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Autore: _beast    26/11/2011    2 recensioni
La storia di Mihael Keehl, conosciuto meglio come Mello, e di Mail Jeevas, Matt, alla Wammy's House con la partecipazione e narrazione di una nuova protagonista e una piccola introduzione sull'entrata di Near nella Wammy's House. Sarà divisa in più capitoli (a dire il vero non so quando riuscirò a completarla!), partendo dall'infanzia dei protagonisti. Come trascorrevano le loro giornate all'orfanotrofio e dopo durante la caccia a Kira? Spero di sorprendervi con le mie idee (:
Genere: Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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                                                                                                                                                                                                           Anonymous


Linda mi sfiorò il gomito, come volesse chiamarmi. Mi girai per risponderle subito.  «Mi passi matematica?», sussurrò. La guardai, chiedendomi per quale motivo sussurrasse ma, senza proferire parola, le passai il quaderno, per poi ritornare alla lettura del mio libro. Linda era una ragazzina più piccola di me, dai capelli biondi, quasi sempre raccolti in una coda. Dal carattere incostante e frivolo, amava la Wammy’s House come la maggior parte di noi, adorante allo stesso modo dell’ozio e di quel ragazzino insulso e inutile di nome Thomas.  Mi ruotava intorno molto spesso, come se cercasse di distrarmi dalla mia unica vera distrazione, ovvero leggere. Distrazione? Lei la chiamava ossessione. Ma non mi importava.
Ero diversa da lei, non poteva capire, perlomeno non appieno. Lei non si curava del perché eravamo dentro quell’orfanotrofio, così anch’io. Tutti non potevamo sapere che la Wammy’s House era differente, che quelle lezioni si differenziavano da altre di altri istituti. Nessuno di noi immaginava cosa eravamo, a cosa servivamo, ma soprattutto, a chi.
Non precisamente, mi correggo.
Tutti eravamo a conoscenza del grande detective L, colui che ci aveva preso in custodia. Eppure, con i nostri pensieri candidi  e innocenti, non potevamo sapere che le nostre  situazioni erano speciali.
Ciò lo compresi dopo quasi un anno.
Cavie. Eravamo cavie.
Eravamo animali, riuniti in un orfanotrofio, che, superando prove complesse, contribuivano alla decisione finale.
La secessione di L.
L.
Il grande L. Pur sapendo il suo “nome” non sapevamo chi era veramente. Alcuni, troppo sospettosi e addirittura irritanti a mio parere, sostenevano che L non esisteva. Idiozie. La maggior parte, tra cui anche Linda, impegnava tutto il loro essere nella competizione. Mi correggo, Linda era un caso a parte, perché la sua voglia di dare il meglio di sé mancava.
Eravamo una ventina, non di più. Ogni tanto qualcuno veniva trasportato in altre strutture, per poi ricomparire più tardi. Immagino che possa sembrare eccitante dal punto di vista altrui vivere in un posto simile, ma ogni secondo della mia infanzia lo trovavo monotono, identico al precedente, identico al successivo.
Quel giorno, era primavera ed io ero sdraiata nell’erba con un  libro tra le mani,un vecchio aprì il cancello principale, stringendo una mano ad un’altra, incredibilmente piccola. I bambini urlanti nel cortile sembrarono non accorgersene e continuare i loro giochi, e il signore e la creaturina a seguito sorpassarono la porta massiccia dell’entrata. Chiusi di scatto il libro che stringevo, e riacquistando l’equilibrio che avevo quasi perso, corsi velocemente verso la sala principale.
Roger si torturava quelle sue mani nodose vicino al petto, osservando il bambino arrivato con un’espressione di falsa felicità, il sorriso rugoso tirato orribilmente, gli occhi chiari e impenetrabili facevano la spola tra il viso del ragazzino e dell’anziano.
«Lui è Near», disse lo sconosciuto con voce calda e profonda, solenne.
Il bambino non sembrò quasi accorgersene, e non spostò lo sguardo da un puzzle che si trovava al suo fianco, dimenticato da qualcuno, i pezzi che fuoriuscivano dalla scatola. Si tormentava i capelli chiari con l’indice, arrotolandoseli intorno. Aveva un aspetto incredibilmente fragile, come se fosse il guscio di una conchiglia.
«Lo presento agli altri ragazzi?», chiese senza gioia Roger, perfino con noia.
«Lo farò io», rispose garbatamente l’altro.
In quel momento capii che quel “Near” non era come gli altri.
Il bambino non ostentò la presa della mano e, spostando finalmente lo sguardo dal puzzle nella scatola, girò leggermente la testa e mi guardò. Fui sorpresa di osservare due occhi incredibilmente neri e profondi, ma senza espressione, vuoti. Due pozzi scuri che erano in sorprendente risalto con la pelle chiara, così come lo erano i capelli. Guardandolo di schiena, avrei detto che fosse albino.
Pur in tutta la sua altezza, circa fino a mezza coscia del suo accompagnatore, sembrava minuscolo.
Sostenni il suo sguardo per pochi secondi, poi, lasciai cadere con un tonfo il libro che avevo in mano, e corsi di nuovo in giardino.
Fatto sta, dopo poco il signore, Quillish Wammy, ci presentò il nuovo arrivato.
 
  
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