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Autore: Deilantha    28/11/2011    8 recensioni
Pasi è una diciannovenne impulsiva e socievole, dal futuro incerto ma dal buon cuore, che vive una situazione di conflitto in famiglia, sentendosi sempre la pecora nera rispetto ad una sorella apparentemente perfetta. Provando un vuoto affettivo tra le mura domestiche, Pasi si circonda di amici, che reputa la sua vera unità familiare.
Emile è il suo esatto opposto: non è un tipo socievole e vive esclusivamente per la musica, sul cui argomento è terribilmente arrogante. Ma il suo modo di essere così rigido e poco aperto agli altri, nasconde un dolore che il ragazzo si porta dietro dall’infanzia, dovuto ad una madre caduta vittima della depressione quando lui era ancora in fasce.
Emile e Pasi si scontreranno la prima volta che si vedranno, ma le loro vite sono destinate ad incrociarsi e farli crescere nella reciproca conoscenza.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Filrouge'
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Capitolo 20

 







 

«Stè, io e te dobbiamo uscire un po’.»

«Eh?» Testa di Paglia mi guardò sorpreso.

Ormai ci vedevamo quasi esclusivamente davanti alla tomba di Simona o per le nostre lezioni di francese e iniziai a sentire il bisogno di riprendermi i brandelli di una vita più spensierata: ero circondata da troppi eventi luttuosi, dovevo ricaricare le energie per sentirmi meglio e per non far più preoccupare Emile. Forse se mi avesse visto più energica e serena, si sarebbe deciso a lasciarsi andare, a cedere al dispiacere… ed io avevo il desiderio sempre più pressante di distrarmi da tutta quella sofferenza!

«Uscire? A far cosa?»

«Non lo so, a far casino! Ho bisogno di distrarmi e credo proprio che serva anche a te! Ci sono state troppe tristezze ultimamente,  devo liberarmi da questa angoscia!»  altrimenti Emile non si sentirà mai libero di piangere, si sentirà sempre in dovere di essere forte. 

«In effetti ultimamente ci siamo incupiti sempre di più… probabilmente hai ragione, abbiamo bisogno di riprendere il buon umore.»

«Esatto, inoltre finché sarò in queste condizioni, finché non riuscirò e sentirmi meglio, non sarò in grado di essere d’aiuto ad Emile e non voglio sentirmi impotente!»

«Bene, io sono sempre disponibile a far casino, lo sai! Allora dove andiamo?»

 

*****

 

«Al diavolo imbecille! Butta dentro quella palla!»

«Testarossa… sei sicura di star bene?»

«Sto benissimo Testa di Paglia, perché?»

«Ehm… ti vedo un po’ troppo agitata…»

«Andiamo Stè! Proprio da te queste cose non me le aspettavo! Non hai visto quello stupido di un cestista?! Avrei giocato meglio io dal basso del mio metro e sessanta centimetri!»

Il basket era uno sport che amavo, mi sarebbe piaciuto tantissimo praticarlo, se solo fossi stata più alta! Avevo giocato da piccola e sin dalle prime partite scoprii un gran divertimento nel partecipare alle partite, avevo anche delle discrete abilità! Ma col passare del tempo i miei compagni di squadra crebbero, mentre la mia statura risultò essere un grave handicap per me, così mi feci forza e abbandonai l’attività, ripiegando nell’assistere alle partite.  Stè dal canto suo invece, aveva l’altezza perfetta e sebbene avesse giocato anche lui quand’eravamo alle superiori, non essendo particolarmente bravo aveva interrotto la sua attività agonistica. Se avessimo potuto giocare insieme come un'unica persona, la sua altezza e le mie capacità forse ci avrebbero permesso di essere un valido giocatore... ma visto che l’idea non era lontanamente realizzabile,  ci limitammo a fare da spettatori, così quando c’era una partita di basket nei dintorni coglievamo sempre l’occasione per vederla insieme.

In quel frangente però sembrava che a divertirmi fossi solo io…

«Avanti Stèèèè! Perché fai il Fede della situazione?! Divertiti anche tu!»

«Testarossa, io ho l’impressione che tu ti stia sforzando di divertirti più che farlo davvero…»

Il mio amico era insolitamente serio e preoccupato, non sopportavo più quell’espressione sul suo viso, doveva divertirsi anche lui, ne aveva bisogno quanto me! E poi mi serviva un sostegno, mi serviva un’anima allegra, avevo bisogno della giovialità di Stè accanto a me!

