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Autore: Ari_92    26/11/2011    8 recensioni
Piccola one-shot Klaine.
Tornate indietro di qualche anno, prendete un po' di malinconia e aggiungete un pizzico di fluff: otterrete questa storia ^_^
Genere: Fluff, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Coppie: Blaine/Kurt
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Buonasera a tutti ^_^
Non so da dove sia uscita esattamente questa one-shot... In realtà ieri sera stavo scrivendo tutt’altro, e a un certo punto dal nulla mi è venuta questa idea, e... Ok, forse so da dove è uscita: nostalgia inconsulta della babyKlaine -.-“
Eeeeh beh, sono il mio debole xD
In ogni caso, qualche piccolo avvertimento su questa storia :)
Devo ammettere che per una come me è abbastanza strano scrivere qualcosa del genere, tuttavia sì, questa one-shot è un po’... triste. Beh, più che triste malinconica, soprattutto all’inizio, ma evidentemente ero in vena, non lo so xD
In ogni caso spero che questa storiella vi possa piacere nonostante sia un po’ fuori dai miei standard ;)
Ah! Ovviamente un pizzico di fluff non poteva mancare *w*
Grazie in anticipo a chiunque leggerà e a chi avrà voglia di lasciare un commento: ogni recensione è sempre graditissima :)






 

 
 

                                                                                                                                                          BLUE VIOLETS
 

 
 
 
Kurt aveva sempre amato i fiori.
 
Gli piacevano le loro forme sempre diverse, i colori vivaci, tenui o pastello; quella consistenza morbida e liscia dei petali, tanto belli quanto estremamente fragili, al punto che solo a toccarli si ammaccavano.
E poi il loro profumo: dolce, intenso, lieve, e Kurt trovava sorprendente che avessero così tante qualità tutte insieme.
 
Gli piaceva raccoglierli, sfiorarli, sentirne l’odore e metterli in uno di quei vasetti di vetro troppo piccoli dove immancabilmente sfiorivano ma, prima che se ne accorgesse, erano già stati sostituiti da un nuovo mazzolino.
 
Kurt sapeva che in realtà era la sua mamma a rinnovare i fiori nei vasetti, però era bello far finta che fossero sempre gli stessi.
 
Gli piacevano tutti i tipi di fiori, perché credeva che ognuno fosse speciale a modo suo, anche se magari aveva un profumo un po’ insolito, o una consistenza strana.
Gli piacevano tutti, certo, tuttavia non poteva negare di avere un debole per quelle particolari violette blu scuro che crescevano nel parchetto vicino a casa dove qualche volta i suoi genitori lo portavano a giocare.
 
Quando accadeva, non c’era volta che Kurt non cogliesse uno di quei piccoli fiori e lo porgesse alla sua mamma, che come sempre si fingeva estremamente sorpresa e si sistemava la violetta tra i capelli.
 
Kurt trovava che i suoi occhi verde-azzurri si intonassero alla perfezione con quel particolare tipo di fiore.
 
Quegli occhi splendidi che non aveva nessuno tranne lei, contornati da lunghe ciglia scure che – secondo Kurt – rendevano la sua mamma ancora più bella di quanto non fosse.
 
 
 
Kurt aveva sempre amato i fiori fino a quando, un giorno, cominciò ad odiarli.
 
Li detestò, quando fu costretto in un vestito eccessivamente elegante per i suoi otto anni. Quando si trovò circondato da parenti che non sapeva di avere, incapaci di dire altro se non ‘poverino, così piccolo...’
 
Li detestò, quando tutto il prato innaturalmente disseminato di grossi sassi scuri cadde in un silenzio irreale, mentre un uomo sconosciuto raccontava alle persone presenti di quanto fosse fantastica la mamma di Kurt.
E Kurt avrebbe solo voluto dire che lo sapeva, sapeva quanto fosse straordinaria la sua mamma, ma quel silenzio sembrava assorbire tutte le parole.
 
Li detestò, quando lo stesso uomo pose una coroncina di fiori sul grosso sasso scuro che riportava inciso – Kurt lesse a fatica – il nome della sua mamma.
 
Guardò quella coroncina, e senza volerlo gli tornarono in mente le parole del suo papà.
 
“Non c’è più, Kurt.”
 
Non c’era più.
 
La sua mamma non c’era più, in qualche assurdo modo che non poteva spiegarsi.
Non era lì, e non sarebbe tornata.
L’aveva lasciato solo, l’aveva lasciato con quella ghirlanda di boccioli chiari, che a Kurt apparvero improvvisamente per quello che erano: freddi, spenti, distanti.
 
 
Quando i fiori nel vasetto di vetro appassirono, Kurt li buttò via, e si ripromise tacitamente di non riempirlo mai più.
 
 
 
Lacrime.
 
Kurt non aveva quasi mai pianto nella sua breve vita.
Solo qualche volta, quando si era sbucciato un ginocchio, o quando il suo papà non aveva potuto giocare a prendere il the con lui perché doveva andare al lavoro.
 
