Dedicata alla mia nonnina, che
di parole da me ne ha sempre ricevute troppo poche. Prenditele, queste sono
tutte tue.
Skin and bones
Lately I’ve been measuring
Seems my time is growing thin
Wind me up
And watch me spin
Watch me spin
Skin and bones – Foo Fighters –
Dolore.
Era questa la prima, prepotente sensazione che riconosceva appena
chiudeva gli occhi.
Ogni fibra del suo corpo pareva lamentarsi. I muscoli gemevano, le ossa
sembravano volersi spezzare ad ogni nuovo movimento; sapeva di avere la pelle
lacerata in più punti, ma distingueva il pizzicore delle ferite anche su
porzioni di epidermide intatta.
Poi c’era un altro tipo di dolore, ben più insopportabile di quello
fisico: il dolore delle perdite. Per quello, Hermione ne era consapevole,
nessun unguento magico sarebbe stato efficace. Gravava sul suo petto quasi
fosse una presenza concreta, si sentiva schiacciare sotto il suo peso
insostenibile, ma non cedeva.
Aspettava.
Hermione Jean Granger aspettava.
Nell’infermeria di Hogwarts, miracolosamente intatta dopo l’ultima
battaglia, c’erano altri dolori che avevano la priorità sul suo. C’erano sangue
e lacrime ovunque arrivasse lo sguardo; c’era chi aveva perso la memoria, chi
giaceva privo di sensi da ore, chi era stato completamente sfigurato. C’erano
occhi smarriti, c’erano mani che chiedevano aiuto, c’erano urla e c’erano
sospiri.
Hermione aspettava.
Si occupava del dolore altrui per dimenticare il proprio. Si affannava
tra bende e pozioni, giurando a quella sensazione che premeva sopra le sue
costole, che minacciava di soffocarla, che quando sarebbe rimasta sola, quando
si sarebbe allontanata da quella sofferenza che giudicava più pressante della
propria, allora gliel’avrebbe lasciata vinta, sarebbe crollata. Aveva trovato
il modo di rinviare il momento della resa.
Hermione Jean Granger aspettava di arrendersi.
Si asciugò la fronte col dorso della mano, strofinandosi gli occhi con
le dita e accolse con benevolenza la stanchezza che le abbassava le palpebre,
perché era così forte che concentrandosi su essa, riusciva ad ignorare il
richiamo del suo dolore. Ma non era ancora tempo di cedere neppure al sonno.
Rispose con un sorriso tirato ai ringraziamenti sussurrati dal mago che
aveva appena medicato, e si spostò per raggiungere il ferito successivo.
Seduta sulla sponda di un letto che ospitava già un uomo, Ginny Weasley
assomigliava ad una fiamma destinata ad estinguersi. Teneva la testa bassa,
concentrata sulle proprie mani intrecciate all’altezza delle ginocchia. Le sue
vesti erano sporche, bruciacchiate, sfilacciate. I capelli rossi, che le
ricadevano scomposti sul viso, risultavano sbiaditi. Pareva quasi che, pian
piano, tutta la sua persona stesse perdendo i colori.
Hermione si avvicinò. « Ginny? »
Sentì un tuffo al cuore quando la ragazza alzò lo sguardo su di lei:
anche dai suoi occhi castani stava svanendo il colore, sembravano spenti.
« Mia madre dice che dovrei farmi medicare » Ginny scostò i capelli
dalla fronte mostrando un brutto taglio sanguinolento.
Hermione annuì. « Ci penso io ».
Ginny non si mosse mentre le disinfettava la ferita; l’essenza di
dittamo pizzicava al contatto con le lesioni, ma non modificò nemmeno l’espressione
del viso. Hermione ebbe l’impressione di curare una statua, come se quella di
fronte a lei fosse in realtà solo l’involucro di Ginny. La sua pelle e le sue
ossa.
Hermione le accarezzò leggermente la tempia, dove la ferita si stava
già rimarginando. S’immaginò inadeguata e goffa, ma seguitò a sfiorarle la
fronte, poi la guancia, le sistemò delicatamente i capelli dietro le orecchie
scoprendole il viso.