«Testa di Paglia, per far sì che un motore spento riparta, non bisogna  forzarne un po’ gl’ingranaggi prima?»

«Sì è così, ma…»

«Ecco, io sto forzando un po’ gl’ingranaggi per far partire il mio buonumore, perché se attendo che parta da solo, potrei metterci anche tutta la vita! E tu dovresti fare altrettanto, perché non conto nemmeno più il tempo trascorso sempre così immusoniti ed io voglio tornare a ridere insieme a te! Siamo o no le due Teste di Fuoco? Quindi ora alzati con me e grida a quello stupido playmaker di fare il suo lavoro!»

 Stè mi guardò estasiato, col sorriso stampato sul volto dopo la mia convincente arringa (della quale andai particolarmente fiera per mesi); Dio solo sapeva quanto servisse anche a lui distrarsi e non pensare a Simona e per fortuna sembrò capire che gli avrebbe fatto bene seguire le mie orme,  così nel giro di un battito di ciglia fu in piedi ad inveire con me ai danni di quel povero playmaker, che aveva avuto la sfortuna di averci nel pubblico.

 

*****

 

Uscire con Stè mi fece bene, Testa di Paglia era sempre stato il mio calmante/corroborante naturale; da quando ci conoscevamo ogni volta che avevo avuto bisogno di ritrovare la serenità, che fosse stato dopo una litigata con i miei genitori o per chiedere un po’ di conforto nei momenti tristi, Stè c’era sempre stato, pronto a rassicurarmi con un abbraccio e un sorriso. E sapevo che solo lui, solo la sua presenza sarebbe stata in grado di ridarmi la forza necessaria a smettere di piangere e d’intristirmi per Claudine e che avrebbe permesso ad Emile di togliersi la corazza e lasciarsi andare al dolore.

E per far sì che ciò avvenisse il prima possibile, decisi di tornare da Rita: ero ancora troppo in pensiero per lui, ma mi ero resa conto che la mia ansia non faceva altro che agitarlo; molto probabilmente, se si fosse sentito lontano dai miei occhi preoccupati, sarebbe stato più facile per lui lasciarsi andare, togliendosi di dosso la maschera di uomo forte. Così seppure a malincuore, decisi di allontanarmi da lui.

Tornare dalla mia amica però mi ricordò quanto quell’appartamento mi mettesse a disagio: ormai non ci vivevo da qualche settimana e nonostante le parole di Rita, non l’avevo mai sentito come casa mia; inoltre  lei e Fede erano ufficialmente tornati ad essere una coppia, per cui la mia presenza lì era del tutto fastidiosa. Compresi che era giunto il momento di cercare un luogo che potessi chiamare casa.

«Perché vai via Pasi?»

Rita mi abbracciò triste quando, giorni dopo il mio ritorno, le comunicai la mia decisione.

«Rita, lo sai meglio di me che non potevo restare qui per sempre e poi ora sarei solo d’impiccio a te e Fede!»

«Ma no dai, che dici! Non ti sentire di troppo, ti ho sempre detto che questa è casa tua, io e Fede possiamo vederci dove vogliamo!»

«Lo so che tu non mi manderesti mai via ed è per questo che me ne vado io. Ma questo non significa mica che non ci vedremo più!»

Improvvisamente Rita sembrò una bambina: lei che avevo sempre visto come una mamma acquisita, come una figura da cui prendere esempio, in quel momento mi sembrava solo qualcuno da consolare.

«Lo so questo, ma era bello stare insieme, era bello avere una sorella con me!»

Margherita era figlia unica: era sempre stata circondata d’affetto e in famiglia non le era mancato mai nulla, tranne una compagnia. Sua madre aveva avuto degli aborti dopo la sua nascita e in seguito le era stato detto che non avrebbe potuto più avere figli, così a Rita era rimasto il desiderio di avere una sorella accanto. Probabilmente come io vedevo in lei una figura che era tra quella di una madre e una sorella maggiore, allo stesso modo lei vedeva in me la sorella minore che non aveva mai avuto ed era per questo motivo che risultava così dolce, materna e protettiva nei miei confronti. Non mi ero mai resa conto della solitudine che si portava dentro... forse era anche per quel motivo che riempiva la sua vita di impegni? Per non sentirsi sola? Eppure ora aveva Fede e sarebbe potuta tornare dai suoi genitori quando voleva… 

«Ma io e te saremo sempre sorelle Rita, non mi perderai mai!»

