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Autore: Sselene    22/11/2011    5 recensioni
"Non ti sei mai chiesta come sarebbe cadere?"
"Non ti sei mai chiesta come sarebbe spingere?"
Allison Rachel è caduta da un grattacielo, schiantandosi al suolo.
Diana Anderson, unica testimone, assicura che è stato solo un incidente. Ma la storia è così semplice? Tocca a Tiberius Sheller e Cameron Warren, detective del Dipartimento di Polizia di Detroit, indagare sul caso.
Prima storia della saga "Detroit Police Department"
Genere: Generale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Detroit Police Department'
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Non ti sei mai chiesta come sarebbe cadere?
Non ti sei mai chiesto che sensazione potrebbe darti semplicemente precipitare? Sentire il vento che ti soffia accanto?


 


La bella mora rise, salendo in piedi sul cornicione del tetto del palazzo, osservando la vita che scorreva un paio di centinaia di metri più in basso.
“Non ti sei mai chiesta come sarebbe cadere, Allison?” Domandò, allargando le braccia come se volesse spiccare il volo. “Come sarebbe volare.”
La castana decisamente più anziana accanto a lei salì a sua volta sul parapetto, guardando giù.
“E tu, Diana?” Chiese a sua volta, con lo sguardo fisso sull’amica. “Non ti sei mai chiesta come sarebbe spingere?”
 
“Che cosa abbiamo?” Domandò il detective, accostandosi al collega.
Cameron Warren alzò lo sguardo dal suo blocco degli appunti, portandolo sul castano.
“Allison Rachel, una donna, bianca, 26-27 anni. E’ caduta dal tetto del grattacielo ed è caduta su un taxi parcheggiato lì sotto. Con lei c’era solo un amica, Diana Anderson…” Indicò con un cenno del capo la castana, forse appena ventenne, che singhiozzava disperata con una coperta sulle spalle. “Dice che è stato un incidente.”
“Va bene, le faccio qualche domanda.” Confermò il castano.
Si accostò alla donna, mostrandole il distintivo.
“Detective Sheller, dovrei farle qualche domanda.” Mormorò.
La ragazza alzò lo sguardo stravolto su di lui, tirando su con il naso e singhiozzando, annuendo.
“C-certo, mi dica…” Mormorò, cercando di quietarsi.
“Lei è la signorina Diana Anderson, vero?” Cominciò il detective.
Lei annuì, ancora tirando su con il naso.
“Sì, sono io.” Confermò.
“Può dirmi cos’è successo, signorina Anderson?” Domandò cautamente l’uomo.
Ancora Diana annuì, silenziosa, poi prese un profondo respiro.
“Noi…” Rise amaramente. “E’… è così stupido, ora lo so…”
Tiberius attese che fosse la ventenne a parlare, senza forzarla.
“Noi stavamo ballando sul parapetto.”
Ballando sul parapetto?
Era davvero una cosa stupida.
Il detective segnò sul taccuino, ma ancora tacque.
Vedendo che la castana aveva ripreso a singhiozzare, senza aggiungere altro, la forzò delicatamente a parlare.
“Poi cos’è successo?” Chiese.
“Poi… poi lei è scivolata…” Rispose Diana tra i singhiozzi. “Ed è caduta giù.” Un gemito, quasi di dolore. “Oddio, è stato orribile! Ho provato ad afferrarla, ma non ci sono riuscita e… e lei è caduta, per tutti quei piani, e poi si è sfracellata…” Si coprì la bocca con le mani, chinandosi in avanti, senza neanche più la forza di singhiozzare, mentre lacrime copiose le scivolavano dalle guance.
“Va bene, grazie.” Mormorò il detective.
Fece un cenno ad un’agente, che si accostò alla ragazza per portarla in un posto più tranquillo.
La osservò allontanarsi, poi tornò dal collega.
“Che ne pensi, Cameron?” Domandò.
“Difficile da dire.” Rispose il biondo, scrollando le spalle. “Potrebbe essere stato veramente un incidente, o un omicidio, o un suicidio, è davvero difficile da stabilire, c’erano solo loro due, lassù, nessun testimone e nessuna telecamera.”
“Allora dobbiamo indagare a fondo sulla vita della vittima e cercare di capire il più possibile.” Constatò Tiberius, osservando il cadavere della mora.
“Abbiamo trovato l’indirizzo, vogliamo iniziare a fare un salto?” Chiese Cameron.
Il castano annuì brevemente.
“Sì, andiamo.” Confermò, allontanandosi verso la propria auto.
Si fermò quando non sentì dei passi seguirlo, così si volse.
“Non vieni?” Domandò perplesso.
“Vengo in macchina con te?” Chiese il biondo.
Tiberius si accigliò a quell’incertezza, decisamente lontana dal modo di essere tipico del californiano.
Si volse totalmente verso di lui.
“Beh, sì…” Rispose confuso.
“Okay.” Disse solo Cameron, seguendo rapidamente il collega verso l’auto.
“Da qualche giorno sei strano, Cameron.” Mormorò il castano.
Il californiano rise, scotendo il capo.
“Sono il solito Cameron, Tibbs.” Ribatté con il suo solito sorriso.
Tiberius non commentò, ma non era troppo convinto della parole dell’altro detective.
C’era qualcosa che non andava, ne era certo, solo che non sapeva cosa.
Sapeva, però, che non era giusto forzare Cameron a parlare; se avesse voluto, avrebbe iniziato a dire cosa gli passava nella testa, altrimenti sarebbe rimasto zitto.
Era giusto così.
Entrò al posto di guida, aspettando che il collega si sistemasse accanto a lui.
“Came…” Mormorò.
Il californiano alzò appena lo sguardo su di lui, sorridendogli come suo solito.
Eppure c’era qualcosa di diverso in quel sorriso.
Avrebbe davvero voluto domandargli cosa stesse succedendo.
“L’indirizzo ce l’hai tu?” Chiese invece.
Il biondo annuì, alzando un foglietto di carta.
“Sulla 3rd street.” Spiegò.
Tiberius annuì appena, mettendo in moto.
“Andiamo, allora.” Disse solo.
Il resto del breve viaggio trascorse con i soliti ovvi mormorii vari e confusi di Cameron, che non riusciva a stare in silenzio per più di una manciata di minuti, come fosse tutto normale.
Per qualche momento Tiberius si convinse persino di aver semplicemente frainteso tutto.
Forse non c’era niente che non andava, in Cameron.
Parcheggiò, fermando l’auto.
“E’ questa?” Chiese, mentre usciva dall’auto.
Il californiano lo seguì fuori.
“Sì.” Confermò, osservando il bigliettino.
Sheller annuì, accostandosi all’ingresso del palazzo.
“Hai portato anche le chiavi, per caso?” Chiese, rivolgendosi al collega.
“Ovviamente.” Sorrise lui.
Prese le chiavi da tasca, osservandole prima di prendere quella giusta per aprire il portoncino.
“Per caso sai anche l’interno?” Chiese Tiberius.
Il californiano rise, mantenendo la porta aperta mentre il detective entrava, seguendolo poi.
“Temo di no.” Ammise.
Il castano annuì appena, accostandosi alla guardiola del portiere.
