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Autore: _Padfoot    22/11/2011    2 recensioni
No, era impossibile. Suo padre che gli sorrideva? E da quando? E poi proprio ora, che una porta era scoppiata da sola, come per magia… per… magia? Per magia! Il lampo di comprensione gli fece dimenticare quello che era appena successo, e cominciò a sorridere stupidamente pure lui, ma sua madre si mise a piangere e lo riportò nel mondo reale. Il sorriso scomparve dalle sue labbra così velocemente come era spuntato, e il piccolo Gellert si ritrovò a fissare suo padre, sentendo che il peggio stava per arrivare. Ma non arrivò. Invece, dopo un altro minuto passato in un silenzio rotto solo dai singhiozzi di sua madre, il signor Grindelwald si inginocchiò accanto a lui e abbracciò suo figlio come non aveva mai fatto. “Ora sei degno”, disse solo.
***
La vita e le bugie di Gellert Grindelwald, naturalmente dal suo punto di vista...
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Gellert Grindelwald
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
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Per Enide, spero le piaccia questa mia fic su Grindelwald :)

Era una fredda sera di Novembre del 1882. L’unica finestrella illuminata della villa la rendeva un luogo abbastanza spettrale, quasi terrificante. Era posta al terzo piano, quello più alto, all’estrema destra del palazzo; sembrava che il resto della casa dormisse, mentre si sentivano le urla di una donna dall’altra parte di quella piccola finestra. Improvvisamente però, tutto finì; si sentivano solo i respiri affannati della ragazza. Un bambino cominciò a piangere.
“Gellert…”
“cosa dici, tesoro?”
“voglio…voglio…si chiami…Gellert…il nonno…” riprese a fatica la ragazza. Aveva lunghi capelli biondi, grandi occhi verdi; il viso, bellissimo, era rosso per lo sforzo, ed era tutta sudata.
“Vuoi che si chiami Gellert?” ma lei era già svenuta, il bambino piangente tra le braccia.
 
 
“Amore mio non piangere ti prego…”
“Ma mamma, perché papà riesce a fare quelle cose? Perché tu no? Perché non mi insegna? Mamma dovresti riuscirti pure tu!”
“Bè non ci riesco, tuo padre è una persona speciale e non può condividere il suo dono, te l’ho già spiegato tante volte…”
Ma il bambino non era convinto. Ogni volta che andava a prendere il cibo per sua madre cercava di incrociare suo padre, di vederlo mentre faceva quelle strane cose con il suo bastoncino di legno. Una volta gli aveva chiesto  come faceva, ma lui aveva risposto bruscamente di non impicciarsi e di sbrigarsi a fare quello che doveva fare, che non lo voleva tra i piedi. Il bambino allora era corso in cucina, aveva preso il cibo ed era tornato al terzo piano, dove sua madre viveva rinchiusa nella sua camera. Si rifiutava di uscire, e d’altronde non è che fosse molto apprezzata dal resto della casa. Il nonno, quelle poche volte che la vedeva, la insultava sempre, e Gellert lo sentiva che ne parlava male con suo padre, che dal canto suo si mostrava d’accordo. Era sempre stato così. Lui era libero di fare quello che gli pareva, tanto non se lo filava nessuno, a parte sua madre. Quando era veramente piccolo girava per la casa con il divieto di toccare qualsiasi cosa, e poteva pure seguire quegli strani esserini che preparavano i pasti e facevano le pulizie, e tutti gli altri lavori di casa. Si divertiva un mondo a osservarli da dietro una tenda e magari spuntare da dietro un angolo per spaventarli; alcuni, quelli più piccoli, rovesciavano tutto per la sorpresa, poi raccoglievano con uno sguardo mortificato e correvano via, mentre quelli più vecchi si limitavano a guardarlo male, forse avevano capito che non aveva alcuna autorità,come suo padre, e non c’era da preoccuparsi.
Ma più di tutto adorava vedere suo padre che utilizzava quel fantastico bastoncino di legno, da cui spuntavano getti colorati, e per cui – o almeno questo sembrava – si aggiustavano gli oggetti, si muovevano, e accadevano le cose più strane. Anche il nonno e la nonna ci riuscivano, e così tutte le persone che entravano in casa. Avevano tutti un bastoncino proprio, con cui facevano quello che volevano. Lo voleva anche Gellert, quel bastoncino, ma evidentemente non gli era permesso, come non era permesso a sua madre.

Poi aveva compiuto cinque anni, ed aveva cominciato a dover andare a scuola. Il primo giorno suo padre l’aveva accompagnato per mostrargli la strada, e gli aveva fatto giurare di non parlare per nessuno motivo di quello che succedeva dentro casa. Gli altri non sapevano fare le cose che faceva lui, gli aveva detto, e non sapevano che si potessero fare.
“Ma perché non gli insegni?”
“Perché no. Lo sai che non devi fare domande su questo argomento. Quello che vogliono dire quelle cose lo saprai, forse, fra qualche anno. Però devi prima dimostrarmi che sei degno di fare  certe cose.”
“E mamma? Perché lei non lo sa? Lei è più grande?”
“No, lei non è degna, e io ho fatto un grandissimo errore a sposarla, ma non ho avuto scelta, dato che era incinta di te e non la potevo lasciare per la strada. Spero che tu ti dimostrerai degno. Fino a quel momento, non puoi sapere.”
Aveva provato a fare altre domande, anche perché era la prima volta che suo padre gli parlava in modo così diretto, e si era sentito onorato di questo privilegio. Si era sentito grande, e degno di essere figlio di un padre che riusciva a fare tutte quelle cose spettacolari. Entrando nella sua nuova scuola, il piccolo Gellert decise che sarebbe stato degno, lo avrebbe dimostrato, in modo da guadagnarsi la fiducia di suo padre e di imparare i segreti di quell’arte a lui sconosciuta, che permetteva alle persone con i bastoncini di fare quelle strane cose. Avrebbe avuto pure lui un bastoncino, ne era certo.
  
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