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Autore: Mina7Z    24/11/2011    16 recensioni
C’è una "lei". E c’è una donna che sta amando un uomo. Ma forse niente è come sembra e tutto può essere.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Follia




Non dormirò questa notte.
Non lascerò che le tenebre mi portino via da te.
Che l’immagine del tuo corpo  svanisca dai miei occhi.
In questa stanza che mi è ancora estranea, il silenzio inghiotte ogni rumore.
Solo il tuo respiro compare, leggero e regolare, a spezzare la magia della notte.
E sento i battiti del tuo cuore, amore.
Dormi distesa accanto a me e io non riesco a distogliere lo sguardo da te.
Mi sazio del tuo corpo ancora nudo e il mio cuore non riesce a ritrovare il suo ritmo regolare.
Riparte, impazzito, ogni volta che le immagini della nostra notte insieme mi occupano la mente.
E vorrei fermare il tempo.
Fermare i battiti del mio cuore.
Vivere questa notte per tutto il resto dei nostri giorni.
Vivere dei tuoi respiri.
Vivere del tuo amore.
Con un dito percorro lentamente e senza toccarle quelle parti che di te mi sono più vicine. Non voglio destarti dalla profondità del tuo sonno.
Seguo piano i contorni della spalla, discendo fino al braccio adagiato sul mio torace e riprendo il cammino fino a lambire le tue natiche.
Poi ripercorro il tuo corpo, ancora una volta, sfioro il seno scoperto e arresto la mia corsa sulle tue labbra.
Le nostre gambe incrociate in una morsa, il lenzuolo a coprire solo parte dei nostri corpi.
Ti aggrappi a me come se temessi di vivere un sogno che al mattino sfuma evanescente.
Ti stringi a me per non lasciarmi andare.
Ma io non me ne andrò mai più da te.
Mai più.
Pazzo.
Come ho potuto credere di poter vivere senza di te?.
Folle  al punto di strapparmi il cuore dal petto e gettarlo nel fuoco.
Folle, perché non è vita senza di te.
Folle, nel mio  ostinato bisogno di  lei.
Inalo aria e trattengo il respiro mentre il mio cuore riparte impazzito.
Come  è cominciato tutto questo?

 
 