“Buongiorno, sono il detective Sheller.” Si presentò, mostrando il distintivo. “Cerco l’appartamento di Allison Rachel.”
Il portiere lo osservò in silenzio, evidentemente confuso.
“E’ successo qualcosa?” Chiese.
“E’ morta, signore.” Rispose sinceramente Tiberius.
L’uomo sgranò immensamente gli occhi, portandosi una mano alle labbra.
“Oh, Dio…” Soffiò. “Mi dispiace tantissimo, come… com’è successo? E’ stata uccisa?”
“Probabilmente un incidente, ma dobbiamo comunque controllare ogni cosa.” Spiegò pazientemente il detective, senza insistere.
Il portiere annuì, passandosi una mano tra i capelli.
“Interno 24…” Rispose finalmente. “Al secondo piano.”
Sheller annuì, dirigendosi verso l’ascensore, seguito dal collega.
“Detective, scusatemi…”
Si fermarono, volgendosi.
“La sua posta la do a voi?” Chiese il portiere, alzando delle lettere.
“Sì, grazie.” Rispose Tiberius, volgendosi poi verso l’altro detective. “Le prendi tu, Cameron?”
“Certamente.” Confermò il californiano.
Prese le buste, poi cominciò a sfogliarle.
“Bollette e pubblicità, Tibbs, niente di interessante.” Informò.
Il castano annuì ed entrò finalmente nell’ascensore, seguito dal collega.
“Speriamo di avere maggiore fortuna nella casa.” Sospirò.
Si portò le mani al collo, muovendolo appena a destra e sinistra, con gli occhi chiusi.
“Sono sicuro di sì.” Confermò Cameron.
Alzò una mano, posando pollice e medio ai lati del collo dell’altro detective, massaggiandoglielo piano con movimenti circolari.
Tiberius schiuse gli occhi, poi li aprì del tutto, guardando il californiano, con uno sguardo accigliato.
“Avremo più fortuna.” Confermò il biondo, con un sorriso insolitamente tenero.
“Lo spero bene.” Sospirò Sheller.
Le porte dell’ascensore di aprirono e Cameron scostò immediatamente la mano dal collo del collega.
I due detective uscirono sul pianerottolo.
“Interno 24, eccolo.”
Il biondo indicò uno degli appartamenti, avvicinandosi poi.
Osservò un attimo le chiavi, prendendo quella giusta, aprendo poi la porta.
La spalancò, prima di avanzare.
Era un bilocale piuttosto modesto nelle dimensioni, ma caldo e ben arredato, con alcuni pouf posti a semicerchio davanti ad un basso tavolino da caffè, a sua volta posto dinnanzi ad un televisore piuttosto grande.
Sul tavolino c’era un computer portatile.
“Came, guardati un po’ intorno, io do un’occhiata al pc.” Disse Tiberius.
“Certamente.” Confermò Cameron, iniziando ad aprire i cassetti.
Sheller si accostò ad un pouf, osservandolo qualche istante, come fosse un animale esotico, poi decise di sedersi direttamente a terra, aprendo il pc.
Dopo qualche istante di nero comparve una splendida foto di un passaggio innevato, poi un sito internet e poi un documento di testo.
Anche Christine aveva la pessima abitudine di non spegnere mai veramente il computer, ma di metterlo solamente in stand-by.
Osservò attentamente il documento, spostando lo sguardo da lato a lato mentre leggeva.
 
Sono in cima ad un palazzo altissimo, talmente alto che supera persino le nuvole, tanto che, guardando in basso, non vedo niente, ma solo bianche nuvole che si spostano e volano.
Salgo sul cornicione e sento il vento scuotermi i capelli, carezzarmi il viso e il corpo.
La gioia mi sovrasta.
È una sensazione talmente nuova ed elettrizzante che è difficile da descrivere, da raccontare.
È una sensazione che bisognerebbe provare, una volta nella vita.
Spalanco le braccia e inizio a girare, a girare, a girare, sempre più veloce, veloce, veloce, veloce.
La testa comincia a girarmi, non so più dove sono, non capisco, ed è fantastico.
Poi, improvvisamente, metto un piede in fallo.
Scivolo dal cornicione, cado di schiena, osservando il cielo azzurro che mi sovrasta.
Le nuvole mi passano accanto, si dissolvono attorno alle mie braccia e al mio corpo, mi avvolgono un istante e poi mi lasciano di nuovo libera.
Sto cadendo, ma non ho paura, anzi.
Sono felice. Sono molto felice.
Improvvisamente sento le braccia pizzicarmi e, piano piano, lunghe piume grigie mi escono dalla pelle, scivolando l’una sull’altra finché i miei arti non sono altro che due grandissime ali da uccello.
Faccio forza su me stessa e per un po’ di tempo ruoto, sentendo l’aria che s’infiltra tra le mie penne, facendole frusciare rumorosamente.
Mi fermo, con il volto rivolto verso il terreno che si avvicina e spiego di nuovo le ali.
Attendo.
Attendo.
Attendo.
Poi improvvisamente sbatto le ali una, due, tre, dieci, cento volte.
Le sbatto rapidamente, con forza e la caduta rallenta, si ferma e poi cambia direzione, inizio a salire, ad ascendere, torno alla cima del grattacielo e ancora più su, sempre più su.
Come Icaro voglio raggiungere il cielo, ma io non perderò le mie ali.
 
Sembrava un sogno o forse, peggio, un trip indotto da qualche tipo di droga.
Forse Cameron avrebbe trovato qualche sostanza stupefacente in giro per la casa o forse lo screening tossicologico avrebbe confermato che, quand’era caduta, era sotto l’effetto di qualche droga.
Avrebbe spiegato perché ballava sul cornicione di un grattacielo, sebbene la sua amica, Diana, non sembrasse affatto sotto l’effetto di qualcosa.
Prese il blocchetto degli appunti, posandolo sul tavolo, segnando la parola droga, per tenere a mente durante le indagini quel dettaglio.
Posò la pena, portando ancora lo sguardo sul documento.
Poteva anche non essere niente, poteva anche essere qualcosa di inventato.
Sua figlia scriveva, non era la prima volta che, aprendo il computer, si trovava davanti strani documenti di testo.
Ridusse la finestra ad una semplice icona, mettendo in mostra il sito internet sottostante, e non poté non accigliarsi.
Era una homepage completamente bianca, con una semplicissima scritta al centro dello schermo che recitava ‘emozioni intense’.
Sospirò, già pronto a ritrovarsi in un sito porno particolarmente incline a certi giochi particolari, e sfiorando il mousepad raggiunse il tasto entra, premendolo.
Ciò che lo accolse non era un sito porno, sembrava, piuttosto, il sito internet di un’organizzazione, poiché, nel menù posto a sinistra nella pagina chiara, vi erano anche le pagine ‘gli incontri’ ‘la struttura’ e ‘chi siamo?’.
Pose il cursore su quest’ultimo link, premendovi.
Fu trasportato in una pagina altrettanto candida.
 
Emozioni Intense è un’organizzazione privata senza scopo di lucro che desidera riunire quelle persone le cui menti incredibilmente aperte e attive non riescono a trovare soddisfazioni nel mondo che le circonda, troppo limitato.
