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Autore: Doralice    22/11/2011    2 recensioni
Accetta il tuo destino o subiscilo, a te la scelta.
Lenny non poteva sapere che quelle stesse parole, diciotto anni prima, avevano segnato la vita di un'altra strega, una strega giovane e insicura come lei. E che le scelte di quella ragazza avevano vincolato per sempre le sue stesse scelte. Perché il karma, alle volte, ha un modo ironico di fotterti.
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Caroline Forbes, Damon Salvatore, Elijah, Katherine Pierce, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Between Heaven and Hell'
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Note

Questa è la seconda parte della serie Between Heaven and Hell. La storia risulterà incomprensibile a chi non ha già letto la prima parte, ovvero The Evil Slayers' Guide to the Heavenly. A differenza di questa, però, la storia sarà narrata principalmente dal punto di vista di pochi personaggi, e per la precisione: Damon, Caroline, Nora e Pas, e occasionalmente Elijah e Katherine.

Continuo la tradizione di linkare un brano ad ogni capitolo.

Buona lettura!







Capitolo 1

~

Dove ci vuole un bel upgrade



Mystic Falls, 11 settembre 2028

Caro diario,

Oggi è proprio una giornata di merda

No! Non devo dire parolacce! È il proposito per l'inizio dell'ultimo anno, ricordi? Fare la ragazza beneducata. Ci manca solo che mi tocchi spiegare di nuovo a papà com'è che mi è scappato di chiamare la direttrice “vecchia zoccola incartapecorita” al microfono della radio scolastica, o qualcosa di altrettanto idiota. Quella stronza stupida è capacissima di bocciarmi per una simile cagata sciocchezza.

Ok, ho l'impressione che questo ambizioso proposito avrà vita breve.

Oh, be'... fanculo! Questa è stata DAVVERO una giornata di merda.

Innanzitutto perché ho fatto di nuovo quel sogno. Non quello dove vedo la mamma e mi sembra sempre che siamo su una nave. E nemmeno quello dove c'è LUI (hai capito chi, no??).

Parlo di quello dove ci sono quei tre. Non mi ricordo nemmeno di essermi svegliata, ma dev'essere perché papà mi ha dato le solite gocce e lo sai che effetto mi fanno. Poi stamattina mi sono ricordata TUTTO e stavo così male che papà mi ha permesso di stare a casa da scuola.

Comunque erano SECOLI che non li sognavo e non capisco perché cazzo dovevano tornare a tormentarmi proprio adesso!

Secondo me è per quello che ho scoperto ieri. Praticamente ho messo insieme un po' informazioni (dovrei fare la detective, modestamente) e ho capito che quelli sono degli Antichi. Per sicurezza ho frugato di nuovo nella biblioteca di papà. Lo so, lo so... se lo scopre mi ammazza... ma cazzo, è una vita che gli chiedo di spiegarmi! Non sono mica scema io: sono un strega e con la famiglia che mi ritrovo sono SICURA che mi nascondono qualcosa!

Ma lui niente. Eppure LO SA che ci sto male.

Vorrei che qualcuno mi aprisse la testa e cancellasse tutto con un bel colpo di spugna. Vorrei addormentarmi stanotte con la certezza che non avrò più quegli incubi e che dormirò come...


La penna interruppe il suo corso sulla carta.

Come cosa? Quando mai il suo sonno non era stato accompagnato da quegli orrori? Da che aveva memoria, Lenny non ne era mai stata immune, nemmeno da piccola.

La fitta arrivò all'altezza dello sterno, dolorosamente prevedibile. Colta dalle vertigini, serrò gli occhi, mentre le dita lasciavano andare la penna e si conficcavano tra i seni. Cercò di riprendere il controllo del respiro come le aveva insegnato Jeremy.

Jeremy... quanto le mancava. Lenny era la più vecchia della nuova generazione e lui il più giovane di quella precedente: era stato inevitabile per loro legare. Le portava sempre dei regali speciali dai suoi viaggi e le descriveva tutto quello che aveva visto, dal modo strambo di vestire delle persone ai piatti esotici che aveva assaggiato. Quando era bambina, se la metteva sulle ginocchia e poteva stare ore intere a raccontarle. Lui aveva rappresentato la sua prima infatuazione: lo ricordava con un certo imbarazzo misto a tenerezza.