«Scusami Pasi, sono un’egoista a parlarti di sorellanza, sono stata poco delicata!»

«Non preoccuparti, io ti ho sempre considerato come una sorella maggiore Rita; al di là del rapporto con la mia vera sorella, tu per me hai sempre ricoperto quel ruolo e sono felice di essere importante allo stesso modo per te e proprio per questo ti assicuro che non ci allontaneremo mai! Tu ami i tuoi genitori, vero? Eppure te ne sei andata via di casa… Allo stesso modo, per quanto io ti voglia bene, voglio trovare il mio posto nel mondo a partire da quattro mura che possa chiamare solo mie; capisci cosa intendo, vero?»

Rita mi osservò con ammirazione e mi fece un gran sorriso prima di parlare:

«Hai ragione, che stupida! Ti ho sempre visto come la mia piccola e avventata sorellina da proteggere, ma tu sei grande e hai tutte le ragioni per volerti rendere completamente indipendente camminando sulle tue gambe. Però mi mancherai!» Tornò ad abbracciarmi, prima di aiutarmi a trovare casa, tra gli annunci che stavo sfogliando.

 

*****

 

Trovai un piccolo appartamentino, che poteva ben definirsi un monolocale più che altro, con un soppalco che fungeva da camera da letto, una mini cucina e un’area giorno che a mala pena lasciava spazio per un divanetto accanto a tavolo e sedie. Era decisamente piccolo, ma era mio, era la mia piccola tana, era il luogo che avrei chiamato casa mia. Non sarei stata più ospite di nessuno, l’avrei arredata a gusto mio e l’avrei vissuta come meglio preferivo! Certo questo significava anche che avrei dormito da sola, che non avrei atteso che Rita tornasse e al mio risveglio non avrei trovato nessuno accanto, ma le mie giornate non sarebbero state solitarie: io non ero affatto il tipo che ama starsene per conto proprio e qualche ora notturna l’avrei potuta sopportare…

E poi c’era Emile… Iniziai a fantasticare su una futura vita in due, guardando la mia piccola dimora: già mi sembrava di vedere il mio Pel di Carota che si affacciava dal soppalco con gli spartiti in mano e mi chiedeva cosa ci fosse per cena…

Mi riscossi subito dai quei sogni ad occhi aperti prima di andare troppo oltre e felice come non mai, decisi di condividere la mia gioia con Emile, così corsi immediatamente da lui per dargli la notizia.

Con mia grande sorpresa però, appena aprii la porta di casa, non vidi il volto che tanto amavo, ma quello molto meno piacevole di Claudio.

«Sei venuta a farci compagnia, Coda di Emile?»

Sapevo che i GAUS erano in riunione, stavano decidendo la grafica della cover del loro album e altri dettagli importanti per il lancio del CD, per cui mi ero preparata ad attendere che finissero di parlare, prima di dire ad Emile del mio appartamento. Sperai quindi di non dover vedere il suo batterista, che per me era diventato una vera e propria spina nel fianco… e invece la spina mi colpì in pieno!

«Ti ho detto che non mi piace…»

«Sai Pasi, non ti ho mai sopportato, da quando sei entrata nelle nostre vite hai solo dato problemi, hai solo creato scompiglio.»

Eravamo ancora nell’ingresso, avevo appena chiuso la porta e si avvicinò minaccioso, ricordandomi in un istante la volta precedente in cui ci eravamo incontrati, quando mi bloccò nella cucina di quella casa.  

«Sei una presenza fastidiosa, distogli l’attenzione e non ci fai concentrare.»

Mi bloccò nuovamente al muro: non riuscii a muovere un passo, il suo sguardo era pericoloso e mi paralizzava.

«Forse, se provo a guardarti sotto un altro aspetto, mi sembrerai più sopportabile…»

Si protese in mia direzione ed io spostai il volto quando mi fu chiaro che voleva baciarmi, ma rapidamente mi prese il viso con una mano e premette le sue labbra sulle mie. Cercai di divincolarmi e mi tenne più stretta al muro premendo col suo corpo, mentre le sue mani iniziarono a toccarmi in modo rozzo. Le nostre stature erano troppo diverse e non riuscii a dargli un calcio nelle parti basse, cercai allora di spostarlo spingendolo via, finché d’improvviso non fu strattonato lontano da me e vidi Emile che gli tirava un pugno in pieno viso:

«Non ti permettere mai più di alzare le mani su di lei, vigliacco!»