Ginny non reagì a nessuno dei suoi gesti; era lì ed allo stesso tempo
era distante, in un luogo solitario. Hermione credeva di non possedere alcun
mezzo per raggiungerla, non poteva fare altro che guardarla sprofondare in uno
sconforto sempre più intenso.
Desiderò impadronirsi del dolore di Ginny, addossarsi anche la sua
sofferenza e rimanervi schiacciata lei sotto, piuttosto che vedere la sua amica
sgretolarsi un po’ alla volta.
Tentò di rassicurarla con le parole: « Andrà tutto bene, starai bene ».
Voleva prometterle che le sarebbe stata vicino, che l’avrebbe aiutata a
superare la sua perdita anche se ci sarebbero voluti anni, che avrebbe potuto
contare sempre su di lei. « Vedrai. E’ solo questione di tempo… » ma di fronte
all’espressione disillusa di Ginny, tutti i propositi risultarono vani.
Le frasi le morirono in gola, abbandonò le braccia lungo i fianchi,
sconfitta.
Hermione si accorse di essere inutile, consapevole che ogni parola,
ogni sua azione, non avrebbero in nessun modo alleviato il tormento dell’amica.
Le sue conoscenze, le buone intenzioni, il coraggio, il sangue freddo che era
stata in grado di tirare fuori anche nelle situazioni più rischiose, non
servivano a nulla in quel momento.
Si sentì nuda, scoperta, incrociò le braccia al petto.
Una parte di lei avrebbe voluto girare i tacchi e nascondersi, chiudere
gli occhi, tapparsi le orecchie e fingere che andava davvero tutto bene, che
avevano vinto e dovevano solo cominciare ad essere felici.
Ma Hermione Jean Granger non era solita nascondersi, né mentire a se
stessa. La felicità era ancora lontana e forse lo sarebbe rimasta ancora a
lungo; quello non era ancora il momento giusto per deporre le armi.
Deglutì e ricacciò indietro la sensazione d’impotenza. La seppellì dove
dimorava il dolore contro cui combatteva dalla fine della guerra. Una lotta
infinita.
Niente l’avrebbe fatta cedere, nessuno l’avrebbe vista crollare.
Prese le mani che Ginny teneva immobili sulle ginocchia, le strinse
forte. « Andrà tutto bene » promise di nuovo, mettendoci tutta la convinzione
di cui era capace.
Ginny emise un lungo sospiro e lasciò vagare lo sguardo per
l’infermeria, indugiando sulle decine di occhi la cui tristezza rispecchiava la
propria. « C’era davvero bisogno di tutto questo? » chiese rivolgendosi a
nessuno in particolare. « Cos’è che abbiamo ottenuto che prima non avevamo? »
La risposta salì alle labbra di Hermione così rapidamente che stavolta non
riuscì a trattenerla: « Tempo ».
Ginny tornò a fissarla, i suoi occhi già spenti si velarono di
ulteriore rassegnazione. Annuì mesta.
Inaspettatamente, mentre tentava di infondere speranza nell’amica, Hermione
individuò una scintilla brillare nel fondo dello sguardo di lei, come le ceneri
ancora non del tutto spente di un fuoco dirompente. L’attenzione di Ginny fu
catturata da qualcosa oltre la sua spalla.
Hermione si voltò.
Dietro di lei c’era Harry. Visibilmente stanco, provato, il viso sporco
segnato da un’espressione seria. Scrutava Ginny in silenzio e lei rispondeva al
suo sguardo nello stesso silenzio, senza quasi respirare.
Hermione giudicò di essere di troppo, si scostò da lei. Non appena le
liberò le mani, vide Ginny fremere. Harry la raggiunse in due passi, la prese
tra le braccia.
Aggrappati l’uno all’altra, Hermione li guardò soffocare la
disperazione che dimorava anche in lei. Distinse Ginny che riaffiorava dall’abisso
nel quale era precipitata, attaccata alle spalle di Harry che era andato a
riprendersela per riportarla accanto a sé. Li osservò sussurrarsi parole che
nessun altro tranne loro era in grado di udire, intanto che la stretta
diventava più esigente e l’angoscia si tramutava in sollievo.
Dietro gli occhi gonfi di pianto e l’aspetto stremato, Hermione riuscì
di nuovo a scorgere la sua amica: quei bisbigli, quell’abbraccio, Harry,
avevano saputo ridonare colore alla figura di Ginny.
