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Autore: harinezumi    27/11/2011    4 recensioni
Gocciolante.
Si ritrovava gocciolante in bagno, praticamente in lacrime e bagnato fin dentro i calzini, fissando il proprio riflesso sullo specchio sporco e graffiato del pub. Tremava, ma non per il freddo (al contrario, il tè che gli era appena stato rovesciato addosso era bollente), quanto piuttosto per cercare di sbollire la rabbia, motivo per cui il suo capo l’aveva cacciato a ripulirsi senza che riuscisse ad attaccar briga con il simpatico cliente che aveva sprecato così un ottimo Earl Grey.
[a LadyBracknell, che mi ha minacciata implicitamente di morte finché non le ho presentato questa fanfic (ma le voglio bene lo stesso)]
Genere: Fluff, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Austria/Roderich Edelstein, Inghilterra/Arthur Kirkland, Nuovo personaggio, Prussia/Gilbert Beilschmidt, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: A nice cup of tea
Genere: Fluff
Rating: Verde
Parole: 2616
Personaggi: Inghilterra (Arthur Kirkland), Spagna (Antonio Fernandez Carriedo), !OC Scozia (Ian Kirkland), Prussia (Gilbert Beilschmidt), Austria (Roderich Edelstein)
Avvertimenti: AU, One-shot, Shonen-ai
Note: la fanfic fa parte di una AU che non ho mai pubblicato (né finito).
Disclaimer: tutti i personaggi di Hetalia appartengono a quel gran maniaco di Himaruya.


Questa fanfic è stata estremamente voluta da LadyBracknell e io non me ne prendo la responsabilità. Spero che a qualcuno di svitato quanto lei piaccia questa robaccia che ho scritto con tanto amore (credo) v-v vi ringrazio della cortese attenzione *inchino*

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A nice cup of tea

 
«Bloody shit
Gocciolante.
Si ritrovava gocciolante in bagno, praticamente in lacrime e bagnato fin dentro i calzini, fissando il proprio riflesso sullo specchio sporco e graffiato del pub. Tremava, ma non per il freddo (al contrario, il tè che gli era appena stato rovesciato addosso era bollente), quanto piuttosto per cercare di sbollire la rabbia, motivo per cui il suo capo l’aveva cacciato a ripulirsi senza che riuscisse ad attaccar briga con il simpatico cliente che aveva sprecato così un ottimo Earl Grey.
Arthur si premette il pollice e l’indice sulle palpebre chiuse strizzandole un paio di volte, cercando di riprendere a pensare in maniera lucida; una volta che sentì la rabbia abbandonarlo e lasciare il posto ad un muto avvilimento, si tolse il grembiule da cameriere zuppo e lo gettò malamente in un angolo, lasciando scorrere l’acqua di uno dei lavandini per sciacquarsi il viso. Quando si fu asciugato ed ebbe cercato di pettinare i capelli appiccicosi di tè in modo che gli dessero un aspetto sufficientemente presentabile, sistemò la maglietta umida e si riguardò allo specchio, vedendo un’immagine in pratica uguale ad un attimo prima.
L’unica cosa che avrebbe davvero dovuto preoccuparlo, ovvero le proprie sopracciglia un bel po’ più alte del normale, passò inosservata e lui si concentrò piuttosto sulla propria espressione imbronciata, cercando di fare almeno un tiepido sorriso. Lo specchio non gli dette nessuna giustizia, facendolo sembrare ancora più indispettito.
Arthur sbuffò, uscendo dal bagno con un ringhio e sbattendo la porta dietro di sé.
Si trovò all’istante davanti il proprio capo, che si aggiustò gli occhiali sul naso e si sistemò i polsini della camicia prima di incrociare le braccia al petto. In quei momenti, tutto il suo comportamento sembrava urlare “guardatemi, sono austriaco”. Lo fissò intensamente per qualche secondo, in silenzio, prima di parlare.
