Titolo: Al Sorgere dell’Aurora
Autore:
Nemeryal
Fandom: Axis Power Hetalia
Rating: Giallo
Genere: Slice of Life,
Triste, Malinconico.
Avvertimenti: Missing Moments,
Shonen-Ai, OneShot
Personaggi: Gilbert Beilschmidt/ Prussia, Roderich Eldestein/Austria,
Ludwig/Germania.
Pairing: PrussiaxAustria
Musica: Figlia del Cielo III – Roberto Cacciapaglia
Trama: Se la giacca si strappasse per il sudore,
Austria la rammenderebbe. Se la camicia si lacerasse, Austria prenderebbe
subito ago e filo.
Quindi è per questo motivo –per il rammendo e i buchi e il risparmio- che può permettersi di correre
senza sosta lungo le strade di Berlino, incurante della gente che lo soffoca e
lo abbraccia e gli urla e ride e lo spinge fino quasi a farlo cadere.
Dedica: a Silentsky e a Rota.
Note: Sì, è quasi l’una di
notte. Ma avevo voglia di scrivere una PruAus. Un’altra. E infatti questa non è
che il seguito de Rinasce il Mondo col Primo Sole.
Potete leggerla anche senza aver letto
l’altra, ma credo che cogliereste meglio la parte finale leggendo la prima.
La data alla fine della storia credo
possa aiutarvi ancora di più con la comprensione :3
Al Sorgere dell’Aurora
[Vienna]
-Signorino Roderich..!-
La melodia si spezza nel mezzo della nota.
Austria alza gli occhi, infastidito, rivolgendo al maggiordomo uno
storcersi seccato delle labbra.
-Hans- sibila –Vi avevo detto di non disturbarmi-
-Il Muro, signorino Roderich! È caduto!-
[Berlino]
Roderich trova che la corsa sia una volgarità
gratuita, un divertimento della plebaglia che per macinare inutilmente polvere
e sassi, spende patrimoni e ipoteca case al primo foro sulla suola.
È inutile affrettarsi e catapultarsi sulle strade,
slogandosi caviglie e stirandosi muscoli: si ottiene solo un gran sudore, il
sudore indurisce i tessuti e i tessuti induriti si strappano.
E la gente, ovviamente, non li rammenda, portando il
circolo vizioso della spesa ad un nuovo giro.
Se la giacca si strappasse per il sudore, Austria la
rammenderebbe. Se la camicia si lacerasse, Austria prenderebbe subito ago e
filo.
Quindi è per questo motivo –per il rammendo e i buchi e il risparmio- che può permettersi di correre
senza sosta lungo le strade di Berlino, incurante della gente che lo soffoca e
lo abbraccia e gli urla e ride e lo spinge fino quasi a farlo cadere.
Austria sgomita tra la folla, che non pare avere
intenzione di disperdersi: è notte, ma la gente ancora canta, nonostante il
freddo e la pioggia che bucherella l’asfalto di gocce gelate; le mani sono alte
nel cielo e le lacrime palpitano bianche sotto la luce asettica dei lampioni.
Roderich continua a correre, col fiato conficcato
nei polmoni e la gola riarsa. Avrebbe potuto ordinare ad Hans di portarlo fino
a Berlino, oppure attendere la mattina per prendere il primo aereo diretto in
città, ma le gambe non hanno saputo aspettare. Si è alzato di scatto, facendo
cadere gli spartiti dal pianoforte, ha raggiunto l’entrata a grandi falcate, ha
aperto la porta e si è lanciato in avanti.
Germania una volta gli ha raccontato di come Italia
avesse attraversato –nudo- il confine con la Svizzera solo per arrivare a casa
sua. Roderich non gli ha mai creduto veramente.
Almeno fino ad ora.
Quasi incespica nello svoltare verso la stradina che
porta all’abitazione di Ludwig; un ghigno di vittoria gli solleva d’improvviso
le labbra e Austria stesso si stupisce della propria reazione. Un istante di
sospensione, poi il suo pensiero torna alla corsa, alla casa, al Muro.