Attraverso l’organizzazione di eventi di sport estremi come il bungee jumping ed un controllato utilizzo di alcool e sostanze stupefacenti legali, l’organizzazione desidera offrire a tutte quelle persone suddette uno svago dal grigiore della vita quotidiana.
 
Quindi la droga di mezzo c’era, anche se legalizzata.
Doveva avvertire la dottoressa Jordan di controllare molto attentamente lo screening tossicologico.
“Non ho trovato niente di interessante, Tibbs, soltanto un frigo pieno di alcolici.” Disse Cameron, accostandoglisi.
Si sedette sul pouf alle sue spalle, chinandosi su di lui per leggere il sito internet.
“Che cosa…”
Non concluse la frase e Tiberius lo sentì anche chiaramente irrigidirsi.
Alzò lo sguardo, portandolo sul suo viso, dai tratti induriti.
“Conosci questo sito?” Chiese.
Per la verità Cameron gli era sempre sembrato un tipo che facilmente poteva annoiarsi del mondo, una persona sempre alla ricerca di nuovi stimoli, di nuove emozioni, riusciva persino a figurarselo a saltare da un ponte con un elastico attorno alle caviglie o anche ubriaco fradicio, ma decisamente non strafatto e decisamente non in una qualche organizzazione di quel tipo.
“Sì.” Rispose semplicemente il californiano.
Tornò in posizione eretta, muovendo leggermente le spalle all’indietro.
Era a disagio, era chiaro.
“Fai parte di questa organizzazione?” Domandò ancora il castano.
“No.”
Rispondere a monosillabi non era una caratteristica tipica di Cameron.
“Ma conosci qualcuno che ne fa parte?” Insistette Sheller.
“Conoscevo.” Confermò il biondo.
Tiberius rimase in silenzio, senza sapere bene se insistere o invece lasciar perdere.
Optò per la seconda opzione, osservando nuovamente il sito.
Premette sul ‘dove siamo?’, prendendo poi il blocchetto per segnarsi l’indirizzo.
“Credo sia meglio andare a dare un’occhiata.” Disse.
“Posso andare io.” Si offrì Cameron, alzandosi in piedi.
Il detective alzò lo sguardo su di lui.
“Preferirei andassimo insieme…” Ribatté. “Siccome lavoriamo al caso insieme, sai…”
“Certo…” Confermò il biondo, con un sorriso.
Ancora Sheller fece per dire qualcosa, ma poi tacque, indicando solo la porta con un cenno del capo.
“Andiamo.”
Si alzò, passando accanto al collega mentre tornava alla porta.
Cameron lo seguì in silenzio.
 
“E’ qui, giusto?” Chiede Tiberius, osservando il bel palazzo che aveva davanti.
“Hai un foglio con l’indirizzo, Tibbs, lo sai che è qui.” Rispose quasi freddamente Cameron.
Il castano non commentò, lanciando un’occhiata al collega.
Era stato silenzioso per tutto il viaggio.
Trattenne a stento un sospiro: già il californiano pareva avere dei problemi, quel caso stava solo peggiorando tutta la situazione che già c’era.
“Vuoi aspettare fuori, Came?” Chiese dopo qualche momento di silenzio.
Il biondo lo osservò, poi scosse piano il capo.
“No, entro con te.” Affermò.
Sheller annuì brevemente, poi si avvicinò alla porta della sede dell’organizzazione, spingendola ed entrando all’interno del palazzo.
Sulla destra c’era un piccolo banco da reception con dietro una donna piuttosto giovane con dei lunghi ricci rossi.
Lei alzò lo sguardo e sorrise, alzandosi dalla postazione.
“Salve.” Salutò.
Poi il suo sguardo si spostò su Cameron e un’espressione di sorpresa le colorò il viso.
“Cameron…” Mormorò.
Uscì dal bancone, andandogli incontro e gli gettò le braccia attorno al corpo, stringendosi contro di lui.
“Oh, Cameron.”
Lo strinse più forte, chiudendo gli occhi, mentre il detective le posava saldamente le mani sulla schiena.
“Sharon…” Sussurrò soltanto, in risposta.
Rimasero abbracciato così a lungo che Tiberius si ritrovò costretto a schiarirsi la gola per permettersi di farsi notare dai due.
Sharon si scostò dal californiano, ma ancora non fece alcun cenno all’altro detective.
“E’ da tanto tempo che non passi qui.” Notò, mentre le sue mani si muovevano sulle spalle dell’uomo.
“Lo so, Sherry… non avevo proprio voglia di passare di qui, negli ultimi tempi.” Ribatté Cameron.
“Certo, lo capisco.” Mormorò la donna.
Ancora, Sheller si schiarì la gola.
Cameron rise.
“Sherry, ti prego, prestagli la tua attenzione o continuerà così per ore.”
Sharon rise piano, volgendosi verso il castano.
“Cosa posso fare per voi? Dubito che vogliate iscriversi all’organizzazione, Cameron…” Portò lo sguardo sul californiano e tacque.
Tiberius fece finta di nulla.
“Sono il detective Sheller, stiamo facendo delle indagini e avremmo bisogno di farle qualche domanda.” Spiegò, mostrando qualche istante il distintivo.
La rossa non vi badò.
“Certo, detective, ditemi pure.” Confermò.
Sheller tirò fuori da tasca il blocco e la penna, insieme alla foto della vittima.
“Allison Rachel faceva parte di questa organizzazione?” Chiese, mostrando l’immagine.
Sharon non ebbe neanche bisogno di vederla.
“Sì.” Confermò, poi esitò. “Perché… faceva? Le è successo qualcosa?”
Fu Cameron a mettersi in mezzo, posando una mano sulla spalla di Sharon.
“Sherry… Allison è morta.” Sussurrò con tono dolce.
La rossa trasalì, sgranando gli occhi, poi si portò una mano alle labbra, distogliendo lo sguardo.
“Dio…” Soffiò solamente.
“Eravate molto amiche?” Chiese cautamente Tiberius.
“Beh… siamo tutti amici, qui nell’organizzazione…” Spiegò la donna.
“Ma c’è qualcuno con cui la signorina Rachel aveva legato particolarmente, all’interno di questa organizzazione?” Domandò ancora il detective.
“Certamente.” Rispose Sharon senza neanche pensarci su. “Diana. Diana Anderson. Loro erano molto legate, facevano tutto insieme, sia gli sport che le altre attività.” Spiegò.
“Le altre attività sarebbero quelle a base di alcool e droga?” Precisò Sheller.
“Sì.” Confermò la rossa. “Ma, detective, solo cose legali.”
“Certamente.” Mormorò il detective.
Non era esattamente convinto di quello, ma non era lì per indagare su certe cose.
“Com’è morta?” Chiese delicatamente Sharon.
“E’… caduta da un grattacielo.” Rispose Cameron, sfiorandole la schiena con la punta delle dita.
La donna trasalì, schiudendo le labbra.
“Oh…” Mormorò solo.
Il californiano sorrise mestamente, distogliendo lo sguardo.
Tiberius colse solo parte di quello scambio di sguardi, ma credeva di aver capito come mai la conoscenza di Cameron all’interno dell’organizzazione era passata.
“Capita spesso che i membri di quest’organizzazione cadano dai grattacieli?” Domandò inarcando le sopracciglia.
