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Autore: Deilantha    21/11/2011    8 recensioni
Pasi è una diciannovenne impulsiva e socievole, dal futuro incerto ma dal buon cuore, che vive una situazione di conflitto in famiglia, sentendosi sempre la pecora nera rispetto ad una sorella apparentemente perfetta. Provando un vuoto affettivo tra le mura domestiche, Pasi si circonda di amici, che reputa la sua vera unità familiare.
Emile è il suo esatto opposto: non è un tipo socievole e vive esclusivamente per la musica, sul cui argomento è terribilmente arrogante. Ma il suo modo di essere così rigido e poco aperto agli altri, nasconde un dolore che il ragazzo si porta dietro dall’infanzia, dovuto ad una madre caduta vittima della depressione quando lui era ancora in fasce.
Emile e Pasi si scontreranno la prima volta che si vedranno, ma le loro vite sono destinate ad incrociarsi e farli crescere nella reciproca conoscenza.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Filrouge'
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Capitolo 19









 

La felicità, il nostro desiderio più ambito, l’obiettivo che ci affanniamo a raggiungere durante il corso di tutta la vita. Emile aveva detto una grande verità, la felicità fugge via ed è per questo che quando siamo felici dobbiamo viverci quei momenti al meglio possibile, senza sprecare un solo istante nella paura che essi finiscano. Perché tanto finiranno. È una legge della vita.

Dopo esserci concessi quella domenica tutta per noi, io ed Emile decidemmo di comune accordo di concedere una domenica di riposo anche a suo padre: non si era mai staccato da sua moglie da che avevo memoria e meritava anche più di noi un giorno di svago. Alberto però fu duro da convincere, non voleva imporci un’intera giornata accanto a Claudine e sospettai anche che non volesse staccarsi da lei per paura che le accadesse qualcosa. Così scendemmo a patti: riuscimmo a strappargli un pomeriggio di relax anziché l’intero giorno, così nel dopo pranzo lo spedimmo fuori a rilassarsi con qualche collega, mentre noi ci prendevamo cura dell’amore della sua vita.

Era la prima volta che io ed Emile ci trovavamo insieme a badare a Claudine e anche se non avremmo fatto nulla di nuovo, essere lì insieme era una piacevole novità. Inoltre adoravo vedere il modo dolce e premuroso in cui il mio Pel di Carota si prendeva cura di sua madre: era una dolcezza ricolma di tristezza, ma anche di un amore infinito che mi commuoveva sempre.

«Emile, tu ci credi al Destino?»

Ero in piedi accanto alla finestra, intenta ad osservarlo mentre dava da bere a sua madre, quando mi venne in mente il giorno in cui lo vidi all’ospedale con lei… quel giorno in cui Simona si fece male.

«Stavo pensando a quando c’incontrammo la prima volta all’ospedale e mi sono venute in mente tutte le circostanze che mi hanno portato ad essere qui con te ora… io credo che qualcuno lassù, abbia deciso che dovevamo incontrarci a tutti i costi e abbia fatto di tutto per far si che ciò accadesse. Sofia ci ha raccontato anche una leggenda al riguardo, sulle persone legate dal Filo Rosso del Destino…»

Raccontai per sommi capi la storia di Sofi mentre Emile venne a sedersi sulla poltrona, a breve distanza sia da me che da sua madre, per ascoltarmi e non perdere di vista Claudine.

«È una leggenda molto bella e romantica e non ti nascondo che sarebbe bello crederci… ma sono convinto che siamo noi a scegliere il nostro Destino. Se non fosse così non potrei pensare che quel qualcuno che dici tu, abbia deciso di privare mia madre della sua vita e della sua felicità e sarebbe altrettanto implicito che qualsiasi sforzo faccia per emergere, potrebbe essere inutile se non fosse scritto nelle stelle. Invece sono convinto che per quanto tu debba sforzarti e sudare, se hai la volontà ferrea di raggiungere un obiettivo, riuscirai nel tuo intento, perché niente al mondo riuscirà a bloccarti, niente al mondo ti tratterrà dal raggiungere il tuo scopo.»

