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Autore: Kiyara    29/11/2011    1 recensioni
Le risorse del pianeta si sono esurite molto tempo fa e ora la popolazione, scesa a tre fortunati miliardi, vive nella povertà e nel gelo in città drasticamente ridotte
Genere: Drammatico, Science-fiction, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Stare qui non era esattamente ciò in cui speravo.
< Le gallerie sono bloccate fino al mattino > boccheggiò Coletta, tremante dal freddo come noi tutti.
< No, non è possibile! > esclamai. < Moriremo congelati! >
Ok, forse è il caso di spiegare un po’.
Eravamo bloccati nelle vecchie gallerie dove una volta i nostri antenati si riparavano durante le tempeste di neve. Peccato che le gallerie non servissero più a niente e che stessimo per morire congelati.
< Cerca di trovare un’uscita! > esclamai.
< E’ tutto inutile! L’unica era quella da cui siamo entrati > replicò Coletta mentre analizzava le pareti ghiacciate con un piccolo sensore tascabile.
< Si, ma è crollata > obiettò Francesco.
< Ma dai? Non me ne sarei mai accorta. E comunque moriremo qui > tagliò corto Coletta.
< Ragazzi, smettetela > m’intromisi io. < Troveremo una soluzione. E poi se sopravviveremo alla notte i nostri genitori ci verrano a cercare >
< Hai detto bene, se sopravviveremo, e io ho i miei dubbi > disse Rodolfo, sdraiato a terra.
Era inutile cercare di far ragionare gli altri, tanto neanch’io credevo che saremmo sopravvissuti. Mi strinsi ancora di più nella giacca, aspettando di scivolare tra le braccia di Morfeo e in seguito di Ade.
< Aspettate! > esclamò Coletta. < Una fonte d’energia. Si, una fonte d’energia! >
Ci voltammo tutti verso di lei.
< Da quella parte. Seguitemi, presto! > esclamò correndo sul ghiaccio che ricopriva quasi interamente il paviemento.
< Nic, aspetta! > esclamai seguendola. Gli altri due erano dietro di me, udivo i loro passi.
< Coletta. Nicoletta! >
Alla fine arrivammo in una sala tutta fatta di ghiaccio con al centro un computer. Sembrava un altare.
< Eccola, la fonte di energia > disse Coletta mentre con l’analizzatore scannerizzava ogni singolo centimetro della macchina. Poi premette un tasto e il computer si accese.
< Come facevi a sapere…? > comiciò Francesco.
< Secondo i dati del sensore il pulsante di accensione doveva essere questo > spiegò Coletta mentre comiciava a digitare e a leggere i dati sullo schermo.
< Sarai pure il genio del gruppo, ma è da secoli che non viene utilizzato. Se riesci a farlo funzionare giuro ti venererò come una dea per il resto della mia vita > disse Rodolfo mentre girava attorno al vecchio computer.
< Si! > esultò Coletta.
< Vorresti illuminarci? > chiesi impaziente sentendo che la temperatura si stava abbassando ulteriormente.
< Rodolfo, comicia a venerarmi > esultò Coletta. < C’è abbastanza energia per un teletrasporto per sette persone >
Francesco tirò un sospiro di sollievo. < Noi siamo in sei. Che fortuna! >
< Ma no! Dai, funziona, devi funzionare! > esclamò disperata Coletta mentre smanettava sui pannelli del computer.
< Qualcosa mi dice che abbiamo un problema > commentai sarcastica.
< Si. Il teletrasporto funziona, ma non riesco a dargli le coordinate, non le accetta > spiegò Coletta.
< Quindi potremmo finire dovunque > terminò Rodolfo.
Coletta fissò il suo sensore. < No, so esattamente dove finiremo: sulla stazione di Marte. O forse le coordinate sono quelle della Luna >
< Ma non avremo aria respirabile! > obiettò Francesco.
< Nell’ultimo decennio del 24° secolo, gli americani crearono un’atmosfera respirabile sulla Luna > disse Coletta. < Probabilmente esiste ancora. Quindi: niente aria nel laboratorio della piattaforma ma aria respirabile fuori >
Preferii non fare la figura di quella che non studia (anche se è vero) e non le chiesi perché mai gli americani avessero messo un laboratorio sulla Luna. O forse si riferiva al controllo dell’atmosfera artificiale…
< E se finiamo su Marte? > chiese Rodolfo.
< Ah boh. Ma se stiamo qui moriamo comunque > risposi.
< Siamo quasi agli zero gradi centigradi > avvisò Coletta.
Benedicendo le tute speciali che indossavamo, mi avvicinai a Coletta e le misi le mani sulle spalle.
< C’è pericolo che ci materializziamo dentro oggetti solidi? >
< Non ne ho idea, ma guarda il lato positivo: non lo sapresti mai >
< Ah, che bel lato positivo! > gridò Francesco.