Cameron gli scoccò appena un’occhiata, evidentemente irritato da quella domanda.
“Devo capire se quest’organizzazione può aver in qualche modo spinto la vittima a suicidarsi.” Si ritrovò a spiegarsi Tiberius.
Perché poi?
Non doveva certo dare delle spiegazioni al collega.
Sharon si schiarì la gola.
“La nostra organizzazione raccoglie persone che odiano i limiti imposti dalla vita e dal mondo, persone che vogliono delle esperienze estreme… e… a volte alcune, particolarmente desiderose di nuove esperienze... si suicidano… soprattutto…” Esitò, lanciando un’occhiata a Cameron. “Soprattutto dopo Liz…”
“Liz?” Ripeté Tiberius, alzando lo sguardo.
“Sì.” Disse solo la donna.
Sheller attese qualche istante che aggiungesse qualcosa, ma non lo fece.
“Vorrei parlarle.” Ordinò quindi lui stesso.
Cameron scoppiò a ridere con una profonda nota d’amarezza.
“Sì, anch’io.” Ammise.
Tiberius lo osservò confuso.
“Liz è morta, qualche anno fa.” Spiegò Sharon, con un’espressione lievemente confusa.
Liz, quindi, doveva essere la ragazza che Cameron conosceva.
“Crede che la signorina Rachel fosse interessata all’emozione intensa del suicidio?” Chiese, per cercare di cambiare, anche se di poco, l’argomento.
“Allison? No, assolutamente. Diana, forse, ma Allison…” Scosse il capo. “Non mi pareva, no.”
“C’erano degli attriti tra le due donna?” Insistette il detective.
La donna si accigliò.
“Tra Diana e Allison? No, assolutamente no. Si volevano molto bene. Diana, soprattutto, avrebbe fatto qualsiasi cosa per Allison.” Spiegò.
“Possiamo fare delle domande in giro?” Concluse Sheller, chiudendo il blocchetto.
“Certamente.” Confermò Sharon, con un sorriso. “Prego, vi accompagno.”
Si incamminò lungo il corridoio, ai cui lati si aprivano diverse porte.
“Qui è dove svolgiamo le nostre attività al chiuso, ma in questo momento sono tutti in sala riunione, per decidere cosa organizzare questo sabato.” Spiegò.
Arrivò ad una porta e la aprì, entrando.
“Perdonatemi tutti…” Disse a voce alta.
Il folto gruppetto di persone si volse verso di lei.
“Questi due signori sono il detective Sheller e il detective Warren, stanno indagando sulla morte di… Allison.” Mormorò.
Un mormorio sconvolto percorse la stanza.
Un uomo dai capelli mori e gli occhi verdi si accostò a loro tre, sorpreso.
“Allison… Allison è morta? E come?” Domandò, evidentemente sconvolto.
“E’ caduta da un grattacielo…” Rispose cautamente Sharon, chinando lo sguardo.
“Come…” L’uomo parve notare solo in quel momento Cameron.
Tacque, sgranando appena gli occhi.
Il detective non commentò.
“Vorremmo fare un po’ di domande in giro.” Spiegò Tiberius, inserendosi.
“Certamente, saranno tutti ben lieti di rispondervi.” Confermò l’uomo, con un sorriso. “A proposito, io sono Derek Leroy.” Si presentò.
Strinse la mano a Sheller, poi anche all’altro detective, con un sorriso più mesto.
“Conosceva bene la signorina Rachel e la signorina Anderson?” Chiese quindi il castano.
“Abbastanza bene, sì.” Confermò il castano.
“C’erano degli attriti tra di loro?” Insistette il detective.
Derek sgranò sorpreso gli occhi.
“Tra Diana ed Allison? No, assolutamente no, sono come sorelle! Diana farebbe…” Esitò. “Avrebbe fatto qualsiasi cosa per Allison.”
“Sì, me l’hanno detto.” Confermò Tiberius. “Vorrei fare un po’ di domande in giro, ora.”
“Prego.” Mormorò l’uomo, facendosi da parte per permettere al detective di avvicinarsi alle altre persone.
Scostò lo sguardo, portandolo su Cameron, allungando la mano per posargliela su un braccio.
“Dev’essere difficile.” Sussurrò.
“Non lo so.” Ribatté il californiano.
Scrollò le spalle, per scostare la mano dell’uomo, poi si accostò al collega.
 
Tiberius sospirò, passandosi le mani sul viso e poi tra i capelli.
“Forse è stato veramente un incidente, non c’era motivo per cui Diana dovesse uccidere Allison.” Mormorò.
Cameron alzò sorpreso lo sguardo su di lui, poi rise.
Sheller gli rivolse un’occhiata perplessa.
“Cosa c’è?” Domandò confuso.
“Le hai chiamate per nome! Non lo fai mai, anzi, mi rimproveri quando lo faccio!” Spiegò il californiano, ridendo sommessamente.
Il castano tacque qualche secondo.
“Sono molto stanco.” Ammise.
“Brutto caso?” Chiese Christine, dall’uscio della cucina.
Uscì con un piccolo vassoio tra le mani, portandolo al tavolo ai cui due uomini erano seduti, posando una tazza di caffè davanti ad entrambi. Poi poggiò al centro una scatola di biscotti e posò davanti alla propria sedia una tazza di the.
“Un po’.” Ammise Tiberius, afferrando la tazza. “Sembra un incidente, ma potrebbe anche essere un omicidio o un suicidio.”
La ragazza ci pensò attentamente su, allungandosi a prendere un biscotto.
“Non c’erano testimoni?” Chiese.
“Soltanto un’altra ragazza, che dice che è stato un incidente.” Rispose il padre.
“Beh, se è stato un suicidio perché avrebbe dovuto dire che era un incidente?” Domandò incerta Christine.
“Per proteggere la sua memoria?” Propose Cameron. “Per non dover dire alla famiglia che si era suicidata.” Disse anche.
“Mh.” Mugugnò solo la ragazza con un biscotto in bocca.
In effetti non erano due idee incomprensibili.
Ingoiò, poi rise piano.
“Mi sembra un caso alquanto complesso.” Ammise.
“Forse dovremmo solo confermare l’incidentalità dell’evento, Tibbs.” Mormorò Cameron.
Allontanò la tazza da sé, per piegare le braccia sul tavolo, poggiandovi sopra il capo.
“Non possiamo dimostrare un omicidio, non possiamo dimostrare un suicidio… non abbiamo neanche un motivo valido per mettere sotto torchio Diana perché non abbiamo nessun motivo per ipotizzare un omicidio.” Ricordò in un mormorio appena.
Tiberius lo osservò in silenzio a lungo.
Allungò una mano, posandogliela tra i capelli, sfiorandoglieli solo appena con i polpastrelli.
“E’ davvero un brutto caso per te, non è vero?” Mormorò.
Cameron alzò appena il capo, osservando attentamente il collega.
“Sì.” Ammise dopo qualche istante.
Chiuse un attimo gli occhi, godendosi le carezze, poi scosse il capo, ritraendosi da quel tocco, risistemandosi in posizione eretta.
“Che cosa vogliamo fare, Tibbs?” Domandò. “Prendi una decisione e io ti assecondo, perché… io sarei per il chiuderlo come un incidente.”
