A
box filled with past memories
Era stranamente
malinconico percorrere i corridoi
della McKinley il pomeriggio tardi, quando ormai la scuola si era
svuotata e
non era rimasto più nessuno nell’intero istituto.
Che sensazione
strana camminare e sentire il rimbombo
dei propri passi, senza il solito sottofondo composto dal
chiacchiericcio e dal
casino tipico dei compagni che affollavano le aule e le lezioni.
Santana incedeva
col solito portamento sicuro tra gli
androni, tra le mani un grosso scatolone vuoto appena fregato
dall’ufficio
della Sylvester; nella testa, tutta quella serie di riflessioni
agrodolci.
“Ecco
a te” – disse in direzione di una figura alta e
massiccia, sistemata accanto a un armadietto rosso.
“Ma
dove l’hai trovato sto scatolone?”- le chiese
Dave, sorridendo.
“Ancora
metti in dubbio le capacità di zia Tana? L’ho
trovato, su, rallegratene!”- gli rispose di rimando,
fintamente acida.
Non riusciva a
essere più stronza sul serio
con David Karofsky.
Ormai, non aveva
gusto farlo con qualcuno che sapeva
condividesse fin troppo dei suoi pensieri e delle sue preoccupazioni.
Dave si
accostò all’armadietto e lo aprì
digitando la
combinazione a scatti sul lucchetto.
“Football?”-
domandò Santana con un sopracciglio
alzato e una smorfia sulle labbra all’insù.
“Questo è il tuo meglio come
password?”
“Cosa
vuoi che ti dica, San? Sono estremamente banale”-
le replicò Dave, lo stesso ghigno dipinto sui lineamenti.
Santana si mise
a osservarlo con attenzione in
silenzio, le braccia protese verso il ragazzo che infilava mani e testa
nel
piccolo cantuccio metallico per tirar fuori tutto ciò che vi
aveva custodito
per mesi e mesi.
“Spiegami
perché lo stai facendo”- si limitò a
proferire, andando dritta al punto. Secca, decisa. Come era lei stessa,
d’altronde.
“Bé,
sai come é, é buona educazione svuotare
l’armadietto
quando ci si trasferisce”- fu tutto ciò che le
labbra di Dave pronunciarono
mentre i suoi arti superiori si riempivano di oggetti, foto, quaderni,
block
notes e penne di tutti i colori.
Santana gli
lanciò uno sguardo esasperato.
“Non
l’armadietto, stupido idiota. Spiegami perché te
ne stai andando dal McKinley”- dichiarò volitiva.
Era curiosa e anche molto
dispiaciuta della risoluzione presa da quel ragazzone indelicato ma
tenero che
lei aveva chiamato fidanzato (anche
se finto) per i mesi addietro.
Forse, fin
troppo dispiaciuta. Ma non avrebbe ammesso
nemmeno sotto tortura a Guantanamo: gli sarebbe mancato girare con lui
per la
scuola e avrebbe avuto nostalgia della sicurezza che riusciva a
trasmetterle
sempre.
Non appena
quelle frasi lo raggiunsero, Dave si
raddrizzò immediatamente, come se la schiena gli fosse stata
messa a posto da
una scarica elettrica.
Guardò
Santana negli occhi, in maniera così profonda
che la latina si spaventò per la serietà che
stava riuscendo a trasmetterle.
Sospirò
prima di iniziare a parlare.
“Voglio…
voglio solo trascorrere il mio ultimo anno di
liceo in pace, senza dovermi preoccupare di niente e nessuno. Senza
dover
badare a cosa gli altri mi dicono alle spalle. Voglio solo… ricominciare. Ti pare una cosa
così
fuori dal mondo?”- le domandò, un lieve sorriso
gli schiarì il viso contratto
dalla tensione.
“Tu
sei il fottutissimo re del ballo di questa
fottutissima scuola. Sei grande e grosso, nessuno ti darebbe mai
fastidio,
nemmeno se si venisse a sapere del tuo segreto. Io rischio molto di
più
rispetto te, credimi. Il massimo che rischi è una granitata
ogni tanto quando
svolti un angolo, niente di grave”- sibilò
Santana tra i denti, le parole scivolate l’una dietro
l’altra di fretta.
“No,
sei tu quella che non rischia niente, credimi. Tu
hai il Glee Club a guardarti le spalle, hai Brittany pronta a
difenderti… hai
molto, molto più di me”- sussurrò
amaramente Dave, gli occhi eclissati dal tormento
interiore che, si vedeva lontano un miglio, lo stava divorando vivo, e
il
labbro morso a sangue da un incisivo.