Lenny sentì scemare la sensazione di soffocamento. Quando anche la nausea svanì, fece un bel respiro e si azzardò ad aprire gli occhi. Anche il mondo aveva smesso di roteare, bene. Un'altra crisi di panico passata grazie a Jeremy: per ringraziarlo, gli avrebbe preparato doppia dose di biscotti al cioccolato, i suoi preferiti.

Lo sguardo le cadde sul diario: le era passata completamente la voglia di scrivere. Batté le palpebre e sbuffò d'insofferenza. Svogliata, passò una mano sopra le pagine aperte, sentendo sotto i polpastrelli i microscopici dislivelli creati dalla pressione della penna. Aveva una scrittura piccola, tondeggiante e insicura, che solo lei e Dave sapevano tradurre. A Lenny piaceva l'idea di essere l'unica tra tutti gli adolescenti di Mystic Falls – e forse dell'intera Virginia – a tenere un diario cartaceo. Per non parlare della penna stilografica con cui amava scriverci su: gliel'aveva regalata zio Stefan per il suo quattordicesimo compleanno e la teneva come una reliquia.

Osservò il pennino a forma di dito puntato. Ne aveva una bella collezione di forme diverse e forse era giunto il momento di cambiarlo. Così, tanto per variare. Ma non adesso. Sospirò tra sé e avvitò il tappo. Ripose la penna nel velluto blu della sua custodia e richiuse il diario, serrandolo con un minuscolo lucchetto. L'altrettanto minuscola chiave che lo apriva, era sempre agganciata alla catenina che portava al collo: un altro vezzo che la faceva sentire abbastanza retrò.

Con cipiglio risoluto si diresse in bagno. Si conosceva: la cosa che le ci voleva era una doccia. Qualcosa che le lavasse via dalla pelle tutti i brutti pensieri, sciacquarsi lo sciampo e assieme alla schiuma far finire nello scarico anche le paranoie.

Sciolse le trecce con cui dormiva la notte e che aveva lasciato intatte per tutta la mattinata. Ravvivò i capelli con le dita e poi vi passò la spazzola.

Qualche anno prima, appoggiata da tutte le donne della famiglia, Lenny aveva finalmente ottenuto da suo padre di potersi far crescere i capelli. Pascal riteneva che una chioma lunga fosse un accessorio del tutto superfluo e aveva sempre chiesto a zia Jenna che glieli tagliasse. La ribellione di Lenny aveva scatenato una discussione, che si era arenata nel momento un cui Jenna aveva dichiarato che – testuali parole – col cavolo avrebbe lottato ancora contro quella testa di Medusa. Quella le mancava: Lenny l'aveva incassata con un certo orgoglio. Dopotutto, zia Caroline amava definirli “selvaggi”, “indomabili” e altri aggettivi stupidi di quel genere. Mentre zia Elena, quando lei se ne lamentava, le faceva notare come una certa J.K. Rowling ci fosse diventata miliardaria su un ragazzino dai capelli spettinati. Ma la verità era che aveva ragione Jenna: la sua chioma era una grandissima rottura di palle.

E pensare che quelli che adesso erano una matassa senza forma, da bimba erano stati dei morbidi boccoli, che con quel colore ramato le conferivano un'aria da putto barocco. Suo padre detestava portarla al parco, per il solo fatto che doveva sciropparsi i gridolini estatici delle signore che portavano a spasso figli e nipotini. Cosa fosse successo poi, qualche fattore di mutazione avesse interferito durante la crescita, era un vero mistero.

Lenny posò la spazzola e si scrutò allo specchio. Solo il viso: il corpo erano anni che non aveva mai il coraggio di guardarlo, praticamente non sapeva com'era fatta da quando aveva avuto il primo ciclo. Se si metteva a chiedersi il perché anche di quello, non ne usciva più, per cui semplicemente ignorava quell'ennesima paranoia e andava avanti per la sua strada come se niente fosse.

