia.

Sylar sussultò, e lei si allontanò, riaprendo di scatto gli occhi. Si rese conto solo in quel momento di cosa aveva fatto e trattenne il respiro, in attesa di essere inchiodata ad un muro con un cenno della mano; ma, rialzando lo sguardo, si accorse che stava ridendo.

-Così mi piaci, Elle-, disse, passandosi una mano sulla bocca. -Così mi piaci-.




-Non devi fingere-.

Elle allargò le gambe, mentre Gabriel premeva il bacino contro il suo.

-Non devi sforzarti di essere qualcuno che non sei-, sussurrò contro il suo orecchio, mordendole il lobo.

Reclinando il capo sul materasso, lei gli affondò una mano tra i capelli, insolitamente lunghi: una scossa sulla sua nuca.

Lo sentì sorridere, e stringerle, in tutta risposta, una mano attorno al collo, fino a mozzarle il respiro.

Con mani tremanti, gli sbottonò la camicia, sfiorandogli il petto con una piccola scarica ad ogni bottone.

Gabriel le conficcò le unghie nella schiena, prima di raggiungere e slacciare il gancio del reggiseno.

Pelle contro pelle, un'altra scossa, un altro sussulto.

Elle sorrise.

Aveva dimenticato quanto le piacesse il suo potere, quanto le piacesse fare male.



-Sai, mi è venuta fame-, disse Gabriel, armeggiando con la cintura, ed Elle si trattenne dal lanciargli contro una scarpa.

-Cerca il volantino del cinese-, borbottò stringendosi al petto le lenzuola; dalla cucina, gli giunse la sua risata.

Chiuse gli occhi, con il sorriso sulle labbra.

Si sentiva serena, come riusciva ad esserlo solo in compagnia di Gabriel. Si era sbagliata, prima: non era Sylar a parlarle, ma quel compromesso tra passato e futuro che faticava ad identificare. L'aveva torturata, sì, ma solo per riportarla sulla retta via; si era smarrita in sciocchi sogni di normalità e patetiche paure, aveva lasciato che la sua fragilità prendesse il sopravvento e cancellasse la sua vecchia identità.

Anche lei, come Gabriel, era in bilico tra due diversi lati di sé: l'agente dell'Impresa capace di uccidere solo per noia che era stata fino ad allora e la ragazza normale che aveva sempre voluto essere – e che talvolta, come quel giorno, aveva anche provato ad impersonare, con scarsi risultati.

Niente poteva cancellare quello che era: una sadica, una sociopatica. Come Sylar.

Erano come due facce di una stessa medaglia. Desiderio di riscatto misto alla voglia di far male, speranza di redenzione unita all'amore per il potere: due contraddizioni viventi, due mostri, in cerca di un equilibrio che sembrava essere sempre fuori dalla loro portata.

Non avevano mezze misure, gli psicopatici come loro. Passavano dai propositi più nobili ai delitti più efferati, mischiando i peccati alle buone intenzioni in una scala di grigi che faceva da sfondo ad ogni loro azione.

Quando sentì la voce di Gabriel ordinare al telefono degli involtini primavera, Elle si decise ad alzarsi e ad indossare di nuovo qualcosa, per rendersi presentabile agli occhi del fattorino.

Tuttavia, arrivarono estranei ben prima di quanto non si aspettasse.

Sgranò gli occhi scorgendo un'unità di militari vestiti di nero piombare in ingresso armati di tutto punto; non fece però in tempo a farsi un'idea completa della situazione, perché la porta della camera da letto si chiuse di scatto.

Gabriel, pensò, affrettandosi ad infilare i pantaloni.

Dal salotto le giunsero rumori di spari e di corpi sbattuti da una parte all'altra della stanza. Deglutì a fondo, preparata allo scontro, una sfera di elettricità già tra le sue dita pronta ad essere scagliata.

Si acquattò contro la parete attigua all'ingresso della camera, mentre udiva altri spari, che probabilmente avevano messo Gabriel fuori gioco.

Chiuse gli occhi, in ascolto. Da quando se n'era andata per sempre dalla Primatech non aveva più combattuto contro nessuno, ciononostante ogni fibra del suo essere agiva di propria iniziativa, memore degli anni di addestramenti e missioni, quando diventare un buon agente era l'unica cosa che per lei avesse un significato.

C'era una cosa sola per cui Elle Bishop era stata cresciuta ed educata, ed era anche l'unica in cui riuscisse davvero bene: eliminare il nemico.

La porta si aprì ed entrò un commando. Prima che potesse anche solo puntarle contro la pistola, lei scattò dalla sua posizione o lo colpì in pieno petto con una scarica potente. Il sangue le si ghiacciò nelle vene quando l'uomo, anziché cadere a terra privo di sensi come avrebbe dovuto fare, avanzò imperterrito nella sua direzione, brandendo l'arma.

