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Autore: Shomer    29/11/2011    4 recensioni
Mi chiesi che cosa ci fosse di più bello al mondo di fare un lungo viaggio e sentirlo tuo, percepire che la strada è una parte di te, che niente e nessuno può fermarti.
Partire e scegliere la meta mentre sei già in viaggio, raccattare quei pochi bagagli che desideri con te senza sapere quando tornerai a casa. E se ci tornerai.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quello che non
Canzone consigliata: Quello che non - Francesco Guccini

 



La vedi nel cielo quell' alta pressione, la senti una strana stagione?
Ma a notte la nebbia ti dice d' un fiato che il dio dell' inverno è arrivato.
Lo senti un aereo che porta lontano? Lo senti quel suono di un piano,
di un Mozart stonato che prova e riprova, ma il senso del vero non trova?
Lo senti il perchè di cortili bagnati, di auto a morire nei prati,
la pallida linea di vecchie ferite, di lettere ormai non spedite?
Lo vedi il rumore di favole spente? Lo sai che non siamo più niente?
Non siamo un aereo né un piano stonato, stagione, cortile od un prato..



Le ruote sfrecciavano frettolose lungo l’autostrada e il vento che entrava dal finestrino aperto era caldo e umido. La mezza sigaretta che avevo in mano quasi si fumava da sola e il mondo che vedevo intorno a me era scuro per gli occhiali da sole. Quasi non ricordavo dove ero diretta mentre quel viaggio mi scivolava addosso come olio e io quasi non me ne accorgevo, non lo sentivo, che me ne stavo andando.
Mi sentivo come una di quelle donne dei film: biondissime, occhiali scuri, fazzoletto in testa e sigaretta in mano mentre sorridono a bordo della loro decappottabile. Solo che io non ero bionda e non ero su una decappottabile. E ora che ci penso, non avevo neanche un fazzoletto in testa. Solitamente quelle donne della televisione vanno a farsi un weekend in qualche centro benessere. Io non sapevo dove stavo andando. O meglio, lo sapevo, ma non sapevo cosa mi aspettava.
«Sono lieto di informarti che mancano cinque ore per arrivare a Berlino.»
Sorrise, e il suo sorriso sapeva di caramelle gommose e fumo. Mi persi un attimo nell’osservare i capelli castani che gli ricadevano a tratti sugli occhi e glieli scostai, dolcemente.
«E’ un bel traguardo, considerando che siamo in viaggio da dodici ore.»
Sorrise di nuovo.
Alla radio mandavano una canzone italiana, una di quelle vecchie e con un ritmo veloce, una di quelle che parla di amici che se ne vanno, di occasioni perse e amori finiti.
Canticchiavo sottovoce mentre osservavo il sole farsi sempre più alto nel cielo, mentre mi domandavo se quello che avrei trovato una volta arrivata a destinazione sarebbe stato meglio di quello che avevo lasciato.
Pensai che il mio modo passivo di affrontare la vita non mi avrebbe fatto pesare quelle diciassette ore di macchina, che probabilmente una volta che lui si fosse stancato avrei potuto guidare io e mi chiesi che cosa ci fosse di più bello al mondo fare un lungo viaggio e sentirlo tuo, percepire che la strada è una parte di te, che niente e nessuno può fermarti.