Kurt non aveva pianto neanche quando gli avevano detto che la sua mamma non c’era più, semplicemente perché non aveva capito cosa volesse dire esattamente.
 
Le lacrime erano arrivate dopo.
 
Quando il suo papà ometteva alcune strofe della canzoncina che canticchiava la sera per farlo addormentare. Perché non era abituato, perché di solito era la mamma a farlo.
 
Quando si ripeteva all’infinito quella filastrocca in testa, terrorizzato all’idea che venisse dimenticata, che non ci fosse più neanche lei.
 
Quando prima di uscire cercava una mano morbida e sottile a cui aggrapparsi, e ne trovava sempre una grande e ruvida.
 
Quando apriva i cassetti nella camera dei suoi genitori, si sdraiava sul pavimento e lasciava che il profumo inconfondibile della sua mamma riempisse la stanza. E lui rimaneva lì a respirarlo, finché non richiudeva i cassetti terrorizzato all’idea di consumarlo, perché doveva tenerlo al sicuro lì dentro, o sarebbe sparito anche lui.
 
 
Cimitero.
 
Kurt aveva avuto tempo per imparare a detestare quella parola.
Tempo per capire che, sebbene la sua mamma si trovasse là, andarla a trovare non lo faceva sentire più vicino a lei.
 
E poi c’erano i fiori.
 
Kurt detestava i fiori.
 
C’era un piccolo negozietto che ne vendeva a mazzi confezionati proprio davanti al cimitero, ma quando – come ogni domenica – Kurt andava a trovare la sua mamma, non si fermavano mai in quel posto.
 
Il suo papà diceva che l’uomo che vendeva i fiori aveva sempre un’espressione troppo triste. Così andavano a sceglierne un mazzo ogni volta diverso dall’altra parte della città, nel negozio più grande e fornito di tutta Lima.
Lì le persone erano allegre, spensierate, e non avevano l’aria triste dell’uomo del cimitero. Kurt però si sentiva triste lo stesso, e l’odore dei fiori lo infastidiva, così come i loro colori sgargianti e le loro forme esagerate.
 
Quel giorno il negozio era praticamente vuoto, e Kurt fu sollevato di non dover vedere tutte quelle persone allegre che trotterellavano tra i fiori.
 
Dietro al bancone c’era la solita donna di sempre: sorriso cordiale, capelli neri e mossi ordinatamente pettinati in una coda di cavallo.
La pelle olivastra in perfetto accordo con i suoi occhi nocciola, in una bellezza semplice ed estremamente adatta all’ambiente in cui lavorava.
 
Il papà di Kurt stava indicando alcuni fiori che voleva aggiungere alla composizione di quel giorno, quando venne interrotto dalla voce squillante di un bambino.
“Mamma! Mi annoio...”
“Blaine! Torna subito di là!”
“Ma mi annoio!” Protestò di nuovo un ragazzino che aveva appena fatto il suo ingresso dall’altra stanza, tirando la donna al bancone per il grembiule.
“Blaine, te l’ho già spiegato: devo lavorare, e bisogna che tu aspetti di là mentre-“
 
“Non si preoccupi, sono bambini...” La tranquillizzò con un sorriso il papà di Kurt, lanciando poi uno sguardo a suo figlio.
“Perché non giochi un po’ con Kurt, mentre io scelgo i fiori da prendere?” Chiese al bambino, che si illuminò subito in un gran sorriso.
 
Kurt osservò i capelli arruffati di Blaine, e non gli ci volle molto a capire che era esattamente il tipo di persona che non si limita a sorridere con la bocca, ma riesce a farlo con tutto il corpo.
 
Blaine fece qualche passo verso Kurt e lo prese per mano.
 
La sua pelle era liscia, morbida e – anche se le sue mani erano molto più piccole – a Kurt per un momento sembrò di essere sostenuto dalla famigliare stretta della sua mamma, e – ne era certo – era proprio per questo che il suo cuore accelerò un pochino.
 
Blaine lo trascinò con sé attraverso un piccolo corridoio tappezzato di bustine di sementa, per poi arrivare in un’enorme stanza piena di tutti i tipi di fiori, che sembravano moltiplicarsi a causa del grande specchio che ricopriva interamente una delle pareti.
 
Il profumo era intenso, e i colori brillavano di vita.
Kurt detestava i fiori.
 
“Ciao! Io mi chiamo Blaine.” Esclamò il ragazzino dagli occhi color caramello, lasciando andare delicatamente la mano dell’altro.
“Io Kurt.” Disse, storcendo il naso per l’odore della stanza.
“Perché fai quella faccia?”
“Non... Non mi piacciono i fiori.”
 
Blaine spalancò i suoi occhioni brillanti, e Kurt pensò che avevano davvero un bel colore.
 
Come non ti piacciono i fiori?!” Domandò, e sembrava talmente sconvolto che Kurt dovette trattenersi per non scoppiargli a ridere in faccia. Blaine assunse un’aria pensierosa, poi tornò a sorridere.
 