L’altro detective rimase in silenzio, osservando attentamente la tazza di caffè.
Non ebbe modo di rispondere, perché il cellulare cominciò a squillare.
Lo afferrò, aprendolo.
“Detective Sheller.”
Ascoltò attentamente, poi si accigliò.
“Certamente, arriviamo subito.”
Chiuse il cellulare, alzandosi di nuovo in piedi.
“Ci chiamano in centrale, hanno delle novità.” Disse, rivolto al collega.
Cameron annuì, afferrando la tazza e finendosela in un solo sorso.
“Ci vediamo, Chrissie.” Salutò con un sorriso.
“Ciao ciao, Came.” Rispose la ragazza con un sorriso.
Tiberius aspettò che il collega lo affiancasse, poi con lui uscì dalla casa, avviandosi all’auto.
Entrò e attese che anche l’altro detective si sistemasse, prima di mettere in moto.
“Vuoi parlare, Cameron?” Domandò. “Del caso… di Liz…”
Il californiano rimase in silenzio per un po’, mentre si sistemava la cintura di sicurezza, poi alzò lo sguardo sul collega.
“Liz era mia sorella.” Disse, appoggiandosi all’indietro sul sediolino. “E no, non voglio parlarne.” Aggiunse.
Sheller lo osservò, poi annuì brevemente, cominciando a guidare.
Fare il viaggio da casa al commissariato in completo silenzio fu un’esperienza nuova e totalmente spiacevole, che Tiberius era sicuro di non voler ripetere mai nella vita.
Si fermò nel parcheggio della centrale, uscendo dall’auto.
Fece per dire qualcosa, ma Cameron, appena uscito, si diresse rapidamente all’ascensore.
Sospirando lo seguì.
Sperava solo quel caso finisse presto, prestissimo, o sarebbe certo impazzito. Vedere Cameron in quel modo lo infastidiva, anche se non ne capiva pienamente il motivo.
Si poggiò con la schiena alla parete dell’ascensore, lanciando solo un’occhiata al californiano che, invece, si erigeva dritto al centro del piccolo luogo, guardando fisso i numeri che si illuminavano.
Tiberius cercò di richiamare alla mente quel poco che aveva capito della situazione: Liz, la sorella di Cameron, si era suicidata per ricercare un emozione intensa, per uscire dai limiti imposti dal mondo. Cameron doveva averne sofferto moltissimo, non era strano non ne volesse parlare.
Le porte dell’ascensore si aprirono e il californiano uscì per primo, in fretta.
L’altro uomo lo seguì qualche passo indietro, dirigendosi poi alla scrivania dell’agente Morris che l’aveva chiamato.
“Hey, Morris.”
L’uomo alzò il suo sguardo azzurro su di lui, sorridendogli.
“Sheller.” Lo salutò, con un cenno del capo. “Ho trovato qualcosa di interessante.”
“Dimmi pure.” Confermò Tiberius, sedendosi accanto a lui, incuriosito.
L’agente prese un plico che aveva sulla scrivania, porgendoglielo.
“La vittima, Allison Rachel, aveva un’assicurazione sulla vita molto alta a favore di suo fratello Francis Rachel. L’assicurazione, ovviamente, non comprende il suicidio.” Spiegò.
Il detective prese il plico, sfogliando.
“Questo è molto interessante…” Mormorò.
“Perché è interessante? Cosa cambia?” Domandò annoiato Cameron.
Era rimasto in piedi, un po’ distante da loro, con le mani nelle tasche dei pantaloni.
“Beh… indica che prima di tentare un suicidio si sarebbe assicurata che potesse sembrare un incidente, quindi potrebbe aver chiesto alla sua amica di mentire, per lasciare i soldi dell’assicurazione a suo fratello.” Rispose Tiberius.
Come faceva Cameron a non collegare?
“Quando qualcuno si suicida difficilmente pensa alle persone che ama.” Ribatté il californiano.
Sheller sapeva che parlava per esperienza personale, ma il modo in cui le sue esperienze lo accecavano rispetto al caso poteva risultare disastroso.
Sperava solo che quel caso finisse il più presto possibile.
“Sono d’accordo, a volte è così, ma non possiamo dare per scontato che Allison Rachel in un suo eventuale suicidio provi queste emozioni e queste sensazioni, Cameron. Dobbiamo considerare ogni eventualità e approfondire.” Ricordò con tono molto convinto.
Il californiano sospirò pesantemente, portandosi una mano al collo, muovendo appena al viso.
Annuì, con lo sguardo fisso da qualche altra parte.
“Che facciamo ora? Cerchiamo di far crollare Diana?” Chiese.
Tiberius si sfiorò la mandibola con il pollice, pensandoci su.
“Potremmo farlo.” Confermò. “Però prima vorrei dare un’occhiata alla scena del crimine, vedere se agli agenti della scientifica che l’hanno controllata è sfuggito qualcosa.”
Cameron annuì, portandosi anche l’altra mano al collo.
“Va bene. Andiamo.”
Sheller ridiede il plico d’assicurazione all’agente Morgan.
“Grazie per l’aiuto.” Disse, alzandosi.
Affiancò il collega, posandogli una mano sul braccio.
Lui gli sorrise brevemente, poi tornarono nell’ascensore.
“Scusami.” Mormorò Cameron dopo qualche istante. “Hai ragione, non tutti sono come mia sorella.”
Tiberius gli lanciò appena un’occhiata, posandogli ancora una mano sul braccio.
“Non importa, capisco che sia difficile per te gestire questo caso.” Lo rassicurò.
Il californiano sospirò, voltandosi verso di lui.
“Tibbs, devo dirti una cosa importante.”
“Certo, dimmi pure.” Confermò l’altro.
In quel momento, però, l’ascensore si aprì e l’agente Linnett Ferrell sorrise luminosa ai due uomini.
“Buongiorno, detective Sheller, detective Warren.”
“Buongiorno.” Borbottò il californiano.
Le passò accanto, uscendo dall’ascensore, dirigendosi verso l’auto.
Tiberius lo seguì in silenzio.
“Posso guidare io?” Chiese il biondo, ritrovando il suo solito sorriso.
L’altro lo osservò qualche istante, ma poi si concesse a sua volta un sorriso.
“Certo.” Confermò.
Gli lanciò le chiavi e lui, afferratele, si affrettò al posto di guida, entrando.
“Che dovevi dirmi?” Chiese Sheller, sistemandosi la cintura di sicurezza.
Il californiano esitò, ma poi rise, scuotendo il capo.
“No, niente di importante, figurati.” Rispose, mettendo in moto e partendo.
Sembrò che Cameron non fosse mai stato turbato da niente, chiacchierone e loquace com’era sempre.
Mantenne sempre il discorso ben lontano da sua sorella, dai suicidi, dall’organizzazione ‘emozioni estreme’ e da qualsiasi cosa potesse essere legata a quegli argomenti, spaziando in un vasto paniere di inutilità e sciocchezze.
Sheller lo ascoltò e basta, ridendo sommessamente a qualche cosa, rilassato dal suo atteggiamento nuovamente gioviale, nuovamente normale.
Persino il caso gli sembrava meno complesso.