Si osservò con aria critica. Obiettivamente, sembrava una scopa di saggina. Una scopa di saggina color carota, per di più. Si sarebbe volentieri tinta i capelli di un normalissimo castano, e poi li avrebbe stirati, ma ovviamente suo padre non voleva.

Le lentiggini non era un problema, invece. Per lo meno nella stagione fredda: era in estate che si riempiva fino a diventare inguardabile. Perché non poteva essere come Miranda? Aveva solo dodici anni, ma già si vedeva che sarebbe diventata la figa della scuola, con quei capelli biondi presi da zio Alaric e gli occhi verdi di Jenna e quella pelle perfetta che sembrava appena uscita da un estetista. Praticamente una Caroline in erba, ma senza la faccenda del succhiare il sangue e non invecchiare mai. Anche se già faceva certi discorsi che...

Lenny sospirò tra sé e s'infilò nel box doccia. Miranda era una tipa a posto, ma a quell'età si è così influenzabili. Lei lo sapeva bene: era stata un dodicenne solo fino a qualche anno fa. Si chiese se avessero fatto bene a dirle tutto così preso. Ovviamente era inevitabile: non puoi far crescere i tuoi figli in mezzo a vampiri, licantropi e compagnia bella, e illuderti che non sospettino niente. Qualcosa glielo devi pur dire, prima o poi. Ma Miranda non era matura quanto suo fratello: Dave aveva capito tutto già a nove anni. Con un sogghigno, Lenny ricordò quando glielo dissero: lui li aveva guardati dall'alto in basso, con quel sorrisino di superiorità che sarebbe poi diventato il suo marchio di fabbrica, e aveva commentato “Immagino di dover fare finta di essere stupito”.

Lenny finì di sciacquare lo sciampo, ma tenne gli occhi chiusi. Cercò a tentoni il docciaschiuma e s'insaponò alla cieca.

E pensare che lei aveva impiegato più tempo a capire, nonostante tutto il casino che aveva in testa. Ma sopratutto, nonostante il padre che si ritrovava.

Lenny non ricordava quando quei sogni ricorrenti avevano iniziato a tormentarla, ma doveva essere davvero piccola. La sua maestra dell'asilo chiamava a colloquio Pascal e gli mostrava i disegni che faceva. Lei non li ricordava, ma a giudicare dalle discussioni che nascevano tra loro due, non dovevano essere casette col comignolo fumante o principesse delle favole.

Chiuse l'acqua e si avvolse nell'accappatoio. Seppellita nelle sue pieghe, tornò in camera sua e si sedette sul letto, con le gambe raccolte al petto. Afferrò il telecomando e accese la tv. Cambiò canale sette volte senza nemmeno guardare cosa stavano trasmettendo, poi andò a sbattere contro la propria frustrazione e la sfogò lanciando via il telecomando.

