Oh my life is changing every day,
in every possibile way.
And though my dreams,
it's never quite as is seems.
Prologo
Quando tutto ebbe inizio.
Il mio nome è Milla Katherine Blake.
Sono nata e vissuta a Los Angeles –sì, quella città sul mare, dove girano le bionde ossigenate con in braccio quei topi di mille colori che si ostinano a chiamare ‘cani’. Ma non preoccupatevi. Io non sono una di queste.
Anche perché, se lo fossi, a chi interesserebbe la mia storia?
Dicevo. Sono nata e vissuta a Los Angeles, blablabla, piacere di conoscervi.
Ma ora smettiamola di parlare di me, anche perché, forse, sono la parte meno interessante dell’intera storia. Una storia molto, molto grande, e forse altrettanto complicata. Ma cosa sto aspettando?
-
Era una calda giornata d’agosto, e stavo correndo verso casa mia come una matta, tenendo in mano un sacchetto di plastica quasi fosse un tesoro inestimabile. E per me, beh, lo era.
Casa mia è una delle classiche villette bianche a due piani di fronte al mare che si vedono nei reportage su LA. Giardino esterno, pastore tedesco che scodinzola –altro che quei topi da borsetta!- e cose del genere.
Mi scostai una ciocca di capelli rosso ramato dagli occhi e sbuffai, incespicando nelle mie all star rosa fluo. Non ero mai stata una brava atleta, e ormai correvo da ben quindici minuti, nella speranza di arrivare a casa il prima possibile.
Il motivo di tutta questa fretta? Ma ovviamente il contenuto della bustina di plastica. Il mio tesoro inestimabile.
L’inizio di tutti i miei guai e anche di questa storia decisamente stramba e tutt’altro che verosimile. Perciò vi avverto subito: se siete una di quelle noiose persone che la sera prima di addormentarsi leggono cose come ‘la storia del Caffè’ o ‘i 10 migliori modi per completare un’equazione’ potete anche chiudere. Se non lo siete, beh, perdonate questa piccola parentesi.
Come stavo dicendo, arrancavo disperata verso casa. Dovevo riuscire ad arrivare a casa entro dieci minuti, o il mondo sarebbe caduto come i Maya avevano predetto. E io non potevo assolutamente permettermelo. Ogni tanto faccio queste innocue e semplici scommesse con il destino. Se resterete sintonizzati, imparerete a considerarlo normale, credetemi.
Toccai il cancelletto bianco di casa mia nove minuti e sette secondi dopo. Il mondo era salvo.
Mi scostai una ciocca di capelli rosso ramato dagli occhi e feci un respiro profondo, infilando la chiave nella toppa e scostando il cancello. Non feci neanche in tempo a mettere piede sulla ghiaia del vialetto che un pastore tedesco grande quanto me mi saltò addosso.
« Buono, Wolfie, buono! » gridai, agitando le braccia e cercando di spostarlo.
Lui smise di farmi le feste e si allontanò un poco, scodinzolando. Io gli sorrisi e passai avanti, sempre tenendo la mia bustina di plastica al sicuro, lontano dalle fauci fameliche di quel mostro sproporzionato.
« Milla è a casa! » gridai, appena aprii la porta della villetta.
La prima cosa che vidi, fu un asciugamano color frittata calarmi sugli occhi.
« Signorina Milla! Siete … siete … siete ricoperta di bava di cane! » starnazzò una voce acuta vicino al mio orecchio.
Questa voce apparteneva a Charlotte, la cameriera che da anni cercavo di cacciare via da casa ma che mia madre si ostinava a tenere. Non che fosse cattiva e cose del genere, ma la sola idea di avere una cameriera mi faceva venire il voltastomaco.
Mi tolsi l’asciugamano dagli occhi e ricacciai indietro un’imprecazione non proprio carina.
« Sai, abbiamo un cane qui fuori. Si chiama Wolfie, nel caso non l’avessi mai conosciuto. Ora me ne vado in camera mia, poi se vuoi potrò presentartelo. » borbottai, stizzita. Poi buttai l’asciugamano per terra e corsi su per le scale, percorrendo il tragitto tra la porta e camera mia in tempi record.
Non perderò tempo a descrivermi la mia camera, so quanto questi dettagli possano annoiare la gente. Sappiate solo che ci sono due colori predominanti: il bianco, come il letto, la scrivania, i muri e il soffitto, e verde fluo, come l’armadio, la sedia e qualsiasi altro oggetto. Il verde fluo è sempre stato il mio colore preferito.
Feci un sospiro profondo e con una lentezza quasi religiosa aprii l’incarto di plastica. Al suo interno, vidi il mio tesoro, il mio grande amore … l’inizio di tutti i miei guai: Inheritance.
Il libro conclusivo della serie del Ciclo dell’Eredità mi attendeva, brillante di luce. Feci un sorriso soddisfatto e lo afferrai al volo, lanciandomi di peso sulla poltroncina verde mela.
Finalmente, pensai, aprendo la prima pagina.
La dragonessa Saphira ruggì e i soldati davanti a lei tremarono sgomentati.
« Seguitemi! » gridò Eragon. Levò Brisingr sopra la testa perché tutti la vedessero. La spada azzurra, stagliata contro il banco di nuvole nere che si addensavano a ovest, scintillò di un bagliore iridescente. « Per i Varden! »
Ad un tratto, la casa tremò. Non fu una di quelle scosse che ogni tanto sentiamo, leggera e quasi impercettibile. Quello che fece vibrare la mia villetta bianca fu un vero e proprio terremoto. Mi alzai di scatto, terrorizzata, con un grido.
La stanza intorno a me aveva iniziato a vorticare sempre più velocemente. Corsi verso la porta, ma inciampai e finii a terra, battendo la testa.
L’ultima cosa che ricordo chiaramente è il libro che cadeva a terra, con un tonfo sonoro, e una leggera nebbia verde chiara che si espandeva dalle sue pagine. Il pavimento sotto ai miei piedi si scuoteva pericolosamente e una profonda spaccatura si formava sul soffitto, proprio sopra di me.
Poi, il buio.
Angolo Autrice:
allora allora allora!
intanto, sono felice di essere tornata a scrivere qualcosa per questo fandom, perché sinceramente lo adoro! *w*
poi ... al momento, questa storia non è per nessuno. anzi, forse è per me, ma dubito che ciò vi interessi.
ma andiamo sodi al dritto! Questo prologo è un po' confuso, sì? bene, era quello che speravo.
il prossimo capitolo sarà moooolto più comprensibile, credetemi C:
so di non avervi dato molto materiale, ma mi piacerebbe comunque sapere le vostre opinioni su quel che ho scritto (:
al prossimo capitolo!
M.