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Autore: BlackBirdFlyAway    29/11/2011    2 recensioni
Dicono che la morte porti solo dolore... Ed è vero lo porta. Anzi, te lo sbatte in faccia. Ma la cosa peggiore della morte è il fatto che porta nuove emozioni che le persone come me non hanno mai provato e ti spinge a provarle tutte fino a quando non scoppi. E quando succede non riesci a fermarlo, non puoi, é impossibile. L'unica cosa che puoi fare è scappare per sottrarti a tutto questo, d'altronde è quello che faccio sempre...
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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    CAPITOLO 1


 

Mi guardavo allo specchio senza sapere né cosa stessi facendo e né quello che stavo per fare. Chi mi aveva convinto a questo suicidio morale? In questi ultimi tre mesi avevo zittito il mio corpo e la mia mente facendo in modo che non trapelasse nessuna emozione, intanto, però ero diventata un vegetale come quelli che si vedono nelle sale d'ospedale di rianimazione, quando stanno per staccarti la spina. Un'altra vita che se ne va, dolori che arrivano.
I servizi sociali mi avevano convinta ad andare dalla psicologa solo per fare un favore al giudice e a mia sorella. Lo facevo solo ed esclusivamente per lei, non volevo rimanere sola un'altra volta, quindi quella era la mia unica possibilità, e se non l'avessi sfruttata al meglio me la sarei giocata, sicuro.
Mi pettinai e scesi le scale di fretta, ero in ritardo di dieci minuti, Jenna guardava la tele svogliata quando mi vide inciampare nelle scale si girò di scatto.
- Ma che diavolo....hey aspetta ti ho preparato la colazione! Dove vai?!
- Vado dalla psicologa e comunque non ho tempo per la colazione… Scusa.
Mi girai per salutarla con un cenno della mano e corsi alla macchina , salii, misi in moto e partii senza pensarci due volte.
Jenna mi aveva scritto su un biglietto l'indirizzo e il nome della psicologa ma, non essendo un genio con le indicazioni stradali, optai per chiedere a un passante dove si trovasse lo studio della dottoressa, ringraziai e me ne andai di fretta. Era la prima volta dopo tre mesi che interagivo con una persona che non fosse mia sorella, il giudice, degli avvocati e un'assistente sociale. Era una sensazione strana, molto strana ma allo stesso tempo piacevole, ma non abbastanza sufficiente da farmi stare bene di nuovo come prima, quando c'era John.
Arrivai davanti allo studio, scesi dalla macchina ed entrai. Non ho mai apprezzato veramente gli strizzacervelli ma credevo che mi avrebbe aiutata a superare tutto, almeno lo speravo.
La ragazza in segreteria mi fece compilare dei moduli e mi fece entrare ricordandomi che ero in ritardo di dieci minuti.
La Sarah, la psicologa, accorgendosi del mio arrivo distolse lo sguardo dal libro che aveva in mano e mi fece segno con il capo di sedermi.
-Buongiorno.                                                                                                                                                                  Disse con voce calma, non faceva trapelare nessuna paura, nessun disagio
- Buongiorno...mi scusi per il ritardo, non intendevo farle perdere tempo.
- No, anzi, ti capisco benissimo io sono sempre in ritardo.
Mi sedetti sulla poltroncina di pelle nera, in quella posizione mi veniva voglia di mettermi a dormire.

-Allora Jessica, come stai?                                                                                                                                         
 Ecco la domanda malefica, come la chiamavo io. La domanda peggiore che chiunque potesse farmi, la odiavo, non potevo sentire quelle due parole seguite dal punto interrogativo. Era contro me stessa. Era una domanda retorica, tutti sapevano benissimo la risposta, ma volevano che io ammettessi quello che provavo. Ma nessuno riusciva a scompormi. Non più. Ero stata per anni muta riguardo alle mie emozioni, ero esattamente come mio padre, lui si definiva un grissino, duro in apparenza ma che si rompe facilmente. E lo ero anche io. Tentavo sempre di nascondermi davanti alle emozioni forti, scappavo, ogni volta. Non avevo il coraggio di affrontarle e neanche adesso. Solo John era riuscito a farmi aprire, a vivere emozioni che non avevo mai vissuto e conosciuto prima. Era tale e quale alla mamma, la stessa forza e comicità con cui affrontava la vita.