Doveva fare qualcosa. Era stato un errore restare a casa: se fosse andata a scuola, avrebbe potuto distrarsi. Suo padre era al lavoro e chissà quando sarebbe tornato: prese il cellulare e gli scrisse che andava dai Salzman. Si vestì in fretta, afferrò la borsa e schizzò fuori dall'appartamento come se una forza soprannaturale ve l'avesse sputata fuori.

~~~

Il plimp riecheggiò in maniera davvero buffa tra le pareti di quella fogna, tra i rumori di pestaggio e gli sciabordii dell'acqua marcia sotto i piedi. Ma lui non riuscì a cogliere l'ironia.

Pascal grugnì infastidito. Stese il vampiro con una pallettata sotto le costole e ci si sedette sopra, sfilando il cellulare da una tasca del pastrano. Lesse il messaggio e digitò la risposta, tenendo giù il malcapitato che si dimenava. Poi, come al solito, scrisse anche a Jenna. Si fidava di Lenny, ma era pur sempre suo padre.

Rimise a posto il cellulare e si rialzò. Finì il vampiro ancor prima che il poveraccio se ne rendesse conto. Mormorò una preghiera, fece il segno della croce e si riprese i suoi paletti, ripulendoli accuratamente e rimettendoli al loro posto, 'ché paletti di quella fattura gli erano costati un occhio.

Bien. – borbottò tra sé e frugò tra le tasche alla ricerca delle istruzioni per quella missione – Chi è il prossimo? –

Plimp

Pascal alzò gli occhi al cielo. Con un sospiro, tornò a cercare il cellulare. Ma perché nessuno si ricordava che quando era al lavoro non voleva essere disturbato?! Doveva assumere una segretaria...

Una fantasia fatta di boccoli biondi e lunghe gambe che spuntavano da un tubino gli riempì il cervello.

Pascal scosse la testa e portò due dita a stringere la base del naso. Cosa stava cercando? Ah, sì, il cellulare.

Lo trovò e si accigliò quando lesse il nome del mittente. Si sfilò gli occhiali e pigiò il tasto di apertura del messaggio. Il suo volto si pietrificò sotto la luce artificiale proiettata dal display. Lesse e rilesse il testo tre volte, battendo freneticamente le palpebre, ma quello restava sempre uguale e lui era vecchio ma non così vecchio da non capire più cosa leggeva. Dunque, i casi erano due: o Stefan era impazzito o aveva una gran voglia di scherzare – e un pessimo senso dell'umorismo.

Comunque stessero le cose, cause di forza maggiore gli imponevano di terminare lì il suo lavoro. Chiamò Lenny per dirle di restare dai Salzman, ma lei non rispose. Allora le scrisse, sperando che non facesse come al solito e si dimenticasse di avere un cellulare – e un padre.

S'incamminò, indeciso se puntare dritto al maniero dei Salvatore o passare prima da casa sua. Quando uscì all'aria aperta, si ricordò di aver lottato per tutto il giorno dentro una fogna: era meglio se prima faceva un salto a casa.

~~~

Ecco un'altra sensazione alla quale non si sarebbe abituato presto: il calore quasi insopportabile della tazza di the tra le mani. Dovette scottarsi la lingua per realizzare che, sì, poteva provare dolore fisico e, no, non aveva più la resistenza di prima.

E vogliamo parlare del fatto che non sentisse il battito cardiaco Elena nonostante fosse ad un passo da lei? In compenso, sentiva il proprio di battito cardiaco. Il suo cuore pulsava.

Allora. –

Damon si riscosse. Osservò suo fratello con la netta sensazione che i suoi pensieri non fossero tanto diversi dai propri. Se non altro, la sua aura gli diceva che era sconvolto, felice, incuriosito, turbato e un altro migliaio di sensazioni di quel genere. Ma sopratutto era felice, sì. Inarcò un sopracciglio per mascherare la tensione e attese con finta tranquillità la domanda che stava per fargli.

Come mai in bianco? –

Damon abbassò lo sguardo sui suoi vestiti e schioccò la lingua. Rialzò lo sguardo sul fratello, indeciso se prenderlo a calci o ridere.

Hanno finito il nero. – scosse la tesa e posò la tazza, incrociando le braccia sul petto – No, ma seriamente? Io torno dall'aldilà e la prima cosa che mi sento chiedere è “come mai in bianco”? –

Saettò gli occhi dall'uno all'altra.

Elena alzò le sopracciglia e scosse velocemente la testa. Scambiò uno sguardo con Stefan, che si strinse nelle spalle.

È che dobbiamo ancora... accettare l'idea. – fece lei in tono cauto.

Damon la osservò accigliato.

Be', se la cosa vi turba posso sempre dirgli di rimandarmi di sopra. – disse sarcastico, puntando il pollice al cielo.

Quella era proprio una cosa triste. Maledettamente triste.

Damon. –

Il suo cuore nuovo di pacca perse un battito. Perché non starci più male non significava restare immune sentendo il proprio nome pronunciato da lei.

Torni dall'aldilà e ti aspetti di sentirti dire “bentornato, ti abbiamo lasciato la cena nel frigo”? – gli disse rigirandogli le sue parole – Sono passati diciotto anni, Damon. Non avevamo nemmeno una tomba su cui mettere dei fiori e adesso ti presenti alla nostra porta come se niente fosse. –

Damon non riuscì a trattenere una smorfia.

E sei vestito di bianco. – aggiunse Stefan, terminando la frase con un suono strozzato.

Damon fulminò suo fratello. Si stava trattenendo dal ridere. Come si permetteva?!

E dici di essere un angelo. – fece Elena.

