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Autore: emmahp7    01/12/2011    13 recensioni
La guerra è appena finita, ma inaspettatamente Hermione si trova ad affrontare un nemico molto più potente di Voldemort: il dolore. Dovrà riafferrare tutte le armi in suo possesso e preparasi ad una nuova battaglia; ma non è sola, ci sono i suoi amici con lei, c'è Harry, c'è Ginny e c'è Ron. Forse per loro, e forse grazie a loro, scoprirà la forza di reagire al dolore e di sconfiggerlo.
Questa storia si è classificata seconda al contest "Who is... Hermione Jean Granger?" indetto da TittiGranger, e si è classificata prima al "Navigare Controcorrente -Contest- giudicato da Maeve e al "E in quella frazione di secondo, il mondo andò in pezzi-La battaglia di Hogwarts-Contest" indetto da Oonagh, tutti sul forum di EFP. Buona lettura!
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hermione Granger | Coppie: Harry/Ginny, Ron/Hermione
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Imparando nuovamente a camminare

Dedicata alla mia nonnina, che di parole da me ne ha sempre ricevute troppo poche. Prenditele, queste sono tutte tue.

 

Skin and bones

 

 

 

 

Lately I’ve been measuring

Seems my time is growing thin

Wind me up

And watch me spin

Watch me spin

 

Skin and bones – Foo Fighters –

 

 

Dolore.

Era questa la prima, prepotente sensazione che riconosceva appena chiudeva gli occhi.

Ogni fibra del suo corpo pareva lamentarsi. I muscoli gemevano, le ossa sembravano volersi spezzare ad ogni nuovo movimento; sapeva di avere la pelle lacerata in più punti, ma distingueva il pizzicore delle ferite anche su porzioni di epidermide intatta.

Poi c’era un altro tipo di dolore, ben più insopportabile di quello fisico: il dolore delle perdite. Per quello, Hermione ne era consapevole, nessun unguento magico sarebbe stato efficace. Gravava sul suo petto quasi fosse una presenza concreta, si sentiva schiacciare sotto il suo peso insostenibile, ma non cedeva.

Aspettava.

Hermione Jean Granger aspettava.

Nell’infermeria di Hogwarts, miracolosamente intatta dopo l’ultima battaglia, c’erano altri dolori che avevano la priorità sul suo. C’erano sangue e lacrime ovunque arrivasse lo sguardo; c’era chi aveva perso la memoria, chi giaceva privo di sensi da ore, chi era stato completamente sfigurato. C’erano occhi smarriti, c’erano mani che chiedevano aiuto, c’erano urla e c’erano sospiri.

Hermione aspettava.

Si occupava del dolore altrui per dimenticare il proprio. Si affannava tra bende e pozioni, giurando a quella sensazione che premeva sopra le sue costole, che minacciava di soffocarla, che quando sarebbe rimasta sola, quando si sarebbe allontanata da quella sofferenza che giudicava più pressante della propria, allora gliel’avrebbe lasciata vinta, sarebbe crollata. Aveva trovato il modo di rinviare il momento della resa.

Hermione Jean Granger aspettava di arrendersi.

Si asciugò la fronte col dorso della mano, strofinandosi gli occhi con le dita e accolse con benevolenza la stanchezza che le abbassava le palpebre, perché era così forte che concentrandosi su essa, riusciva ad ignorare il richiamo del suo dolore. Ma non era ancora tempo di cedere neppure al sonno.

Rispose con un sorriso tirato ai ringraziamenti sussurrati dal mago che aveva appena medicato, e si spostò per raggiungere il ferito successivo.

Seduta sulla sponda di un letto che ospitava già un uomo, Ginny Weasley assomigliava ad una fiamma destinata ad estinguersi. Teneva la testa bassa, concentrata sulle proprie mani intrecciate all’altezza delle ginocchia. Le sue vesti erano sporche, bruciacchiate, sfilacciate. I capelli rossi, che le ricadevano scomposti sul viso, risultavano sbiaditi. Pareva quasi che, pian piano, tutta la sua persona stesse perdendo i colori.

Hermione si avvicinò. « Ginny? »

Sentì un tuffo al cuore quando la ragazza alzò lo sguardo su di lei: anche dai suoi occhi castani stava svanendo il colore, sembravano spenti.