Il suo volto era furioso, gli occhi due pozze azzurre d’ira; Claudio dal canto suo si toccò il labbro sanguinante e ci rivolse un sorriso colmo di rancore:

«Il nostro prezioso leader ha perso di nuovo il suo contegno! Che fine hanno fatto le tue parole: “La musica viene prima di tutto, il gruppo dev’essere la nostra priorità assoluta”?! Non è più così eh, Emile? Non è più la musica il tuo primo pensiero!»

Fece una risata sarcastica mentre Emile diventava sempre più rosso dalla rabbia:

«Vattene immediatamente, non voglio più vederti! Sparisci dalla mia vista e non ti presentare mai più!» Claudio lo guardò deridendolo, come se si aspettasse quella reazione… possibile che fosse tutto calcolato? «Certo che me ne vado, me ne sarei andato comunque, ma aspettavo che mi cacciassi tu. Ora sono proprio curioso di sapere come farai senza un batterista in piena promozione: complimenti Emile, bella mossa, questo sì che gioverà al gruppo!»

Claudio se ne andò via senza nemmeno guardarmi, ridendo soddisfatto: aveva tirato un brutto colpo al suo vocalist, mi aveva usato per incrinare la sua volontà, per dargli una lezione e per fargliela pagare nel modo più dannoso che conoscesse. Emile aveva perso di propria volontà il suo batterista all’alba della campagna promozionale, a causa di un litigio causato da una donna! Claudio non avrebbe potuto vendicarsi in modo migliore.

Rimasi impietrita, attaccata ancora a quella parete, mentre Emile respirava a fatica preso dalla rabbia e stringeva i pugni serrandoli al punto da farsi male: diede un colpo al muro e si lasciò cadere a terra, reggendosi il capo tra le mani.

Ero terrorizzata: non solo con le mie parole avevo incitato Claudio ad andarsene e gli avevo anche suggerito involontariamente il modo di farlo, ma avevo commesso anche il grande errore di minimizzare le sue intenzioni e sottovalutarlo, senza allertare Emile del possibile pericolo che correva, per evitare di pagarne le conseguenze ed ora si trovava in un pasticcio senza possibilità di una soluzione veloce e soddisfacente. Imitandolo, mi lasciai cadere sul pavimento, a distanza da lui che mi dava le spalle e sconsolata iniziai a parlare:

«È tutta colpa mia… sono stata io  a dirgli di affrontarti, io gli ho fatto prendere questa decisione... sono una stupida!»

Le lacrime iniziarono a scorrere copiose sul mio viso, Emile mi avrebbe odiato per questo! Ero stata la causa dello sfaldamento del suo gruppo, avevo contribuito a incrinare la sua carriera e l’obiettivo che voleva realizzare più di ogni altra cosa al mondo!  Non avevo scuse a mia discolpa e sentii la disperazione al pensiero di vedere il suo volto adirato che mi mandava via. Dopo l’iniziale sconforto però, Emile alzò la testa, guardò davanti a sé per qualche istante e sospirò, poi si alzò e venne a sedersi accanto a me.

«Ti ha fatto del male?»

Scostò i miei capelli dal viso per vedere se avessi segni di colluttazione, ma a parte il fastidio provato al tocco di quel bacio forzato e quelle mani invadenti, non avevo alcuna ferita.

«Emile mi hai sentito? Ti prego dimmi qualcosa, lo so che ora mi odi, se devi mandarmi via fallo subito, mostrami il tuo rancore! È tutta colpa mia!»

Non vidi nulla di tutto questo sul suo volto, mi guardò con un’espressione triste e addolorata e poi mi strinse a sé:

«Non dire sciocchezze, la colpa non è tua, sono io l’imbecille che ha creato questa situazione, che invece di smorzare le tensioni le ha aumentate. Se c’è qualcuno da incolpare, quello sono io!»

Rimasi a piangere tra le sue braccia, non riuscii a sentirmi sollevata: nonostante non avessi ricevuto alcuna accusa da Emile, il mio senso di colpa era troppo grande per potermi permettere anche solo di pensare di sentirmi sollevata. E quella mancanza di reazione da parte sua, unita alla mancanza di una reazione alla morte della madre, mi fecero temere ancora di più che il mio Pel di Carota non fosse più in grado di esprimere ciò che aveva dentro di sé.