La guardò esterrefatto. Nessuno aveva il buongusto di prendere seriamente quella situazione!

Ok, facciamo così. – alzò le mani – Adesso esco e busso di nuovo e voi fate finta di essere scioccati ma felici, e vi mettete a piangere dalla... –

Brrr

...gioia. – batté le palpebre e osservò seccato il cellulare che vibrava sul tavolo – Ma sono ancora in circolazione? Non li hanno resi illegali? –

Stefan lo prese e aprì la chiamata.

Sì. No, non è uno scherzo. – sogghignò e scambiò uno sguardo con Elena – No, non sono i preparativi che mi hanno dato alla testa. –

Quali preparativi?” mimò Damon con le labbra. Elena gli fece cenno che dopo ne avrebbero parlato.

È qui, te lo giuro. Vuoi che te lo passi? – continuava Stefan – Come vuoi. Ci sentiamo. –

Pas? – gli chiese una volta chiusa la chiamata.

Stefan annuì: – Pensava lo stessi prendendo per il culo. –

Voi mi prendete per il culo. – sbottò Damon – Cosa ci fa Pascal Serrault a Mystic Falls? –

Lo scambio di sguardi tra i due non prometteva niente di buono.

È una lunga storia. – accennò Elena.

Damon scrollò le spalle e si riappropriò della sua tazza di the: – Avete impegni? –

Stefan fece un cenno e si trasferirono nel salone. Damon si stava chiedendo da dove iniziare: quante cose potevano essere cambiate in diciotto anni? Poi notò il divano nuovo e quei sospetti cuscini colorati. Si guardò un po' meglio intorno: c'era un inconfondibile tocco femminile che aveva reso il maniero meno tetro di come lo ricordava.

Da quanto vivete insieme? – gli uscì.

Elena tentò di nascondere un sorrisetto compiaciuto.

Sette anni. – lo informò Stefan, intrecciando le dita tra quelle della donna.

Damon notò un anello di tutto rispetto all'anulare di Elena. Si chiese se fosse l'Anello. Scoprì di essere un po' impaurito dalla verità.

E che cosa... che fate nella vita? – si sentì chiedere banalmente.

Venne fuori che Stefan si era laureato in medicina e adesso esercitava come pediatra. E che riscuoteva parecchio successo tra le mamme di Mystic Falls. Chissà come avrebbero reagito le signore se avessero scoperto certi fatterelli poco ortodossi del passato dell'affascinante dottor Salvatore? Ma suo fratello era cambiato, Damon non poteva negarlo. Non aveva più timore di diventare schiavo del sangue: nel frigorifero aveva visto sacche di zero negativo davanti alle quali Stefan non aveva fatto una piega. Elena l'aveva liberato da quella schiavitù.

Elena.

Anche il suo antico amore era cambiato in quegli anni. E non intendeva per il nuovo taglio di capelli, né per quelle rughe d'espressione che iniziavano a farsi strada sulla sua pelle olivastra. Innanzitutto era diventata una scrittrice. E non una qualsiasi, ma la scrittrice, quella che sfornava i best-seller del momento. Aveva preso i suoi diari e gli eventi che aveva vissuto diciotto anni prima e li aveva trasformati in un saga young-adult sui vampiri. Successo immediato e una non trascurabile entrata di soldi l'avevano convinta a proseguire su quella strada e così lei aveva scatenato la sua fantasia, uscendo dai ricordi e inventando un universo, dei personaggi e degli eventi che l'avevano resa famosa in mezzo mondo.

Sì, Elena era cambiata, era cresciuta. Quando sorrideva, Damon rivedeva la ragazzina che aveva conosciuto, ma gli occhi... aveva gli occhi di una donna. E il portamento era molto diverso da quello solito. Ricordava bene come si chiudeva. Forse l'avrebbe fatto ancora, se avesse avuto paura. Damon l'aveva vista quasi sempre impaurita: da una minaccia esterna, o da lui stesso. Adesso la paura non faceva più parte del suo mondo: se n'era andata con Klaus – e con lui. E a pensarci bene, era una cosa abbastanza patetica. Ma Damon aveva già avuto modo di affrontare e superare un bel po' di scazzi personali: non sarebbe stato quello ad ucciderlo.