Skin and bones
Skin and bones
Skin and bones
Don’t you know?
I’m just skin and bones
Skin and bones – Foo Fighters –
Si accorse di Ron solo qualche minuto dopo, mentre si muoveva verso
un'altra persona da soccorrere.
Probabilmente aveva accompagnato Harry fino all’infermeria. Il suo
aspetto non era migliore di quello dell’amico e nemmeno la sua espressione era
diversa.
Nell’istante in cui afferrò la mano che le tendeva, Hermione si chiese
se non fosse proprio lui il ferito che cercava, che aveva bisogno delle sue
cure. La serenità che le aveva appena regalato l’abbraccio tra Harry e Ginny,
si affievolì di colpo, annientata dal timore di non essere all’altezza di un
compito di cui non conosceva l’entità.
Ron non disse nulla, si voltò e l’accompagnò fuori dalla stanza.
« Dove stiamo andando? » gli chiese lei quando ebbero superato di
qualche passo l’uscita.
« A riposare »
Hermione tentò debolmente di ribellarsi. « No… io devo… »
« Possono fare a meno di te per qualche ora » la interruppe lui senza
mollare la presa.
Hermione si volse verso l’infermeria, Luna Lovegood aveva già preso il
posto che lei aveva lasciato scoperto. Chiunque non aveva riportato lesioni gravi
si preoccupava di assistere chi era stato meno fortunato.
Hermione si rassegnò, rinunciò al proposito di tornare indietro e
permise che Ron la guidasse per i corridoi.
« Come stai? » le domandò quando rimasero soli. Vagavano per i piani
del castello in rovina, desolazione e silenzio erano i loro unici compagni.
Hermione si strinse nelle spalle. « Non importa come sto io ».
« Sì che importa. Importa a me » Ron lo precisò quasi con rabbia,
fermandosi di colpo e fronteggiandola. Aveva lo stesso sguardo scolorito di
Ginny poco prima, ma c’era una sorta di prepotenza nella sua voce, cercava in
tutti i modi di reagire al senso di perdita.
Hermione sospirò. Si guardò le mani, tremavano leggermente. Si convinse
che era inutile mentire, che Ron non sarebbe stato meglio se lei avesse
minimizzato ciò che provava e non sarebbe stata meglio nemmeno lei.
« Mi sembra come se di me fossero rimaste solo la pelle e le ossa » era
la medesima descrizione che aveva usato nella propria mente a proposito di
Ginny. Anche lei si sentiva così: una confezione svuotata del suo contenuto. Allungò
le braccia verso di lui e gli mostrò i palmi aperti. « Vuoto » disse. « Solo
pelle e ossa ».
Ron osservò le sue dita e lei seppe di aver dato di nuovo la risposta
giusta, di aver appena chiamato per nome ciò che lui non riusciva ad
identificare. Ma questo non le fu di conforto, anzi. Si detestò per quello che
aveva appena affermato, per come le parole erano state capaci di sedare il
tentativo di reazione di Ron. Erano anni che aveva capito che conoscere le
risposte corrette non sempre porta il risultato sperato, eppure ci cascava
ancora, eppure le parole giuste seguitavano ad affiorare alle labbra.
Ron riprese le mani di lei nelle sue, le strinse per un lungo momento,
a testa bassa.
Hermione pensò che lui avrebbe ceduto, che sarebbe scoppiato a piangere
tra le sue braccia. Avrebbe voluto avere la forza di dichiarargli: « Tieniti a
me. Io non ti lascio cadere » avrebbe voluto essere il suo appiglio in mezzo
alla tempesta, il suo punto di riferimento nel caos, ma non era sicura di
essere davvero capace di sostenerlo. Un conto era consolare Ginny, un altro era
dover affrontare la sofferenza di Ron, per lui Hermione avrebbe voluto
possedere il potere di riportare in vita i morti.
Il dolore che le pulsava nelle vene aspettava impaziente di uscire allo
scoperto, e in quel drammatico istante rivendicò l’attenzione che meritava. Lo
avvertì crepitare sul fondo della gola, pronto a sfogarsi.
Ron rialzò il capo proprio quando lei stava per arrendersi. « Andiamo. Devi
riposare » la voce uscì leggermente incrinata, ma i suoi occhi erano asciutti.
