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Autore: Unagiornatadipioggia    01/12/2011    3 recensioni
Gli ultimi pensieri di una ragazza condannata a morte per stregoneria; non è un racconto originale, non vuole esserlo, ho semplicemente cercato di descrivere una soria tra le tante di quelle povere donne che sono realmente morte su rogo.
"La luce lunare era sempre più debole: Selene, la dea della luna, lasciava spazio alla sorella Aurora, ‘dalle rosee dita’, che stava lentamente tingendo il cielo di una sfumatura violetta: presto il carro di Elio avrebbe fatto capolino all’orizzonte, portando con sé il disco solare.
La sua esecuzione era prevista per l’alba. Prima che il sole fosse comparso del tutto a oriente, lei sarebbe stata morta."
E' la mia prima storia, quindi spero in qualche commento per poter migliorare...
Genere: Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 La cella era umida e buia. L’unica fonte di illuminazione proveniva da una piccola apertura coperta da una grata: la luce sempre più debole della luna filtrava attraverso le sbarre, creando un bianco reticolato sul pavimento nero e lercio della prigione. La condannata alzò lentamente la testa,  movimento che le costò dolore in tutto il corpo: un leggero gemito le sfuggì dalle labbra mentre i suoi occhi azzurri, in quel momento privi di espressione, cercavano di scorgere il disco lunare al di là della grata. Ben presto l’espressione della ragazza mutò da apatica a terrorizzata: la luna stava sempre più velocemente affievolendosi all’orizzonte, lasciando posto a Lucifero, la stella del mattino. “Lucifero…” bisbigliò sommessamente la giovane, mentre una delle tante lacrime che credeva di aver esaurito le solcava la guancia. L’avevano accusata di venerare il diavolo, Lucifero, e per quello l’avrebbero uccisa senza pietà…ma lei non aveva niente a che vedere con Satana, quelli che l’accusavano non sapevano niente, e non le avevano nemmeno lasciato l’occasione di spiegarsi, di dire qualcosa in sua difesa…non lo sapevano loro, che Lucifero non era il diavolo? Lui era Lux fero, il portatore di luce, la stella del mattino,Venere… la dea della bellezza e dell’amore…cosa poteva esserci di sbagliato nell’ adorare la bellezza e l’amore? Niente, non le avevano dato ascolto; se lo aspettava, sapeva CHI l’aveva denunciata per stregoneria, e sapeva anche che nessun uomo si sarebbe messo contro di lei… .
La luce lunare era sempre più debole: Selene, la dea della luna, lasciava spazio alla sorella Aurora, ‘dalle rosee dita’, che stava lentamente tingendo il cielo di una sfumatura violetta: presto il carro di Elio avrebbe fatto capolino all’orizzonte, portando con sé il disco solare.
La sua esecuzione era prevista per l’alba. Prima che il sole fosse comparso del tutto a oriente, lei sarebbe stata morta.
 


Morta’, ‘morta’, ‘morta’…quelle parole rieccheggiarono senza pietà nella sua mente, e una nuova ondata di terrore si impadronì di lei: non voleva morire… ‘Dio, se esisti, che ho fatto di male per meritarmi tutto questo?’ supplicò in una muta preghiera, e mentre il suo corpo si inerte si contorceva dal dolore sul lurido pavimento della cella, la sua mente vagava lontana, lasciandosi trasportare dai ricordi…
 