Elle indietreggiò e gli lanciò contro, automaticamente, una sfera di elettricità, e poi un'altra e un'altra ancora, senz'alcun risultato.

Incredibilmente quel soldato sembrava immune al suo potere: questa constatazione la gettò nel panico più totale. Si ricordò della pistola che teneva nel cassetto della biancheria, ma sapeva che sperare di prenderla era un'utopia.

Forza, Gabriel!”, pensò, lanciando un'ultima disperata scossa al suo aggressore.

L'uomo in nero, però, premette il grilletto prima ancora che l'attacco lo raggiungesse, ed Elle cadde a terra con un tonfo sordo.



-Elle!-

Lentamente, una voce le giunse all'orecchio. Si sentiva debole,troppo per rispondere a quel richiamo e tornare in sé. Neppure ricordava di essere andata a dormire...

-Ah!-

Sussultò e si alzò di colpo, i capelli fradici che le gocciolavano sui vestiti. Cercò con lo sguardo il responsabile del misfatto, ma la vista le si oscurò di colpo per il brusco rinvenimento, tanto da costringerla a cercare un appiglio per non cadere di nuovo. Una mano grande e ruvida le strinse il braccio nudo, aiutandola a restare seduta.

Man mano che le tornava la vista, si schiarivano anche i ricordi che aveva su quanto era appena successo. L'irruzione, i militari, il suo potere stranamente inefficace...

-Mi hanno sparato- realizzò.

-Tranquillante-.

Nel vederla tornare in forze, Gabriel si alzò bruscamente, lasciandola andare: non sembrava dell'umore di prepararle bevande zuccherate per farla riprendere, considerati i metodi bruschi che aveva usato per farla rinvenire.

Elle si passò una mano sul viso bagnato, ancora confusa.

-Non volevano uccidermi....- sussurrò sovrappensiero. -Ma perché diavolo il mio potere non aveva effetto?-, aggiunse, rialzandosi di soprassalto.

Per tutta risposta, Gabriel indicò il corpo senza vita del suo aggressore, scompostamente sdraiato sul pavimento della camera da letto, una ferita ancora fresca a solcargli la gola.

-Indossava una tuta isolante. Come i suoi colleghi di là in soggiorno. Sai cosa significa questo, vero?-

-Erano qui... per me-, realizzò Elle a bocca aperta. Scosse la testa, con un'espressione a metà tra il confuso e l'arrabbiato dipinta sul viso. -Ma perché?-, riprese, camminando nervosamente per la stanza. -Voglio dire, che cosa ho fatto? Me ne sono stata zitta e buona in queste ultime sei settimane: non ho torto un capello a nessuno!-

La sua voce assunse una nota stridula che esprimeva irritazion; Gabriel non parve farvi caso.

-Hai acceso la TV di recente?- disse, serio. -E non per guardare le repliche di Beverly Hills-.

La risposta le morì in gola, così si limitò ad un'alzata di spalle.

-Immagino tu non abbia notato i comizi di Nathan Petrelli su una chiara e presente minaccia1 che deve impensierire ogni cittadino americano-.

Elle si prese qualche istante per ragionare.

-Stai dicendo che il governo ci dà la caccia, ora?-

-Già. E scommetto che tu te ne sei andata a sorridere allegramente alle telecamere dei supermarket, mentre facevi la spesa per la tua bella cena-.

Fece una smorfia. Odiava essere rimproverata in quel modo, come se fosse ancora una stupida bambina: suo padre le si rivolgeva sempre così.

Ignorò volutamente la frecciatina e riprese il filo del discorso.

-Tute isolanti, pistole con tranquillanti in grado di stenderci... Sono troppo ben organizzati per essere degli insulsi agenti del governo-.

Gabriel sorrise amaro.

-Immagino ci sia lo zampino di Bennet. E questo vuol dire che non avremo vita facile, da oggi in poi-.

Elle incassò il colpo in silenzio. In fondo, era giusto così: essere di nuovo in fuga l'avrebbe aiutata a ricordare che non poteva semplicemente far finta di essere come tutti gli altri. Voltare pagina non era così facile.

-Ora che si fa?-, chiese con un filo di voce. Ancora una volta la scelta di un piano d'azione toccava a Gabriel.

-Ripuliamo questo posto-, rispose deciso, e allargò le braccia ad indicare il caos di proiettili, sangue e cadaveri che si era creato in una manciata di minuti. -Facciamo i bagagli e ce ne andiamo. In cerca del signor Samson Gray-, concluse, abbozzando un sorriso frustrato.

-Lo troverai- lo rassicurò Elle, memore dello sfogo di prima, sfiorandogli appena un braccio.

Del resto, lui trovava sempre tutti.


1Titolo dell'episodio 3x14, che inaugura il quarto volume.

   
 
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