Altre rivelazioni scioccanti? – buttò lì – Avanti, sparate. Sono pronto. Adesso mi direte che Jeremy e Bonnie hanno quattro marmocchi. –

Al nome della sua amica, Elena s'irrigidì.

Si sono lasciati anni fa. – gli spiegò in tono conciso – Non vediamo Bonnie da una decina d'anni. –

Non che a Damon fregasse qualcosa della strega, ma era per lo meno strano. Attese una spiegazione che faceva fatica ad arrivare.

Se n'è andata subito dopo il diploma. – aggiunse suo fratello davanti alla sua espressione perplessa – Non voleva avere più niente a che fare con la magia né con... altre faccende soprannaturali. Ha tagliato i ponti ed è partita per l'Europa. Ogni tanto Jeremy la vede e ci porta notizie lei. Sappiamo che vive da sola e che ha avuto un bambino un paio d'anni fa. –

Damon boccheggiò. Era un cavolo di angelo e non sapeva che dire. Perfetto.

Cosa... che fa Jeremy? –

Elena colse l'occasione al volo: – È un fotoreporter. –

E partì a raccontargli dei suoi studi in giornalismo e di quanto fossero tutti orgogliosi di lui, della sua passione per la fotografia e di come l'avesse trasformata in un lavoro che lo portava in giro per il mondo. Adesso, per esempio, era in Giappone per un servizio esclusivo sulla chiusura dell'ultima centrale nucleare ancora attiva. Era davvero felice del lavoro che faceva, anche se stava tanto tempo lontano da casa. I ragazzi lo assalivano tutte le volte che tornava: era proprio il beniamino della famiglia e mancava un sacco a tutti. Per fortuna trovava sempre il modo di esserci per le feste e sicuramente sarebbe tornato anche per quel Ringraziamento.

Sotto a quel bel quadretto, Damon aveva capito molte cose e si era fatto venire ancora più domande.

– “I ragazzi” chi? –

Per esempio, quella era già una bella domanda. Qualcuno aveva figliato, se lo sentiva, ma ancora non gli avevano detto chi.

David e Miranda. – spiegò Stefan – I figli dei Salzaman. –

Elena gli mostrò una foto incorniciata. C'erano quasi tutti, persino Bonnie – mancava qualcuno, ma in quel momento non avrebbe saputo dire esattamente chi. Elegantissimi e scioccamente felici. Ed erano esattamente come se li ricordava. Dovevano essersi sposati quella stessa estate.

Riconsegnò la foto ad Elena. E così il vecchio Rick aveva fatto il grande passo. Di nuovo. Chissà come l'aveva presa Isobel?

Chi altri si è accasato? – chiese, con un pizzico di timore.

Elena indicò una precisa persona nella foto. Una ragazzina bionda e dal sorriso a trentadue denti, vestita di rosa confetto.

No. – mormorò.

Stefan annuì con aria grave: – E più di una volta. –

Damon si sentì sbiancare. Elena non ebbe pietà e partì con la telenovelas di Caroline Forbes.

Caroline aveva avuto una lunga relazione con Tyler, culminata in un turbolento matrimonio, che come tutti avevano previsto finì in malora di lì a pochi anni. Dopo fu la volta di Matt: sembravano sereni ed effettivamente con lui resistette ben cinque anni, ma comunque alla fine divorziarono. L'ultimo fu un certo Helmut von Fehrenbach: un vampiro austriaco miliardario, di settecento anni più vecchio di lei, che conobbe, sposò e lasciò nel giro di un mese.

Helmut? Un tizio con un nome del genere si merita di pagare gli alimenti a Caroline! –

Una cosa era certa: essere un angelo non gli toglieva la sacrosanta prerogativa di sfornare le battute migliori della Virginia. Ed era particolarmente orgoglioso del fatto che quei diciotto anni d'inattività non l'avessero arrugginito.

E adesso cosa fa? Rivende bouquet usati ma in buono stato? Ha un mercatino di vestiti da sposa riciclati? –

Non fare lo stronzo! – lo rimproverò Elena senza troppi giri di parole.