Emile parlava con foga e con una luce intensa nello sguardo, era chiaro che si stesse riferendo al suo obiettivo di diventare famoso e capii da quella febbrile determinazione che lo pervadeva, quanto fosse forte il suo desiderio di emergere, che avrebbe rischiato qualsiasi cosa pur di riuscirci. Il mio pensiero andò momentaneamente a Claudio, ma lo accantonai dicendomi che le sue si erano rivelate vuote minacce, che il pericolo era passato, ma mi chiesi anche se non ci fosse la possibilità che si ripresentasse successivamente…  «Ci sei rimasta male?» Emile mi riportò alla realtà con quella domanda.

«Come?»

«Ho visto che ti sei ammutolita e ho pensato che ci fossi rimasta male per la mia risposta… Sai Pasi, io non sono  così ottimista e buono come te e non riesco a credere alle favole…» il suo sguardo si fece amaro d’improvviso e d’istinto mi accovacciai accanto a lui per accarezzargli il viso:

«Assolutamente no, hai espresso il tuo parere e siamo tutti liberi di avere opinioni differenti Emile e non per questo penso che tu sia un insensibile. Abbiamo solo due opinioni diverse, tutto qui.» mi guardò con intensità, i suoi occhi si screziarono d’azzurro e la sua bocca si arcuò in un dolce sorriso. Mi fece segno di sedermi in braccio a lui e una volta accomodata mi prese il volto tra le mani…

«Come farei senza di te?» …e mi diede un dolcissimo bacio.

Restammo abbracciati così per un po’, quando sentii lo sguardo di Claudine su di noi: alzai il capo in sua direzione e le sorrisi… e notai una luce in quegli occhi che non avevo visto mai prima.

Il suo sguardo passò dal mio volto a quello di Emile e con un’istantanea comprensione sul viso disse:

«Mon petit… tu es heureux mon petit! Tu es heureux!» *

La poltrona su cui eravamo seduti era abbastanza vicina da poter toccare Claudine, così Emile allungò una mano per accarezzare il volto di sua madre e le rispose:

«Oui maman, Je suis heureux.» 

Era la prima volta che lo sentivo parlare in francese: in quel momento stavano comunicando davvero, stavano interagendo: Claudine era vigile, non era un guscio vuoto e parlava con lucidità a suo figlio in una delle rare occasioni in cui ciò era accaduto!

Sentendo la risposta di Emile, versò una lacrima e chiuse per un momento gli occhi e quando li riaprì disse: 

«Je suis heureuse aussi mon trésor. Je t’aime mon bébé!» 

Emile osservò sua madre con occhi ad un passo dalla commozione e attese di riprendere la calma prima di rispondere:

«Je t’aime aussi, maman.», stringendo la sua mano su quella smagrita della madre, mentre Claudine tornò al suo sonno con un sorriso sul volto.

 

 

Quella fu l’ultima volta che la vidi.

Due giorni dopo Claudine si uccise con una dose massiccia di sonnifero, approfittando di un attimo di distrazione di Alberto.

 

Quando mi arrivò la notizia era sera ed ero al centro a mettere in ordine alcuni documenti, quando all’improvviso Fede, che proprio quella sera era con Alberto, mi chiamò.

«Pasi, chiama Emile e correte all’ospedale, Claudine ci ha riprovato, si è imbottita di sonnifero.»

Rimasi pietrificata: dopo averla vista interagire con Emile, avevo sperato nuovamente che si stesse riprendendo, che la gioia di vedere suo figlio felice l’avrebbe riscossa e fatto reagire… non poteva fargli questo! Non poteva fare una cosa simile ad Alberto, non poteva lasciarci così!

«Pasi? Pasi mi hai sentito? Avverti Emile e correte all’ospedale, noi stiamo andando già lì.»

Allertata dalla voce pressante di Fede, mi riscossi quel tanto che bastò per reagire: Emile! Dovevo avvertirlo! Dovevo andare da lui e stargli accanto!

«S-sì Fede, arriviamo subito!»

 

Quella sera Emile era con il gruppo in riunione straordinaria con il produttore: stavano prendendo alcune decisioni riguardanti  il lancio del CD, era una serata importante ed era richiesta la presenza di tutti i GAUS al completo. Per questo motivo ebbi delle remore a chiamarlo, ma si trattava di sua madre, non era una sciocchezza e aveva il diritto di sapere cosa le fosse accaduto, così mi decisi ad usare il cellulare.