«Kirkland, ci tiene così tanto a venire licenziato?» esordì, in modo estremamente educato, che però lasciava intuire quanto fosse arrabbiato. Roderich era quasi suo coetaneo, però al contrario di lui tendeva a mantenere quel comportamento rigido anche per le questioni di minima importanza. Inoltre, gli dava del lei anche se Arthur aveva un paio d’anni in meno ed era un suo sottoposto.
«Licenziato?» esclamò quest’ultimo, cercando con tutte le sue forze di non irritarsi. «Mister Edelstein, non è stata colpa mia. Quel… quell’individuo mi ha provocato e mi ha insultato prima di gettarmi il tè praticamente in faccia, e non l’aveva nemmeno ordinato lui. Avrei potuto scottarmi seriamente… e poi… e poi, avrebbe potuto rompere la tazza!» concluse, ben sapendo che Roderich usava anche le tazze scheggiate pur di non doverle ricomprare, e che una tazza rotta avrebbe rappresentato un’immagine insostenibile per il suo capo.
Infatti, quello sgranò gli occhi, che vennero attraversati da un lampo di terrore puro, e si schiarì la voce. «In tal caso, le credo. Posso sapere almeno il motivo della lite?»
Arthur arrossì pesantemente, distogliendo lo sguardo nell’immediato e stringendo i pugni, prendendo a fissare le scarpe di Roderich con vivo interesse. Quando rispose, le sue parole erano talmente accavallate l’una sull’altra e biascicate che l’austriaco dovette schiarirsi la voce in maniera molto educata ma insistente, per chiedergli di ripetere.
«I-il mio ragazz… la persona con cui esco ultimamente» balbettò Arthur, senza riuscire a rialzare gli occhi.
«Capisco. Veda di tenere fuori dal lavoro le faccende private… comunque, se ne può tornare a casa, per oggi. Ormai siamo in chiusura» sbuffò Roderich, freddo e sbrigativo, una volta capito che né il locale né il servizio erano messi sotto accusa. «Ma pulisca il posacenere di quel tizio. Ha fumato per tutto il tempo che è stato qui» aggiunse, con una punta d’odio nella voce.
Arthur annuì, defilandosi in fretta e tornando dietro il bancone della sala del pub per sistemare le sue cose e ripulire, sentendo le guance bruciare ancora per la vergogna.
Quando aveva scelto di mettersi a lavorare part-time aveva pensato che nessuno avrebbe avuto da ridire sulla cosa, di averne fatta una giusta per una volta, insomma. L’appartamento in cui alloggiava era costoso ora che ci abitava solamente con Kiku; Mathias si era (stranamente) laureato e se n’era tornato in Danimarca, quindi Arthur non era più tanto sicuro di voler continuare gli studi lasciando che fosse la sua famiglia a mantenerlo. Quanto fosse testardo era risaputo, e non voleva dipendere da nessuno; che poi odiasse il suo lavoro e in particolar modo il suo capo, era tutto un altro discorso, ma sempre per una questione d’onore non aveva intenzione di licenziarsi.
Eppure, quel giorno tanto per cambiare era arrivato l’idiota e lo aveva insultato e ridicolizzato perché a quanto pare era la cosa che più lo divertiva, per cui nulla di quel che faceva andava bene, né la scelta del proprio fidanzato, né e soprattutto la scelta del suo lavoro. Quell’episodio vanificava i suoi sforzi di sentirsi finalmente libero, gli aveva lasciato più tè addosso di quanto avrebbe voluto e comunque gli era tutt’ora oscuro il motivo per cui una persona sana di mente avrebbe dovuto farsi tutta quella strada soltanto per deriderlo.
Andò al tavolo dove soltanto mezz’ora prima stava discutendo animatamente con suo fratello, gli occhi puntati sul posacenere pieno di sigari e quel broncio che non gli sarebbe sparito facilmente dal viso, stavolta. Afferrò il posacenere per gettare il contenuto nel cestino accanto alla porta, ma quando alzò gli occhi sulle vetrate del locale che davano su una trafficata strada londinese, si ritrovò ad esclamare per lo stupore.
