Capitolo 2 –
Something blue (Ayako Kuno)
La luce del sole
entrava dalla finestra e feriva i miei occhi, nonostante tutto ancora chiusi.
Cercai di riaddormentarmi, ma niente da fare, mentre dormivo potevo ignorare la
sensazione che mi davano le mie rattrappite membra e potevo anche ignorare la
mia testa che pulsava in maniera incontrollata, ma da sveglia era praticamente
impossibile. Mi sollevai, stropicciandomi gli occhi ed accorgendomi che
indossavo ancora il vestito che avevo messo la sera prima. Non ricordavo niente
di ciò che era successo, ma adesso che confrontavo quelle sensazioni, capivo
abbastanza agevolmente che la sera prima dovevo aver esagerato con l’alcol. Non
mi capitava da parecchio, da quando ero ragazzina, ma nei miei ricordi confusi
riconoscevo di essere stata molto euforica la sera precedente per la vittoria
dei ragazzi, quindi evidentemente dovevo averci dato dentro più del normale. Mi
alzai a stento e guardai l’orologio, le sette e mezzo. Fui tentata di non
andare a scuola, ma la conoscevo bene la procedura di quei casi. Per la
giustifica, avrei dovuto chiamare Rei e sorbirmi un enorme interrogatorio su
che cosa era successo, e lei non era un tipo alla: “Zia, ieri sera sono uscita
con dei ragazzi e mi sono ubriacata, non so nemmeno come sono arrivata a casa e
adesso sono più morta che viva… puoi firmarmi una giustifica, per piacere?”.
Lei è più un tipo che ti immagina chiusa in casa a sferruzzare, dato che ha il
mio affidamento e, considerati i miei continui litigi con mia cugina Kaname, mi
permette di vivere da sola e di girarle tutte le spese della mia casa.
Rassegnata, ormai mi alzai e mi sfilai il vestito ormai tutto spiegazzato,
gettandolo su una poltrona. Salii al piano di sopra e mi feci una doccia, mi
infilai la divisa e, con i capelli ancora bagnati, mi andai a lavare i denti.
Mentre mi guardavo distrattamente allo specchio, notai un rivolo di sangue
tingermi le labbra. Mi sfiorai la bocca con un dito, accorgendomi del segno di
un morso. Un morso, inarcai un sopracciglio. Poi sospirai, chissà che cavolo
avevo fatto la sera prima, oppure nel sonno mi dovevo essere morsa le labbra.
Mi legai i capelli e mi imbrattai il viso con fondotinta, cipria e fard,
cercando di celare i segni della sbornia non ancora totalmente passata. Ero
diventata particolarmente esperta in quell’arte.
Scesi le scale e presi
la cartella, perfettamente inutile, eravamo a maggio, e ormai in classe non
facevamo praticamente niente. Doppia irritazione al pensiero di stare male e
dover comunque andare a scuola. Iniziai a camminare lentamente per strada,
ripensando al giorno prima. Mi scappò un sorrisetto, saremmo andati al
campionato nazionale. Il nostro sogno si era avverato, o meglio il sogno dei
ragazzi si era avverato. Io sognavo assieme a loro, questo facevo dalla mattina
alla sera, anche se ero solo quella che li incitavo, e li passavo le
bottigliette d’acqua e gli asciugamani. Era strano pensarla così… in fondo, io
ero solo la loro manager, non ero il settimo uomo dello Shohoku. Eppure, loro
mi facevano sognare, e alla fine il loro sogno era diventato il mio.
Bellissimo, meraviglioso, apparentemente irrealizzabile. E tutto ci ruotava
intorno, le loro vite, ed anche la mia. Mi ritrovai a chiedermi con onestà che
cosa era cambiato per me ora che sarebbero andati al campionato. Niente, a
dirla tutta. Sarei stata sempre la stessa, Ayako Kuno, quella che passa le
bottigliette d’acqua e gli asciugamani.