«Pasi, che succede?»

«Scusa se t’interrompo ma è urgente Emile! Sto andando al pronto soccorso, Claudine...»

«Arrivo.» non mi lasciò terminare la frase e attaccò la chiamata.

 

Quando giunsi all’ospedale Emile non era ancora arrivato: Alberto e Fede erano nel corridoio in attesa e corsi ad abbracciare il primo per poi chiedergli cosa fosse accaduto. Alberto era visibilmente preoccupato, eppure non aveva quell’ansia addosso che gli avevo visto la volta precedente, sembrava stranamente tranquillo, nonostante le condizioni di Claudine dovessero essere decisamente più gravi.  Probabilmente confidava nei medici… Oppure era arrivato ad abituarsi a quella situazione, ma quel pensiero mi risultò quasi un’aberrazione: come ci si può abituare all’idea che chi ami voglia morire?

Emile arrivò dopo poco: gli corsi incontro e abbracciati c’incamminammo verso Alberto. Quando arrivò accanto a suo padre, i due si osservarono intensamente, come se stessero comunicando col pensiero e la scena mi sembrò surreale: temevo che cadessero a pezzi, ero preparata a sostenere entrambi e invece apparivano stranamente tranquilli, dando vita ad una strana ansia dentro di me… e quando arrivarono i medici, lo stato della mia preoccupazione si fece allarmante:

«Abbiamo fatto il possibile, ma la signora ha ingerito una dose letale di sonnifero… non siamo riusciti a salvarla.»

In quel momento persi il contatto con la realtà: tornai di nuovo a qualche mese prima, ero di nuovo con Stè in quello stesso ospedale, mentre mi diceva che mia sorella era morta. Simona non c’era più ed ora anche Claudine se n’era andata!

«No, non è possibile!» sentii la mia voce alzarsi di tono, «Dovete salvarla, non può morire così! Non ora, non ora!» come quella volta, il mondo prese a vorticare intorno a me e solo la voce di Emile mi riportò alla realtà:

«Pasi, calmati, Pasi!»

Mi tenne stretta a sé e tornai alla lucidità, rendendomi conto che la più sconvolta tra i due ero io. Guardai Alberto, anche lui aveva la stessa compostezza del figlio, nonostante stesse piangendo.

«Ma cosa significa? Perché siete così calmi? Ho capito male forse? Claudine sta bene?»

«No Pasi, hai compreso perfettamente, mia madre se n’è andata.»

Mi voltai di scatto verso Emile: «E allora perché siete così tranquilli?! Io… Io non capisco Emile! Ti rendi conto? Claudine! Claudine!»

Emile tornò a stringermi a sé e parlò con calma: «Lo so, se n’è andata, ma ora è in pace Pasi, mamma ora è felice.»

Alzai il viso verso il suo, gli occhi erano rossi di pianto eppure la sua espressione era serena: alla fine quella da consolare ero io!

«No! Non lo posso accettare Emile! Stava meglio! Ti ha parlato l’altro giorno, ho visto la luce che aveva negli occhi! Stava meglio! Stava meglio!»

«Mi stava dicendo addio Pasi; quel giorno era felice, le ho visto la serenità negli occhi e ho capito che ci avrebbe lasciato a breve.»

Mi tenne stretta nel suo abbraccio, trattenendo il dolore per farmi forza, mentre il mio prese il sopravvento. Era troppo, perché se n’era andata anche lei? Quante persone avrei dovuto perdere ancora in quel modo? Non sopportavo più quel luogo, non volevo più dire addio alle persone che amavo; perché, perché andavano via, perché mi lasciavano?!

«L’ha fatto anche con me piccola, ha detto addio anche a me in quello stesso modo due giorni fa.» Alberto posò una mano sulla mia spalla e abbracciò con l’altra suo figlio: «Fatti forza piccola, fatti forza. Ora Claudine è serena, e dobbiamo esserlo anche noi.»

 

 

*****

 

“Sii forte”, la frase che mi disse Emile prima di tornare in Germania; “Fatti forza”, fu l’eco di suo padre. Loro due erano forti, lo erano da vent’anni, aspettandosi l’addio improvviso di Claudine ogni giorno, guardandola ogni volta come se fosse l’ultima… e quando quel giorno giunse, mantennero fede ai loro propositi, si fecero  forza reciprocamente.