« Mia madre dice che dovrei farmi medicare » Ginny scostò i capelli dalla fronte mostrando un brutto taglio sanguinolento.

Hermione annuì. « Ci penso io ».

Ginny non si mosse mentre le disinfettava la ferita; l’essenza di dittamo pizzicava al contatto con le lesioni, ma non modificò nemmeno l’espressione del viso. Hermione ebbe l’impressione di curare una statua, come se quella di fronte a lei fosse in realtà solo l’involucro di Ginny. La sua pelle e le sue ossa.

Hermione le accarezzò leggermente la tempia, dove la ferita si stava già rimarginando. S’immaginò inadeguata e goffa, ma seguitò a sfiorarle la fronte, poi la guancia, le sistemò delicatamente i capelli dietro le orecchie scoprendole il viso.

Ginny non reagì a nessuno dei suoi gesti; era lì ed allo stesso tempo era distante, in un luogo solitario. Hermione credeva di non possedere alcun mezzo per raggiungerla, non poteva fare altro che guardarla sprofondare in uno sconforto sempre più intenso.

Desiderò impadronirsi del dolore di Ginny, addossarsi anche la sua sofferenza e rimanervi schiacciata lei sotto, piuttosto che vedere la sua amica sgretolarsi un po’ alla volta.

Tentò di rassicurarla con le parole: « Andrà tutto bene, starai bene ».

Voleva prometterle che le sarebbe stata vicino, che l’avrebbe aiutata a superare la sua perdita anche se ci sarebbero voluti anni, che avrebbe potuto contare sempre su di lei. « Vedrai. E’ solo questione di tempo… » ma di fronte all’espressione disillusa di Ginny, tutti i propositi risultarono vani.

Le frasi le morirono in gola, abbandonò le braccia lungo i fianchi, sconfitta.

Hermione si accorse di essere inutile, consapevole che ogni parola, ogni sua azione, non avrebbero in nessun modo alleviato il tormento dell’amica. Le sue conoscenze, le buone intenzioni, il coraggio, il sangue freddo che era stata in grado di tirare fuori anche nelle situazioni più rischiose, non servivano a nulla in quel momento.

Si sentì nuda, scoperta, incrociò le braccia al petto.

Una parte di lei avrebbe voluto girare i tacchi e nascondersi, chiudere gli occhi, tapparsi le orecchie e fingere che andava davvero tutto bene, che avevano vinto e dovevano solo cominciare ad essere felici.

Ma Hermione Jean Granger non era solita nascondersi, né mentire a se stessa. La felicità era ancora lontana e forse lo sarebbe rimasta ancora a lungo; quello non era ancora il momento giusto per deporre le armi.

Deglutì e ricacciò indietro la sensazione d’impotenza. La seppellì dove dimorava il dolore contro cui combatteva dalla fine della guerra. Una lotta infinita.

Niente l’avrebbe fatta cedere, nessuno l’avrebbe vista crollare.

Prese le mani che Ginny teneva immobili sulle ginocchia, le strinse forte. « Andrà tutto bene » promise di nuovo, mettendoci tutta la convinzione di cui era capace.

Ginny emise un lungo sospiro e lasciò vagare lo sguardo per l’infermeria, indugiando sulle decine di occhi la cui tristezza rispecchiava la propria. « C’era davvero bisogno di tutto questo? » chiese rivolgendosi a nessuno in particolare. « Cos’è che abbiamo ottenuto che prima non avevamo? »

La risposta salì alle labbra di Hermione così rapidamente che stavolta non riuscì a trattenerla: « Tempo ».

Ginny tornò a fissarla, i suoi occhi già spenti si velarono di ulteriore rassegnazione. Annuì mesta.

Inaspettatamente, mentre tentava di infondere speranza nell’amica, Hermione individuò una scintilla brillare nel fondo dello sguardo di lei, come le ceneri ancora non del tutto spente di un fuoco dirompente. L’attenzione di Ginny fu catturata da qualcosa oltre la sua spalla.

Hermione si voltò.

Dietro di lei c’era Harry. Visibilmente stanco, provato, il viso sporco segnato da un’espressione seria. Scrutava Ginny in silenzio e lei rispondeva al suo sguardo nello stesso silenzio, senza quasi respirare.

Hermione giudicò di essere di troppo, si scostò da lei. Non appena le liberò le mani, vide Ginny fremere. Harry la raggiunse in due passi, la prese tra le braccia.