“Aspetta, ho un’idea! Tu mi dici quale fiore sarei io se fossi un fiore, e poi io lo dico a te.” Kurt si accigliò.
“Ma a me non piacc-“
“Dai! Non possono non piacerti!” Lui sbuffò, un tantino irritato dall’insistenza di quel bambino.
 
Si guardò intorno per quanto la sua bassa statura glielo potesse consentire, alla ricerca di un fiore che assomigliasse a Blaine.
C’erano mazzolini di papaveri, gardenie, tulipani e mille altre specie di cui Kurt ignorava il nome.
 
“Quelli.” Decretò alla fine, indicando un piccolo insieme di fiorellini rossi dai petali sottilissimi sistemati ai piedi della specchiera.
“Le camelie? Perché?” Kurt si strinse nelle spalle.
“Sono piccole, però anche coloratissime. Sono carine.” Spiegò, e in effetti Kurt trovava davvero che Blaine fosse carino: gli piaceva il modo in cui sorrideva, e il modo in cui i suoi occhi brillavano quando succedeva, come in quel momento.
“Grazie.”
 
Kurt sorrise a sua volta, ed era come se avesse ricordato improvvisamente come si faceva.
 
“...E io che fiore sarei?” Blaine assunse un’aria concentratissima, e di nuovo Kurt si sforzò di non ridere. Poi il bambino dai riccioli scuri sembrò essere colpito da un’illuminazione.
“Vieni con me!”
 
Blaine allungò di nuovo la mano e Kurt la strinse istintivamente, seguendolo dall’altra parte della sala immensa.
 
“Qui.” Esclamò, rovistando dietro un vasetto contenente una piccola rosa, fino a trovare ciò che stava cercando.
 
Blaine riemerse con un mazzolino di violette blu scuro in mano.
 
“Queste.” Kurt strizzò forte gli occhi, augurandosi con tutte le sue forze di non scoppiare a piangere proprio ora.
Il ragazzino riccioluto gliene porse una in modo che potesse annusarne il profumo, e Kurt avrebbe solo voluto che quel semplice aroma non passasse direttamente dalle sue narici alle corde del suo cuore, in un modo che faceva così male da bruciare.
 
“...Perché le viole blu?” Blaine sorrise dolcemente, e Kurt si sentì un po’ più leggero.
“Vieni a vedere!” Disse semplicemente, accompagnando Kurt fino al grande specchio della stanza.
 
“...Posso?” Chiese, sventolandogli davanti uno dei fiorellini.
Kurt annuì meccanicamente, anche se non aveva idea di cosa Blaine avesse intenzione di fare, però – in qualche strano modo – sapeva che sarebbe stato d’accordo.
 
Il ragazzino gli portò delicatamente una mano sulla guancia, mentre con l’altra gli sistemava attentamente i capelli dietro alle orecchie.
 
Kurt ebbe un brivido, ed era strano, perché non faceva freddo.
 
Blaine sorrise ancora, e gli fece scivolare tra le ciocche dei capelli il gambo della violetta, incastrandolo come meglio poteva per assicurarsi che non cadesse.
 
Poi si allontanò, e Kurt sfiorò istintivamente con le dita la propria pelle, dove pochi attimi prima erano appoggiate le dita di Blaine.
 
“Adesso guardati.” Lo incoraggiò il ragazzino, indicando il suo riflesso nello specchio.
Kurt fece come gli era stato detto.
“Le viole blu fanno sembrare i tuoi occhi ancora più belli.” Asserì con un sorriso sincero, e a Kurt sembrava incredibile.
 
Incredibile che qualcun’altro al mondo potesse avere gli stessi occhi della sua mamma.
 
Incredibile che quella persona fosse lui.
 
Kurt sorrise, e per la prima volta sapeva che sarebbe successo di nuovo, perché era come se la sua mamma ci fosse ancora, da qualche parte dentro di lui.
“Grazie.” Disse sinceramente.
 
“Kurt! Dobbiamo andare!”
“Arrivo.”
 
Blaine allungò l’intero mazzolino di viole blu a Kurt, che lo fissò con sorpresa e una punta di imbarazzo.
“Io... Non ho con me i soldi per comprarle...” Il ragazzino socchiuse la bocca in un’espressione sorpresa.
“Ma non devi comprarle! Te le regalo.” Kurt abbozzò un sorriso impacciato, prendendo il mazzolino dalle mani di Blaine.
 
“Grazie Blaine, davvero.” Lui annuì, facendo ondeggiare i suoi riccioli scuri.
“Appassiscono in fretta. Sono sempre qui, quando ne vuoi un mazzo nuovo.”
 
 
 
Quel pomeriggio Kurt ripescò quello stesso vasetto di vetro che, poco tempo prima, aveva creduto sarebbe rimasto vuoto per sempre.
 
Lo riempì d’acqua e vi immerse le sue violette blu.
 
E Blaine aveva ragione: quei fiori appassivano in fretta.
 
Kurt avrebbe potuto procurarsene comodamente di nuovi nel parchetto vicino a casa, ma non lo fece.
Perché da quel giorno, Kurt smise di detestare i fiori, e l’enorme negozio di piantine nel centro di Lima non gli parve più così terribile. 

  
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