Ricominciarono a camminare, Ron davanti che tracciava la strada,
Hermione che ne seguiva i passi.
L’andatura di Ron era diversa da come lei la ricordava, risultava
appesantita, sembrava fare fatica ad ogni spostamento. Hermione gli fissava la
schiena e non riusciva a non pensare che anche di Ron erano rimaste solo la
pelle e le ossa, come di lei, come di Ginny, come di Hogwarts. La guerra pareva
essersi portata via tutto. Poco importava che avessero vinto, ognuno doveva
fare i conti con il vuoto che le perdite avevano lasciato.
Quando arrivarono di fronte all’ingresso per la sala comune di Grifondoro, non c’era nessun ritratto a chiedere loro la
parola d’ordine. Il quadro era stato gettato da una parte ed il suo occupante,
la Signora Grassa, era assente. Superarono l’entrata.
Fu strano rimettere piede in un luogo tanto familiare, scoprire di aver
sentito la mancanza persino del colore della carta da parati. Era un anno che
non entravano in quella stanza.
La sala comune era sottosopra. Le poltrone giacevano a terra scomposte,
alcuni tavoli erano ribaltati e sul pavimento c’erano ogni sorta di oggetti:
libri, piume, pergamene, boccette d’inchiostro che disperdevano il proprio
contenuto sui tappeti.
Ron si fermò al centro della stanza. Guardò alternativamente verso i
dormitori femminili e quelli maschili, indeciso. Hermione intuì la sua
esitazione, gli passò davanti senza lasciargli la mano, determinata, lo scortò
verso la stanza che lui aveva diviso con Harry, Neville e gli altri Grifondoro del suo anno.
La porta era socchiusa e la penombra della camera permise loro di
notare che, al contrario dell’altra, questa stanza era rimasta in ordine. Il
consueto odore del legno del pavimento si propagava nell’aria tiepida e diede
loro una sorta di benvenuto, come se la camera stessa li stesse aspettando.
Si avvicinarono a quello che era stato il letto di Ron per sei anni,
lui si voltò verso Hermione, in attesa. Lei lo fece sedere sul materasso e sfiorò
delicatamente con le dita le ombre scure che gli contornavano gli occhi. «
Dovresti riposare anche tu » disse dolcemente. Ron chiuse per un secondo le
palpebre, esausto, poi annuì, si tolse le scarpe e si distese.
Hermione gli si sdraiò accanto.
Le lenzuola erano fresche e profumavano di pulito, ma le risultarono
estranee, sembrava un letto sconosciuto.
Un attimo dopo l’odore di Ron raggiunse le sue narici, coprendo
qualsiasi altro odore e cancellando ogni altro pensiero. Lui era così vicino
che Hermione riusciva a percepire il calore del suo respiro che le investiva il
viso. Il cuore prese a batterle all’impazzata e lei sussultò, aveva quasi
dimenticato di avere un cuore che funzionava, che viveva nonostante
tutto.
Accanto al dolore, cominciò a gonfiarsi nel suo petto una nuova
sensazione: la speranza. La stessa speranza che aveva provato ad alimentare in
Ginny in infermeria, ora non sembrava più un’illusione creata per rasserenare
un’amica.
Lì, in quel letto immacolato, con Ron vicino come non le era mai stato,
Hermione capì che quel tempo per il quale avevano lottato, che avevano
conquistato con la guerra, avrebbero potuto realmente utilizzarlo, che potevano
ricominciare da capo, che potevano ricostruire ogni cosa.
E scoprì che la speranza pizzicava nell’animo come limone su un taglio.
Si avvinghiò a Ron, lo strinse più forte che poté, infilò il mento nel
collo di lui.
Un attimo dopo stavano piangendo.
Hermione pianse con Ron. Pianse per lui, per Ginny, per Harry. Pianse
per Fred, e per George che aveva perso per sempre una parte di sé; per Lupin e Tonks, per il piccolo Teddy che
sarebbe cresciuto senza genitori. Pianse per le cinquanta persone che si erano
sacrificate per donare, a chi era rimasto, quella speranza che adesso faceva
tanto male. Pianse per le famiglie di quelle persone, per la sua famiglia
sperduta chissà dove. Pianse perché era stanca di fingersi forte, perché tutto
il dolore che aveva ingoiato spingeva per essere liberato, perché non si
riconosceva più ora che di sé vedeva solo la pelle e le ossa.
