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Autore: _freedom_85    25/11/2011    3 recensioni
Avevo organizzato le mie giornate minuziosamente, non c'era spazio e voglia per pensare, perché spesso i pensieri portano ai ricordi ed i ricordi fanno in un modo o nell'altro male.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il periodo più nero ella sua vita...ecco cosa stavo vivendo . Il giorno del diploma era ormai passato da poche settimane. Ed ora?! cosa mi attendeva? cosa ne avrei fatto della mia vita? quali sarebbero state le mie scelte? E se avessi commesso qualche errore? No, nella mia vita non potevo lasciare nulla al caso, non doveva esserci margine d'errore alcuno. Non ero una perfezionista, ne una stacanovista eppure mi ritrovavo ad un punto in cui troppe cose erano accadute, troppa sofferenza avevo patito ingiustamente. E mentre il mondo mi crollava addosso io non potevo far altro che assistere passivamente.  15 gennaio segnava il calendario, era esattamente un anno da quel giorno in cui il mio cuore cessò di battere per lui.Ricordo ancora il giorno in cui lo incontrai, assurdo, ero al parco. Spesso passeggiavo per quei viali alberati godendo  di quella sensazione di benessere di cui il mio corpo si invadeva. C’era una panchina che ogni volta cercavo, da lì avevo un ampia  visuale. Il lago che si estendeva di fronte, cigni dalle piume di un bianco candido scivolavano a pelo d’acqua quasi accarezzandola.  Distesi viali alberati seguivano un percorso che conducevano ad un enorme fontana potendo sentire  anche da lì lo scrosciare dell’acqua.  Quel mattina faceva particolarmente caldo per essere quasi al termine di settembre. Da li a poco avrei iniziato il mio primo giorno di lavoro poche ore e avrei raggiunto il mio attuale ufficio.  Scaricavo la tensione isolandomi dal mondo e come se non nel modo che preferivo. Mettevo le cuffie accendevo l’ipod alzavo il volume e lo sguardo si disperdeva tra il verde degli alberi e l’azzurro del cielo, la mente vaga libera. - Fin da piccola avevo una certa propensione all’immaginazione. Immaginazione che variava mentre percorrevo le prime fasi della vita.  Nell’adolescenza il tuo futuro sembra cosi roseo e immagini una vita perfetta. Una carriera invidiabile, un fidanzato che ti ama alla follia e imminenti progetti di matrimonio. Poi avanzi con l’età e capisci che le favole non esiste il lieto fine. -  Ero persa in quel mondo perfetto che la mia immaginazione  stava dando vita fin quando aprendo gli occhi notai l’ora. Mi alzai e correndo verso l’uscita del parco mi fermai sul marciapiede cercando un taxi. Ed eccone uno che si avvicinava. Alzai la mano correndovi vicino , qualcuno scese, ed era lui. I nostri sguardi si incontrarono e fu l’inizio di tutto.

Molti potevano definirlo un amore adolescenziale eppure lui aveva 24 anni,  viveva e vedeva il mondo in maniera differente dalla mio , visuale che lentamente condivisi anche io. E con lui maturai ancor più.

