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Autore: mietitrebbia    25/11/2011    1 recensioni
In occasione del disastro giapponese
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Avevo, quando abitavo nella bassa padana, una carissima amica. Fidanzata plebea del conte Patrizio Maria, da tempo allontanatosi dalla famiglia d'origine per seguire i suoi sogni d'artista, viveva con lui in una mansarda bellissima e buia arredata di pochi mobili rubati ai parchi urbani. In confronto a loro io e mio marito eravamo ricchi, avendo almeno i soldi per far la spesa. Ai tempi si mangiava quasi solamente pastasciutta, perchè io non sapevo cucinare altro e non uscivo mai a comprare il pane. I miei due amici erano ospiti fissi a cena e mai ho visto una coppia così bella e innamorata. Non c'erano allora negozi cinesi dove comprare vestiti a cinque euro e io e la mia amica ci arrangiavamo come si poteva per apparire a la page. Lei era molto piccola e minuta, non potevamo nemmeno scambiarci i vestiti, quella per essere eleganti era una guerra persa in partenza, sembravamo sempre, nonostante laboriosi tentativi, due cialtrone. Meno male che non si andava mai in nessun posto: non si andava in pizzeria, né al cinema né in 'vasca' ...Eravamo boheme per davvero, senza l'aggravante della tisi. Ci volevamo tutti un gran bene. Ci chiamavamo tra noi con dei soprannomi, lei era Ava (gardner) io ero Rita (haiworth). Un bel giorno, in un tentativo di riavvicinamento (dopo aver minacciato il minacciabile di diseredamenti ecc...) la famiglia di lui invitò a un pranzo di parenti la famigerata coppia di concubini. Convinto dai fratelli minori, Patrizio accettò. Patrizio possedeva da tempi immemorabili un completo principe di galles, naturalmente non della sua taglia,un po' cortino di gamba, che abbinava ad un dolcevita marrone e col quale sfidava tutti gli avvenimenti mondani che la vita gli parava: matrimoni, funerali, colloqui per i lavori più improbabili...Patrizia (si, Patrizio e Patrizia) non aveva di decente nemmeno uno di quei vestitini da nonna di seta nera. Come i topi di Cenerentola ci adoprammo a riadattare alla sua figurina di fata un mio 'abito di scena' ottenendo un risultato " passabile peccato le scarpe". Finalmente giunse il dì della festa, che si svolgeva nella magione avita, maniero appenninico in cui si trovava persin la sala d'armi oltre alla sala da pranzo con mensa apparecchiata di vetri veneziani e stoviglie settecentesche. Calorosa l'accoglienza del conte padre (omino simile a un fattore irlandese basso e grassoccio, aveva generato una schiatta di vichinghi), tour del castello, presentazione ai cugini pazzi ed al feroce komondor di casa "non avesse a diventare aggressivo" e poi ci si siede a tavola. La mia amica era povera ma questo non vuol dire che non sapesse brillantemente conversare con qualunque progenie di nobilastro campagnolo e usare con sicurezza dell'assortimento di posate che erano allineate ai lati del piatto come soldati della wermacht. Si destreggiò sapientemente fino al secondo 'secondo' poi la maledizione della strega malvagia piombò su di lei sotto forma di coniglio in umido. Distratta dalla conversazione e dai primi segni d'ubriachezza del suo compagno, non s'accorse d' essersi servita della parte più ostica della bestia: lombata superiore e costole. Decide di affrontare la spinosa questione cominciando proprio da queste ultime: divide col coltello il pezzo, si guarda attorno, tutti usano coltello e forchetta, obnubilata la parte razionale di se infila la forchetta nel mezzo costato e se la caccia in bocca col massimo della disinvoltura. Ha denti potenti, la mia amica, e in ciò confida: affronta il bolo micidiale con un ruminare da mucca ma è come masticare i cavalli di frisia, ha in bocca l'inferno, facendo finta di tossire sputa nel tovagliolo ( che porterà a casa nascostamente) la cosa orrenda e, oppressa dal peso di quella colpa, perde un po' del suo smalto e si sente scema per il resto della serata. E' morta tanti anni fa, giovanissima, la mia Ava, d'un canchèr, come diceva lei e io, che sono la merda putrefatta che sono ed ero tornata in Toscana, la piansi da lontano ma non andai a trovarla nemmeno una volta, perché son troppo vigliacca e cattiva. Oggi, pensando alla storia brutta della centrale nucleare giapponese, cazzeggiando, mi è venuto da pensare che le centrali sarebbero una bella cosa se si sapesse dove sputare i noccioli. Ed è apparsa, all'improvviso, Patrizia col suo vestitino della festa e sono qui ancora che piango.
  
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