Piansero finché non riuscirono più a distinguere quali erano le lacrime
di uno e quali dell’altra, finché di lacrime non ce ne furono proprio più;
allora, sfiniti, si addormentarono abbracciati.
Skin and bones
Skin and bones
Skin and bones
Skin and bones – Foo Fighters –
Quando Hermione si svegliò, parecchie ore dopo, l’aria nella stanza era
ancora calda ed entravano fasci di luce tenui dalle finestre.
Ron era ancora profondamente addormentato, il suo petto si gonfiava ad
ogni respiro e premeva leggermente contro quello di lei, ma era l’unica cosa a
comprimere ancora la sua gabbia toracica con una certa insistenza.
Dell’angoscia della sera precedente, non era rimasta che un’ombra scura.
Hermione riusciva ancora a percepirne l’eco, ma era come se il battito del cuore
di Ron, che rincorreva il proprio, ne avesse preso il posto. Era una sensazione
disorientante sapere che i loro corpi erano rimasti allacciati una notte intera.
Eppure era stato giusto, facile. Era facile rimanere ancora attaccata a lui,
seguire il ritmo del suo respiro.
Hermione era diversa dalla sera prima, si accorse che c’era ancora
qualcosa sotto la sua pelle e le sue ossa, che Hermione Jean Granger esisteva
ancora. Il dolore non sarebbe mai riuscito ad annientarla completamente finché
avrebbe potuto stringere Ron tra le braccia.
Hermione ne studiò il viso a pochi centimetri dal suo. Era pallido, ma
l’espressione era serena, rilassata. Notò che i tratti del ragazzino col quale
era cresciuta, stavano lasciando spazio a quelli dell’uomo che Ron sarebbe divenuto,
sorrise pensando che avrebbe assistito a quel cambiamento, che sarebbero
diventati grandi insieme, mano nella mano.
Chiuse gli occhi ed inspirò, il letto adesso profumava di Ron,
profumava di lei, i cuscini erano bagnati dalle loro lacrime. Era come se
avessero scritto un pezzetto della loro storia su una pagina bianca. Nella luce
del mattino non sembrava più così sbagliato lasciarsi tutto alle spalle e
ricominciare a vivere.
Ron avrebbe curato la sua ferita e lei avrebbe fatto lo stesso con lui.
La strada era tutta in salita, ma Hermione Jean Granger non si era mai
tirata indietro di fronte ad una sfida, e non avrebbe iniziato nemmeno ora che
di lei erano rimaste solo la pelle e le ossa.
Don’t you know?
I’m just skin and bones
Skin and bones – Foo Fighters –
Sono di nuovo qui, ne avete abbastanza di me,
non è vero?
Beh, dopo questa storia non mi vedrete per un
po’. Mi ritiro in tranquillità a scrivere qualcos’altro: devo finire la
raccolta ed ho un altro paio di cose in cantiere, ma di tutto questo, per
adesso non esiste neanche una riga. Devo mettermi sotto e lavorare, ma voglio
farlo con calma.
Questa shot si è
classificata seconda al contest “Who is… Hermione Jean Granger?” indetto da TittiGranger
sul forum di EFP.
Ho scelto di descrivere questo momento perché bisognava
scrivere sulla “vera” Hermione, ed io volevo metterla a nudo, anzi volevo che
si potesse vederne “la pelle e le ossa”. Niente ti spoglia di più del dolore,
ed il dolore di chi ami ti mette di fronte a te stessa senza lasciare spazio alla
finzione. Spero che siate riusciti a riconoscerla attraverso le mie parole. Sarei
felice di sapere cosa ne pensate.
Qui sotto trovate il giudizio di Titti, che
ringrazio immensamente per la posizione in classifica e per avermi dato l’occasione
di scrivere questa storia; e grazie a tutti coloro che mi incoraggiano a
continuare, a quelli che inseriscono le mie cose tra le
preferite/ricordate/seguite, a chi recensisce e a chi semplicemente legge.
Grazie mille per il tempo che mi
dedicate…
Vi saluto, ma torno presto. Promesso!