Vede il giardino di Ludwig davanti a sé, la
staccionata bianca, il vialetto di ghiaia; le luci al pianterreno sono accese,
segno che qualcuno è in casa; il cancello, aperto, è l’unica immagine che non
viene inghiottita dall’ombra di panico e disperazione che artiglia la sua mente.
Perché Roderich lo sente, lì, all’altezza del petto,
il dubbio che si fa strada, e gli rende le gambe fiacche, gli blocca il
respiro, gli arresta il battito cardiaco.
Ma Austria tenta di non pensarci e arriva esausto
alla porta, tanto da non riuscire nemmeno a sollevare il pugno per bussare; a
rendere conto della sua presenza sono i cani di Germania, che cominciano a
latrare e ad abbaiare, come impazziti.
I cardini cigolano e Roderich deve serrare le
palpebre per non rimanere accecato dal fascio di luce che arriva dal corridoio.
-Österreich?-
La voce di Ludwig è roca, di chi ha pianto molto.
Austria alza la testa e lo fissa, ansante. Gli occhi azzurri sono cerchiati di
nero e chiazzati di rosso, di chi non ha più lacrime da versare. Ma nonostante
tutto, il viso di Germania è illuminato da un sorriso. Stanco, ma pur sempre un
sorriso.
-Vieni con me- gli dice e Roderich lo segue senza
proteste, lungo il corridoio, su per le scale, accanto a stanze polverose e
porte chiuse.
-Entra-
A dispetto del fastidio che quel tono autoritario
solitamente gli procura, Austria fa come Ludwig gli ha consigliato e poggia la
mano sul legno scrostato, dando una lieve spinta. Un filo di luce si srotola
sulle assi del pavimento fino alle pieghe delle lenzuola e da lì si incunea
seguendo il profilo di un corpo disteso sotto le coperte.
Roderich muove un passo incerto, poi un altro, nel
mentre che il nastro dorato creato dalla lampada si assottiglia sempre di più;
sente appena il mormorio spezzato di Ludwig dietro di sè.
-Non ricorda ancora molto, ma..-
Poi è solo il bagliore della strada che sgocciola
dalle persiane semi abbassate.
Austria si avvicina al letto, esita quasi per timore
di svegliare..come dovrebbe chiamarlo? Prussia non è più. Germania dell’Est ha
appena cessato di esserlo. Forse..
-Gilbert- sussurra.
Un passo ed è inginocchiato al suo capezzale; la
polvere gli pizzica le ginocchia, le schegge del parquet logoro gli pungono la
pelle, ma niente è come quel viso livido e smagrito affondato nei guanciali.
Nulla come il respiro crepitante tra le labbra spaccate, come le cicatrici
biancastre sulla pelle innaturalmente pallida, come il sangue rappreso tra le
ciocche ispide.
-Gilbert- tenta ancora e questa volta pare che il
suo richiamo abbia avuto effetto.
Le palpebre del prussiano tremano appena, rivelando
due schegge d’iridi opache; la bocca si solleva in un accenno di sorriso e poi
ricade, esausta e incolore, tra gli zigomi appuntiti.
Austria gli prende le mani, abbandonate sul ventre,
e se le porta alle labbra, chiudendo gli occhi; l’altro non si ribella –potrebbe?- e allora Roderich gli
accarezza le spalle, la linea del collo, le guance e affonda le dita fra i
capelli. Avvicina il viso a quello di Gilbert, accosta la bocca alla sua,
soffiandovi sopra un po’ di vita.
Ma non ci sono reazioni e il corpo del prussiano è gelido
quanto la notte di Berlino.
L’austriaco lascia ricadere le braccia lungo i
fianchi, sconfitto, e fa per alzarsi; ed è allora che sente una mano scheletrica
aggrapparsi al suo polso.
-Aspetta
ancora- mormora Gilbert, sollevando appena le spalle dai cuscini –Resta qui mentre sorge l’aurora- tende l’altro
braccio, cercando di accarezzargli il viso –Rinasce
il mondo col primo sole..-
Un raggio scarlatto saetta dalle imposte: nel gelo
del mattino che occhieggia dalle finestre, l’unico calore è quello di una
lacrima –la sua- che scivola sulle
labbra del prussiano.
[Mattino del 10 Novembre 1989]