Ed eccolo
lì.
Zuppo(non so di preciso perché) ma integro.
A
differenza mia.
Ora il mio
intero essere è diviso in due: il sollievo e la rabbia, la
gioia e disappunto,
il cuore e la mente. Mi sorride, formando con le labbra quella strana
curvatura
che adoravo tanto: era un misto di umiltà e soddisfazione ma
c’è qualcosa in
più, forse la vergogna. La parte più sospettosa e
razionale di me è furibonda
con quel ragazzo e alla fine riesce a convincere anche quella
più romantica
perché aveva sofferto molto anche lei. Non so descrivere
come mi fa male
vederlo lì, di fronte a me, quando so che non ci tiene
abbastanza, che conto
abbastanza, che non sono abbastanza, neanche per poter cambiare la
situazione.
Avevo
creduto di poter guardare in quegli
occhi blu e cambiare il flusso della sua coscienza, di poter avere la
meglio
sui suoi gesti più impulsivi, di poter portare
razionalità in una mente che
prima agiva e poi rifletteva; e tutto questo ero convinta di poterlo
fare
perché credevo che in sette anni mi ero ritagliata un posto
speciale nel suo
cuore, un luogo ancora segreto e sconosciuto sia a me che a lui. Poi lo
pioggia
bagnò la terra ed insieme al ciarpame lavò via le
mie sicurezze, il mio perché.
Non auguro a nessuno di provare la sensazione di gridare il nome della
persona
amata, di implorarle di restare per te perché lo sapete
entrambi che l’uno
senza l’altro è un po’…allo
sbando. Beh, questo non l’ho proprio detto ma
comunque anche un orso come lui lo sapeva.
E purtroppo
lo sa ancora.
Mi ero
abituata alla sua assenza, o comunque ero riuscita ad ingannare me
stessa che
lo fossi, e non può stravolgere ogni mio singolo tentativo
di stabilità. Ok, è
la rabbia che ha la supremazia nel mio miscuglio di emozioni e mi
abbatto su di
lui come una furia, cercando di raggiungere colpendolo ogni parte
possibile di
quel corpo così compatto che un tempo era stato la mia
roccia ma che adesso è
solo un enorme muro di cinta che
non mi
permette di vedere aldilà della sua presenza, di scorgere
all’orizzonte una
vita in cui lui non è presente; ma non riesco neanche a
smuoverlo dal suo
posto, proprio come mi aspettavo: infondo, anche quando non
c’era non sono
riuscita a prospettare un Hermione senza includere anche Ron. Ma io non
conto
abbastanza, devo spostare quel muro e quindi ci provo con le parole, le
più
forti che mi vengano in mente, per convincere anche me stessa che una
completa
separazione è necessaria:
“Tu…enorme…stronzo….Ronald
Weasley!” sufficientemente convincente, devo ammetterlo.
Anche lui è sconvolto
ma è meglio così. Ho una conversazione con lui ed
Harry di cui sinceramente
ricordo solo pochi stralci: come Ron sia ritornato, come abbia salvato
Harry e
che il poverino ha perso due unghie. Dio, quel ragazzo sarà
la mia rovina!
Eppure, quando finiamo di parlare minacciandolo ancora di scagliargli
contro
una voliera di canarini assetati di sangue, non posso non farmi
scappare un
profondo sospiro di sollievo.
Quando
credo che stiano tutti dormendo, mi
sfogo in una maniera un po’ più efficacie: milioni
di lacrime bagnano il mio
cuscino perché ho avuto paura, da morire, che gli potesse
accadere qualcosa di
irreparabile: nonostante sia alla ricerca di una vita senza Ron
all’interno non
posso concepire la mia esistenza senza la sua. D’improvviso
sento una grande
mano che si posa sulla mia schiena e si muove nel goffo tentativo di
accarezzarmi: e poi sono io che passo per quella irascibile! Come
può farmi
questo, come può darmi adesso quello di cui avevo molto
più bisogno tempo
prima?
“Forse
perché
non era ancora pronto” mi suggerisce una parte della mia
mente. Ed io ribatto
inferocita
“Ma io
lo
sono sempre stata”. Beh, non è proprio vero e lo
so, ma quella specie di
coscienza non si preoccupa di smascherarmi e mi risponde:
“Ma tu
non
sei lui. Lui è quello che qualche settimana prima del Ballo
del Ceppo ha capito
che sei una ragazza, quello che ha la sensibilità di un
cucchiaino. Ma è anche
quello che ti ha sempre difeso, sorretto e confortato. Quello che ti
è sempre
stato vicino”. Le lacrime scendono più copiose e
la mano non si ferma: forse
Ron mi ha capito ancora prima di quanto potessi fare io ed è
per questo che
dalle sue labbra non esce alcun suono.
“Non
è vero!
– insisto io per non cercare di trovare spiragli anche dove
non ce ne sono – quando
ne avevo più bisogno, quando gliel’ho supplicato,
lui se n’è andato! Non c’è
sempre stato!”
“Ma chi
è che
invece c’è sempre stato per lui?”
“Io! Io
ci
sono sempre stata, anche se lui non lo sapeva!” ed un
“oh” fa breccia nella mia
consapevolezza. E quindi? Finisce così? Che ho torto? No,
non è possibile: sono
io quella che ha sofferto, che ha passato notti intere piangendo, che
ha avuto
allucinazioni ogni singolo giorno credendo di vederlo ovunque!