Sentendo gli schiamazzi provenienti dall’ingresso, gli altri componenti del gruppo risalirono dal piano interrato per sapere cosa fosse accaduto: appena videro me ed Emile seduti a terra, si bloccarono e con fare imbarazzato e incuriosito, Francesco prese parola:

«Ehm… Claudio dov’è?»

«Se n’è andato.» fu la risposta lapidaria di Emile.

«Andato? Ma siamo in piena riunione… è successo qualcosa?» Il tono di Francesco divenne seriamente preoccupato, era chiaro come il sole che fosse accaduto qualcosa e che Claudio avesse preso parte a quell’evento.

«Claudio non fa più parte del gruppo, dobbiamo cercare un altro batterista. Scusateci un attimo.»

Mi fece alzare, mi condusse in salotto e mi fece accomodare sul divano:

«Devo parlare con i ragazzi di ciò che è accaduto, appena finiamo sono da te, ok? Rilassati qui e smettila d’incolparti.»

Mi diede un bacio sulla fronte e una carezza sul viso e si allontanò per rimettere in sesto quella situazione disastrata, che avevo contribuito a creare.

 

*****

 

Rimasi a piangere ancora per un po’ in quella stanza, sola con i miei sensi di colpa, finché non ebbi più lacrime da versare. Mi accucciai sul divano, osservando quelle pareti tappezzate dai posters di Claudine e mi ritrovai a pensare a lei. In modo indiretto il mio sbaglio era anche in sua direzione: se Emile non fosse riuscito ad emergere, non avrebbe realizzato il suo desiderio di riscattare sua madre e Claudine sarebbe rimasta nuovamente nell’ombra, ricordata da soli pochi appassionati di musica in Francia. 

Il tempo sembrò non passare mai, qualche volta mi concentravo per sentire eventuali voci provenienti dal piano interrato, ma intorno a me c’era solo silenzio, un silenzio più opprimente di qualsiasi altro rumore.  Andai in cucina a prendere un bicchiere d’acqua e mi tornò alla mente Claudio, così in cerca di un luogo che non fosse legato a ricordi spiacevoli, salii direttamente in camera di Emile. Restai seduta sul suo letto osservando il suo mondo e solo dopo qualche minuto mi resi conto che sul comodino c’era una seconda foto: accanto a quella con i suoi genitori, ora ce n’era anche una di noi due, un autoscatto fatto quando eravamo riusciti ad avere un giorno per noi ed avevamo trascorso del tempo sulla spiaggia.

Il mio senso di colpa per un momento  fu offuscato dalla gioia di vedere quella dimostrazione di affetto; dicendo a me stessa che Emile mi amava e che non mi avrebbe messo alla porta, iniziai a rilassarmi un po’.

Non sapevo quanto tempo avrei dovuto attendere prima di rivederlo e stavolta volevo affrontare il discorso e ricevere una sua reazione, perciò iniziai a pensare a come poter trascorrere il tempo in attesa: osservai i libri sugli scaffali in cerca di una lettura interessante, sfogliai qualche libro, ma mi resi conto di non riuscire a concentrarmi. Il mio sguardo si posò quindi sul violino: non l’avevo più toccato dalla sera della mia prima lezione, così decisi di riprovarci cercando di ricordare ciò che mi aveva detto Emile. Dopo qualche stridio fastidioso mi trovai a desiderare di saper suonare davvero qualche strumento, magari proprio la batteria, in modo da poter rimediare personalmente al mio errore e in modo del tutto irrazionale, decisi di concentrarmi di più su quel violino, come se ne valesse il futuro dei GAUS.

Mi concentrai a tal punto che persi il senso del tempo e non mi resi conto della presenza di Emile, finché non mi chiamò lui.

«Ah!» sobbalzai per la sorpresa e corsi a rimettere a posto il violino.

«Stai migliorando… dovresti esercitarti più spesso.» il viso di Emile era serio ma soprattutto stanco, non doveva essere stato un dibattito facile, quello con il suo gruppo.

 «Avete finito?» Rimasi accanto al violino, irrigidita per la tensione, in attesa della sua reazione.