Aggrappati l’uno all’altra, Hermione li guardò soffocare la disperazione che dimorava anche in lei. Distinse Ginny che riaffiorava dall’abisso nel quale era precipitata, attaccata alle spalle di Harry che era andato a riprendersela per riportarla accanto a sé. Li osservò sussurrarsi parole che nessun altro tranne loro era in grado di udire, intanto che la stretta diventava più esigente e l’angoscia si tramutava in sollievo.

Dietro gli occhi gonfi di pianto e l’aspetto stremato, Hermione riuscì di nuovo a scorgere la sua amica: quei bisbigli, quell’abbraccio, Harry, avevano saputo ridonare colore alla figura di Ginny.

 

 

Skin and bones

Skin and bones

Skin and bones

Don’t you know?

I’m just skin and bones

 

Skin and bones – Foo Fighters

 

 

Si accorse di Ron solo qualche minuto dopo, mentre si muoveva verso un'altra persona da soccorrere.

Probabilmente aveva accompagnato Harry fino all’infermeria. Il suo aspetto non era migliore di quello dell’amico e nemmeno la sua espressione era diversa.

Nell’istante in cui afferrò la mano che le tendeva, Hermione si chiese se non fosse proprio lui il ferito che cercava, che aveva bisogno delle sue cure. La serenità che le aveva appena regalato l’abbraccio tra Harry e Ginny, si affievolì di colpo, annientata dal timore di non essere all’altezza di un compito di cui non conosceva l’entità.

Ron non disse nulla, si voltò e l’accompagnò fuori dalla stanza.

« Dove stiamo andando? » gli chiese lei quando ebbero superato di qualche passo l’uscita.

« A riposare »

Hermione tentò debolmente di ribellarsi. « No… io devo… »

« Possono fare a meno di te per qualche ora » la interruppe lui senza mollare la presa.

Hermione si volse verso l’infermeria, Luna Lovegood aveva già preso il posto che lei aveva lasciato scoperto. Chiunque non aveva riportato lesioni gravi si preoccupava di assistere chi era stato meno fortunato.

Hermione si rassegnò, rinunciò al proposito di tornare indietro e permise che Ron la guidasse per i corridoi.

« Come stai? » le domandò quando rimasero soli. Vagavano per i piani del castello in rovina, desolazione e silenzio erano i loro unici compagni.

Hermione si strinse nelle spalle. « Non importa come sto io ».

« Sì che importa. Importa a me » Ron lo precisò quasi con rabbia, fermandosi di colpo e fronteggiandola. Aveva lo stesso sguardo scolorito di Ginny poco prima, ma c’era una sorta di prepotenza nella sua voce, cercava in tutti i modi di reagire al senso di perdita.

Hermione sospirò. Si guardò le mani, tremavano leggermente. Si convinse che era inutile mentire, che Ron non sarebbe stato meglio se lei avesse minimizzato ciò che provava e non sarebbe stata meglio nemmeno lei.

« Mi sembra come se di me fossero rimaste solo la pelle e le ossa » era la medesima descrizione che aveva usato nella propria mente a proposito di Ginny. Anche lei si sentiva così: una confezione svuotata del suo contenuto. Allungò le braccia verso di lui e gli mostrò i palmi aperti. « Vuoto » disse. « Solo pelle e ossa ».

Ron osservò le sue dita e lei seppe di aver dato di nuovo la risposta giusta, di aver appena chiamato per nome ciò che lui non riusciva ad identificare. Ma questo non le fu di conforto, anzi. Si detestò per quello che aveva appena affermato, per come le parole erano state capaci di sedare il tentativo di reazione di Ron. Erano anni che aveva capito che conoscere le risposte corrette non sempre porta il risultato sperato, eppure ci cascava ancora, eppure le parole giuste seguitavano ad affiorare alle labbra.

Ron riprese le mani di lei nelle sue, le strinse per un lungo momento, a testa bassa.

Hermione pensò che lui avrebbe ceduto, che sarebbe scoppiato a piangere tra le sue braccia. Avrebbe voluto avere la forza di dichiarargli: « Tieniti a me. Io non ti lascio cadere » avrebbe voluto essere il suo appiglio in mezzo alla tempesta, il suo punto di riferimento nel caos, ma non era sicura di essere davvero capace di sostenerlo. Un conto era consolare Ginny, un altro era dover affrontare la sofferenza di Ron, per lui Hermione avrebbe voluto possedere il potere di riportare in vita i morti.