Io no. Io non ce la facevo a sopportare anche quella perdita a distanza di pochi mesi. Continuai a piangere e a sentirmi nuovamente spezzata, eppure una voce dentro di me era consapevole che Emile e suo padre dicevano la verità. Avevo visto tutta la scena anche io, ero stata presente all’addio di Claudine verso suo figlio, e avevo notato gli occhi rossi di Emile mentre le diceva “Ti voglio bene anch’io mamma”; in quel momento si erano detti addio, ma non me n’ero resa conto! 

Dovevo essere forte anch’io, se non per me, almeno per Emile e per Alberto: per quanto si fossero preparati ad affrontarlo,  il mio dolore doveva essere niente in confronto al loro!

Eppure non riuscii ad esserlo.

Al funerale di Claudine Flaubert c’erano poche persone, i pochi intimi che la conoscevano e l’amavano, o chi aveva imparato a farlo tramite i racconti di chi l’aveva conosciuta quando era sana e vitale. Alberto mandò un telegramma in Francia per comunicare alla famiglia Flaubert la dipartita di sua moglie, ma nessuno si fece vedere alla funzione, né mandarono altri segni di aver ricevuto la notizia.  I miei amici invece, vennero tutti, sia per affetto verso di me che per dare sostegno ad Emile, ma mi accorsi ben poco della loro presenza: quelle ore le trascorsi abbracciata a lui in lacrime, preda dello sconforto e del dolore. Piansi per me, per Emile, per Simona, per Claudine… probabilmente piansi per tutti coloro che non riuscivano a farlo o che lo facevano ben poco. Due sole cose ricordo di quel funerale: il mio pianto e l’abbraccio convulso di Emile che non mi lasciava.  

E come lui non mi aveva lasciato un secondo durante quel luttuoso evento, altrettanto io ero restia ad allontanarmi da lui, andandomene da quella casa. Claudine aveva vissuto quasi esclusivamente nella sua stanza, eppure in quell’abitazione che lei aveva scelto anni addietro, si sentiva tragicamente la sua assenza: d’improvviso quella casa sembrava immensa e vuota. 

Intorno a Claudine si erano sempre avvicendati medici e infermieri e in un modo o in un altro, grazie a lei quella casa aveva sempre ospitato  un vai e vieni di persone, che ora non ci sarebbero più state. Ora restavano solo Alberto ed Emile, solo loro due, in una casa troppo grande, vuota e silenziosa. Saperli soli in quel vuoto non mi dava pace, così decisi di trascorrere quei primi giorni con loro: non m’importava se avessero avuto da ridire, se avessero voluto fare i forti; sarei stata irremovibile, non li avrei mai lasciati da soli! Probabilmente non ero forte come loro, ma avrei potuto aiutarli a non cedere, avrei potuto dare un po’ di sostegno in qualche altro modo e non volevo staccarmi da due persone che consideravo parte integrante della mia famiglia.  Inoltre, da un punto di vista del tutto egoistico, non avendo presenziato al funerale di mia sorella, mi sentii in dovere di essere partecipe di quello di Claudine in ogni suo aspetto, come se avessi potuto espiare in quel modo, la colpa di essere stata assente per mia sorella una volta di troppo.

Per fortuna sia il padre che il figlio non avevano le energie necessarie a discutere, così quando dissi loro della mia intenzione di restare in quella casa, non fecero obiezioni di sorta… probabilmente anche se si mostravano forti, entrambi sentivano la stessa sensazione di vuoto che percepivo io, anzi, con tutta probabilità in loro era tutto amplificato; vent’anni di convivenza e di amore non si possono cancellare in qualche giorno!