Ricordo ancora quella sera a casa, la pioggia scendeva incessante e il vento impetuoso creavano una combinazione di elementi che rendevano impossibile fare qualche passo al di fuori del suo appartamento. Non so neanche come ma riuscii a convincere mia madre a dormire fuori, mentendole.  Facemmo l’amore e fu fantastico. La mattina seguente il suo tocco dolce e delicato percorreva le linee della mia schiena regalandomi un dolce sorriso che accompagnò il mio risveglio mentre i ricordi della notte appena trascorsa invadevano la mia mente. Le sue mani, la sua stretta cosi forte e delicata, quell’instancabile desiderio di sentirmi sua mentre le nostre labbra si cercavano e perdevano al contempo mentre i nostri corpi si muovevano all’unisono.  I giorni trascorsero e il telefono squillava sempre meno, lui mi cercava sempre meno. Non capivo cosa stesse accadendo  fino a quando trascorsi quindici  giorni decisi di andare da lui. Presi il takeaway e con un sorriso sulle labbra raggiunsi il suo appartamento. Bussai più volte fino a quando mi venne ad aprire. Sul suo viso non c’era espressione alcuna. Mi guardava quasi con stupore. Il mio sguardo percorreva il suo viso cercando di captare qualcosa che mi ricongiungesse a lui  , anche minima che mi facesse sentire sua. Nulla. Entrai mentre il silenzio riempiva l’appartamento. La sua mascella era serrata in una postura tesa e di colpo iniziò a parlare. Non capivo, non lo seguivo, non volevo capire, dov’era quel noi che fino a pochi giorni prima ci apparteneva. Un groppo si fermò in gola, non riuscivo a respirare, un leggerò tremolio invase il mio corpo  mentre i miei occhi  si velarono dalla tristezza, poi arrivarono quelle parole e quasi il mio cuore cadde in un tonfo profondo. Poche e semplici parole, non era certo di quel noi ma poi ci fu un  “e poi Lei…” - << Da quando? >> -  chiesi con una flebile esitazione provocata dal terrore di quella risposta. Il suo sguardo era volto al di fuori della finestra  mentre il mio  percorreva il suo viso che mostravano quei lineamenti duri e contratti. L’amore a quell’età è cosi innocente e cosi vera…Il primo istinto, fu di chiedermi in cosa avessi sbagliato. Ripensai a tutto ciò che era accaduto, i nostri momenti, i sorrisi , la complicità, quel modo di amarci tutto nostro, ma non riuscii a trovare nulla che mi riconducesse a qualcosa di sbagliato. Un semplice “credo sia il caso che tu vada” senza spiegazione ne una risposta alla mia domanda, nulla e quella fu l’ultima volta che lo vidi.

Da quel giorno era trascorso esatte un anno.

Quell’ultimo anno era stato come una lenta morte che giorno dopo giorno portava via con se una parte di me lasciandomi dentro un vuoto che mai avrei colmato. Mille domande continuavano ad invadere ogni giorno la mia testa. O almeno questo accadeva quando riuscivo ad avere la mente libera.

Avevo organizzato le mie  giornate minuziosamente, non c'era spazio e voglia per pensare, perché spesso i pensieri portano ai ricordi ed i ricordi fanno in un modo o nell'altro male.

Ero stata davvero minuziosa in quel programma che ogni giorno mi portava svolgere la solita routine: la sveglia suonava al solito orario , le sette, quei numeri verdi illuminavano lo schermo nero accompagnati da quella musichetta cosi irritante ma utile, riusciva a spingermi giù dal tepore di cui il mio corpo era avvolto. Non era eccessivamente buio, l'alba iniziava a intravedersi e le strade erano semi deserte . Mi vestivo velocemente e il primo pensiero  correva alle cuffie, le immancabili cuffie con l'ipod...la solita play list che mi accompagnava in quel tragitto che negli ultimi giorni avevo percorso con inesorabile resistenza e una volta uscita al di fuori della casa un  respiro profondo accompagnava  il mio sguardo di circostanza e l'attimo dopo le mie gambe scattavano con un andatura costante, il mio corpo sembrava assumere una postura che riuscivo a mantenere fino al ritorno a casa senza mai mostrare segni di stanchezza. L'osservavi restandone quasi impressa quando ad ogni passo veloce i miei piedi  sembravano sfiorare l'asfalto leggermente umido dalla notte appena trascorsa. La musica invadeva il mio udito ed ecco che entravo in quella dimensione che riusciva a farmi star bene. Quella dimensione dove esisteva solo lei, quella musica e il mondo che ogni parola di ogni singola canzone  riusciva a mostrarmi. Percorsi il solito giro, qualche isolato nulla di più. Correvo senza prestare la minima attenzione all'ambiente che mi lasciavo alle spalle . Il mio sguardo era fisso su di un punto che sembra cosi irraggiungibile, eppure il tempo scorreva e il  traguardo arrivava.

Rientravo in casa quando l'alba era ormai passata e le prime luci del mattino illuminavano ogni stanza mentre il silenzio cullava quell'atmosfera, silenzio irrotto solo dal mio respirare affannato e dal tamburellare con forza del mio cuore che pompava sangue a gran velocità mentre  i minuti scorrevano il mio respiro ed il mio battito ritornavano sempre più normali.  Ogni volta avevo quell'abitudine di lasciare  l'ipod sul tavolo dirigendomi cosi verso le scale che salivo di fretta - << solita abitudine >>  - mormorai tra me divertita, ma quel mio essere cosi distrattamente sbadata e disordinata faceva parte di me del mio essere. A  volte per pigrizia lasciavo alcuni oggetti in giro per casa, ma poi arrivava il giorno in cui ne avevo bisogno, ma ovviamente non riuscivo sempre a trovarlo e li ridevo ed urlavo. Ero davvero strana, me la prendevo con me stessa, quasi da non crederci. E se fossi riuscita a ritrovarla, mi ripromettevo che alla prossima occasione che si presentava sarei stata ordinata. Promesse al vento.