Cameron accostò vicino al marciapiede, fermandosi davanti al grattacielo in cima al quale era avvenuto il delitto.
Il palazzo comprendeva una serie di locali più o meno privati, non era affatto difficile raggiungere la cima passando del tutto invisibili agli occhi degli avventori.
“Meno male che non siamo claustrofobici, sono un bel po’ di piani da fare in ascensore.” Rise il californiano, chiudendo l’auto.
Tiberius rise cauto, ma non commentò.
Insieme entrarono nell’edificio, dirigendosi all’ascensore, che li attendeva già aperto.
Entrarono e, quasi simultaneamente, si ritrovarono a premere il bottone.
“Ah, scusa.” Mormorò il biondo, ritraendo immediatamente la mano.
“Figurati.” Ribatté quietamente Sheller, premendo il tasto.
Rimasero in silenzio, per il resto, mentre i tasti numerati si illuminavano uno per volta.
“Quando… io e mia moglie ci siamo lasciati…” Cominciò a dire Sheller, guardando attentamente le porte davanti a sé. “Credevo che Christine non l’avrebbe superato. E’ sempre stata molto legata alla madre e non poterla vedere quasi mai a causa del suo trasferimento in Europa… è stato difficile sin da subito, per lei.”
Cameron portò lo sguardo su di lui, poi, lievemente, gli posò una mano sulla spalla.
“E’ per questo che è così legata a te?” Domandò.
“Io credo di sì.” Ammise il castano. “Christine è molto fragile.”
“Sì, lo è.” Confermò il californiano.
Fece per dire qualcos’altro, probabilmente voleva farlo, ma poi tacque, limitandosi a stringere più forte la mano sulla spalla del collega.
Tiberius sorrise, alzando una mano per posarla su quella dell’altra uomo, stringendola lievemente.
“Puoi parlarmi di ciò che vuoi, Came, lo sai, vero?” Domandò.
Cameron rise, chinando appena il capo all’indietro, guardando il soffitto.
Sospirò profondamente, annuendo piano.
“Lo so, Tibbs, lo so.” Confermò, rivolgendogli un sorriso.
Le porte dell’ascensore finalmente si aprirono e i due uomini uscirono, fermandosi sul pianerottolo.
Cameron si fece avanti, salendo le scale che portavano alla porta che dava sul terrazzo. La aprì, uscendo poi all’aria.
Il vento fresco della primavera gli accarezzò il viso e gli gonfiò la giacca.
“E’ successo lì.” Disse, indicando un punto.
Raggiunse la parte che dava sul retro del palazzo, delimitata ancora dai nastri della polizia. Ci passò sotto.
“Dovevano essere su questo cornicione a ballare quando Allison è caduta.”
“O si è suicidata.” Precisò Tiberius.
L’altro detective non commentò.
Si limitò a camminare un po’ in giro, guardandosi intorno.
“Cosa stiamo cercando, Tibbs?” Domandò dopo qualche istante.
“Non lo so.” Ammise Sheller. “Qualunque cosa che possa aiutarci.”
Cameron si fermò, poggiandosi di schiena al parapetto del grattacielo, osservando il collega.
“Perché non ti va giù che sia solo un incidente?” Chiese con voce neutra.
Il castano non rispose subito.
“E se non lo fosse, Came? Noi dobbiamo fare giustizia, se è stato un omicidio dobbiamo punire chi l’ha commesso.” Rispose con convinzione.
“Non abbiamo niente, Tibbs, e tanti altri casi, non possiamo fissarci su questo, non c’è niente!” Ribatté il californiano.
“Lo so, lo so.” Ammise.
Sospirò pesantemente, passandosi una mano tra i capelli.
Forse Cameron aveva ragione, forse doveva lasciar perdere.
Volse le spalla al collega, camminando lungo il terrazzo a grandi passi, poi alzò lo sguardo e s’immobilizzò.
“Dio…” Mormorò.
Il californiano gli fu subito accanto.
“Cosa?” Chiese.
Guardò nella sua stessa direzione e trasalì, senza sapere cosa dire.
“E’ una telecamera.” Notò Tiberius, stringendo poi i denti. “E’ una cazzo di telecamera, perché nessuno ha notato una cazzo di telecamera sulla scena del crimine? Ma come l’hanno controllata? Come si fa a farsi sfuggire un dettaglio così importante? E’ una telecamera! E’ una cazzo di telecamera!”
Il biondo si accostò a lui, afferrandolo saldamente per un braccio.
“E’ vero, è vero, è incredibile.” Ammise. “Ma ora calmati. Abbiamo una telecamera, finalmente possiamo capire cos’è successo.” Aggiunse.
“Beh, decisamente non lascerò perdere la cosa, però!” Sbottò Sheller. “Quando scopro chi ha controllato questa scena gli farò pentire di essere entrato in polizia, ma com’è possibile?”
Aveva ripreso ad urlare, gettando al cielo le braccia, sinceramente sconvolto e furioso.
Cameron sospirò piano, scuotendo il capo, e senza dire niente si avviò di nuovo all’interno del palazzo.
Dopo qualche istante Tiberius lo seguì, ma non smise di borbottare. Continuò a lamentarsi anche quando l’ascensore, lentamente, scendeva di nuovo verso il piano terra.
Il californiano alzò gli occhi al cielo, esasperato.
Si volse di scatto, posando una mano sulla parete accanto al corpo del collega.
“Tiberius.” Lo chiamò.
Lui alzò lo sguardo.
“Cosa c’è?” Domandò altrettanto irato.
Il biondo rimase fermo e in silenzio per qualche momento, poi chinò lo sguardo, arretrando, tornando a poggiare la schiena alla parete dell’ascensore.
“E’ stato un errore grossolano e persino impensabile, ma è successo e ora l’abbiamo risolto. Quindi ora calmati e smettila di lamentarti. Non volevi capire cos’è successo veramente? Ora puoi farlo, dovresti soltanto esserne felice.” Borbottò.
Sheller lo osservò qualche attimo, poi annuì.
“Hai ragione, Came.” Ammise, posandogli una mano sulla spalla, carezzandogliela. “Ma non ho intenzione di fargliela passare liscia.” Aggiunse.
“Non lo faremo.” Confermò Cameron con convinzione, posando la mano sulla sua.
Tiberius annuì, poi ritrasse la mano, guardando le porte finché queste non si aprirono di nuovo.
Insieme uscirono da lì, dirigendosi al primo dei locali presenti nel palazzo, un bar alternativo dedicato soprattutto a giovani omosessuali che volevano vivere i loro amori o i loro interessi sessuali senza essere criticati o peggio.
Lo conosceva già perché Christine, che lo frequentava con gli amici, gliene aveva parlato spesso in torni più o meno adoranti.
Avanzò lentamente, fermandosi appena dopo l’ingresso, osservandosi intorno, chiedendosi a chi fosse meglio chiedere se la telecamera in cima al grattacielo appartenesse a quel locale.
“Papà?” Lo raggiunse la voce sorpresa di Christine.
Si volse verso di lei, ferma pochi passi distante.
“Christine… che ci fai qui?” Domandò.
“E’… più una domanda che dovrei fare io, immagino…” Borbottò la ragazza, vagando con lo sguardo dall’uno all’altro detective.