< Non urlare, per quanto ne sappiamo potrebbe crollare la grotta > lo rimbeccò Coletta.
< Non vorrei dire, ma con le tute sopravviveremo solo fino a venticinque gradi sotto zero e poi addio > s’intromise Rodolfo cercando di sporgersi oltre me e di vedere l’analizzatore di Coletta. Mio Dio, solo ora notavo che era di un terribile rosa shocking. Che schifo!
< Non… sento più la punta delle dita > boccheggiò Francesco.
< Sulla piattaforma > ordinò Coletta imperiosa.
< Quale piattaforma? > chiesi.
Lei andò in un angolo della grotta e tolse uno strato di ghiaccio e neve da una specie di larga pedana ottagonale.
< Cosa? Non è in grado di trasportarci da dove ci troviamo? > < Senti, non è un ultimo modello –di cui già ci sono pochi esemplari grazie alle insufficenti risorse del pianeta- per cui taci e sali > ringhiò Coletta.
Noi tre salimmo sulla pedana mentre lei trafficava con i comandi.
Dopo qualche secondo ( annunciò Rodolfo al quale Coletta aveva dato l’analizzatore) un rumore comiciò a diffondersi e la stanza tremò. Coletta corse alla pedana e io comiciai a sentire le mie molecole che venivano disassemblate.
Il mio cervello tornò ad essere cosciente in uno strano posto. C’era un’altra piattaforma del teletrasporto ma l’ambiente attorno a noi sembrava essere tutt’altro che un laboratorio di una colonia americana o la Seconda Austria insiediatesi su Marte.
Le pareti erano blu scuro e la piattaforma su cui ci trovavamo era situata in un incavo della parete e dava su un corridoio.
< Ok, chi ha mai visto pavimento e soffitto neri con tanto di pareti blu scuro in un laboratorio americano? > chiese Coletta. < Non è nel loro stile >
< E nessuna finestra! Non puo’ essere la colonia sulla Luna > esclamò Francesco.
< Quindi siamo su Marte? > chiesi io.
< Ehm, no, non credo proprio > disse Rodolfo scendendo dalla piattaforma e avvicinandosi al muro. < Coletta, secchiona, hai mai visto questo simbolo sul libro di storia? >
Ci voltammo tutti a guardare cosa indicava. Il simbolo era, da quel che ne capivo, una specie di uccello blu su sfondo nero con nel becco una spada corta o un pugnale.
Ci fissammo tutti per lunghi istanti.
< Allora non siamo né sulla Luna, né su Marte > sussurrò Francesco.
< Dovunque siamo, ti posso assicurare che questo materiale non è nulla che l’analizzatore conosca > disse Coletta mentre analizzava le pareti.
< Ssssssssh, sussurra! Potrebbero sentirci > sussurrò Rodolfo.
< Nic, il tuo sensore può rilevare forme di vita? > chiesi speranzosa.
< No, ma gli impulsi elettrici si. Magari rileva anche quelli del cervello… >
< Allora analizzaci, no? > fece Rodolfo alzando un pochino la voce.
Coletta eseguì e poi scosse la testa.
< Quindi qui o c’è qualcuno che non sa che siamo qui o c’è qualcuno che ci ignora oppure non c’è nessuno, ma per ora non lo sappiamo perché Coletta ha lasciato a casa il sensore che rileva forme di vita > concluse Francesco.
< E’ grosso come il cuscino sul mio letto! > protestò Coletta.
< E pesante la metà > le ricordò Rodolfo.
< Dai, andiamo a dare un’occhiata a quest… be’, qualunque cosa sia questo luogo > dissi sporgendomi dal corridoio per controllare che non ci fosse nessuno.
Per i seguenti venti minuti andammo in giro con le ginocchia piegate, uno stretto all’altro, mentre Coletta analizzava tutto.
< Rinfrescami la memoria > disse Rodolfo. < Perché non siamo tornati subito in Italia? >
< Perché vicino alla piattaforma non c’erano i comandi del teletrasporto. E poi chi ti dice che non siamo in Italia? > replicai con tono di superiorità.
Questa fu l’unica conversazione che avemmo durante quei venti minuti di tensione. Ogni volta che svoltavamo un angolo avevamo paura di incontrare qualcuno. La mia mente creava immagini di giganteschi insetti armati fino ai dent… fauci.
Alla fine ci trovammo davanti a una porta, indovinate?, blu. Scuro. Ma chiunque avesse cotruito questa cosa era fissato col blu?!?
Da quel momento odiavo il colore blu scuro e i pavimenti neri.
Prima che potessi fare la mia proposta di stare lontani da quella porta, essa si aprì rivelando un’immensa sala-laboratorio-centro di comando o qualunque altra cosa fosse con computer che andavano oltre la mia comprensione. In pratica l’unica cosa che noi umani avevamo di superiore a questa tecnologia era il teletrasporto senza piattaforma.