È tornata a vivere con Liz e fa la wedding planner. – gli spiegò Stefan.

Damon scoppiò a ridere. E suo fratello gli si aggregò subito dopo.

Oh, smettetela! – proruppe Elena con aria offesa – Stefan! Lo sai che è brava, l'hai ammesso anche tu! –

Cosa? – biascicò Damon tra le risate – E tu che ne sai? –

Elena gli si rivolse con fare orgoglioso: – Sta pianificando la nostra cerimonia. –

La risata di Damon scemò fino a morirgli in gola con un lungo “oooh”. Si afflosciò sul divano come un palloncino improvvisamente sgonfio.

Woah. –

Già. – gli fece eco Stefan – Woah. –

Allora sì, quello che Elena portava all'anulare era effettivamente l'Anello.

Cazzo. – deglutì a vuoto – Datemi da bere. Tutto questo gossip mi sta emozionando. –

Stefan riempì tre bicchieri di whisky e brindarono al suo ritorno e alle loro nozze.

Per Damon fu un piacere inaspettato ritrovare il suo amato bourbon. Tenne in bocca il liquido bruciante e lo fece scivolare in gola assaporando ogni istante.

Con un sospiro si accomodò meglio sul divano: – Chi manca all'appello? –

Sentiva già come l'alcol stava iniziando a lavorare sui suoi neuroni. Poteva affrontare di tutto.

Non mi avete ancora detto di Pas. – ricordò loro.

Elena si strozzò con il suo bourbon. Stefan si schiarì la voce e guardò altrove.

C'è del marcio a Mystic Falls. – cantilenò – Allora, cosa state nascondendo a zio Damon? Se c'è di mezzo quella stronzetta... –

Quale stronzetta? – fece Elena.

Lo sai quale. – Damon si accigliò – Il Pollo Virtuoso... lì... Nora. Sono stato diciotto anni lassù a rompermi le palle e non è mai venuta a trovarmi. Cazzo, credevo che fossimo diventati amici! E invece no, mi hanno appioppato un'anima da custodire e... –

Silenzio. Pesante e imbarazzato.

Che c'è? – ringhiò sospettoso.

Damon, ti hanno detto per quale motivo ti hanno mandato qui? – gli chiese cauto Stefan.

Detestava quando parlava così. Sembrava che si aspettasse che un momento all'altro esplodesse.

Mi hanno solo detto che c'è bisogno di me, che il tizio che custodisco avrà dei... vecchi problemi da risolvere o qualcosa del genere. – riassunse, cercando di ricordare il discorso sconclusionato che gli avevano fatto prima di dargli un corpo e spedirlo di nuovo al piano terra.

Un tizio? Che tizio? – incalzò Stefan.

Damon sbuffò: – Ma che ne so? Non ho i suoi dati anagrafici, mi hanno solo rifilato... –

Un'anima da custodire, sì. – riassunse Elena scambiando un'occhiata con Stefan – E immagino che tu non sappia chi sia il proprietario di quest'anima. –

Be', non è che lassù serva a molto sapere nome, cognome e numero di previdenza sociale. – scrollò le spalle – Comunque deve essere di queste parti visto che mi hanno spedito qui. –

Esattamente dove ti sei ritrovato quando ti hanno... mandato qui? –

Damon iniziava ad averne le palle abbastanza piene di quella specie d'interrogatorio. Lui non sapeva quasi niente, si era solo annoiato a morte lassù, erano loro quelli che dovevano riassumergli diciotto anni di eventi.

Vicino a casa di Rick, sotto il suo appartamento. – disse annoiato – Perché? Sentite, ma che vi frega? –

Rick non vive più lì. Lui e Jenna e i ragazzi stanno nella mia vecchia casa. – spiegò Elena.

Aveva un modo di parlare quasi rivelatorio.

Adesso lì ci vive Pas. – aggiunse Stefan in tono serio.

Damon strinse gli occhi: – E allora? –

Ci vivono lui e sua figlia. – precisò.

Continuavano a parlare in quel tono cauto, nemmeno temessero di causargli un trauma. E lo guardavano come se fosse una bestia in procinto di attaccarli.