Una volta raggiunta la mia camera mi spogliai velocemente lasciando i miei vestivi li atterra al pavimento e nuda percorressi quei pochi mentre che mi tenevano lontani dal bagno. Aprii l'acqua che con un getto deciso iniziava a scorrere. La gambe si protrasse in avanti ed il mio piede si adagiò a terra con movimenti lenti ma decisi vi portai il mio corpo al suo interno fino a quando l'acqua calda non lo avvolse accarezzandolo. Socchiusi gli occhi mentre lasciai che l'acqua mi scivolasse . Con movimenti lenti accarezzavo il mio corpo insaponandolo ero davvero isolata dal mondo avevo liberato la mente, il silenzio aiutava ancor più a trasportare il mio benessere oltre ogni richiesta e solo lo squillare del telefono mi riportò alla realtà.  Uscii dalla doccia prendendo con passo veloce il telo  da bagno con una mano, lo avvolsi intorno al mio corpo e ritornando in camera  iniziai a frugare  tra le mille cose che coprivano la mia scrivania fino a quando ritrovai il mio cellullare 

<< Dannazione >> - esclamai guardando l'ora 8:15 erano i numeri che lampeggiavano sulla sveglia,  ero in ritardo di almeno 15 minuti e riportando il mio sguardo sul display del telefono il nome Margaret sembrava quasi urlare il mio nome -

<< Sto arrivando >> -  la mia voce risuonò in un tono frettoloso mentre afferrai tra le dita delle chiavi che feci risuonare per simulare  il rumore di chi si appresta ad uscire di casa.  Riagganciai senza darle modo di proferire altra parola e lanciando il telefono sul letto mi avvicinai correndo alla sedia vicino alla finestra senza accorgermene del telo che poco prima era scivolato dal mio corpo. Arrancai tra quelli che dovevano essere parte dei miei vestiti mentre dei   jeans e delle maglietta caddero a terra una dietro l'altra distruggendo quella pila poco ordinata.  

<< Dio >> - urlai appena mentre mi apprestai ad indossare l'intimo seguito da una t-shirt ed un jeans. Passai dinanzi allo specchio senza neanche guardarmi  mentre saltellavo su di una gamba infilando prima una scarpa e poi l'altra. Presi al volo il beauty case scendendo con velocità le scale, mi fermai di colpo vicino lo specchio  e lanciando un sguardo veloce all'ora ritornai a guardare la mia immagine riflessa nello specchio. Frugai tra le cose che avevo nel beauty case fino a trovare la spazzola che affondai senza pietà tra i miei capelli aggrovigliati fino a sciogliere tutti i nodi, a costo di riempire le setole di capelli. Presi il profumo e senza prestare attenzione lo spruzzai diritto sul mio viso. - << Cazzo >> - iniziai a tossire correndo in cucina, aprii di getto l'acqua del lavandino e portandovi la bocca vicino la sciacquai velocemente, la mia maglietta presentava gli schizzi dell'acqua ma  con noncuranza mossa dell'estremo ritardo afferrai al volo il giubbino uscendo di casa. Un colpo segno , ed un sorriso divertito, fu il segno della porta che avevo chiuso con estrema fretta, mentre correvo verso l'auto sfilando con un gesto deciso le chiavi dalla tasca.

Guidai per la statale A37 senza mai decelerare ad una velocità forse troppo alta per i miei standard  risultando quasi difficile mantenere l’attenzione sulla strada mentre tutto ti scorre velocemente davanti. Ma quella mattina non so come avevo perso la cognizione del tempo.  Svoltai di colpo allo svicolo  ed intensi suoni  di clacson invasero la corsia. Risi divertita per la mia disattenzione ma davvero ero nel panico. Mentre il tempo scorreva inesorabile  raggiunsi il parcheggio, non ero certa neanche che li fosse consentito parcheggiare, ma cos’altro poteva andar male quel giorno, una multa?! Mi apprestai a prendere le mie cose e chiudendo l’auto corsi spedita verso l’ingresso dell’edificio. Salutai l’usciere mentre quasi con goffaggine liberai una mano e con un leggero movimento delle dita gli sorrisi.