Le ore successive al funerale, trascorsero nel ricevere le condoglianze di cortesia del vicinato, nel sentire qualche frase di circostanza e nel rispondere con altrettante frasi fatte. Nei pochi mesi in cui avevo frequentato quella casa, non avevo mai visto una di quelle persone far visita a Claudine quand’era viva e osservarli in quel momento, mentre mostravano il loro finto dispiacere di circostanza, mi provocò un impeto di rabbia per quell’ipocrisia e per quelle inutili formalità. Ero contraria a simili gesti da sempre, avevo avuto le migliori discussioni con i miei genitori proprio a causa dell’apparenza a cui loro tanto tenevano, ma in quell’occasione capii molto più profondamente ciò che avevano vissuto Aberto ed Emile in quegli anni, capii il profondo astio che aveva dovuto provare il mio Pel di Carota davanti ad un continuo andirivieni di persone pettegole e ipocrite, che volevano solo salvare le apparenze o impicciarsi delle vicende altrui. Capii quanto gli fossi dovuta sembrare invadente e intrigante quelle prime volte che ci eravamo visti…

Gli ero stata accanto tutto il tempo quel giorno e in quel momento, alla luce di quella comprensione, gli strinsi una mano, per tenermi il più possibile aggrappata a lui, per fargli sentire quanto gli fossi vicina e quanto avrei voluto poter fare qualcosa per risparmiargli tutto quello strazio.

Emile ricambiò la stretta e quando fu libero dalle chiacchiere di circostanza mi diede un bacio sulla fronte:

«Grazie, so che questo ti sta costando molto, se vuoi andare a riposare sei liberissima di farlo.»

Gli presi anche l’altra mano e lo guardai negli occhi: «Non vado da nessuna parte Emile, lo affronteremo insieme, che tu lo voglia o no.»

Mi guardò con un’espressione dolce e triste che ricordava moltissimo quella di Claudine e per un attimo mi si strinse il cuore; poi mi accarezzò il viso con una mano senza dire una parola, prima di essere chiamato a continuare quella pantomima.

Quando arrivò la sera, mi accompagnò in camera, quella stessa camera in cui dormii mesi fa e anche quella volta, lo fermai mentre stava per dirigersi sulla porta, dopo avermi dato la buonanotte:

«Resta qui con me, non te ne andare!»

Non volevo lasciarlo, non volevo in alcun modo separarmi da lui, temevo l’idea che dovesse sopportare una sofferenza immane tutto da solo. Emile rimase qualche istante sulla porta ma poi se la chiuse alle spalle, venendomi incontro, adagiandosi nel letto accanto a me e tenendomi stretta a lui.

Durante la notte però, allarmata da una strana sensazione mi svegliai e alzando il viso verso quello di Emile addormentato accanto a me, mi resi conto che nel sonno aveva iniziato a piangere. Il suo viso sembrava rilassato, eppure le lacrime erano ben visibili e non accennavano a smettere di scorrere. 

Povero amore mio, si stava tenendo in piedi con tutta la forza di volontà che aveva, ma la notte il suo cuore reclamava il diritto di esternare la sua sofferenza, libero dal desiderio della mente di mostrarsi forte. Mi accoccolai accanto a lui e lentamente gli asciugai le lacrime, prima di stringerlo a me. 

 

*****

 

Mi risvegliai nel letto da sola e con un’impressionante sensazione di deja-vu mi alzai, ritrovandomi nuovamente in un corridoio vuoto e silenzioso. Come l’altra volta mi allungai verso la stanza di Claudine, la cui porta era aperta: avevo la strana sensazione di camminare nel passato, come se mi fossi risvegliata in un piano di esistenza al di là del tempo. Come quella volta, nella stanza c’era Alberto, ma quella fu l’ultima assonanza col passato: repentinamente tornai al presente nel vederlo seduto sulla poltrona accanto al letto vuoto di Claudine, mentre osservava silenziosamente la stanza. Entrai quasi in punta di piedi, senza dire una parola e mi accucciai a terra, accanto alla poltrona, poggiando la mia mano su una di Alberto. Mi guardò con un sorriso amorevole e triste: aveva gli occhi rossi ma se aveva pianto, quelle lacrime si erano seccate da tempo, poiché non ce n’era traccia sul suo viso tranquillo.

«Questa casa è vuota senza di lei, vero piccola?»

«Sì… lo è… è terribilmente vuota!»

Tornò a guardare avanti a sé, come per rivolgersi più a se stesso che a me:  «Non mi abituerò mai alla sua assenza…»

Non ce la facevo a guardarlo senza dir niente, così cercai di essere utile in qualche modo:

«Alberto… so che forse non sono la persona più adatta, ma se vuoi parlare, se vuoi sfogarti… con me… io ti sono vicina! Ti ascolterei con piacere! Lo so che fino a ieri non ho fatto altro che piangere e so che agli occhi tuoi e di Emile sarò sembrata una fragile ragazzina emotiva… ma io sono convinta che il dolore vada esternato e sarei davvero felice che lo faceste anche voi due! Inoltre, essendomi già sfogata, ora posso ascoltare anche gli altri.» E non mi sentirò l’unica stupida che urla e strepita!