Cameron rise, scotendo il capo.
“Siamo qui solo per lavoro, Chrissie.” Rispose. “Non per piacere.”
Tiberius trasalì.
“No, certamente, per lavoro!” Confermò con veemenza. “Cosa vai a pensare?”
“Beh, vi vedo entrare in un locale così, viene il dubbio!” Ribatté la ragazzina, cercando di mantenere la voce bassa.
Il padre alzò lo sguardo al soffitto, scotendo il capo.
“Come mai siete qui per lavoro?” Chiese Christine, assai curiosa.
“Dobbiamo controllare i nastri di una videocamera di sorveglianza sul tetto.” Spiegò Tiberius.
La ragazza alzò lo sguardo sul soffitto, come a guardare il tetto, poi lo riportò sul padre.
“Ma Dab ha detto che quella telecamera non funziona.” Ribatté.
L’uomo si accigliò.
“E chi è Dab? E che ci facevi sul tetto con lui?” Domandò indagatore.
Lei non rispose.
“Credo che i tuoi amici ti stiano aspettando, Chrissie.” S’intromise di nuovo il californiano.
Christine si volse, osservando il tavolo a cui un folto gruppo di ragazzi e ragazze la osservava.
Annuì.
“Sì, torno da loro.”
“Aspetta un attimo.” La fermò Tiberius. “Sai a chi possiamo chiedere per la telecamera?”
La ragazza ci pensò su, poi annuì.
“A Randy, la barista.” Rispose convinta. “Ora vado. Voi non fate cose che mi direste di non fare.” Aggiunse con un mezzo sorriso divertito.
Poi si allontanò sotto lo sguardo freddo del padre.
“Adoro tua figlia.” Mormorò solo il biondo, ridacchiando tra sé e sé.
Tiberius gli scoccò solo un’occhiata.
“Beh, se pensa che lascerò perdere la storia di Dab, si sbaglia.” Sbottò.
Ancora il californiano rise.
“Ma lasciala stare, è giovane e si diverte, è normale.”
“Ha 17 anni, è troppo giovane per divertirsi.” Ribatté freddamente il castano.
Cameron si strinse nelle spalle, senza commentare ulteriormente.
Insieme si diressero verso il bancone, dove una ragazza con una cresta nera e rossa stava versando da bere a due ragazze.
“Randy?” Domandò Tiberius, poggiandosi al bancone.
La ragazza alzò lo sguardo, con un sorriso.
“Sono io.” Confermò. “Cosa vi servo?”
“Niente, grazie.” Rispose l’uomo.
Prese il distintivo da tasca, mostrandoglielo brevemente.
“Sono il detective Sheller, dovrei farle alcune domande sulla telecamera di videosorveglianza in cima al grattacielo.” Spiegò.
“Certo, mi dica.” Esclamò la barista.
Un giovane si avvicinò, ma lei gli fece cenno di attendere.
“Volevo sapere se appartiene a questo locale.” Cominciò a chiedere il detective.
“Anche.” Ammise Randy. “Tutti i locali del grattacielo la pagarono, in parte, insieme ad una guardia di sicurezza che controllasse le registrazioni ed evitasse che delle coppie si scambiassero effusioni lassù.” Spiegò.
“E poi?” Domandò Sheller.
Se ci fosse stato un agente di sicurezza avrebbe visto cos’era successo, invece era certo non ci fosse, anche perché qualcuno l’avrebbe saputo.
“Poi ci siamo resi conto che i ragazzi continuavano a salire fin lassù e abbiamo rinunciato, abbiamo licenziato la guardia.” Continuò a raccontare la ragazza.
“La telecamera registra ancora su nastro?” Insistette il detective.
Se la telecamera non funzionava davvero più, come Christine aveva detto, avrebbe dovuto rinunciare a trovare la verità dietro quell’incidente.
“Sì, ma ormai non li controlla più nessuno.” Rispose Randy.
“Possiamo vederli?” S’intromise Cameron.
La barista li osservò, poi annuì brevemente.
“Certo.”
 
“Le ho trovate!” Esclamò il tecnico, con un esclamazione vittoriosa.
I due detective gli accorsero accanto, piegandosi sullo schermo del computer per vedere al meglio.
Diana Anderson ed Allison Rachel erano appena arrivate sul tetto, ridendo.
Tiberius controllò attentamente i loro movimenti, ma non sembravano né ubriache né sotto l’effetto di qualche sostanza stupefacente, anche se non poteva escludere del tutto che fossero un po’ brille.
Come la signorina Anderson già gli aveva detto, non ci volle molto perché salissero sul parapetto, cominciando a ballare per quasi venti minuti. Poi cominciarono a parlare.
Presto la discussione divenne piuttosto accesa ed intensa, con vistosi gesti delle mani ed espressioni esagerate e teatrali. Non c’era l’audio, quindi non potevano avere idea di che cosa stessero dicendo.
Poi, improvvisamente, Allison Rachel volse le spalle al precipizio, allargando le braccia, come offrendosi in sacrificio. Diana le si accostò, carezzandole lievemente le spalle, poi la spinse.
I due detective trasalirono, rizzandosi in posizione eretta.
“E’ un omicidio.” Esclamò Tiberius.
“E’ un suicidio.” Ribatté Cameron, inarcando le sopracciglia.
“Lei l’ha spinta, è un omicidio.” Fece notare il primo.
“Hai visto le immagini? Allison gliel’ha chiesto.” Ricordò il californiano.
“E’ comunque un omicidio.”
“E’ un suicidio assistito, al massimo.” Concesse il biondo.
Sheller alzò lo sguardo al cielo, scuotendo visibilmente il capo.
“Comunque dobbiamo parlare con la signorina Anderson.” Disse per cambiare discorso.
Cameron annuì, avviandosi fuori dalla saletta in cui erano sistemati.
“La faccio portare qui.” Confermò.
 
Diana Anderson arrivò non molto dopo, scortata da due agenti, con lo sguardo confuso di una preda di caccia davanti ad un fucile.
“Signorina Anderson.” La salutò Tiberius, andandole incontro.
“Detective Sheller.” Mormorò lei, confusa. “Perché sono qui?”
“Abbiamo delle interessantissime svolte sul caso che vorremmo discutere con lei.” Spiegò l’uomo.
Parlare al plurale, anche quando Cameron non era presente accanto a lui, gli era ormai del tutto normale.
Fece cenno alla donna di seguirlo, posandola una mano sulla schiena, portandola verso la sala degli interrogatori, senza aggiungere nient’altro.
Anche lei rimase in silenzio, mentre camminava.
Il detective le aprì la porta e lei entrò.
Cameron, già dentro davanti ad una piccola tv, la spense, alzandosi.
“Diana.” Salutò con un sorriso cortese. “Grazia per essere venuta.”
“Non avevo davvero molte possibilità di scelte.” Rise nervosamente la ragazza.
“Certo, ci scusi.” Mormorò Tiberius. “Prego si sieda.”
Deglutendo pesantemente, Diana si sedette al tavolo.
“Di cosa dobbiamo parlare?” Domandò evidentemente a disagio.
“Vede, sul tetto del grattacielo dove è successa quella tragedia, abbiamo trovato una videocamera di sorveglianza.” Cominciò a spiegare il detective Sheller, intrecciando le dita.