In paese la conoscevano tutti, la vecchia Vivienne; nessuno lì la chiamava strega, ma Guaritrice: sapeva guarire malattie contro cui gli ottusi e costosi medici di città nulla potevano, sapeva far partorire le donne senza dolore, sapeva prevedere gli anni di carestia e quelli di abbondanza, sapeva come far piovere durante la siccità…sapeva un sacco di cose, la vecchia Vivienne. Tutti in paese l’amavano, nessuno aveva paura di lei: era una donna povera e sola, che non intralciava nessuno e che si limitava ad aiutare chi ne aveva bisogno. Perfino il parroco la rispettava. Ma un giorno la vecchia Vivienne si rese conto di essere DAVVERO vecchia, e che una volta morta tutte le sue conoscenze sarebbero scomparse con lei. Decise così di prendersi un’apprendista, Sonja. La ragazza, che aveva quindici anni, non era affatto ben vista dal resto del paese: abbandonata ancora in fasce sulle scale della chiesa, si diceva fosse figlia di zingari, o peggio, di qualche creatura demoniaca, nonostante la giovane Sonja non avesse mai mostrato segni di possessione stranezze varie; ma aveva qualcosa di selvaggio nello sguardo e nel modo di fare, nascosto dall’apparente cortesia e gentilezza, che la rendevano sospetta agli occhi della gente. Fin da piccola era stata affidata alla famiglia del governatore Heveraux, come serva, e la protezione di un individuo tanto potente aveva frenato in parte le ostilità verso la giovane, che sarebbero probabilmente, in caso contrario, sfociate in violenza. La vecchia Vivienne aveva visto più volte Sonja la domenica, che si recava a messa con le altre serve della famiglia Heveraux, mantenendo sempre qualche passo di distanza dalle altre: Vivienne era rimasta colpita da quella ragazza  dalla bellezza misteriosa, e dai suoi intensi occhi azzurri che scrutavano ciò che la circondava senza alcun pudore, come se cercasse di leggere dentro alle persone. Quello sguardo, che per i più dimostrava la natura diabolica della ragazza, per Vivienne dimostrava qualcos’altro: Sonja aveva Il Dono. Fu così che la giovane divenne la sua apprendista; il governatore Heveraux diede subito la sua approvazione: era segretamente contento di liberarsi di quella ragazza un po’ strana, che spaventava a motrte sua moglie e sua figlia e che teneva in casa solo per insistenza del parroco, perlomeno nelle ore diurne: per tutto il giorno Sonja assisteva Vivienne, e solo la sera ritornava alla casa del governatore, dove svolgeva i suoi incarichi prima di andare a dormire.
La ragazza dal canto suo era felicissima di poter abbandonare quella casa opprimente dove tutti la guardavano con sospetto, per seguire Vivienne nei boschi e imparare i segreti delle erbe e dei cicli lunari. Sonja aveva Il Dono, come le ripeteva sempre la vecchia, e lei sotto sotto lo aveva sempre saputo: era diversa dalle altre ragazze, lei poteva fare cose che loro non immaginavano nemmeno.
Il suo apprendistato presso la vecchia Vivienne aveva migliorato la sua situazione all’interno del paese, non veniva più trattata con sospetto ma, se non con benevolenza, perlomeno con rispetto: lei era la Giovane Guaritrice. Le cose per la prima volta da quando era nata giravano per il verso giusto, finché il crudele Amore non la colpì con uno dei suoi dardi infuocati…
 


Sonja sussultò, al ricordo del suo viso, così dolce, del suo sorriso, dei suoi occhi che brillavano di amore e di desiderio quando la guardavano… “Elija…” sussurrò rivolta alla stella del mattino.
 


La figlia del governatore, Monique, era in età da marito, e il padre era deciso a farla sposare prima della fine dell’anno. Organizzava perciò ogni settimana delle sontuose feste nella sua dimora, alle quali tutta la servitù, compresa Sonja, doveva presenziare, alle quali invitava tutti gli scapoli più ambiti della contea, allo scopo di trovare il partito più idoneo per Monique. Le scelte di padre e figlia ricaddero entrambe sullo stesso ragazzo, Elija: giovane, bello e, soprattutto, ricco.
Ignoravano però che il suo cuore era già promesso a un’altra…
Ogni notte Sonja ed Elija si incontravano nella casa di pietra abbandonata nel bosco: nessuno andava mai lì, si diceva fosse la dimora del diavolo, ma proprio per questo era il luogo perfetto: nessuno avrebbe mai disturbato l’incontro dei due amanti. Sonja ricordava ogni singolo particolare del loro primo incontro: lei era venuta a casa sua per curare la madre di lui, che aveva dei problemi alla vista. Era subito rimasta attratta da quel giovane, ed era sicura che la cosa fosse reciproca; a quella visita ne erano seguite altre, con il pretesto di controllare la salute della madre, e poi sguardi fugaci, incontri ‘casuali’ per le strade del paese, parole non dette…
Finché una sera Sonja decise di prendere l’iniziativa e invitò Elija nei boschi, e gli mostrò il suo rifugio: la casa del diavolo. Lì lui l’aveva amata per la prima volta, e il ricordo di quella notte ancora le riempiva il cuore di felicità, che si rinnovava ad ogni incontro clandestino con il giovane… Non durò a lungo. Monique si era resa conto che la sua serva usciva di nascosto ogni notte, e aveva mandato una guardia di suo padre per spiarla; ciò che essa le riferì la riempì di rabbia e desiderio di vendetta: denunciò la ragazza come strega al vescovo della contea, un fanatico religioso ossessionato dal diavolo. Tutto il paese, compreso lo stesso governatore di Heveraux, si erano opposti all’arresto, ma non avevano potuto fare niente conto l’esercito vescovile; quando Vivienne seppe che la sua apprendista era stata portata in città per essere processata, il suo cuore cedette, e la povera vecchia morì maledicendo l’ingratitudine degli uomini che le avevano portato via quella che per lei era come una figlia.
 