Partire e scegliere la meta mentre sei già in viaggio, raccattare quei pochi bagagli che desideri con te senza sapere quando tornerai a casa. E se ci tornerai.
«Sei sicura che la tua amica può ospitarci finchè non troviamo un posto nostro?»
«Sì, credo di sì» risposi, noncurante. «Magari dopo la chiamo per dirle che andiamo da lei.»
«Sarebbe il caso. Non sappiamo neanche se è in città.»
«Lei non è mai fuori città. E comunque abbiamo abbastanza soldi per passare la prossima settimana in un albergo di lusso.»
«Mi piace il tuo spirito, ragazza, ma ti ricordo che con quei soldi dobbiamo viverci finchè non troviamo un lavoro.»
«Ah, sì. Hai ragione.»
Guardavo fuori dal finestrino mentre la sigaretta ormai finita mi pendeva dalle dita. Gli alberi ondeggiavano serenamente ed erano ricoperti di fiori che il vento di tanto in tanto faceva volare via. Mi piaceva guardarli muoversi lentamente nell’aria, sembrava quasi fossero vivi.
Ogni tanto il mio pensiero si dirigeva in luoghi che avrei preferito non visitare, ogni tanto mi ricordava ciò che avevo lasciato a casa, ciò che avevo perduto e che non avrei più ritrovato.
Ogni tanto, quando la macchina aveva bisogno di benzina e noi eravamo costretti a fermarci, l’immagine del mio paesello di provincia mi ritornava alla mente, con i suoi visi sorridenti e i locali malmessi, con il barista troppo scorbutico e la ragazza troppo facile, il vecchietto che aveva visto la guerra e la bambina con le trecce sfatte.
Quando la macchina si fermava mi ritrovavo catapultata nella realtà, e tutti i ricordi dei ventidue anni passati in periferia mi sembravano nostalgici.
Durante quella fermata ricordai un episodio della mia adolescenza. Ricordai quando, per la prima volta, entrai nel locale in cui – ancora non lo sapevo – avrei passato tutti i sabato sera dei successivi sei anni. Ero con un ragazzo, quella volta, uno dei ragazzi della mia vita, uno degli amici di sempre che poi diventa qualcosa di più ma che dopo qualche bacio e qualche carezza torna ad essere ciò che era prima. Quella sera sorridevo ed ero vestita di grigio, avevo i capelli sciolti e la bocca truccata. Mi chiese se volevo qualcosa da bere e risposi di sì. Il proprietario del locale era un ragazzo, scorbutico, ci guardò male quando entrammo, ma poi diventammo amici.
«A che pensi?»
Mentre rimetteva in moto la macchina aveva lo sguardo dell’avventura, quello sguardo che va esplorando mondi lontani e irraggiungibili, uno sguardo fiabesco pieno di speranza.
Ancora una volta i capelli andavano a coprirgli gli occhi e io glieli scostai. Accesi un'altra sigaretta e sorrisi, col sapore di tabacco in bocca.
«A niente.»
Il rumore lamentoso del motore lo deconcentrò da quella conversazione e cambiò la marcia, guardando fisso la strada. Ero io, a volergli porre una domanda, ma non volevo rovinare quel viaggio così perfetto, all’insegna dell’ignoto.
Intorno a noi ora c’erano case, di mille tipi: ne vidi gialle, rosa, arancioni, diroccate, di campagna, lussuose, verde pisello, e vidi anche un castello. Uno di quello dove una bambina si aspetterebbe una principessa con un vestito rosa e i capelli biondi. E il principe azzurro che arriva a cavallo e le dichiara amore eterno, dopo aver superato mille pericoli.