Passarono venti minuti e ancora non avevo risposto alla domanda ero rimasta in silenzio a guardare le pareti della stanza quando una voce mi riportò alla realtà
- Lo so benissimo che questa domanda non ti piace per niente,e forse non ti piacerà mai, ma noi siamo qui per una unica ragione.                                                                                                                                                        Il suo tono non era accusatorio e scandì bene le ultime tre parole.
- Tua sorella. Lei non vuole vederti così non ne ha la forza fisica e mentale, è stanca di vederti ridotta a uno stato vegetale. Dice che non dormi, non mangi e non interagisci con le persone, al di fuori di lei, del giudice e dell'assistente sociale. Ti vorrebbe vedere più... Viva. Come lo eri prima, quando c'era anche John.
Aveva ragione. Perchè aveva ragione? Diamine! Lo sapevo che dovevo rimanere a casa a girarmi i pollici, piangere o dormire. Lo sapevo.
- Ha ragione...ma io non ci riesco proprio…
- Capisco…
- No lei non capisce e non capirà mai!                                                                                                                           
Mi resi conto che le avevo appena urlato in faccia.
- Sì è vero forse non capirò mai, ma potrei imparare...
- Imparare? Lei vuole imparare a capire?!                                                                                                                   
Mi misi a ridere così forte che mi venne da piangere.
Le lacrime scendevano piano sul mio viso, erano pesanti. Pesanti perché neanche loro riuscivano più a sopportare tutto questo dolore. Le mie lacrime non ce la facevano più e prima o poi sarebbero morte con me. Sole.
Sì, perché io ero sola.
La dottoressa mi guardò. Ero bagnata, meglio, il mio viso era bagnato. Ma non me ne importava.
- Bene...questo è già un buon inizio…
La guardai e feci “sì” con un cenno del capo.
- Allora le sedute sono dieci ,ci vediamo martedì prossimo alla stessa ora.
- È già finita la seduta?
-  Sì , hai sprecato i primi venti minuti a guardare il mio studio e gli altri trenta a piangere, le sedute durano cinquanta minuti e te li sei giocati tutti, quindi ci vediamo martedì prossimo alla stessa ora.
- Perfetto... Allora a martedì.
- Sì, martedì... Ah, ricordati di firmare i moduli in segreteria
- Certo ,a martedì.
La mia prima seduta era andata, eppure non mi sentivo per niente meglio anzi era rimasto tutto come prima.
Salii in macchina e tornai a casa. Trovai la casa vuota, Jenna era andata a lezione e io ero da sola.
Andai in camera mi buttai sul letto e chiusi gli occhi.
L'unica cosa a cui riuscivo a pensare era: “Perché non hai fatto morire me?”.
Ma i miei pensieri svanirono in un lampo quando mi addormentai.
 
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Saaalve a tutti!! premetto che non sono una scrittrice ma mi piace scrivere soprattutto storie che partono magari da sogni che ho fatto o da fantasia sconce immaginate durante l'ora di Latino..ma questo non importa! Ah... giusto...devo dire chi sono delle due pazze.. Sono  La Marty. Beh, non sto qui a raccontarvi la storia della mia vita ma vi do un consiglio non leggetela soltanto, provate a viverla. Provate a immedesimarvi nelle sensazioni di Jess o in qualsiasi altra parte del racconto...
qualche volta io vi aiuterò magari mettendo qualche canzone di sottofondo per aiutarvi a capiren meglio la situazione ma penso che un po’ tutti ci siamo ritrovati davanti ad una realtà difficile che dobbiamo affrontare, spesso anche da soli... Ma ora vi lascio alla storia... E… Sognate!

  
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