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Autore: Dark Magic    24/11/2011    10 recensioni
Questa shot è ambientata nel secondo libro, "La ragazza di fuoco".
Peeta si trova in casa sua, mentre apprende la notizia di un'edizione straordinaria degli Hunger Games, quella della "memoria", i cui partecipanti saranno i tributi vincitori delle scorse edizioni.
Peeta si reca dal suo mentore, Haymitch, e in seguito da...
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Gale Hawthorne, Haymitch Abernathy, Peeta Mellark
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Ticket for the hell

 

Più ascoltava, più tremava il suo cuore.

A distanza di pochi mesi dall’ultima edizione degli Hunger Games cui lui aveva partecipato ed era riuscito a tornare a casa, ecco che si stava avvicinando ancora una volta l’incubo.

Ogni notte si svegliava sopraffatto dalla paura, con l’unica, irrefrenabile voglia di stringere a sé un corpo caldo, femminile, e soprattutto amato.

Quello di Katniss.

Era come se una bomba fosse appena esplosa nel suo cuore, frantumandolo, annientando tutto ciò che rappresentava Katniss per lui.

Sapeva che tutti nel distretto stavano guardando la tv, sapeva che lei la stava seguendo.

Sapeva che lei sarebbe impazzita.

Non si sarebbe mai sognato di andare a casa sua, rassicurarla sul fatto che tutto sarebbe andato per il verso giusto, che non sarebbe mai tornata in quell’arena che trasudava di morte.

No, si disse, non poteva prometterle proprio nulla.

Nessuno poteva opporsi al potere di Capitol City. Nessuno avrebbe mai sabotato gli Hunger Games della memoria.

Il suo cervello non ci aveva messo molto a riflettere sulle possibili conseguenze delle parole del presidente Snow, né su ciò che lui realmente voleva: uccidere Katniss.

Era l’unica ragazza vincitrice del distretto 12, e quindi neanche un sorteggio era necessario.

Lei sarebbe tornata lì. Lei sarebbe tornata per morire.

Il suo caso, però, era differente.

Non era l’unico tributo maschile a essere tornato vivo da lì, vi era anche Haymitch.

Il suo cervello non si era mai messo a lavorare così velocemente come in quel momento. Era una tela bianca che, man mano che gli schizzi prendevano una forma ben definita, vedeva scene raccapriccianti: Katniss e Haymitch, insieme nell’arena.

In quei mesi aveva avuto modo di stare a stretto contatto sia con quello sia alla fine considerava un maestro, che con la ragazza che teneva in custodia il suo cuore.

Katniss probabilmente sarebbe riuscita a cavarsela, ma non per sempre contro di tutti.

Sapeva che lei non si sarebbe unita a nessuno di quei tributi, che avrebbe combattuto contro il gruppo dei Favoriti da sola, e di colpo rivide lei che strisciava dinanzi ai suoi occhi, nel tentativo di afferrare l’arco.

Non l’aveva mai vista ridotta in quello stato orribile. Mai. Per lui era l’amazzone inafferrabile come l’acqua, indistruttibile come la roccia.

Ma non in quel momento. Se lui non fosse arrivato prima di Cato
Scosse la testa, stringendo i pugni.

Conosceva anche il suo maestro.

Haymitch non era un uomo cui importava qualcosa della vita, non dopo esser tornato come un cadavere vivente da quel luogo.

L’arena aveva alterato qualcosa che ormai era andato perduto, eppure era apparsa una debole, fioca luce di speranza nei suoi occhi, o forse si stava illudendo come sempre.

Peeta e le sue stupide illusioni.

Bel titolo per esprimere la sua vita e pensieri che a briglie sciolte svolazzavano nella sua mente, tempestandola di congetture inverosimili.

Mai come questa, si disse.

Haymitch si sarebbe offerto volontario per andare al posto suo, e se non l’avesse pensato di sua spontanea volontà, Katniss l’avrebbe implorato al posto suo.

Nonostante lei non provasse i suoi stessi sentimenti, avevano legato molto, avevano condiviso molto di più di una semplice amicizia.

Katniss non avrebbe permesso che lui ritornasse all’inferno, per giunta con una gamba finta.

Abbassò lo sguardo, tirando su il pantalone di alcuni centimetri, scoprendo l’arto artificiale.

Sfiorò il ginocchio d’acciaio, storcendo il naso e maledicendolo per la sua inutilità.