Emmahp7
SECONDA CLASSIFICATA
EMMAHP7- Skin and bones
Attinenza ambientazione: 10\10
IC personaggio: 9.5\10
Originalità: 9\10
Grammatica: 9.5\10
Stile: 10\10
Utilizzo prompt: 2.5\5
Gradimento personale: 4\5
Totale: 54.5\60
Attinenza ambientazione: hai scelto un episodio delicato e lo hai rispettato in
ogni sua singola sfumatura. Ogni frase, ogni pensiero, ogni minimo particolare
ha un suo ruolo, niente è lasciato al caso. Insomma, ciò che hai raccontato è
perfettamente coerente con l’ambito temporale che hai scelto, non c’è altro da
aggiungere!
IC: Hermione è… Hermione. Soprattutto nella parte iniziale (perché ovviamente,
è la parte più di impatto, quella in cui il lettore si trova a dover
affrontare, attraverso le tue parole, il peso di una guerra appena conclusasi)
emerge un senso di spaesamento, quasi, che contrasta con l’efficienza e con il
self control che hanno sempre caratterizzato il personaggio di Hermione. La pragmaticità, la sicurezza e l’organizzazione di Hermione
vengono spazzati via da un senso di disagio: tutti i personaggi, Hermione in
primis, sono disorientati, spiazzati. E trovo che questo sia assolutamente
giusto e giustificato: Hermione non riesce a mantenere il controllo, lei che sa
sempre tutto, che sa sempre come agire, come comportarsi… si sente smarrita,
travolta da un qualcosa che è più grande di lei, più grande di tutti loro. Ti
ho tolto un (misero!) punto perché non mi ha convinto al cento per cento,
l’Hermione che interagisce con Ginny… l’ho trovata un tantino troppo
“distaccata”. Ma si tratta di un dettaglio completamente compensato dalla
perfezione che si raggiunge nel complesso.
Originalità: si tratta di un missing moment la cui
originalità risiede non tanto nell’episodio raccontato quanto nella modalità di
trattarlo: contrariamente a quanto si legge di solito in fan fiction che
trattano questa scena, non emerge la straziante disperazione dei personaggi,
non ci sono urla, lacrime… non emerge il lato tragico. Nella tua storia, sembra
prevalere il silenzio: ogni personaggio agisce nel silenzio, troppo stanchi per
fare qualsiasi tipo di rumore. Non si tratta di un dolore urlato al mondo, ma
di un dolore che sconvolge, che disorienta, di un dolore quasi troppo forte per
essere razionalizzato.
Grammatica: il testo è perfetto. Il mezzo punto tolto è dovuto al fatto che
“sala comune” si scrive con la minuscola (è una cosa che ho appena imparato
anche io).
Stile: Il testo scorre in modo perfettamente fluido. Il tuo stile è chiaro,
pulito, attraverso gli occhi di Hermione sembra che anche il lettore riesca a
vedere la distruzione che la guerra ha portato. Nel vero senso della parola,
non c’è una virgola fuori posto.
Utilizzo prompt: Ginny. Allora, in parte devo
ammettere che il punteggio che ti ho dato, relativamente a questo parametro è
dovuto al fatto che Ginny occupa soltanto una minima parte della tua storia.
Non era obbligatorio usare il prompt, come io stessa
ho specificato, ma una volta lette tutte le storie, non ho potuto fare a meno
di premiare quelle in cui l’elemento bonus costituiva il fulcro della storia
stessa, l’elemento centrale. Tu hai trattato il personaggio bonus come tale:
non gli hai dato un’importanza fondamentale, ma nonostante ciò è ben collocato
all’interno della scena, in modo sensato e coerente.
Gradimento personale: la tua storia è l’esempio del lavoro-modello che tutti i
Giudici dei contest vorrebbero veder partecipare ai propri concorsi. Ben
strutturata, chiara, piacevole e completa nei suoi elementi. Mi è piaciuta
soprattutto la parte finale: quella in cui Hermione comprende che il tempo per
cui ha combattuto è il tempo che dedicherà alla sua storia con Ron, perché
finché ci sarà del tempo, ci sarà anche la speranza di usarlo per essere di
nuovo felici.
Grazie di cuore per aver partecipato.