Alberto mi guardò con affetto e poggiò l’altra mano sulla mia:

«Pasi, bambina mia, tu sei una deliziosa giovane donna cristallina e di buon cuore e vai bene così come sei. Non posso parlare per Emile, che è solito non esternare ciò che sente dentro, ma io non sto trattenendo il dolore.  Sento terribilmente la mancanza di Claudine, con lei è andato via un pezzo di me e non sarò mai più intero; ma quando mi ha detto addio io l’ho vista serena, ho visto in lei una luce che non vedevo da tempo, il suo sguardo era rilassato e privo di dolore come vent’anni fa! La mia Claudine ha rinunciato a vivere da allora e solo stavolta ho visto che la tristezza del suo animo e il senso di colpa per non essere stata una buona madre verso Emile, l’avevano abbandonata, perché l’aveva visto felice… insieme a te.»

Strinsi più forte la mano di Alberto e iniziai a sentire il magone nella gola. «Ma chère sarebbe morta prima o poi, ci sarebbe stata una disattenzione da parte nostra che sarebbe stata fatale e lei ne avrebbe approfittato per andarsene;  ma sapere che l’ha fatto col sorriso sulle labbra e il cuore più leggero è stato il modo più bello di dirle addio. Mi mancherà sempre, ma so che ora è serena e questo basta a placare il mio dolore. E dopotutto, è solo questione di pazienza e attesa: quando giungerà la mia ora, la rincontrerò e potrò stare con lei come prima, come quando ci siamo conosciuti e quella volta sarà per l’eternità.»

Il viso di Alberto  era così sereno a quell’idea, era così convinto della sua visione romantica dell’amore che lo legava a Claudine che mi commosse: appoggiai il viso sulla sua mano e iniziai a piangere.

«Su, su, bambina, Claudine è serena, tutte queste lacrime non ti fanno bene. Devi essere felice piccola, devi vivere la tua vita con serenità, senza rattristarti così per chi è sceso prima dal treno.»

«Sì, lo so.»

«Coraggio, vieni qui e abbracciami.» mi allungai ad abbracciare Alberto e rimanemmo per qualche minuto a darci affetto e calore reciproco. Ancora una volta, il mio desiderio di dare conforto e sostegno si era ribaltato ed ero finita ad essere io quella da consolare!

 

*****

 

Emile tornò presto ai suoi doveri verso il gruppo. Si era allontanato all’improvviso dalla riunione col produttore per correre da sua madre e da allora non aveva più sentito qualcuno, né saputo cosa si erano detti. Così chiamò a raccolta i GAUS per parlare con loro e tornò a riprendere anche i suoi impegni lavorativi presso la bottega di restauro, decidendo di recarvisi direttamente dalla mattina, dato che non c’era più bisogno di essere tra le pareti domestiche. Era una decisone più che ovvia, ed era anche scontata considerando che negli ultimi tempi, preso dal gruppo, aveva chiesto una dose eccessiva di giorni liberi, per cui era più che giusto rimediare alle “vacanze” arbitrarie che si era concesso.

Tuttavia, sospettai che quella decisione fu presa anche per un terzo e non meno importante motivo: trascorrere il minor tempo possibile in quell’abitazione. Così tra i restauri e i GAUS, le sue giornate scorrevano tenendolo impegnato, senza dargli modo di cedere al dolore.

Tranne la notte.

Puntualmente quando chiudeva gli occhi, il suo cuore liberava la sofferenza che veniva imbrigliata durante il giorno ed io ogni volta lo stringevo a me col cuore a pezzi, asciugandogli le lacrime… finché non sopportai più quella situazione e decisi di affrontare direttamente con lui il discorso.

Una domenica mattina lo trovai nel laboratorio di Alberto intento a rifinire la cornice di uno specchio antico: non si concedeva il riposo nemmeno quel giorno.

«Ti sei alzato presto anche oggi!? Ma è domenica!»