Il dolore che le pulsava nelle vene aspettava impaziente di uscire allo scoperto, e in quel drammatico istante rivendicò l’attenzione che meritava. Lo avvertì crepitare sul fondo della gola, pronto a sfogarsi.

Ron rialzò il capo proprio quando lei stava per arrendersi. « Andiamo. Devi riposare » la voce uscì leggermente incrinata, ma i suoi occhi erano asciutti.

Ricominciarono a camminare, Ron davanti che tracciava la strada, Hermione che ne seguiva i passi.

L’andatura di Ron era diversa da come lei la ricordava, risultava appesantita, sembrava fare fatica ad ogni spostamento. Hermione gli fissava la schiena e non riusciva a non pensare che anche di Ron erano rimaste solo la pelle e le ossa, come di lei, come di Ginny, come di Hogwarts. La guerra pareva essersi portata via tutto. Poco importava che avessero vinto, ognuno doveva fare i conti con il vuoto che le perdite avevano lasciato.

Quando arrivarono di fronte all’ingresso per la sala comune di Grifondoro, non c’era nessun ritratto a chiedere loro la parola d’ordine. Il quadro era stato gettato da una parte ed il suo occupante, la Signora Grassa, era assente. Superarono l’entrata.

Fu strano rimettere piede in un luogo tanto familiare, scoprire di aver sentito la mancanza persino del colore della carta da parati. Era un anno che non entravano in quella stanza.

La sala comune era sottosopra. Le poltrone giacevano a terra scomposte, alcuni tavoli erano ribaltati e sul pavimento c’erano ogni sorta di oggetti: libri, piume, pergamene, boccette d’inchiostro che disperdevano il proprio contenuto sui tappeti.

Ron si fermò al centro della stanza. Guardò alternativamente verso i dormitori femminili e quelli maschili, indeciso. Hermione intuì la sua esitazione, gli passò davanti senza lasciargli la mano, determinata, lo scortò verso la stanza che lui aveva diviso con Harry, Neville e gli altri Grifondoro del suo anno.

La porta era socchiusa e la penombra della camera permise loro di notare che, al contrario dell’altra, questa stanza era rimasta in ordine. Il consueto odore del legno del pavimento si propagava nell’aria tiepida e diede loro una sorta di benvenuto, come se la camera stessa li stesse aspettando.

Si avvicinarono a quello che era stato il letto di Ron per sei anni, lui si voltò verso Hermione, in attesa. Lei lo fece sedere sul materasso e sfiorò delicatamente con le dita le ombre scure che gli contornavano gli occhi. « Dovresti riposare anche tu » disse dolcemente. Ron chiuse per un secondo le palpebre, esausto, poi annuì, si tolse le scarpe e si distese.

Hermione gli si sdraiò accanto.

Le lenzuola erano fresche e profumavano di pulito, ma le risultarono estranee, sembrava un letto sconosciuto.

Un attimo dopo l’odore di Ron raggiunse le sue narici, coprendo qualsiasi altro odore e cancellando ogni altro pensiero. Lui era così vicino che Hermione riusciva a percepire il calore del suo respiro che le investiva il viso. Il cuore prese a batterle all’impazzata e lei sussultò, aveva quasi dimenticato di avere un cuore che funzionava, che viveva nonostante tutto.

Accanto al dolore, cominciò a gonfiarsi nel suo petto una nuova sensazione: la speranza. La stessa speranza che aveva provato ad alimentare in Ginny in infermeria, ora non sembrava più un’illusione creata per rasserenare un’amica.

Lì, in quel letto immacolato, con Ron vicino come non le era mai stato, Hermione capì che quel tempo per il quale avevano lottato, che avevano conquistato con la guerra, avrebbero potuto realmente utilizzarlo, che potevano ricominciare da capo, che potevano ricostruire ogni cosa.

E scoprì che la speranza pizzicava nell’animo come limone su un taglio.

Si avvinghiò a Ron, lo strinse più forte che poté, infilò il mento nel collo di lui.

Un attimo dopo stavano piangendo.