Pascal Serrault ha un figlia. E mi dispiace per la piccola. – riassunse ostentando tranquillità – Dovrei scandalizzarmi? Siamo nel 2028, i dampiri-padri non sono più osteggiati dalla società. –

Stefan chinò la testa e quando la rialzò occhieggiò Elena. Lei annuì e prese un profondo respiro.

Siediti, Damon. E bevi qualcosa. – gli rabboccò il bicchiere.

~~~

Quando il campanello suonò, Pas sapeva già perfettamente chi avrebbe trovato dall'altra parte della porta. Doveva solo decidere se picchiarlo molto forte e molto a lungo, abbracciarlo lasciandosi ad andare ad una crisi emotiva, o ucciderlo all'istante rispedendolo da dove era arrivato.

Ma quando gli aprì ci fu una sola cosa che riuscì a fare.

Perché sei vestito di bianco? –

Damon alzò gli occhi al cielo.

Anch'io sono felice di vederti. – sbuffò superandolo ed entrando nell'appartamento senza essere invitato.

Si voltò e lo vide piantato in mezzo al soggiorno, che si guardava intorno con aria sperduta. Certo, quell'appartamento doveva essere molto diverso da come l'aveva visto l'ultima volta. Pas ricordava bene come fosse spoglio e spartano quando vi aveva messo piede diciotto anni prima. E come si fosse subitaneamente riempito di cose, per lo più inutili, una volta che lui l'aveva eletto a dimora per sé e Lenny. Adesso non c'erano più i suoi migliaia di giocattoli sparsi per il pavimento ad attentare la vita di chi camminava, né le pareti erano decorate con i suoi schizzi di arte astratta. Ma il casino era ancora onnipresente e sopratutto era difficile non notare le foto. Macchioline di colore rosso che spuntavano qua e là nella stanza, ad indicare che qualcuno, chissà quando e chissà dove, aveva una macchina fotografica in mano e aveva fatto click davanti a quella testa color carota.

Damon aveva l'aria di non averne mai saputo nulla. Il che era strano, ma non impossibile: le vie (e i sotterfugi) del Signore sono infinite.

Vedendolo così sconvolto, Pas gli versò un bicchiere di whisky e glielo porse. Ma lui alzò la mano.

Per oggi ho bevuto abbastanza. – commentò.

Incredulo, si tolse gli occhiali da sole e lo osservò bene. Sì, era proprio Damon Salvatore. E aveva mille cose che gli ronzavano in testa, ma nessun coraggio per aprire bocca e chiedere.

Lei arriva più tardi. – gli disse.

E Damon si voltò di scatto, lo sguardo accigliato e la bocca schiusa in un espressione che dire stupefatta era poco.

Resti a cena? – si sentì dire.

Damon chinò la testa e batté le palpebre con aria confusa. Annuì, poco dopo, in fretta, come se si fosse ricordato improvvisamente che aveva appena ricevuto un invito.

Forse avrebbe potuto evitare il peggio. Forse, se gli avesse raccontato, avrebbe desistito e se ne sarebbe andato.

Pas gli fece cenno di accomodarsi. Poi prese il cellulare e andò in cucina. Chiamò Lenny per assicurarsi che effettivamente restasse a cena dai Salzman come aveva detto. La chiamata squillò a vuoto per un po', finché accigliato staccò quell'affare demoniaco dall'orecchio e lo guardò con malcelato odio.

Quando Damon entrò nella stanza porgendogli qualcosa con aria confusa, Pas si sentì improvvisamente molto stanco e molto – troppo – vecchio per fare il padre. Soffiò via l'aria con stizza e prese il cellulare di sua figlia, scoccando a Damon un'occhiata che avrebbe voluto essere di ringraziamento, ma che probabilmente lo incenerì sul posto.

Stava per chiamare direttamente a casa Salzaman. Poi qualcuno bussò alla porta e Damon scomparve verso l'ingresso. Pas occhieggiò il pupazzetto del portachiavi di Lenny che spuntava dalla solita ciotola e serrò gli occhi, emettendo un sacrosanto “merde”. Non ci provò nemmeno a tentare di tamponare il disastro. Sentendosi un vile codardo, si rifugiò in cucina e attese l'evolversi della situazione.

   
 
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