Vide gli occhi della ragazza sgranarsi e poté quasi sentirla trattenere il fiato.
“Così l’abbiamo guardato per capire cosa fosse successo quella notte.” Continuò a dire. “E sa cos’abbiamo visto?”
Lei rimase ferma, paralizzata, senza neanche sbattere un attimo le palpebre.
“Abbiamo visto lei che spinge la signorina Rachel giù dal parapetto.” Concluse Tiberius.
La signorina Anderson rimase ancora ferma, poi si coprì il viso con le mani, nascondendo ogni centimetri di pelle dagli sguardi dei suoi detective.
Singhiozzi profondi cominciarono a scuoterle le spalle sottili.
“C’è qualcosa che vuole dirci, signorina Anderson?” Chiese Sheller dopo qualche istante di silenzio.
“Io… io non so che dire…” Singhiozzò disperata la ragazza, scotendo il capo. “Lei mi ha chiesto di farlo e io… io non ho saputo dirle di no, volevo che riuscisse a provare quelle emozioni che tanto ricercava, lei ha sempre sognato di prendere il volo e io volevo aiutarla!”
Tiberius faticò molto a non roteare gli occhi a quella confessione smozzicata.
Da ciò che aveva scoperto su Allison Rachel durante le indagini e dalle immagini del video non gli sembrava affatto impossibile che ciò che Diana diceva fosse vero.
“Io non potevo dirvelo subito, sarei comunque finita in prigione!” Spiegò Diana, a voce ben alta.
“E la prigione non era una delle esperienze estreme che voleva provare.” Concluse ironico il detective.
Diana chinò lo sguardo sul tavolo, mentre grosse lacrime le scivolavano sulle guance, poi scosse il capo, lentamente.
“No.” Ammise in un soffio.
Tiberius si alzò, andando ad aprire la porta. Chiamò con un cenno del capo due agenti, che entrarono.
“Arrestatela.” Disse solo.
I due agenti si accostarono alla ragazza, alzandola e ammanettandola.
“Diana Anderson, lei è in arresto per l’omicidio di Allison Rachel. Ha diritto di rimanere in silenzio, qualunque cosa dirà potrà essere usata contro di lei in tribunale…” La trascinarono via, mentre continuavano ad esporle il codice Miranda.
Tiberius sospirò, passandosi le mani sul viso.
“E’ finita.” Mormorò.
Si volse verso il collega, solo per rendersi conto che lui non era più nella sala.
Uscì, guardandosi intorno, poi fermo un’agente che passava.
“Stone… hai visto Cameron?” Chiese.
La bionda annuì, sorridendogli. “Ha preso le scale, credo volesse raggiungere il tetto.”
Una strana ansia afferrò lo stomaco del detective, che si affrettò a sua volta verso le scale, salendo i gradini a due a due.
Spalancò la porta, affacciandosi sul tetto.
Il vento gli sferzò il viso quasi violentemente.
Cameron era poco distante da lui, dandogli le spalle, in piedi sul parapetto.
“Cameron?” Lo chiamò.
L’uomo si volse verso di lui, sorridendogli.
“Hey, scusa se sono fuggito così, ma avevo davvero bisogno di schiarirmi le idee.” Mormorò, tornando a guardare il paesaggio sotto di lui.
Tiberius gli si avvicinò a piccoli passi.
“Immagino sia difficile giustificare, questa volta.” Disse.
“Come?” Chiese solo il californiano, confuso, alzando di nuovo lo sguardo verso di lui.
“Beh… anche se non uguale è comunque simile al caso di tua sorella, quindi immagino sia difficile giustificare e comprendere sia Allison che ha chiesto di essere uccisa sia Diana che l’ha effettivamente fatto.” Spiegò il castano.
Era ormai dietro di lui, ma rimase fermo lì, temendo che persino toccarlo avrebbe potuto farlo cadere dal tetto.
Cameron rise, scuotendo il capo.
“Al contrario, comprendo benissimo entrambe.” Rivelò.
Si volse sul parapetto, così da poter guardare il collega, ma non ne scese.
“Diana era totalmente succube di Allison, avrebbe fatto qualsiasi cosa per lei, che fosse spingerla o fosse saltare giù.” Cominciò a dire.
“E per quanto riguarda Allison? Per quanto riguarda Liz?” Chiese Sheller.
Il californiano rise, scuotendo piano il capo, guardando la strada piena di vita sotto di sé.
“Tu non te lo sei mai chiesto, Tiberius? Non ti sei mai chiesto che sensazione potrebbe darti semplicemente precipitare? Sentire il vento che ti soffia accanto? O anche… o anche puntarti una pistola alla tempia, solo per sentire quel brivido, quell’adrenalina scorrerti dentro? Sapere cosa si prova a vedere un treno arrivarti addosso?” Chiuse gli occhi, scotendo lievemente il capo. “Provare emozioni che, semplicemente, non puoi provare perché sono al di fuori della tua portata? Al di fuori dei limiti imposti dal mondo ai tuoi sentimenti e alle tue emozioni?” Riaprì gli occhi, sorridendo, osservando ancora il paesaggio. “Io capisco Allison e capisco mia sorella. Ammiro ciò che ha fatto perché l’ha fatto credendoci davvero, lei aveva un obiettivo, lei voleva provare emozioni più forti, voleva andare oltre i limiti del mondo, lei voleva scoprire e capire e provare. Io lo capisco.” Si volse verso di lui, poi di nuovo si mise a guardare dinnanzi a sé. “Tu non lo capisci?”
“No.” Ammise Tiberius.
Fece un altro passo avanti, posando saldamente le mani sui fianchi del collega, tirandolo indietro per farlo scendere dal parapetto.
Cameron si volse sorpreso, ma scese.
“Non lo capisco, Came. E non mi interessa neanche. Mi interessa soltanto che tu non segua l’esempio di tua sorella.” Continuò a dire Sheller.
Il californiano rise, volgendosi tra le mani del collega, posando una mano sulla sua guancia.
“Non ho intenzione di suicidarmi, Tibbs, le mie emozioni me le dà il mio lavoro.” Lo rassicurò.
Lo osservò per qualche istante, poi si chinò in avanti, sfiorandogli le labbra con le proprie, delicatamente, mentre con il pollice gli accarezzava la guancia.
Tiberius rimase fermo, paralizzato da quel tocco, anche dopo che il biondo si fu scostato.
“Beh, questo…” Mormorò. “Questo è inaspettato…”
“Inaspettato?” Ripeté Cameron, ridendo piano. “E’ da un po’ che sono interessato a te.” Rivelò.
Sheller non ebbe modo di ribattere, perché Cameron si chinò di nuovo in avanti, catturando ancora le sue labbra in un bacio leggero.
Il castano rimase ancora fermo per un po’, poi chiuse gli occhi, sporgendosi in avanti per ricambiare quel tocco, anche se lieve.
Il californiano lo baciò per qualche istante, poi si scostò.
“E tu da quanto sei interessato a me?” Chiese divertito.
“Non lo so.” Ammise Tiberius, scotendo il capo. “Non lo so proprio.”
“Mi accontenterò del bacio, allora.” Mormorò Cameron, baciandolo ancora.
   
 
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