Già, inutilità… perché con quello stupido arto non avrebbe più potuto correre come prima, non avrebbe più potuto gareggiare ad armi pari con un altro tributo.

Ma Haymitch, con il corpo ormai vecchio e annegato nell’alcol, aveva meno chance di lui.

Scostò la sedia di scatto e si alzò. I suoi genitori lo osservarono, distogliendo gli occhi dallo schermo.

Sua madre aveva gli occhi lucidi, suo padre, invece, non mostrava alcuna traccia di sentimenti. L’avrebbe fatto in privato, magari insieme a sua madre. Era buono, ma poco avvezzo a mostrare i suoi sentimenti in pubblico.

Più di una volta si era domandato cosa avesse detto a Katniss un’ora dopo che furono selezionati entrambi per gli Hunger Games, ma lui non ne aveva mai fatta parola.

«Esco. Ho bisogno di una boccata d’aria fresca» mormorò, cercando di mostrarsi indifferente a quella situazione.

Conoscevano il loro figlio, sapevano che era innamorato perso di quella ragazza. Guardare gli Hunger Games della scorsa edizione aveva aperto loro gli occhi.

Lui sarebbe tornato di nuovo in quell’arena, ma non sarebbe tornato vivo questa volta.

Non c’erano parole di conforto per lui, niente avrebbe potuto alleviare quell’angoscia che cominciava a divorarlo dall’interno.

Non c’era alcuna vita senza Katniss, qui, nel distretto 12.

Lei sarebbe andata, e lui con lei.

«Copriti bene. Indossa anche la sciarpa, mi raccomando» rimbrottò il padre.

Annuì solamente, il ragazzo.

Fuori si gela per davvero, si disse Peeta, rabbrividendo fino alle ossa.

Si strinse nelle spalle, accostando i lembi del cappotto di lana.

Doveva andare assolutamente a discutere con il suo maestro, non c’erano altre vie.

Casa sua non era molto distante da quella di Haymitch, perciò impiegò davvero pochi minuti ad arrivare, anche perché non aveva tempo da perdere.

Doveva arrivare prima di Katniss, perché era sicuro che anche lei abbia fatto visita al suo mentore.

Non bussò, come di solito faceva, anzi, spalancò la porta di colpo, ritrovando Haymitch seduto su una sedia al buio, con la luce proveniente dalla televisione che irradiava una piccola parte della stanza.

«Sapevo che tu saresti arrivato per primo» biascicò, ridendo sommessamente.

In mano teneva una bottiglia, sicuramente la prima di una lunga lista.

Lo sguardo di Peeta era deciso, scolpito nella pietra, mentre affermava: «sarò io ad andare nell’arena con Katniss».

Haymitch sospirò, per poi gettare la testa all’indietro e stropicciarsi gli occhi con una mano.

«Sapevo anche questo».

«Allora fai in modo che lei non possa fare nulla» disse Peeta.

Il vecchio mentore si bloccò, per poi lanciargli un’occhiata penetrante.

«Perché dovrei assecondarti? Ti ricordo che io sono il tuo mentore, sei tu che devi attenerti a ciò che io dico, non il contrario».

Peeta sorrise sicuro di sé, incrociando le braccia al petto.

«Al momento, non sei il mio mentore, bensì un mio pari. Entrambi siamo stati nell’arena, e finché non tornerò lì, non puoi definirti tale».

Il vecchio dai capelli bianchi e dallo sguardo rapace rimase in silenzio per una frazione di secondo, indeciso se abbaiare qualche insulto o scoppiare a ridere sguaiatamente.

Haymitch preferì la seconda. L’eco della sua risata rimbombò come un tuono nella casa, la quale sembrava vibrare per quel suono roco, basso e profondo.

Lo sguardo del ragazzo s’indurì e rimase in silenzio, come segno di rimprovero per quello scoppio d’ilarità fuori luogo.

«Ti fa questo effetto starle così vicino? Sembra di sentire parlare quella sciocca ragazzina» gli rivelò Haymitch.

Peeta si fece avanti, fino ad appoggiarsi al tavolo di legno, lavorato dai migliori falegnami. Un altro dei tanti “doni” di Capitol City ai vincitori, i loro beniamini.