Scrollai il capo in
vista della scuola, stavo proprio sotto… se arrivavo a fare di quei pensieri,
ero davvero ancora ubriaca…
All’ingresso, come era
prevedibile, Sakuragi si stava vantando della vittoria, imputabile, secondo lui
alle sue esclusive qualità di genio. Il peggio era che molti nella scuola gli
davano corda, lui agitava il braccio come un folle dittatore e loro lo
acclamavano. Scoppiai a ridere, fortunatamente nascosta dietro il cancello. Se
mi avesse vista, addio… avrebbe pensato che lo prendevo in giro o peggio che
riconoscevo le sue doti di genio. Altrettanto ovviamente Miyagi e Mitsui lo
provocavano velatamente, mentre Akagi guardava in cagnesco Sakuragi stesso,
preparandosi a picchiarlo selvaggiamente alla sua prossima frase strabordante
di eccessivo orgoglio. Recuperai la mia solita espressione e mi avvicinai a loro,
fermandomi accanto a Kogure.
Lui mi guardò
attraverso le spesse lenti e mi chiese: “Come stai stamattina, Ayako?”
“Benissimo” mentii, il
cerchio alla testa che mi opprimeva le tempie “Ieri sera ho un po’ esagerato,
ma sto bene… davvero…”
Lui mi guardò con
espressione strana, tanto che inarcai il sopracciglio, pronta a chiedergli il
motivo di tanto interesse, ma poi preferii sorvolare e invece dissi: “Non
ricordo molto bene, ma ieri sera… mi hai accompagnato tu a casa?”
Lui negò energicamente
con il capo, manco gli avessi chiesto se avesse rubato in casa mia: “No, ti ha
accompagnata Rukawa…”
”Kaede?!” chiesi più sorpresa che turbata. Certo che era l’ultima persona che
mi aspettavo… mi passò un leggero brivido lungo la schiena, speriamo che non
gli detto niente di compromettente, mentre ero ubriaca. Bestemmiai mentalmente
contro me stessa e quegli stramaledetti cocktail che mi avevano fatto perdere
il controllo… dovevo stare proprio male se si era deciso ad accompagnarmi
proprio lui a casa.
Pensavo ancora a quelle
cose, mentre un urlo sgozzato giungeva dalla bocca di Hanamichi.
Come era altrettanto
prevedibile in quelle nostre scherzose mattinate, era arrivato Kaede in bici,
ovviamente si era addormentato, ovviamente aveva preso Hanamichi in pieno.
Immaginate già che cosa è successo dopo? Hanamichi urla come uno
straccivendolo, contro Kaede ancora a terra, e il suo fan club personale
interviene per difenderlo. Stavo già per andarmene in classe, le loro voci che
quel giorno mi facevano particolarmente male al cervello, quando mi sento
chiamare, bè chiamare è esagerato, sento il mio nome pronunciato ad alta voce
da qualcuno. Ora che ci penso anche questo è esagerato, non sono certa nemmeno
che mi avesse chiamato per nome.
“Che c’è, Kaede?”
chiesi, voltandomi e guardandolo dal basso in alto. Certo che è proprio alto…
“Come stai?” mi
chiese, la voce inespressiva come sempre
Stavo per arrossire al
nuovo pensiero di me stessa priva di sensi, che straparlo, e voltai il viso
dall’altra parte: “Anche tu! Sto benissimo!”
Feci per allontanarmi,
poi sospirai e mi voltai di nuovo: “Comunque grazie… per avermi accompagnato a
casa… e scusa… per qualsiasi cosa abbia fatto o detto… ero solo ubriaca, quindi
non ci badare…”
Gli sorrisi e mi girai
di nuovo. Sprecavo sempre troppi sorrisi, quando parlavo con lui. Non penso che
neanche se ne accorgesse, misantropo com’era, se sorridevo o gli facevo le
smorfie. E neanche mi importava, ero una ragazza educata e mi piace sorridere,
ecco tutto. Ma quel giorno dovetti ricredermi. Non del tutto, quello sarebbe
stato dopo, abbastanza dopo. Nei suoi occhi azzurri, era passato qualcosa.
Qualcosa di bello. Ma nuovo e strano su di lui.
E’ strano quanto il
tempo abbia a volte l’abitudine di accelerare all’improvviso, di scorrere
velocemente e di lasciarti la sgradevole sensazione che non ti sei nemmeno
ancora alzato da dormire. Sbadigliai rumorosamente, guardando di traverso
Hanamichi che non si decideva a proseguire i suoi allenamenti. Si limitava a
guardare male Kaede che giocava e infilava un canestro dietro l’altro, mentre
lui doveva continuare i fondamentali.