 

Conosci l' odore di strade deserte che portano a vecchie scoperte,
e a nafta, telai, ciminiere corrose, a periferie misteriose,
e a rotaie implacabili per nessun dove, a letti, a brandine, ad alcove?
Lo sai che colore han le nuvole basse e i sedili di un' ex terza classe?
L' angoscia che dà una pianura infinita? Hai voglia di me e della vita,
di un giorno qualunque, di una sponda brulla? Lo sai che non siamo più nulla?
Non siamo una strada né malinconia, un treno o una periferia,
non siamo scoperta né sponda sfiorita, non siamo né un giorno né vita..

«Mancano tre ore.»
«Sei proprio efficiente.»
«E’ per questo che sono il miglior compagno di viaggio del mondo.»
«Perché stai partendo con me?»
I suoi occhi saettarono dalla strada a me e da me alla strada. Mi parve di scorgere un luccichio che sapeva di tristezza in un espressione che diventò per un attimo malinconica subito dopo la mia domanda. Durò un secondo, poi il suo viso tornò a splendere di avventura e la sua bocca si aprì in un sorriso, uno dei più belli che avessi mai visto.
«Non potevo certo farti scappare da sola. Qualcuno si dovrà pur prendere cura di una testa calda come te, e io sono il miglior candidato.»
Avrei voluto tanto insistere per conoscere il vero motivo della sua fuga, ma non volevo sembrare invadente. Nonostante fosse uno dei miei migliori amici, avevamo passato dei mesi lontani, entrambi assorbiti dalle nostre vite, e io non ero a conoscenza di ciò che era successo a lui. Né lui era a conoscenza di quello che era successo a me.
«Non ti sarai preso una cotta per me, spero» scherzai, guardandolo sorridere di nuovo. Ogni volta che lo vedevo sorridere, mi stupivo di come i suoi occhi potessero essere sempre più brillanti. Se avessi dovuto associare qualcosa a lui, avrei associato il sole. Tutto di lui mi ricordava quella stella: i sorrisi, i capelli leggermente mossi sempre scomposti, in movimento, con i riflessi chiari; poi i suoi occhi, di un castano che quasi sembrava miele, lucenti, allegri, felici. Una spruzzata di lentiggini sul naso e una voce rassicurante.
«Ho bisogno di una ragazza, non di una figlia.»
Risi. Il sole cominciava a calare e mi tolsi gli occhiali, ma nonostante questo mi sentivo ancora come le donne straricche dei film americani.
La macchina correva sempre più spedita lungo quell’autostrada che sembrava non avere mai fine, il tempo passava o non passava affatto: mi sentivo come se fossi stata in viaggio da una manciata di minuti, ma in realtà erano passate undici ore.
Il tramonto era un misto tra il viola e l’arancione e mentre lo guardavo i miei occhi brillavano. Al mio vecchio paesello, i tramonti quasi non si vedono. Dalla spiaggia, riuscivamo a guardare solamente il colore del cielo cambiare, ma il sole no. Il sole tramonta dall’altra parte, dove ci sono le montagne. Non era la prima volta, nonostante questo, che vedevo il sole abbassarsi sempre di più fino a scomparire alla fine di una vasta pianura, ma non era mai stato così bello ed emozionante. Mi dissi che anche quel tramonto aveva lo spirito dell’avventura. Cercai di ricordare un momento della mia vita in cui mi fossi sentita libera come lo ero in quella macchina, in quel momento, con la maggior parte della mia vita nel cofano rinchiusa in poche scatole e valigie e l’unica persona che volevo accanto seduta al volante.
Non rimpiangevo il fatto di essere andata via da un momento all’altro, senza avere avuto il tempo di salutare tutti coloro che avrei dovuto salutare. L’unico mio rimpianto era di non averlo fatto prima, prima che accadesse. Invece, avevo sentito e vissuto tutto.
«Forse dovresti chiamare la tua amica.»
I suoi occhi avevano il colore del tramonto e si alternavano da me alla strada. Non ricordavo che fosse così ansioso, o forse ero io che avrei dovuto avere un po’ più di organizzazione.
«Possiamo farle una sorpresa.»
Si mosse come per alzare gli occhi al cielo, ma poi rise notando che sopra la sua testa c’era il tettuccio della macchina. La sua risata così leggera e genuina mi riempì il cuore.
«La prossima volta dovremmo farlo prima.»
Lui mi guardò, chiedendomi con gli occhi cosa intendessi con quell'affermazione. Mi accesi una sigaretta e abbassai un po’ il finestrino, permettendo al vento di far svolazzare i miei capelli e di farmi sentire come una diva del cinema.
«La prossima volta dovremmo partire prima. Prima che il nostro mondo vada a rotoli, intendo.»
Lo sguardo a tratti triste e a tratti malinconico di qualche ora prima tornò ad impossessarsi dei suoi occhi, presuntuoso, quasi come se non volesse più andar via.
Poi si voltò verso un punto preciso alla nostra sinistra, e io lo seguii con lo sguardo. C’era un grande cartello con una rondine appoggiata lì sopra. Eravamo a Berlino.
 

 
 Non siamo la polvere di un angolo tetro, né un sasso tirato in un vetro,
lo schiocco del sole in un campo di grano, non siamo, non siamo, non siamo...
Si fa a strisce il cielo e quell' alta pressione è un film di seconda visione,
è l' urlo di sempre che dice pian piano:
"Non siamo, non siamo, non siamo.."
Quello che non - Francesco Guccini

 
 
   
 
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