Hermione pianse con Ron. Pianse per lui, per Ginny, per Harry. Pianse per Fred, e per George che aveva perso per sempre una parte di sé; per Lupin e Tonks, per il piccolo Teddy che sarebbe cresciuto senza genitori. Pianse per le cinquanta persone che si erano sacrificate per donare, a chi era rimasto, quella speranza che adesso faceva tanto male. Pianse per le famiglie di quelle persone, per la sua famiglia sperduta chissà dove. Pianse perché era stanca di fingersi forte, perché tutto il dolore che aveva ingoiato spingeva per essere liberato, perché non si riconosceva più ora che di sé vedeva solo la pelle e le ossa.

Piansero finché non riuscirono più a distinguere quali erano le lacrime di uno e quali dell’altra, finché di lacrime non ce ne furono proprio più; allora, sfiniti, si addormentarono abbracciati.

 

Skin and bones

Skin and bones

Skin and bones

 

Skin and bones – Foo Fighters –

 

 

Quando Hermione si svegliò, parecchie ore dopo, l’aria nella stanza era ancora calda ed entravano fasci di luce tenui dalle finestre.

Ron era ancora profondamente addormentato, il suo petto si gonfiava ad ogni respiro e premeva leggermente contro quello di lei, ma era l’unica cosa a comprimere ancora la sua gabbia toracica con una certa insistenza. Dell’angoscia della sera precedente, non era rimasta che un’ombra scura. Hermione riusciva ancora a percepirne l’eco, ma era come se il battito del cuore di Ron, che rincorreva il proprio, ne avesse preso il posto. Era una sensazione disorientante sapere che i loro corpi erano rimasti allacciati una notte intera. Eppure era stato giusto, facile. Era facile rimanere ancora attaccata a lui, seguire il ritmo del suo respiro.

Hermione era diversa dalla sera prima, si accorse che c’era ancora qualcosa sotto la sua pelle e le sue ossa, che Hermione Jean Granger esisteva ancora. Il dolore non sarebbe mai riuscito ad annientarla completamente finché avrebbe potuto stringere Ron tra le braccia.

Hermione ne studiò il viso a pochi centimetri dal suo. Era pallido, ma l’espressione era serena, rilassata. Notò che i tratti del ragazzino col quale era cresciuta, stavano lasciando spazio a quelli dell’uomo che Ron sarebbe divenuto, sorrise pensando che avrebbe assistito a quel cambiamento, che sarebbero diventati grandi insieme, mano nella mano.

Chiuse gli occhi ed inspirò, il letto adesso profumava di Ron, profumava di lei, i cuscini erano bagnati dalle loro lacrime. Era come se avessero scritto un pezzetto della loro storia su una pagina bianca. Nella luce del mattino non sembrava più così sbagliato lasciarsi tutto alle spalle e ricominciare a vivere.

Ron avrebbe curato la sua ferita e lei avrebbe fatto lo stesso con lui.

La strada era tutta in salita, ma Hermione Jean Granger non si era mai tirata indietro di fronte ad una sfida, e non avrebbe iniziato nemmeno ora che di lei erano rimaste solo la pelle e le ossa.

 

 

Don’t you know?

I’m just skin and bones

 

Skin and bones – Foo Fighters

 

 

 

 

 

 

 

Sono di nuovo qui, ne avete abbastanza di me, non è vero?

Beh, dopo questa storia non mi vedrete per un po’. Mi ritiro in tranquillità a scrivere qualcos’altro: devo finire la raccolta ed ho un altro paio di cose in cantiere, ma di tutto questo, per adesso non esiste neanche una riga. Devo mettermi sotto e lavorare, ma voglio farlo con calma.

Questa shot si è classificata seconda al contest “Who is… Hermione Jean Granger?” indetto da TittiGranger sul forum di EFP.

Ho scelto di descrivere questo momento perché bisognava scrivere sulla “vera” Hermione, ed io volevo metterla a nudo, anzi volevo che si potesse vederne “la pelle e le ossa”. Niente ti spoglia di più del dolore, ed il dolore di chi ami ti mette di fronte a te stessa senza lasciare spazio alla finzione. Spero che siate riusciti a riconoscerla attraverso le mie parole. Sarei felice di sapere cosa ne pensate.

Qui sotto trovate il giudizio di Titti, che ringrazio immensamente per la posizione in classifica e per avermi dato l’occasione di scrivere questa storia; e grazie a tutti coloro che mi incoraggiano a continuare, a quelli che inseriscono le mie cose tra le preferite/ricordate/seguite, a chi recensisce e a chi semplicemente legge.