 Avevo ancora gli occhi assonnati ed ero scesa da lui in pigiama, appena resami conto della sua assenza. Emile si volse verso di me e mi sorrise flebilmente:

«Mi sono svegliato e non riuscivo ad addormentarmi, così sono sceso qui. Torna a letto Pasi, stai dormendo in piedi!»

«No, sto bene…» e sbadigliai alla grande… Emile mi guardò con espressione improvvisamente seria:

«Pasi, non è necessario che tu rimanga ancora qui la notte: io e papà stiamo bene, possiamo cavarcela da soli.»

D’improvviso il sonno mi passò, non avevo pensato di essermi trattenuta troppo in quella casa: era così naturale per me essere lì, che non mi ero ancora posta il problema sulla durata della mia permanenza in quel luogo… Inoltre ero ancora troppo preoccupata per Emile, per potermene andare via lasciandolo a se stesso!

«Non è vero che stai bene, tuo padre forse ha raggiunto una certa tranquillità interiore, ma tu no, Emile! Tu ti sobbarchi di lavoro per non pensare, stai fuori casa il più possibile, per non sentire il vuoto che c’è in quest’abitazione ora e non trovi la forza di sfogare ciò che hai dentro di te. E forse non riesci a dormire proprio perché la tua coscienza sta cercando di dirti qualcosa!» Sganciata la bomba, mi preparai al contraccolpo che ero sicura sarebbe arrivato all’istante.

«Sono sciocchezze Pasi! Lavoro di più perché è giusto che sia così e di conseguenza sto fuori casa per più tempo. Non ho nulla da sfogare, sto bene. E se mi sveglio presto, è perché ormai sono abituato a farlo!»

«Non è vero, Emile! Non è assolutamente vero che stai bene e che tu non abbia nulla da sfogare!»

«Ti dico che sto bene!»

Non ne potevo più di quella farsa; perché ora tornava a mascherarsi davanti a me? Era mai possibile che lo facesse a causa mia? Voleva essere forte per me, perché mi aveva visto a pezzi?

«Emile, se lo fai per me, se lo fai perché ti senti in dovere di essere forte, dato che io non mostro di esserlo, allora smettila immediatamente perché io non voglio che tu finga!»

«Fingere di che, Pasi? Se ti dico che sto bene, perché non mi credi?»

Iniziò ad alterarsi, ma io continuai imperterrita: «Perché io lo so che non è vero, stupido!»

Emile perse le staffe e iniziò ad alzare la voce:

«Che cosa vuoi che ti dica, eh? Che mi manca? Mi è sempre mancata, è tutta la vita che mi manca una madre! Perché dovrei piangere ora, per qualcosa che mi porto dentro da sempre? Dovrei piangere perché non era presente agli incontri con gli insegnanti? Perché non mi ha visto mentre cantavo la prima volta su un palco? Perché quando c’era da fare il tema sulla mamma, non sapevo cosa scrivere? Perché non so cosa sia mangiare un piatto cucinato da lei o ricevere un suo abbraccio? È per questo che devo piangere?!»

«Sì stupido, se è questo che ti fa star male piangi per questo, perché io lo so che soffri, so che ora stai fingendo di star bene; perché io asciugo le lacrime tutte le notti da quel tuo viso!»

Emile restò esterefatto, la rabbia fece posto alla sorpresa sul suo volto, che venne raggiunto da una mano, come se la pelle del viso a contatto con le dita, emanasse i ricordi delle sue notti di pianto. Aveva un’espressione sorpresa mentre realizzava ciò che gli avevo detto: non si era mai reso conto di piangere la notte!

Mi avvicinai a lui prendendogli la mano: «Non ti rendi conto che il tuo cuore soffre? Buttalo fuori quel dolore, esternalo! Non lasciare che ti corroda!»

La sua espressione sorpresa si rilassò, lasciando spazio all’amarezza: «A cosa servirebbe, Pasi? Se piango, se mi metto ad urlare, cosa cambia? Mia madre tornerà? Tua sorella è mai tornata da te, quando piangevi per lei?»

«Loro non torneranno, ma tu non sei morto; tu sei vivo Emile, sei vivo! E i vivi piangono, urlano, rompono qualcosa per la rabbia, l’esternano la loro vita, la loro esistenza! Non ti chiudere in te, ti prego! Non fare come lei!» 