«Quella sciocca ragazzina sta soffrendo ancor più di noi due. Lei non ha scelta, nessuna ragazza con cui poter anche solo scambiare il posto. Noi sì. Possiamo scegliere di candidarci al posto dell’altro, in qualche modo possiamo sottrarci, avendo il cinquanta per cento delle possibilità», si fece sempre più vicino, fino a essere a pochi centimetri da quel vecchio che ora lo osservava con un’espressione impassibile, «lei non ha questa fortuna. E neanche tu. Sei troppo vecchio, troppo stordito per via dell’alcol che da anni scorre nelle tue vene al pari del sangue…».

«Bada a come parli, ragazzo. Non ti ho mai fatto intuire di poterti prendere una simile libertà con me. Tutta questa confidenza non la tollero» lo richiamò l’uomo con sguardo di fuoco.

Qualunque cosa avesse scatenato, Peeta si rese conto che Haymitch non era solo il vecchio ubriacone che dava intendere a tutti. C’era molto di più dietro quegli occhi spenti. Bastavano poche parole, ben misurate per giunta, per accenderlo di un fuoco che aveva intravisto solo nella ragazza del suo cuore, Katniss.

Sono gli occhi della ribellione, pensò assorto.

«Invece abuso questa libertà, Haymitch. Sì dal caso che io tornerò nell’arena. Non ci saranno sorteggi che m’impediranno di seguirla, perché nel caso dovesse essere sorteggiato il tuo nome, io mi proporrò come volontario. Né tu, né Katniss potete impedirmelo. Tornerò in quell’orribile arena… a qualsiasi costo» dichiarò tutto d’un fiato, voltando le spalle e osservando la luna dalla finestra lì vicina.

I fiocchi di neve continuavano a cadere. Il giorno dopo sarebbe stato difficile mettere piede fuori di casa, si disse.

«Tu vuoi tornare lì?» gli chiese l’uomo con un’inclinazione nella voce che non lasciava adito a dubbi. Era incredulo, ma c’era anche una sorta di ammirazione ben nascosta sotto chili di orgoglio.

«Sì».

«Per lei». Era una constatazione, almeno Peeta la intese in questo modo.

«Sì» rispose comunque.

«Sei un ragazzo pazzo e innamorato, ma soprattutto il secondo aggettivo racchiude anche il primo» sospirò Haymitch.

«Non è finita qui».

Il vecchio sollevò lo sguardo, che già era calato sul tappo della bottiglia.

Voleva affogare se stesso e tutto ciò che lo circondava in quel liquido, si disse Peeta.

«C’è dell’altro? Oggi sei in vena di drammaticità? Sappi che di giovani stolti ne ho avuti parecchi per le mani. Sono l’unico vincitore, o almeno lo ero finché voi due teste calde non avete deciso di sfidare il presidente Snow e la capitale. Di tutti, tu sei l’unico che mi sia piaciuto davvero. E non lo dico solo perché tu sei vivo e gli altri no».

Strano, pensò il ragazzo, durante gli Hunger Games avrebbe pensato il contrario, poiché sapeva già per chi parteggiare, e non era lui. Inarcò un sopracciglio, dubbioso quanto scettico.

«Non guardarmi così», proseguì l’altro, «tu non sei uno che si piagnucola addosso. Non sei il solito ragazzino presuntuoso che crede che tutto gli abbia dovuto perché vive nel distretto più angusto fra tutti. Tu sei un uomo coraggioso che, nonostante sia stato graziato da Capitol City una volta, ha deciso di tornare per seguire la donna che ama…».

Peeta lo interruppe con facilità, facendo sgorgare fuori una verità che nessuno era ancora scoprire: «non c’è vita in questo distretto per me senza Katniss. Ero disposto a morire quella volta e lo sono ancora. Solo che adesso so cosa mi aspetta», con un tonfo sordo poggiò l’arto artificiale sul tavolo, «e conciato così non posso proprio sperare di tornare. So anche che il presidente Snow non permetterà che lei ritorni viva, che è una trappola per uccidere Katniss senza sporcarsi le mani più di quanto non lo siano già, ma io farò ciò che posso per proteggerla. E quando non sarà più possibile per me, la lascerò nelle tue mani, perché so che tu la salverai come hai già fatto la scorsa volta».

Haymitch sorrise, facendo oscillare la bottiglia. «Cosa ti fa pensare che io eseguirò ciò che mi stai ordinando?».

Peeta sollevò le braccia, preparando la parte più importante del discorso e del loro accordo.

Accordo, sì, perché Haymitch non poteva rifiutarsi di guardare le cose diversamente da lui.