<< Buongiorno Mike>> - la mia voce risuonò nell’androne dell’edificio provocando un debole eco che si disperse da li a poco  

<< Buongiorno Liz >> -  il timbro della voce di Mike era profondo ed intenso da surclassare il mio eco ormai quasi del tutto svanito. Mi sorrise divertito con un sguardo complice, non una complicità maliziosa, ma l’espressione della complicità che un nonno avrebbe per la sua nipotina preferita. Si un nonno, perché un nonno? Perché Mike aveva circa 60, ed era davvero una cosi brava persona, era di bassa statura, il suo corpo come il suo viso rifletteva il duro lavoro e i sacrifici a cui quell’uomo si era sottoposto nel corso degli anni. Ma quando ormai il tempo aveva segnato il limite della sua fisicità allora decise di dedicarsi a qualcosa si più adatto e cosi ormai da 3 anni faceva l’usciere presto il Src – Social Resource Commercial, l’azienda presso la quale lavoravo da un anno prima part time  ed ora  avevo accettato il tempo pieno, nove ore lavorative durante le quali riuscivo a mantenere la mente impegnata. La mia vita sembrava davvero determinata nei minimi dettagli, minuto per minuto, come se fosse frutto di una mente contorta. Che dire, forse le cose stavano cosi, ma quando c’erano quei momenti in cui mi fermavo e il mio sguardo si perdeva fissando un punto non preciso era come se entrassi in trance e per quanto mi sforzassi i ricordi riaffioravano e cosi anche il dolore, la sofferenza, la tristezza. Un lusso che non volevo, ne potevo permettermi. Almeno questo me lo dovevo. Lo dovevo a Elizabeth Parker. Eh si, a volte tendevo a pensare a me parlando in terza persona. Forse davvero la mia mente aveva qualcosa che non andava, qualcosa si inquietante e contorto, ma per quanto mi sforzassi quei difetti li notavo solo io. Scossi la testa e l’ascensore che poco prima avevo preso per raggiungere il diciannovesimo piano apri le sue porte seguito da un leggero suono di campanello. Respirai profondamente e prendendo dei moduli in mano li sventolai in aria quando il Margaret , il mio capo a passo spedito mi stava raggiungendo, la sua espressione?! Infuriata .

<< Quasi un ora di ritardo!>> esclamò con quel timbro autoritario con il quale avrebbe messo soggezione anche alla persona più insensibile del pianeta.  Abbassai lo sguardo mentre mi apprestai ad entrare nell’ufficio e prima che qualcun altro potesse dir altro sul mio occasionale ritardo chiudi la porta alle mie spalle, tenni la mano ferma sulla maniglia e socchiudendo gli occhi vi adagiai le spalle, pochi attimi, qualche respiro profondo e mi spostai lanciando la borsa sul divanetto. Come consueta abitudine avevo un rituale tutto mio, il mio immancabile caffè,  di solito ero puntuale cosi da trovarlo  caldo sulla scrivania ma quella mattina il ritardo significo anche caffè freddo al quale non dissi di no.   Uno sguardo al di fuori dell’enorme vetrata mentre sorseggiavo quel caffè freddo dal sapore forse troppo intenso per i miei gusti.

Quella vetrata come ogni mattina mi deliziava mostrandomi il risveglio di quella città che tanto amavo quanto odiavo, Baton Rouge, Luisiana. Forse era l’unico momento dove non i preoccupavo del riaffiorare dei ricordi perché ogni mattina in quei pochi minuti i miei occhi scoprivano con piacevole sorpresa ogni nuovo dettaglio di quella città che pensavo di  conoscere nei minimi particolari. Ma quel silenzio che tanto adoravo fu irrotto da un semplice e chiaro gesto per attirare l’attenzione. Qualcuno si schiari la voce, corrugai la fronte e voltandomi inclinai di poco il viso sul quale comparve un espressione stranita mentre guardavo l’uomo che mi fissava divertito dall’altro lato del grande ufficio, mentre se ne restava con aria di superiorità appoggiato alla scrivania che fino al giorno prima era sempre stata vuota.

 - << E tu saresti? >> chiesi forse con un leggero tono di acidità mentre a passo deciso mi avvicinai alla mia scrivania sulla quale vi adagiai il caffè sostenendo senza timore alcuno il suo sguardo.

  
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