«Sì, i ragazzi sono appena andati via.»  Emile si lasciò andare sul letto con le spalle curve e l’aria di chi portasse un peso enorme sulle spalle: la mano con cui aveva colpito Claudio e successivamente il muro, era fasciata; doveva essersi fatto male con quei due colpi violenti.

«La tua mano è ferita?!»

Al solo pensiero di avergli causato anche qualche problema a quell’arto con cui suonava,  sprofondai maggiormente nel senso di colpa, che ormai stava raggiungendo proporzioni bibliche.

«Non è nulla, solo una contusione… non sono abituato a dare pugni a qualcuno… o qualcosa!»

«Emile, ti prego… dimmelo che sei adirato con me, non la sopporto questa finta indifferenza!»

Non mossi un solo passo verso di lui, ero troppo terrorizzata per fare altro tranne esortarlo a parlare. Emile portò una mano al viso, come per sostenersi, prima di rispondermi:

«Raccontami cos’è accaduto. Perché mi hai detto di averlo incitato tu ad andarsene?»

Rimasi in piedi accanto al violino ed iniziai a raccontargli del mio incontro con Claudio, dei miei dubbi sul dirlo a lui o meno e della mia decisione finale di omettere tutto, nella speranza che il peggio fosse passato. Per tutto il tempo in cui parlai rimasi dov’ero, incapace di muovere un solo passo in sua direzione; Emile restò ad ascoltare a capo chino concentrandosi sulle mie parole e solo quando smisi di parlare, alzò la testa: «Ti faccio così paura?»

«Non ho paura di te… ho paura di perderti, perché so quanto sia importante la musica per te e so che in una battaglia tra me e lei, la parte sacrificabile sarei io.»

Chinò nuovamente il capo e rimase in silenzio: quell’atmosfera tesa mi stava snervando, sentivo che lo stavo perdendo e non volevo restare ancora nell’agonia dell’attesa, così mi decisi a parlare:

«Ora dimmelo che mi odi ti prego, così potrò andarmene senza dover attendere ancora!»

Sentii la mia voce incrinarsi, al pensiero di doverlo abbandonare e di non rivederlo più: alla sola idea di non avere Emile nella mia vita, sentii un varco vuoto aprirsi nel mio petto e pensai al mio appartamento in cui avevo già fantasticato di vivere con lui, rendendomi conto che invece non l’avrebbe mai visto, anzi non avrebbe mai nemmeno saputo della sua esistenza!

«Sì, sono arrabbiato Pasi, sono arrabbiato perché non hai avuto la forza di parlarmene, perché non hai avuto fiducia in te e in me e perché se l’avessi fatto, avrei già rimediato da tempo, cercando un altro batterista. Ma non ti odio, non potrei mai odiarti e men che meno mandarti via. Non potrei mai vivere senza di te, sciocca bambina insicura!»

Si alzò dal letto e venne ad abbracciarmi e il varco che si era aperto nel mio petto d’improvviso si richiuse, mentre il calore che mi avvolse tornò a donare vita al mio corpo, che si era congelato in quelle ore di angosciante attesa.

«Perdonami Emile, perdonami, sono una stupida!»

«Non nascondermi altro Pasi, non farlo mai più!» Ero ancora stretta tra le sue braccia e lottavo con il pianto in procinto di esplodere, per cui feci un semplice cenno col capo. «Me lo prometti? Posso essere certo che non mi nasconderai altro? Che mi dirai sempre tutto?»

«Te lo giuro Emile, non voglio più vivere dei momenti terribili come quelli!» Lo strinsi maggiormente a me, avevo ancora il terrore inconscio che mi mandasse via e volevo ridurre il più possibile le distanze tra noi; persino l’aria mi sembrava un ostacolo fastidioso, qualcosa che m’impediva di arrivare a lui.

Emile pose una mano sulla mia testa e iniziò ad accarezzarla, dandomi conforto come un genitore verso il figlio impaurito: avevo amato dal primo giorno quella sua parte così dolce, ma non riuscivo a credere che mi stesse consolando dopo avermi detto di essere arrabbiato. Probabilmente ero ancora preda delle mie ansie, del mio timore di vederlo spegnersi com’era accaduto a sua madre, il che unito alla paura ancora fresca di essere allontanata dalla sua vita, mi riempì di nuovo l’animo di angoscia. Lo guardai negli occhi per qualche istante, sperando di leggervi la verità che mi avrebbe calmato e successivamente, avvicinai il suo viso al mio e gli diedi un bacio disperato, un bacio intenso che desideravo potesse ricongiungermi a lui, che mi potesse legare a lui e  che mi conducesse alla sua anima.