Il suo stupidissimo fidanzato stava gridando dietro qualcosa al suo altrettanto stupidissimo fratello, un rosso con un carattere inaccettabile persino per un britannico, infatti era ad un passo dall’alzare le mani sull’altro, con tutta probabilità ignaro di quello a cui andava incontro; il tutto era coronato da un drappello di curiosi che erano appostati sul marciapiede opposto e che si scambiavano commenti, divertiti. Avvicinandosi alla porta, Arthur scorse con orrore che quello che rideva più di tutti era Gilbert, quell’idiota senza cervello del coinquilino del suo fidanzato.
Lasciò frettolosamente il posacenere sul bancone dopo l’iniziale stordimento che gli provocò il trovarsi di fronte una scena simile e spalancò la porta proprio nel momento in cui Ian alzava il pugno in aria, afferrato l’altro per la collottola.
«Puoi dire quello che vuoi! Arthur è sensibile, dolce, tenero e simpatico e svolge il suo lavoro alla perfezione!!» stava urlando in quel momento quell’idiota di uno spagnolo.
«Antonio!» gridò Arthur, con rabbia, fermo sulla porta, attirando una ventina di sguardi su di sé e arrossendo di conseguenza. «S-smettila immediatamente di blaterare! E tu lascialo subito! Se c’è qualcuno al mondo che ha il diritto di spaccare la faccia a questo scemo sono io…»
Mettersi tra loro come cercò di fare poi era impossibile, ma Arthur s’impegnò parecchio per spingere via suo fratello, e sembrò che questi avesse pietà di lui ad un certo punto, perché lasciò Antonio e fece un passo indietro con una smorfia seccata.
«Guarda che ha cominciato lui. Si è sentito ferito profondamente nell’animo perché ha visto la scena…» ringhiò, lanciando un’occhiata omicida ad Antonio.
«E tu cómo osi trattare così una persona che nemmeno conosci?! Non ti importa di aver ferito i suoi sentimenti?» strillò quasi Antonio, alterandosi immediatamente, ma venne subito interrotto dalla risata di Ian.
Ci mancò poco che ridesse anche Arthur, a quelle parole, in effetti.
«A-Antonio, smettila, è ridicolo…» balbettò, cercando di evitare lo sguardo dei curiosi dall’altra parte della strada, in particolare quello di Gilbert, che non si reggeva in piedi dal ridere.
«No! Ti sei impegnato tanto per avere questo lavoro e questo qui pretende di poter sostenere che sei solo un bambino viziato che si fa mantenere! Con che diritto lo sta dicendo?!» gridò Antonio, furioso come Arthur non l’aveva mai visto prima.
Non andavano tanto d’accordo da non litigare più di una volta al giorno, ma l’indole pacifica dello spagnolo di solito era in grado di calmare ogni discussione sul nascere. Per di più la cosa sembrava aver contagiato anche il carattere di Arthur, così quando si ritrovava sull’orlo di una crisi di nervi o di collera gli bastava un’occhiata al sorriso beota di Antonio e al suo sguardo perennemente spensierato per decidere che non valeva la pena di arrabbiarsi più di tanto. Vedere lo spagnolo in quello stato così diverso dal solito gli procurava una serie di sensazioni che andavano dalla perplessità, alla paura e infine all’assoluto compiacimento, una volta assimilato che tutta quella scenata era solo per difendere lui.
«B-basta così, Antonio» mormorò, abbassando lo sguardo, imbarazzato. «Ian è solo mio fratello. Questo non gli dà il diritto di parlare così di me, è vero, ma per quel che me ne importa della sua opinione puoi anche stare tranquillo. Non serve che ti preoccupi per me, anche se lo a-apprezzo, davvero…». Dopodiché, rialzando lo sguardo, cercò di cambiare il suo broncio in un sorriso da rivolgere ad Antonio, cosa che gli fece nascere un’espressione grottesca in modo particolare in volto, anche se lo spagnolo parve non accorgersene; era già sbigottito per tutt’altro motivo.