“Muoviti!” urlai,
spaccandogli il cranio con il mio quaderno degli appunti, quello con la
copertina rigida, che ho finito da tre anni, ma che mi porto sempre appresso
per sbatterlo sulla sua testa rossa.
Lui imprecò a mezza
voce e poi chiese, ossessivo come sempre: “Ma perchè devo continuare con i
fondamentali? Sono o non sono un genio?”
“Non lo sei, infatti…
di che ti preoccupi?” replicai, incrociando le braccia, mentre la palestra si
riempiva del suono fragoroso di un altro canestro del numero 11. Hanamichi si
voltò verso di lui guardandolo con odio, e disse truce: “Anche lui è una
matricola, perchè non fa i fondamentali pure lui?!!”
“Perché Kaede gioca da
molto più tempo di te… avanti, Hanamichi, spicciati… non ho voglia di discutere
oggi…” dissi ancora rassegnata, accompagnando le mie stanche risposte con un
sospiro. Ero un po’ stanca in quei giorni, o meglio ero stanchissima; avevo
sonno e, come se non bastasse, avevo un sacco di compiti per il giorno dopo. E
dulcis in fundo, la sera stessa dovevo andare a cena da mia zia Rei e dalla mia
adorabile cugina Kaname.
Hanamichi continuava a
borbottare, quindi finalmente mi decisi a gridargli contro di continuare ad
allenarsi. Non si poteva essere gentili con lui, né tantomeno essere docili e
fargli fare quello che vuole, sperando che gli venissero dei sensi di colpa,
non funzionava assolutamente.
Mentre finalmente
riprendeva a palleggiare, mi sentii chiamare alle mie spalle: “Ayako, puoi venire
qui un momento?”
Mi voltai e vidi che
era il mister, che mi faceva segno di avvicinarmi, gettai un’occhiata truce ad
Hanamichi che colse terrorizzato il messaggio: “Va bene, va bene, continuo i
fondamentali…”. Con un lieve sorriso, mi voltai e mi avvicinai al signor Anzai:
“Che cosa c’è, signore? C’è qualche problema?”
Lui mi fece segno di
sedermi accanto a lui in quelle scomode sedie di plastica, compagne
inseparabili di ogni partita.
“Hai notato qualcosa
di strano in questo periodo, Ayako? Sii sincera…” mi chiese, guardandomi in
viso
Negai decisamente con
il capo, e chiesi a mia volta: “Si riferisce a qualcuno dei ragazzi? Nel caso
di Hanamichi, credo che sia sempre come al solito… intendo che sia
irresponsabile come sempre…”
”Non mi riferisco a Sakuragi…” disse lui con un lieve sorriso “La sua assoluta
mancanza di buon senso è quasi confortante… mi riferisco a qualcun altro… a
Rukawa…”
“A Kaede?” chiesi
sorpresa. Istintivamente, mi voltai a guardarlo, stava giocando come sempre,
era un canestro dopo l’altro, e non c’era niente di strano in tutto questo.
Sarebbe stato strano il contrario. Poi mi accorsi di una cosa strana, una cosa
che in effetti non avevo mai notato fino a quel momento. Lui di solito era
calmo e flemmatico quando giocava, certo sapevo benissimo che nel profondo, lui
ardeva di voglia di vincere e di essere il migliore, ma nei suoi gesti non
c’era la minima traccia di tutto questo. Anche nei momenti tragici della
partita, quelli dove oramai sembrava che tutto fosse finito, lui era sempre
rilassato e calmo. Proiettava nel suo cervello già il modo che avrebbe dovuto
avere di vincere quella partita. Stavolta notai nei suoi gesti qualcosa di
strano. Mentre faceva uno slam dunk, e vedevo l’anello tremare vigorosamente, mi
accorsi che era diverso. Era arrabbiato, era nervoso, e scaricava la sua rabbia
sul pallone.
“Te nei sei accorta,
adesso?” mi disse Anzai, guardandomi ancora
Annuii piano: “Sembra…
diverso… è… quasi… feroce…”; le mie parole non avevano molto senso, ma era il
primo pensiero che mi era venuto in mente, guardandolo.
“Esattamente, Ayako… è
la mia stessa impressione…”. Anzai sospirò e continuò: “Qualche giorno fa, è
venuto a trovarmi a casa… aveva un’idea o meglio un progetto. Voleva andare
negli Stati Uniti…”
“Negli Stati Uniti?