Ma quel bacio scatenò qualcosa anche in Emile: probabilmente il mio impeto aveva scosso parte del dolore che stazionava all’interno del suo animo, perché iniziò ad amarmi con la stessa voracità che sentivo mia, con lo stesso disperato desiderio. I suoi baci mi divoravano e i miei non erano da meno: volevo farlo mio, volevo che fosse sempre parte di me, che non si allontanasse mai… volevo che fosse una mia proprietà, che fosse legato per sempre a me… Le mie mani si artigliarono sui suoi vestiti per toglierli il prima possibile, il mio corpo era pressato dal suo sulla parete della stanza, avvolto dalle sue mani bramose… in breve tempo ci ritrovammo avvinghiati l’una all’altro, presi da una passione bruciante, selvaggia e divorante, che non avevamo mai provato prima.

 

 

*****

 

«Forse dovremmo rivestirci… non vorrei che arrivasse tuo padre da un momento all’altro e ci trovasse così!» La violenta passione che ci aveva travolto era stata consumata, lasciandoci appagati e molto più sereni... e anche più stanchi. Per questi motivi ci stavamo godendo la reciproca vicinanza, l’intimità dei nostri corpi e quella sensazione estatica di serenità che ci aveva pervaso dopo esserci amati. Ma l’idea che Alberto potesse trovarci in quella situazione, non contribuiva certo a mantenermi serena: non che temessi che ci scoprisse, perché sapevo benissimo quanto poco tenesse alle formalità. Ciò che davvero temevo, erano le battute che ne sarebbero sfociate: sarei sprofondata per l’imbarazzo una volta per tutte e non avrei avuto più il coraggio di guardarlo in viso!

«Stai tranquilla, mio padre non rientrerà, è in viaggio.»

Ero comodamente abbracciata ad Emile, poggiavo la testa sul suo petto ascoltando il battito del suo cuore, ma a quella notizia, alzai il capo sorpresa:

«In viaggio? E dov’è andato?!»

Da quando l’avevo conosciuto, Alberto era sempre stato collegato a quella casa, erano state davvero rare le volte in cui non c’era stato per più di un giorno e saperlo addirittura in viaggio, lontano per chissà quanto tempo, mi lasciò senza parole.

«È andato in Francia.» Il viso di Emile s’indurì, vidi il rancore sui suoi bei tratti, e capii a chi si stesse riferendo:

«È andato dai familiari di Claudine!»   

Vidi la sua mascella indurirsi per un attimo, prima che ritrovasse la calma per parlare:

«È andato da quella gente per dire loro di persona, che la vergogna della famiglia ha smesso di esistere, che possono sentirsi sollevati, ora!»

Serrai il mio abbraccio per dargli conforto, sentivo dolore e rabbia repressa in ogni parola che diceva. Non avevo mai chiesto ad Emile di parlarmi della sua famiglia, ma era chiaro che non avrebbe mai amato coloro che avevano lasciato sua madre a se stessa, che la consideravano una vergogna perché figlia di un adulterio. Non sapevo nulla nemmeno della famiglia di Alberto, ma in qualche modo sentivo che quel ramo familiare non costituiva un problema: la spina nel fianco era la famiglia Flaubert.

«Alberto cerca ancora un contatto con loro… forse se ti vedessero…»

«Se mi vedessero cosa, Pasi? Cosa cambierebbe? Mia madre è morta lontano dai suoi parenti, non ha mai sperimentato il calore di un abbraccio familiare, l’appoggio di un fratello o la complicità di una sorella! Persino sua nonna manteneva le distanze da lei! Cosa mai potrebbe cambiare se vedessero me, tranne rendersi conto che gli sto sbattendo in faccia il disonore che ha macchiato la loro famiglia, con questi miei capelli che nessuno di loro ha mai avuto!?»

Era un discorso così delicato, che rimasi in silenzio per qualche secondo, ponderando bene le parole da dire, tenendomi stretta a lui.

«Non sai nulla riguardo l’identità di tuo nonno? Magari lui…»

«Lui è il peggiore di tutti, Pasi! Credi che se fosse stato interessato ad occuparsi di sua figlia, mia madre sarebbe fuggita via dalla Francia così facilmente? No, lui sicuramente sarà scappato non appena mia nonna gli avrà detto della gravidanza!»