< Non per molto, visto che adesso conquisteremo il vostro mondo > risuonò una voce agghiacciante di certo non umana o Blisterana. I Blisterani sono l’unico altro popolo intelligente della galassia. O almeno così credevamo fino a quel momento.
L’uomo che avanzava verso di noi sembrava umano. Apparte per le quattro orecchie e le tre bocche, ma lasciamo stare. Una bocca stava sopra all’altra mentre la terza era di fianco; la testa era molto più grande di quella di un umano adulto, direi circa il doppio; il taglio di quelli che nessuno avrebbe osato definire capelli era quello di un monaco e due delle orecchie sembravano umane ma allungate e le altre erano grigie (a dispetto della carnagione rosa), sottili e pelose come quelle di un asino.
< Chi sei? Perché sei qui? > esclamai con voce tremante.
< Veramente sei tu, Losanna, e i tuoi amici a essere a bordo di una nave Cialchianiana > rispose lui e tutte le bocche si mossero perfettamente sincronizzate e da ognuna uscì una voce diversa.
< Cialchiachecosa? > fece Coletta.
< Ci chiamiamo Cialchianiani. Da Chialchiana > rispose lui.
< Siete orribili > disse Rodolfo disgustato.
< Anche voi per noi >
< E tu non ce l’hai un nome? > chiesi io in tono provocatorio.
< Te l’ho detto. Ci chiamiamo Cialchianiani >
< No, un nome proprio! >
< E che cos’è? >
< Lascia perdere >
< Scusate, se avete finito! > sbottò infine Coletta. Io tacqui. Ma perché ero io il capo del gruppo e gli ordini li dava lei?
< Rispondi alla domanda che ti ha fatto Losanna e anche alla mia: dove siamo? > disse Francesco.
< Siamo in orbita attorno al vostro minuscolo pianeta > rispose il Cialchianiano. < Ma la vostra specie tra poco non esisterà più >
< E sentiamo perché? > lo provocai. Io fingevo con il mio sangue freddo e l’aria che davo di essere a mio agio: in realtà dentro di me stavo tremando dalla paura.
< Perché noi ci vogliamo stabilire una colonia e visto che le risorse del vostro pianeta si sono esaurite presumo che non possiate più difendervi e che la vostra tecnologia sia limitata a cose come quel sensore primitivo > replicò sempre quel tipo indicando l’oggetto tra le mani tremanti di Coletta.
< E a che vi serve una colonia su un pianeta che ha esaurito le risorse? > s’informò Rodolfo.
< Be’, noi possiamo ripristinarle > fece orgoglioso quel Cialchianano… Cialchianiano che era poco più alto di noi undicenni.
< I Blisterani vi fermeranno! > gridai ben sapendo che i Blisterani non avrebbero fatto niente per noi.
< Sentite, il nostro mondo è sovrappopolato e le risorse che ci mette a disposizione sono per tre quarti inutili. Per ciò noi viaggiamo portando quelle risorse su altri pianeti e ce ne impossessiamo. I Blisterani non hanno interferito mentre il vostro pianeta si stava velocemente congelando, quindi perché dovrebbero farlo ora? > replicò lui calmissimo ma con una nota di vittoria nella voce.
Nessuno di noi osò replicare.
< Ve lo spiego io: noi li abbiamo attaccati anche se loro desideravano aiutarvi. Ci siamo impadroniti del loro pianeta e li abbiamo sterminati. Ci è voluto molto tempo ma alla fine abbiamo decifrato la loro patetica scrittura e siamo venuti a conoscenza della posizione del pianeta dei loro alleati: voi >
Lui premette un pulsante e un raggio partì dalla nave –lo vedemmo dalla vetrata posta alla nostra destra- schiantandosi sul pianeta e percorrendolo tutto.
< Siete gli unici sopravvissuti di una razza ormai estinta > ci annunciò come se ci stesse riferendo le previsioni del tempo.
Le lacrime scesero dai nostri occhi. Io non vedevo più niente e non sentivo più nulla. Mia madre, mio padre, mio fratello grande… tutti uccisi.
< Quindi ora ci ucciderai > terminò Coletta.
< No >
Con una specie di pistola sparò contro di noi e ci congelò. Cioè, non eravamo propriamente congelati, ma intrappolati in una sostanza dura e trasprente che ci impediva di muoverci ma sentivamo tutto. E io sentivo il dolore dirompente dentro di me. No, non un dolore fisico.
< Resterete intrappolati qua dentro, diciamo… ah, fino a che non finirà l’universo. Interessante, non è vero? > continuò quel mostro senza un minimo di rimorso.
Dall’altra parte della stanza comiciavamo a intravedere altra gente intrappolata come noi.
< E’ così che noi facciamo > continuò lo sterminatore. < Noi non facciamo estinguere le specie. Le conserviamo >
Poi si avvicinò a una specie di lungo microfono.
< Equipaggio, pronti a scendere sulla superficie >
  
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