Perché?” chiesi esitante. Non poteva, non poteva voler lasciare la squadra alla
vigilia del campionato nazionale.
“Per lui non è stata
una vittoria, quella con il Ryonan…” rispose Anzai quieto “Capisci?”
Improvvisamente capii
tutto. La risposta a quella domanda aveva solo un nome: Akira Sendo.
“E’ per Sendo, vero?”
“Siamo onesti, Ayako…
Rukawa è un ottimo giocatore, è un grande talento e sono convinto che diventerà
un campione in questo sport…” andò avanti Anzai con una voce più malinconica
“Ma è ancora una matricola e al momento Sendo è indubbiamente più bravo di lui…
è un vero ed autentico fuoriclasse. L’unico che al momento può tenergli testa è
Maki del Kainan, nessun’altro… almeno qui a Kanagawa… Rukawa voleva andare
negli Stati Uniti per imparare a giocare meglio, ma per fortuna sono riuscito a
fargli cambiare idea. Sarebbe stata una grande perdita non solo per la
squadra…”. Notai che la voce del vecchio mister era meno serena del solito nel
fare uno discorso del genere, eppure mi parlava spesso dei giocatori,
segnalandomi chi voleva che tenessi d’occhio, per chi proporre un allenamento
speciale, oppure chi cercare di pungolare per ottenere il meglio. Di solito, mi
parlava di Hanamichi, o al massimo di Mitsui, considerata la sua forzata
assenza dai campi di gioco. Ora… era preoccupato…
“Vorrei che tu gli
parlassi, Ayako… lo conosci bene…” mi disse all’improvviso
“Non è proprio la
verità, mister… lo conosco da più tempo… questo è tutto…” dissi quasi brusca.
Che cavolo gli potevo dire?
“Parla con te…”
“IO parlo con lui, e
lui risponde a monosillabi… non credo che sia parlare…” risposi ancora secca “E
poi da un paio di giorni, non mi risponde nemmeno più… che ne so, magari gli ho
fatto qualcosa, senza accorgermene… perchè non chiede ad Haruko di parlargli?
Lei ne sarebbe più che felice, glielo garantisco…”
Le mie proteste non
servirono a nulla, per lui ero la candidata perfetta ad essere massacrata dagli
sguardi assassini di Kaede Rukawa. Quell’uomo era capace di farci fare
qualsiasi cosa si fosse messo in testa, fosse una schema di gioco, oppure una
difficile conversazione come quella. Che cavolo gli potevo dire?? Me lo chiesi
per tutto l’allenamento, battendo nervosamente il piede per terra, mentre
Hanamichi mi guardava straniato, ancora chino a palleggiare.
“Che c’è?!!” urlai
nervosa al suo indirizzo
Lui disse timidamente:
“Ho finito di palleggiare, devo allenarmi nei tiri liberi?”
“Certo, è ovvio!!
Spicciati!!” gridai ancora, uscendo ancora il mio quaderno, alla cui vista
Hanamichi capii che non era aria. Quanto è imbecille, borbottai nervosa… tiri
liberi, tiri liberi, Kaede…
Mi battei la mano
sulla fronte, sapevo esattamente che cosa fare.
Io che scambio l'alba col tramonto
e mi sveglio tardi nei motel
sbadiglio sopra un cappuccino
e pago il conto al mio destino
è tutto un attimo.
Io che firmo il nome come viene
dormo spesso accanto al finestrino
mi trucco il viso che ho deciso
e vivo il tempo più vicino
è tutto un attimo.
La mia vita è questa qua
che un'altra dentro non ci sta
questa vita siete voi
questo cuore immenso che
solo se ci penso
già sento tesa l'anima
la mia vita siete solo voi
siete voi...solo voi...
Io che scambio amore fino in fondo
solo nei momenti miei con te
immaginando anche un bambino
chiedo il resto al mio destino
è tutto un attimo.
La mia vita è questa qua
che un'altra dentro non ci sta
questa vita siete voi
questo cuore immenso che
solo se ci penso
già sento tesa l'anima
la mia vita siete solo voi
siete voi...solo voi...
io vivo in mezzo tra due cuori
io vivo dentro e vivo fuori
è tutto un attimo
voi...solo voi...
(Anna Oxa – E’ tutto un attimo)