«Ma ci sarà pure qualcuno di buon cuore tra loro! Non posso credere che siano tutti così spietati, Emile!»

«Se ci tieni così tanto a saperlo, la prossima volta che mio padre va ad elemosinare un po’ di attenzione, puoi accompagnarlo!» Il suo sguardo era rivolto altrove, indurito dal rancore: presi il suo viso tra le mani e lo girai in mia direzione per guardarlo negli occhi:

«Io amo i tuoi capelli rossi, sono la cosa più bella che i miei occhi abbiano mai visto e non m’importa affatto di chi non apprezza te e la tua famiglia. Voglio solo te, ora e per sempre.»

Trattenni la mano sul suo viso accarezzandolo e vidi i suoi lineamenti rilassarsi fino a dar vita ad un dolce e mesto sorriso prima di stringermi a sé.

«Come farei senza di te?»    

Quella era una domanda che anch’io mi ero posta solo poche ore prima e per fortuna sembrava tornata ad essere solo pura retorica e non una dura e terribile verità, pronta dietro la porta, per essere affrontata.

 

*****

 

Quella notte rimasi a dormire con lui e nuovamente vidi le lacrime scorrere dai suoi occhi chiusi: avevamo avuto quel momento di pace che mi aveva rilassato dalle ansie nei suoi confronti, ma la notte aveva portato come al suo solito la verità a galla. Non era tutto risolto, non era tutto tranquillo, Emile era ben lontano dall’essere in pace ed io avevo messo mano nel dargli un altro pensiero, da sommare al dolore troppo recente, che non riusciva ad esprimere. Dovevo far qualcosa per lui, dovevo rimediare al mio errore in qualche modo, non avrei potuto sopportare ancora per molto la visione notturna del suo viso piangente, o peggio ancora, quella mancanza di reattività diurna.

 













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NDA

Et voilà, è giunto finalmente anche il capitolo 20 (Prim scusa il ritardo, spero di essere ancora in tempo per sopravvivere xD): che ne pensate?
Immagino che ora Claudio sia il personaggio che amate di più, vero? xD
Come ho detto anche alla mia Beta, avevo alcune titubanze su questo capitolo (a dir la verità c'è una lotta interna tra una parte di me che dice che scorre tutto benisssimo e l'altra che mi dice "Ma che cavolo scrivi?"... dite che soffro di disturbo da personalità multipla?), ma lei come sempre mi ha rassicurato dicendo che andava più che bene, perciò attendo di sapere i vostri pareri più che mai ^ ^
Ieri alcune mie sorelle hanno avuto l'onore di vedere Emile dal vivo... o meglio, proprio quando mi sono assentata, hanno notato un bel fanciullo riccio dalla chioma di fuoco che sembrava proprio il mio bimbo *_* ed io non c'ero..... Se riesco a recuperare la foto ve la posterò e vi farò partecipi di questo evento soprannaturale (Emiluccio di mamma dove te ne andavi solo soletto senza dirmi niente???!!!)

PS:
Se avete voglia di leggere una storia d'amore per niente zuccherosa, ma i cui protagonisti sono interessanti (soprattutto quel gran mascalzone del protagonista) e il loro rapporto è tutt'altro che semplice, vi consiglio la storia originale di Veru, Nonostante Tutto: ho iniziato a leggerla qualche giorno fa, è al 6° capitolo e li ho divorati tutti uno di seguito all'altro ^ ^



Angolo dei Ringraziamenti

Visto che sono sopravvissuta al capitolo precedente, il mio più grande ringraziamento è per il fatto che non mi abbiate fatto fuori! *me è davvero contenta di respirare ancora*
Per il resto, siete sempre meravigliose nell'incoraggiarmi e nell'immedesimarvi nei miei ragazzi, sono ancora stupita del trasporto che mostrate leggendo ogni capitolo e per questo vi ringrazierò a vita!!!
Iloveworld, Saretta, Niky, Vale, Concy, Ana-chan, Cicci, Ely.


lorenzabu,
samyoliveri, sbrodolinalollypop, Aly_Swag, green_apple, cara_meLLo, cris325, Drama_Queen, hurry, Newiyurd, nicksmuffin, Origin753, petusina, sel4ever, ThePoisonofPrimula, _Grumpy

Grazie mille e un milione di volte a tutte voi!!!

   
 
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