«Non serve? Arthur, stai bene? Perché mi stai sorridendo?» balbettò, seriamente terrorizzato.
«C-come sarebbe a dire perché sorrido!» esclamò questi, arrossendo violentemente e prendendolo per la collottola come Ian un attimo prima, fremendo di rabbia.
Suo fratello aveva le lacrime agli occhi. «Ma dove l’hai trovato un cretino del genere?»
«Tu sta zitto! E TU!» gridò Arthur, fulminando Gilbert dall’altra parte della strada, con uno sguardo glaciale. «Spero che mio fratello ti sfondi il culo, stanotte, seriamente!»
La reazione che suscitò il grido di Arthur fu fulminea in Gilbert, che divenne viola scuro e smise di ridere all’istante, ma l’espressione di Ian non cambiò di una virgola, anzi il rosso parve addirittura indifferente alla cosa nonostante fosse stato preso in causa.
«Come osi!!» strillò Gilbert quando si fu ripreso, attraversando la strada senza nemmeno darsi la pena di controllare le auto a destra e a sinistra, infatti qualche clacson gli suonò dietro. «Quello che faccio nel mio privato non è affar tuo, piccolo tappo inglese senza…»
«D’accordo, basta così» sbottò Ian, che chiaramente ne aveva avuto fin troppo. «Arthur… il tuo fidanzato fa meno schifo di quel che pensassi, ma vedi di lasciare questo lavoro in fretta. Non mi piace che pensi che io non possa mantenerti» concluse, come se quella fosse una frase risolutiva, ignorando il “e chissene frega, sparisci” di Arthur e prendendo Gilbert per le spalle, passandovi un braccio.
Lui non ne sembrò molto contento, ma il rosso sembrava possedere una forza di persuasione piuttosto convincente insita nella sua presa, perché oppose resistenza per appena un secondo, prima di lasciarsi condurre via. Certo non mancò di lanciare un’occhiataccia ad Arthur, che era rimasto a fissarli in cagnesco senza lasciare Antonio, anche se il modo in cui lo stringeva adesso per la maglia aveva un che di possessivo che non sfuggì allo spagnolo.
«Che ti salta in testa di fare tutta questa scena per niente?» domandò alla fine Arthur con un sospiro, notando l’aria compiaciuta del compagno e lasciandolo in fretta, dato che i due si erano ormai dileguati tra le lamentele di Gilbert.
«Per niente? Ti ha maltrattato mentre lavoravi… non m’interessa se era tuo fratello, io ho il dovere di proteggerti!»
«Tsk! Ma sentilo» sibilò Arthur, cercando di nascondere il proprio imbarazzo. Fortunatamente, fiutato nell’aria che non ci sarebbe stata una rissa, non c’era più nessuno che guardasse nella loro direzione. «Peccato che io non ne abbia bisogno».
«E poi mi ha buttato a terra i churros».
«What
Antonio indicò con aria sconsolata a terra a pochi passi da loro, dove stava un sacchetto di carta marrone dal quale erano usciti diversi churros, andando a sbriciolarsi sul marciapiede.
«Te li stavo portando al lavoro. Tu tendi a non mangiare mai prima della chiusura, e quando stacchi è troppo tardi per uscire a cenare insieme… io volevo stare un po’ con te, non è giusto che possa vederti solo quando facciamo sesso» si lamentò, incurante del fatto che quel fiume di parole stava facendo crescere in Arthur l’imbarazzo in maniera evidente. «E poi ti ho visto litigare con quel tizio… insomma, tuo fratello, e mi sembravi così triste! Credevo che fossi sul punto di piangere, non ho pensato di crearti problemi difendendoti…»
«T-taci, cretino…» borbottò Arthur, interrompendolo. «Non serve. Non lo fare mai più».