“Perché
pensi
che lui non abbia sofferto?! Perché sei così
egocentrica?” ma adesso sono io a
farmi la paternale?! Roba da matti!
“È
un uomo
adesso e lo sai che ti ama, da come continua ancora ad accarezzarti la
schiena
senza chiederti né di girarti né di proferire
parola, da come ti guarda ogni
giorno, da come cerca sempre di mettersi in luce davanti a te, da come
ti ha
parlato quando sei arrivata alla Tana e gli hai confessato di aver
modificato
la memoria dei tuoi genitori, da ogni singolo momento in cui
è stato Ron, ed è
anche per questo che sai che lo ami e che non potrai mai farne a meno.
Lo sai
anche tu che non potrai mai sentirti come quando ti senti anche solo
quando c’è
lui nella stessa stanza. È tornato, è tornato
grazie alla tua guida ed è qui
per farsi perdonare. Non prenderti in giro dicendoti ed imponendoti che
tanto
non lo farai mai: lo sanno tutti che non accadrà. Datevi
tempo per risanare
quello che si è rotto comportandoti come la solita Hermione:
fai finta di
avercela con lui per un po’!”. Il mio orgoglio geme
sotto l’evidente sconfitta
ma non c’è gara, non c’è mai
stata: ha sempre vinto lui. Per questo mi giro e
lo guardo negli occhi: non avrei mai creduto di potervi vedere tanta
vergogna e
mi fa male perché, nonostante tutto, non voglio vederlo
soffrire a causa mia.
Non gli sorrido, però, né lo incoraggio in alcun
modo: il mio orgoglio ha perso
ma la mia dignità no. So di avere uno sguardo determinato,
non arrabbiato, e
questo forse lo spinge a mutare la sua espressione e ad imitarmi; piano
piano
si crea una specie di campo magnetico tra i nostri sguardi, generando
una
passione mai provata. C’è una tensione
incontrollabile: o si sposta o lo
assalisco, baciandolo però. È lui a cedere, forse
perché ha capito che dopo mi
sentirei troppo in colpa e lo picchierei di nuovo per questo,
accennando un
piccolo sorriso speranzoso che io non ricambio, ancora concentrata sui
suoi
occhi. Con una lieve imitazione di una risata, mi accarezza il volto e
mi dice:
“Andrà
tutto
bene, ‘Mione”. Adoravo quel soprannome. Era quello
che usava quando eravamo da
soli e non pensavamo ad altri che a noi stessi. Era quello che usava
quando
sapeva che ero realmente me stessa, come adesso. Era quello che usava
solo lui,
perché solo con lui ero davvero me stessa ed è
quello che so che continuerà ad
utilizzare per una vita intera perché non intenzione di
farmi potare via questo
da nessuno: la sua voce che mi
chiama
con dolcezza, la sua mano che sfiora il mio volto, la sua presenza che
non
smette mai di emanare luce, una luce che mi guida a casa,
così come ha fatto
con lui, la persona che sono quando sono pervasa dalla sua luce, la
‘Mione che
non potrà esistere con nessun altro che non sia Ron.
Un’ultima
lacrima cade silenziosa dalla mia guancia e viene raccolta dalla mano
che
promette una vita libera dalla sofferenza ma ancora insicura a causa
dell’età,
della situazione che non le permette di essere completamente certa del
domani.
So che sarò arrabbiata con lui ancora per un po’
ma so anche che non mi sono
mai potuta permettere il lusso di esserlo per davvero, come avrei
voluto: era
tutto già stato stabilito. Quando sono con Ron mi sento come
se fossi stata
creata per vivere quel momento e per viverlo accanto a lui: sono
pienamente
libera; assecondo il corso naturale delle cose e questo mi porta ad una
gioia
smisurata, ad una felicità che si basa sulla pienezza di
quei momenti di totale
serenità: sono ‘Mione. Poi, quando mi arrabbio con
lui, quando trovo un motivo
per non rivolgergli la parola, ostacolo l’ordine naturale
delle cose ed è così
stancante. Per questo lo evito il più possibile:
è così facile cedere con un
sorriso incontrollabile che mi nasce ad un angolo delle labbra al solo
incrociare il suo sguardo. Quindi ritorno ad essere Hermione, quella
che si
rifugia nei libri per non ammettere di non avere molti amici e di non
sapere
come trattarli. Avercela con Ron è sempre significato
avercela con la mia
normalità, il mio essere me stessa.
Non avrei mai
sacrificato la mia dignità ma non avrei mai rinunciato alla
mia libertà, e Ron è
anche quello.
Quindi
asseconderò ancora una volta il flusso: aspetterò
di stancarmi di recitare la
parte di Hermione, di gettare la maschera e di ritornare finalmente ad
essere
‘Mione; la sua ‘Mione. Non farò nessun
discorso ispirato né pieno di tutta la
sofferenza che mi ha causato perché non sarebbe naturale e
non farebbe altro
che mettere tutti e due in una situazione di sconforto, ed è
per questo che so
che neanche lui accennerà minimamente
all’argomento. Ma è giusto così:
abbiamo
gli stessi bisogni, per questo che avercela con lui ha sempre
significato
andare contro l’ordine naturale delle cose. Un ultimo istante
e poi va via, ma
questa volta so che non è per davvero, che non ne ha la
minima intenzione e che
farà di tutto per restare. Come lo so? Come ho
già detto, i suoi bisogni sono
uguali ai miei e adesso ho solamente quello di rivedere il mondo
com’era prima,
illuminato dalla luce della presenza di Ron.