Sonja interruppe bruscamente il flusso dei ricordi: non voleva ricordare del processo né della tortura: aveva Il Dono, ma il suo corpo era quello di una qualsiasi debole ragazza: aveva ceduto in fretta e confessato tutto quello di cui i giudici la accusavano: di uscire ogni notte per andare alla casa del diavolo a venerare Satana e di fare sacrifici umani in suo onore… . La condanna era stata unanime: la strega andava bruciata. Sonja sapeva che sarebbe morta non appena i soldati erano venuti a prenderla: erano mandati da Monique Heveraux, come aveva affermato il capitano delle guardie, e la sua padrona poteva essere irata con lei per un solo motivo: Elija. Qualunque donna avrebbe ucciso per tenerselo, e la figlia del governatore, la sua promessa sposa, non faceva di sicuro eccezione. Doveva avere scoperto di lei ed Elija. Sonja singhiozzò di nuovo: la morte la spaventava, ma non tanto quanto l’idea di non rivedere più il viso del ragazzo, i suoi capelli, la bocca, gli occhi…i suoi occhi brillavano come la luce del sole nascente. L’alba. Persa nei suoi ricordi, la prigioniera non si era resa conto che era giunta l’ora della sua fine. Una guardie era venuta a prenderla, per condurla al patibolo. Ne bastava una sola: lei era solo una debole ragazza. Il suo Dono, che l’aveva messa nei guai, non poteva fare niente per salvarla. Sonja tentò di estraniarsi dal mondo mentre con passi tremanti saliva la scala verso il patibolo, ma non poteva evitare di sentire le urla della folla; non erano persone del villaggio, che le erano grate per le opere: quella era una baraonda assatanata, bestie, che anelavano a vederla morire bruciata viva, quasi fosse una sublime rappresentazione teatrale. E lei era l’attrice principale. Il boia la legò stretta al palo: le braccia nude grattavano contro la sua superficie  e schegge di legno le si conficcarono nella pelle, riacutizzando il dolore. Non ascoltò le parole del vescovo, non aveva senso: lei aveva già confessato e non le sarebbe stata data l’opportunità di redimersi: loro la volevano morta. Si accorse che il fuoco era stato appiccato solo quando l’odore di fumo le arrivò alle narici, e tossì violentemente: in cuor suo si augurò di morire in fretta. Speranza vana: il fuoco le stava lentamente avviluppando le gambe, in una perversa carezza mortale: il calore era troppo da sopportare, il dolore indescrivibile, sotto i suoi occhi le carni che si facevano a brandelli. Gridò, con tutto il fiato che aveva in gola: le sue urla piacquero alla folla, erano musica perversa per le loro orecchie di bestie. Sonja in quel momentò li odiò, odiò tutto il mondo che l’aveva rifiutata fin dalla sua nascita, odiò il suo Dono: lui l’aveva portata alla morte. Le lacrime che le scendevano lungo le guance non davano refrigerio al suo tormento: il fuoco la consumava lentamente, e il fumo le ostruiva i polmoni: sarebbe soffocata. Sonja trattenne il respiro, per cercare di morire più in fretta e porre fine a quel supplizio. Gettò un ultimo sguardo alla folla, e in mezzo alle bestie individuò due occhi splendenti: Elija. Era venuta per salutarla, per dirle addio. Rivederlo scatenò un profondo turbamento in lei, smise di cercare di una morte più veloce: voleva scendere dal patibolo, corrergli in contro, abbracciarlo, baciarlo…se prima voleva morire velocemente, adesso si augurava che la morte giungesse il più tardi possibile. Ma le sue preghiere, ancora una volta, non furono ascoltate: mentre fissava gli occhi di Elija che brillavano come il sole, il fuoco della pira si alzò all’improvviso inghiottendola completamente: il suo corpo si sfaldò in mille pezzi. Elija la vide morire e con lei morì anche il proprio cuore.
Di Sonja non rimase altro che cenere, che il vento trasportò via, innalzandola fino alla Stella del mattino.
 
 

Eilà, salve…questa è la mia prima storia…non è un granché, non so bene da dove mi sia uscita ma mi sembrava un peccato lasciarla ad ammuffire nel computer…spero comunque che vi piaccia!  

  
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