«Scusami» esclamò Antonio, guardandolo con un’espressione talmente abbattuta che Arthur si sentì in colpa, almeno un pochino, ad averlo trattato così. Peccato che lo spagnolo sapesse come sorvolare sui problemi dimenticandoseli all’istante, ovvero concentrandosi sulle scemenze. «Sai, sembri proprio un pomodoro. Sei tutto rosso… hai freddo?»
«È estate».
«Forse hai la febbre… posso accompagnarti a casa?»
«Abitiamo attaccati, you idiot».
«Domani potrei rifarti i miei churros e darteli quando finisci le lezioni, prima di andare al lavoro…»
«Antonio» mormorò Arthur, cercando di mantenere fermo il tono di voce. «Quelle… cose… sono dolci, no? Preferirei che li facessi a colazione».
Lo spagnolo lo fissò, perplesso. «Vuoi venire da me per colazione? Ma ti svegli prima di noi... poi Gilbert e Francis sono in casa… e tu li detesti…»
«Voglio che mi prepari tu la colazione» spiegò Arthur, raccogliendo la poca pazienza che gli era rimasta. L’altro rimase a fissarlo con aria vuota e un sorriso perplesso, costringendolo ad approfondire la sua richiesta. «… dormi da me stanotte».
L’informazione prese spazio in maniera lenta nella mente di Antonio, che dimostrò di averla recepita alla fine con un’esclamazione quasi di sorpresa. Non sarebbe mai assomigliato a quello che un attimo prima era sul punto di saltare alla gola di Ian per via di una semplice tazza di tè rovesciata; ma Arthur decise che in un modo o nell’altro si sarebbe accontentato anche dell’ebete che era di solito.
Con uno sbuffo, senza dire nulla, afferrò la mano dello spagnolo, trascinandolo dentro il pub per finire di sciacquare le ultime tazze e riprendersi le sue cose.
«Vedi di non fare lo scemo mai più» sottolineò con irritazione, lanciandogli un’occhiataccia quando lo sorprese a fissare in maniera piuttosto intensa il proprio lato B mentre sistemava il bancone.
Gli bastò guardare la reazione di Antonio a quelle parole (un caldo, stupido sorriso) per capire che era una raccomandazione inutile: quello, scemo, ci era proprio nato, e non ci sarebbe mai stato verso di cambiarlo. Arthur cercò di sovrapporre al viso dell’altro l’espressione furiosa che aveva poco prima, senza nessun successo. Si ritrovò anzi ad arrossire, immaginando l’inizio del tutto, Antonio che vedeva suo fratello mentre gli prendeva la tazza dal vassoio e gli gettava il contenuto in faccia, Antonio che s’indignava come solo lui sapeva fare, che andava a bloccare l’uscita a Ian con una rabbia che non gli apparteneva e che lo difendeva a squarciagola con cretinate di vario tipo che solo un decerebrato avrebbe detto. Il fatto che nella sua testa la scena si svolgesse a rallentatore più e più volte e che ogni volta fosse diversa era un dettaglio insignificante.
«A me non sembra che tu l’abbia presa così male, in verità. E poi… tu l’avresti fatto per me, giusto?» esclamò con una risata lo spagnolo, interrompendo fortunatamente i suoi pensieri, che minacciavano di fargli bollire le guance.
A quelle parole, Arthur non mancò di esprimere con forza la sua indignazione, non avendo nient’altro con cui sfogare il suo imbarazzo, sfoggiando il suo sguardo più acido e incollerito. «NO! Ovviamente no!»
Certo, purtroppo non poté affatto impedire al proprio tono di voce di dare a quella risposta tutt’altro tono, ma confidò nel fatto che Antonio non lo capisse. Il fatto che l’altro l’avesse subito abbracciato ridendo, stampandogli un bacio non desiderato né richiesto su una guancia, comunque, non era un buon segno.

Sì, ovviamente sì.

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