Quell’ultima esclamazione sorprese anche me: non mi ero resa conto fino a quel momento, di temere che Emile prendesse la stessa strada pericolosa che aveva decretato la fine di sua madre: rimasi stupita da quello che avevo appena compreso e portai una mano alla bocca sgranando gli occhi, preoccupata di aver detto una parola di troppo.

Invece Emile mi abbracciò; ancora una volta, quella era una paura che comprendeva benissimo perché prima d’incontrarmi, era stato il suo motivo principale per vivere, la causa che l’aveva spinto a volere il successo. Emile temeva anche più di me l’idea di seguire lo stesso destino di sua madre. 

«Stai tranquilla amore mio, io non me ne andrò in quel modo, non me lo perdonerei mai!»

«Allora sfogati, ti prego!»

Lo strinsi a me, sentii tutti i battiti del suo cuore e fui presa nuovamente dal desiderio di essere parte della sua anima, per condividere e alleggerirgli il dolore.  

«Lo farò, te lo prometto; appena ci riuscirò, lo farò.»















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* “Piccolo mio... tu sei felice piccolo mio! Tu sei felice!”
 “Si mamma, sono felice.”

 “Sono felice anch'io tesoro mio. Ti voglio bene bambino mio!”
“Ti voglio bene anch'io, mamma.”







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NDA

*si mette un elmetto protettivo in testa e un'armatura completa addosso*
EHM.... si lo so, ora mi odiate e vi starete chiedendo quanto io sia sadica, perversa e quanto goda ad eliminare i personaggi che amate....
Vi giuro che non è così! Claudine è stata concepita come personaggio sacrificabile sin dall'inizio e nella genesi di questa storia, lo strazio doveva essere solo nei suoi riguardi. In seguito è comparsa anche Simona nella lista e a quel punto sono stata titubante sul salvare Claudine o meno... però poi avrei dovuto rivedere tutta la storia e quindi ho deciso di lasciare tutto così come l'avevo concepito sin dall'inizio. So che ne è risultata una strage e probabilmente a furia di amare Fuyumi Souryo, sto prendendo la sua brutta abitudine di sacrificare personaggi amati... ma vi giuro che non ci saranno più momenti simili, basta con i funerali, parola di scout!
(Uhm... no di scout no... vi do la mia parola di elfa? Uhm.... Vabbè comunque sia non voglio più funerali nemmeno io, quindi abbiate pietà di me e non linciatemi PLEASE!!!)
In questi ultimi giorni sono bloccata su alcuni capitoli perchè non riesco a trovare la giusta concentrazione e mi sento un pò frustrata in questo... però contemporaneamente ho inziato a ideare una specie di spin-off, che se mi convincerà vedrete presto su questo sito xD
Insomma l'ispirazione come sempre va e viene, spero solo di continuare a mantenere il vostro interesse ^ ^

Angolo dei Ringraziamenti

Anche se dopo questo capitolo sento che le vostre parole saranno tutt'altro che di sostegno, vi ringrazio dal profondo del cuore per i vostri continui incoraggiamenti e per l'impazienza che mostrate nel volere leggere i capitoli futuri. Grazie mille a Iloveworld, che in quanto Beta, è stata la prima ad essere assassinata con questo capitolo e mi ha gentilmente consigliato di munirmi di elmetto (come vedi sorellina ho aggiunto anche l'armatura!) per evitare di essere uccisa a mia volta... Thank you so much sister <3
Ringrazio le mie sorelle più affezionate: Niky, Saretta, Vale, Concy, che sempre mi sostengono e mi donano il loro entusiasmo, che costituisce un'enorme spinta a continuare a scrivere
(anche se ora mi odierete ç_ç) e le sorelle che mi sostengono a distanza: Ana-chan, Cicci, Ely.
Ringrazio anche tutte coloro che hanno aggiunto questa storia tra le preferite, tra le ricordate e tra le seguite:
lorenzabu, samyoliveri, sbrodolinalollypop, Aly_Swag, green_apple, cara_meLLo, cris325, Drama_Queen, hurry, Newiyurd, nicksmuffin, Origin753, petusina, sel4ever, ThePoisonofPrimula, _Grumpy.


ARIGATOU GOZAIMASU a tutte voi <3



   
 
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