 
La mia vita con Oscar.
Il mio amore per lei.
E’ sorprendente come io riesca a ricordare il momento esatto in cui compresi chiaramente che il sentimento che mi legava a lei non era solo affetto, amicizia, complicità.
Ricordo con precisione l’istante nel quale una fitta al cuore e una morsa nelle viscere  scosse il mio corpo al punto di sentirmi sprofondare sotto il peso del mio cuore e, al contempo, tanto leggero da pensare di potermi alzare in volo.
Avevo dodici anni e lei undici e un pomeriggio ci ritrovammo a subire, insieme, le furie di un orribile  precettore.
Monsieur Husky era stato scelto dal Generale come nostro insegnante per la sua impareggiabile conoscenza del greco e del latino, nonostante le origini tedesche. Ricordo la sua faccia come se l’avessi di fronte in questo momento. Quel naso minuscolo, quegli occhi sporgenti, quel viso tanto grinzoso e flaccido da fargli assumere sembianze animalesche.
E noi, due ragazzini troppo annoiati da una vita fatta di regole perché potessimo perdere l’occasione di gettare su quel volto un po’ di ilarità.
Troppo ingenui per non prevedere le conseguenze di un gioco innocente.
“Uffa Andrè, tra dieci minuti arriva il precettore. Non ho proprio voglia di sorbirmi due ore di lezione. E poi oggi vuole spiegare il latino. Non lo sopporto proprio”.
“Già… e poi mi fa paura, se te la devo dire proprio tutta, non mi piace per niente”.
Nella stanza dello studio parlavamo di quel maestro che entrambi non sopportavamo.
“Si, in effetti fa un po’ paura. Sarà per quelle decine di  pieghe che si ritrova sulla faccia. Lo fanno assomigliare a una borsa… o ..no…sembra un cane, Andrè, non ti pare?”. Oscar aveva alzato la voce e rideva.
“Un cane, Andrè….del resto si chiama Husky…come avrebbe potuto chiamarsi diversamente!”. Rideva a crepapelle, Oscar.
“Anche se Shar pei sarebbe stato un cognome più consono, non ti pare?”.
Eravamo così impegnati a ridere, piegati su noi stessi,  e a tenerci le pance che dolevano per le troppe risate che non ci siamo accorti che Monsieur Husky era entrato nello studio e in silenzio aveva ascoltato le nostre idiozie sul suo conto.
Lo abbiamo sentito ruggire, improvvisamente e così forte, che siamo rimasti impietriti di fronte a lui.
“Oscar Frannçois, vi farò smettere io di ridere”.
L’ho visto afferrare Oscar per un braccio e trascinarla verso il divano rivestito di broccato prezioso.
L’ho visto brandire la bacchetta che usava per darsi un tono e vibrarla violentemente contro di lei, prima sulle sue mani e poi sulla schiena, dopo averla fatta stendere sopra le sue gambe.
Ma non ho sentito nemmeno un lamento venire dalla sua bocca. Nessuna lacrima è uscita dai suoi occhi celesti. E non ha implorato pietà, non ha chiesto perdono.
Ricordo di essere dapprima rimasto impietrito davanti a quella scena. Tremavo, mentre avrei solo voluto strapparla dalle braccia di quel mostro. Ma per un tempo che mi sembrò interminabile, non sono riuscito a muovere neanche un muscolo.
Avrei voluto che quei colpi fossero inferti al mio corpo. Avrei voluto fare mio il suo dolore.
Avrei voluto urlargli di non toccarla, ma la voce mi moriva in gola.
E poi, davanti a lei che stringeva gli occhi a ogni percossa, la voce finalmente è arrivata. E ho iniziato a gridare, di lasciarla, di non permettersi di toccarla più. E l’ho raggiunta e ho cercato di fermare quei colpi.
Monsieur Husky ha lasciato la presa e ha afferrato me, urlando che avrei avuto la stessa lezione di Oscar, però le frustate sarebbero state dieci volte di più, perché io non ero nobile, ero solo un servo, e meritavo una punizione esemplare.
E allora, mentre sentivo le frustate sulla carne, ho chiuso gli occhi e ho soffocato qualunque grido. Come aveva fatto lei.
E poi, dopo avere sferrato innumerevoli colpi, ha mollato la presa ed è corso a chiamare il Generale. Sentivamo in lontananza le sue grida agitate.
E per i pochi istanti che siamo rimasti soli nella stanza, ci siamo ritrovati vicini. Gli occhi di lei fieri e colmi di rabbia.”Mi dispiace Andrè. E’ stata  tutta colpa mia, dirò a mio padre che tu non centri, di non punire anche te”.
“No Oscar, non farlo. Se tu avrai una punizione è giusto che ce l’abbia anch’io, non ti pare?”.
L’ho guardata in viso. Ho osservato con emozione quei meraviglioso volto arrossato  e poi l’ho abbracciata forte. Sentivo i battiti del suo cuore riempirmi il petto.
Avrei voluto tenerla stretta per sempre.
“Non ho pianto, sono stata forte”.
“Già”
“Credo che ci separeranno per un po’. Faccia da cane chiederà vendetta”.
L’aveva detto ridendo e io non potei che stringerla più forte.
“E allora io ti penserò sempre Oscar”.
“Anch’io Andrè”.
 

Ci tennero lontani per dieci giorni. Un tempo interminabile, infinito.
Lei fu confinata in camera sua, con il divieto di suonare il pianoforte e con l’obbligo di studiare tutto il giorno.

Devo a Monsieur Husky  la scoperta del mio amore per Oscar. 

   
 
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