Gaius
tirò le briglie del suo destriero,
cosicché si fermasse. Finalmente, dopo qualche giorno di
cammino, era giunto a Ealdor,
un villaggio non molto lontano da Camelot. L’uomo scese dal
cavallo e legò le
briglie a un albero lì vicino. Fatto questo, si
addentrò nel villaggio e non
appena fece un altro passo, un uomo, Thor il capo villaggio, gli
andò incontro
con un sorriso mesto dipinto sul volto. << Gaius!
>>, esclamò in
tono amichevole.
<<
E’ sempre un piacere vederti,
Thor >>, ricambiò Gaius, abbracciando
l’amico di vecchia data. <<
Spero che a portarti qui non siano delle notizie spiacevoli
>>, si augurò
Thor, assumendo un’espressione leggermente seria.
<<
No >>, lo tranquillizzò,
<< ordinaria amministrazione >>,
spiegò, << ad ogni modo
>>, sviò il discorso, << come va
la vita qui? >>.
<<
Alzi e bassi >>, sospirò
il capo villaggio con rammarico, << il raccolto non
sarà abbondante quest’anno
e le bocche da sfamare sono in continuo aumento >>.
<<
Mi dispiace >>, Gaius
chinò il capo, e poi domandò: <<
che mi dici d Hunith? >>.
Il
sorriso torno di nuovo sul volto di
Thor. << Ha partorito da un mese e mezzo una bella
bambina >>.
Gaius
alzò un cipiglio, incuriosito.
<< Non sapevo che Hunith si fosse sposata
>>.
Thor
fece un sorriso di circostanza.
<< Infatti, non lo è >>,
confessò, passandosi una mano tra i
capelli. << Nessuno sa chi sia il padre >>,
premise, accorgendosi
dell’espressione stranita di Gaius. << Lei non
ha proferito parola
>>.
<<
Comprendo >>, annuì Gaius,
<< potresti condurmi da lei? >>.
<<
Come mai cerchi Hunith?
>>, chiese sospettoso Thor, corrugando la fronte.
<<
Questioni strettamente
personali >>, dichiarò Gaius, impassibile.
<<
Capisco >>, rispose Thor,
un po’ deluso dalla risposta del vecchio amico.
<< La puoi trovare a casa
>>, lo indirizzò, indicando con
l’indice una vecchia capanna.
Gaius
ringraziò Thor e si avviò verso la
casupola. Stava per bussare, quando una voce lo fermò:
<< entra pure
Gaius >>, fu invitato a entrare.
Gaius,
per nulla perplesso, fece il suo
ingresso nella casa. La prima cosa che notò fu un focolare
acceso e una donna
che era seduta dinanzi a esso, così da dare le spalle a
Gaius. << Ti
aspettavo >>, annunciò Hunith, senza voltarsi.
Gaius
chiuse la porta e si avvicinò a
lei. << Pratichi ancora la magia Hunith?
>>, domandò Gaius, senza
accennare un saluto.
<<
Non è del tutto corretto
>>, affermò Hunith, continuando a tenere lo
sguardo fisso sul fuoco,
<< è la magia che pratica me >>,
illustrò, con una smorfia,
<< io sono solo un fantoccio nelle sue mani
>>, continuò.
<<
Sai che non dovresti… >>,
intervenne saggiamente Gaius.
<<
Non voglio che le parole che ti
ho appena detto finiscano al vento Gaius >>,
dichiarò Hunith, sospirando,
<< ti prego di rispettare le mie scelte >>.
<<
L’ho sempre fatto >>,
sostenne Gaius, affiancandola, << sai già il
motivo per cui sono qui?
>>. << Lo so già da abbastanza
tempo >>, rispose, inclinando
leggermente la testa e fissando intensamente il fuoco. <<
Mi sono
preparata alla risposta, caro amico, ma stavolta non credo che il mio
intervento potrà portare beneficio a Camelot
>>.
Gaius
fece per parlare, ma Hunith glielo
impedì, proseguendo: << anche se il destino ha
deciso che io mi debba recare
a Camelot >>, chinò la testa, distogliendo per
un istante lo sguardo dal
fuoco, << anche se questo significherà
nascondere me stessa >>.
<<
Quindi tu sai il reale motivo
della mia proposta? >>.
<<
Tua? >>, alzò la voce
Hunith con un velo di rabbia, << Perché vuoi
difendere quel drago?
>>, sussurrò gelida, << pensi
che non sappia che dietro a questo
tutto ci sia lui? >>.
<<
Kilgarrah
rappresenta l’antica religione >>, le fece
presente Gaius, in tono di
rimprovero, << e tu lo sai bene >>.
<<
Questo non lo ostacola
a interagire nelle vite altrui a suo piacimento >>,
precisò Hunith, con
rabbia. << Ora che è incatenato sotto le
viscere del castello >>,
assottigliò lo sguardo sul fuoco, <<
accentuerà di più la situazione
>>, commentò, ridendo sarcasticamente,
<< ma questo non gli
impedirà di starsene rinchiuso lì per qualche
tempo >>. Si alzò dalla
sedia e per la prima volta guardò in faccia Gaius.
<<
Hunith, se non te
la senti, non è necessario che tu venga con me a Camelot
>>, le anticipò
Gaius, provando tenerezza per quella povera donna, che un tempo
conosceva
meglio di chiunque altro, ma ora gli pareva tanto estranea.
<<
Non importa quello
che sento >>, si allontanò da lui, sospirando,
<< devo seguire la
mia religione, che mi sta ora ordinando di adempire il mio destino
>>.
Fissò Gaius, accennando un sorriso. <<
Così sia Gaius. Se per il bene di
tutti dovrò diventare la madre del principe, e privare la
mia bambina della mia
presenza, lo farò, a malincuore, ma lo farò
>>. Il suo volto fu solcato
da delle lacrime.
Gaius
le andò in contro e la
strinse a se. Hunith non ricambiò quell’abbraccio,
ma non lo respinse. Rimase
lì, immobile, come una statua.
<<
Allora non perdiamo
altro tempo >>, mormorò Gaius, rafforzando di
più l’abbraccio.
Per
Hunith fu dura allontanarsi
dal suo villaggio e dalla sua preziosa bambina, che stava lasciando in
custodia
alla vecchia del villaggio: Emily, sua madre. Il distacco fu molto
doloroso, difatti,
per tutto il viaggio, i suoi occhi rimasero costantemente lucidi,
finché non
giunsero a Camelot.
Il
re Uther accettò di buon
grado Hunith, che era stata anni prima al servizio dei Pendragon.
Hunith occupò
il posto di Igraine nel cuore del bambino.
Allattò lei
stessa il principe e tutte le
cure, che avrebbe voluto dare alla sua bambina, le diede ad
Artù, che crebbe in
fretta e considerò Hunith ben presto sua madre.
Gli
anni passarono e
purtroppo il giorno del sedicesimo compleanno del principe
Artù, venne fuori il
fatto che Hunith praticasse la magia, bandita da Camelot. Uther deluso
e
amareggiato non perse tempo a farla giustiziare. Ad Artù si
spezzò il cuore. In
lui si ruppe qualcosa, che difficilmente il tempo avrebbe potuto
sanare. Le sue
urla e le sue preghiere furono vane, non riuscirono a salvare Hunith
dal suo
triste destino.
Furono
innumerevoli le
lacrime di Gaius e altrettanto le domande che si pose quando
udì Hunith
dichiarare mentre stava per essere bruciata al rogo: <<
ora tocca a te,
Marlin >>, per poi spirare.