«Hai preferito lei a me, hai scelto di lasciar morire me, piuttosto che lei. Sia chiaro, io avrei fatto lo stesso, giacché le possibilità che io tornassi vincitore erano nulle, ma adesso tu mi sei debitore».

Haymitch strabuzzò gli occhi, cercando di trattenersi dallo scoppiare a ridere ancora una volta. «Io, cosa? Sarei in debito con te?»

Peeta annuì solamente a quella domanda, ma poi notò che ormai si era fatto tardi e doveva dirigersi da un’altra parte, andare a trovare un’altra persona quella sera. «Adesso devo andare, perciò la farò breve: io mi recherò nell’arena con Katniss, non torno indietro su questa decisione. Tu, come in passato, farai di tutto per far vincere Katniss. Almeno lei deve tornare…», lo guardò con occhi lucidi, «deve vivere, anche se lei vorrà salvare me. Tu dovrai pensare solo a lei, me lo devi».

Detto questo, uscì, non attendendo una risposta.

Era già chiaro il suo destino: sarebbe morto nell’arena proteggendo la donna che amava.

Sapendo anche che lei non lo avrebbe mai perdonato, andò da chi aveva un posto speciale nel cuore di Katniss, colui del quale era innamorata.

Gale Hawthorne.

Ad aprire venne proprio lui, che osservò diffidente e con cipiglio curioso il suo rivale.

«Hai sentito…» disse Peeta.

«Sì, ormai tutti sono in fermento per questo evento» sorrise senza alcuna gioia.

«Io andrò con lei. Ho parlato con Haymitch» gli rivelò.

Gli occhi di Gale si fecero più attenti. «Perché me lo stai dicendo?»

«Perché io non tornerò. Stavolta Capitol City non accetterà due vincitori, e sicuramente si accanirà su Katniss. Farò di tutto pur di proteggerla, te lo prometto».

Gale rise stavolta, guardandolo dall’alto in basso. D’altronde era più alto di qualche centimetro, e di questo andava fiero.

«Tu, proteggerla? L’ultima volta lei ha protetto te, se non ricordo male…» gli fece notare quest’ultimo con cinismo.

Peeta scrollò le spalle, ben sapendo che la tattica di Gale era di affondare nei punti deboli del nemico. Aveva capito che egli era molto simile a Katniss in quanto a capacità di sopravvivenza, e lui stesso era deriso per il semplice fatto di non essere addestrato quanto loro.

Ma a Peeta questo non importava.

«Be’, una volta il mio intervento è stato provvidenziale. Ricordi questo?» domandò a sua volta, non per vantarsi di averla salvata, bensì per far capire al ragazzo dai capelli scuri che lui non era solo il figlio di un fornaio, che non si tirava indietro di fronte al pericolo pur di salvare la ragazza che entrambi amavano.

Gale lo studiò a sua volta, per poi rispondere: «sì, lo ricordo».

Peeta allora proseguì: «farò in modo di riportarla viva in questo distretto. Lei ti ama, tu ami lei. So che la proteggerai meglio di me, che tu sei la persona giusta, l’uomo perfetto per lei. Avrei voluto esserlo io, ma dovrò accontentarmi degli ultimi giorni che mi restano con lei».

Dopo quelle parole, entrambi rimasero in silenzio che, stranamente, non era fastidioso, anzi, era un segno di rispetto che entrambi sembravano riservare l’uno all’altro.

D’altronde, Gale come poteva odiare un ragazzo che tra qualche giorno sarebbe tornato morto? Quel ragazzo, avendo la possibilità di sottrarsi, aveva deciso di affrontare per la seconda volta l’arena.

Gale allungò la mano, incatenando i suoi occhi neri come la pece in quelli azzurri come il cielo di Peeta.

Quest’ultimo la strinse in presa ferrea, decisa. Un rispetto che non si aspettava di ottenere quella sera.

«Avete bisogno di allenarvi entrambi».

«Già» concordò il biondo.

«Chiamami non appena avrai bisogno di me. Vi aiuterò finché potrò» disse Gale.

«Grazie. Lo farò» rispose infine Peeta.

Mentre quel ragazzo biondo si allontanava, Gale si accasciò sullo stipite della porta. Strinse le braccia attorno alle ginocchia, il viso affondato tra le pieghe delle maniche del maglione.

«Non è me che ama, stupido. Ma mi prenderò cura di lei» farfugliò, mentre una goccia cristallina scendeva lungo il suo viso.

 

   
 
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