Grazie mille per il tempo che mi dedicate…

Vi saluto, ma torno presto. Promesso!

 

Emmahp7

 

SECONDA CLASSIFICATA
EMMAHP7- Skin and bones


Attinenza ambientazione: 10\10
IC personaggio: 9.5\10
Originalità: 9\10
Grammatica: 9.5\10
Stile: 10\10
Utilizzo prompt: 2.5\5
Gradimento personale: 4\5

Totale: 54.5\60

Attinenza ambientazione: hai scelto un episodio delicato e lo hai rispettato in ogni sua singola sfumatura. Ogni frase, ogni pensiero, ogni minimo particolare ha un suo ruolo, niente è lasciato al caso. Insomma, ciò che hai raccontato è perfettamente coerente con l’ambito temporale che hai scelto, non c’è altro da aggiungere!
IC: Hermione è… Hermione. Soprattutto nella parte iniziale (perché ovviamente, è la parte più di impatto, quella in cui il lettore si trova a dover affrontare, attraverso le tue parole, il peso di una guerra appena conclusasi) emerge un senso di spaesamento, quasi, che contrasta con l’efficienza e con il self control che hanno sempre caratterizzato il personaggio di Hermione. La pragmaticità, la sicurezza e l’organizzazione di Hermione vengono spazzati via da un senso di disagio: tutti i personaggi, Hermione in primis, sono disorientati, spiazzati. E trovo che questo sia assolutamente giusto e giustificato: Hermione non riesce a mantenere il controllo, lei che sa sempre tutto, che sa sempre come agire, come comportarsi… si sente smarrita, travolta da un qualcosa che è più grande di lei, più grande di tutti loro. Ti ho tolto un (misero!) punto perché non mi ha convinto al cento per cento, l’Hermione che interagisce con Ginny… l’ho trovata un tantino troppo “distaccata”. Ma si tratta di un dettaglio completamente compensato dalla perfezione che si raggiunge nel complesso.
Originalità: si tratta di un missing moment la cui originalità risiede non tanto nell’episodio raccontato quanto nella modalità di trattarlo: contrariamente a quanto si legge di solito in fan fiction che trattano questa scena, non emerge la straziante disperazione dei personaggi, non ci sono urla, lacrime… non emerge il lato tragico. Nella tua storia, sembra prevalere il silenzio: ogni personaggio agisce nel silenzio, troppo stanchi per fare qualsiasi tipo di rumore. Non si tratta di un dolore urlato al mondo, ma di un dolore che sconvolge, che disorienta, di un dolore quasi troppo forte per essere razionalizzato.
Grammatica: il testo è perfetto. Il mezzo punto tolto è dovuto al fatto che “sala comune” si scrive con la minuscola (è una cosa che ho appena imparato anche io).
Stile: Il testo scorre in modo perfettamente fluido. Il tuo stile è chiaro, pulito, attraverso gli occhi di Hermione sembra che anche il lettore riesca a vedere la distruzione che la guerra ha portato. Nel vero senso della parola, non c’è una virgola fuori posto.
Utilizzo prompt: Ginny. Allora, in parte devo ammettere che il punteggio che ti ho dato, relativamente a questo parametro è dovuto al fatto che Ginny occupa soltanto una minima parte della tua storia. Non era obbligatorio usare il prompt, come io stessa ho specificato, ma una volta lette tutte le storie, non ho potuto fare a meno di premiare quelle in cui l’elemento bonus costituiva il fulcro della storia stessa, l’elemento centrale. Tu hai trattato il personaggio bonus come tale: non gli hai dato un’importanza fondamentale, ma nonostante ciò è ben collocato all’interno della scena, in modo sensato e coerente.
Gradimento personale: la tua storia è l’esempio del lavoro-modello che tutti i Giudici dei contest vorrebbero veder partecipare ai propri concorsi. Ben strutturata, chiara, piacevole e completa nei suoi elementi. Mi è piaciuta soprattutto la parte finale: quella in cui Hermione comprende che il tempo per cui ha combattuto è il tempo che dedicherà alla sua storia con Ron, perché finché ci sarà del tempo, ci sarà anche la speranza di usarlo per essere di nuovo felici.
Grazie di cuore per aver partecipato.

 

 

 

 

 

 

   
 
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