Santana, in quel
preciso istante, capì tutto.
Dave
non aveva nessuno.
Tranne lei e
forse Adams (se, per pura ipotesi, fosse
riuscito ad accettare il fatto che il suo compare fosse gay), nessuno
gli
sarebbe stato vicino se la voce della sua omosessualità si
fosse diffusa.
Nessuno che lo
avrebbe amato per quello che aveva
scoperto di essere, nessuno che lo avrebbe protetto dalla cattiveria
altrui.
Nessuno pronto
ad attenderlo e a combattere al suo
fianco contro il mondo.
L’unico
che avrebbe voluto… non era disponibile. Assorbito
da altre cose, altre priorità, altri amori.
“E’
per questo che ti vuoi trasferire alla Carmel? Per
lui?”- gli chiese in
maniera non
cordiale, più come se pretendesse una risposta al suo
ragionamento interiore.
“Voglio
solo stare il più lontano da qui e basta, te l’ho
già detto”- insistette Dave mentre afferrava un
grosso tomo di Analisi I e lo
gettava nella scatola avvolta tra le dita di Santana.
Mancava poco
ormai. Pochi mesi lo separavano dal
college, non sapeva ancora se alla facoltà di legge a
Princeton o a
quella di matematica alla Columbia University.
L’unica cosa di cui era consapevole era che ogni giorno di
più si avvicinava
alla vera vita che sognava da tempo.
Niente
più maschere,o bugie. Solo il vero Dave libero
di poter vivere con la testa china sui libri di algebra e
l’esistenza
spalancata all’infinito, senza timori o paure.
“Odio-il-McKinley
è un concetto che ho abbondantemente
afferrato dieci minuti fa, scimmione che non sei altro. Non hai
risposto alla
mia domanda, Karofsky”- esclamò Santana, fluida e
senza peli sulla lingua.
Dave
sbuffò e si guardò la punta dei piedi esasperato,
in mano stringeva un quaderno di appunti di storia e una foto dei
Titans
vincitori del campionato appena tolta dall’anta.
“Cosa
vuoi sapere? Se lui
c’entra o meno?”- schiuse le labbra beffardo,
guardandola nei
pozzi neri che le occupavano il viso, improvvisamente ingranditi.
“Mi
accontento solo della verità. La tua
verità”- gli
soffiò dolce.
Non voleva
essere aggressiva. Desiderava solo
comprendere cosa lo avesse spinto a prendere una decisione
così drastica e
radicale.
L’ex
atleta gettò altri volumi scolastici nel
contenitore di cartone rigido, si bloccò immobile e le
lanciò uno sguardo
inumidito dalla commozione.
“Io…
semplicemente non ce la faccio più a stare qui. E
vederlo girare tutto felice con quel nanetto da giardino coi papillon
da clown.
E sperare tutto il tempo che lui mi rivolga la parola e mi chieda come
sto. Non
ci riesco, mi fa troppo male. Io ho intenzione di continuare a essere
sereno, a
essere me stesso, dopo tanto tempo finalmente. E se per tornare a una
vita
decente, io devo andarmene da questo posto maledetto che non fa altro
che
ricordarmi quanto io sia caduto in basso l’anno scorso e che
io lui non lo avrò
mai… sì, lo farò. E non
una, ma mille volte”- asserì Dave, col cuore in
mano e il volto rosso dall’emozione,
abbattendosi sull’armadietto accanto al suo.
La sua
sincerità era così trasparente da far male.
Santana
posò lo scatolone per terra e gli sfiorò un
braccio. Con un tocco leggero, veloce. Ma che sapeva sarebbe stato
percepito fin
sotto la pelle dall’altro.
“Mi
dispiace, Dave. Non hai idea di quanto mi dispiace”-
gli sussurrò all’altezza della spalla.
Immaginò
di essere al suo posto, per una frazione di
secondo. Le risultò facile, ci era passata poco tempo prima.
Non esisteva
niente di più tremendo al mondo di
prendere coscienza del fatto di volere qualcuno, di amare
qualcuno e poi vedere quella persona sfuggirti, trascinata
via.
Si era sentita
morire quando Brittany l’aveva
rifiutata… eppure, sapeva bene che la ricambiava in ogni
singola cosa.
Sapeva che aveva
una possibilità, sapeva che era solo
questione di tempo per loro due assieme.
Ma per
Dave… era diverso. Soffriva e non aveva nessun
appiglio a cui aggrapparsi. Nessuna luce in fondo al tunnel,nessuna
speranza
che un giorno la situazione sarebbe cambiata, nessuno spazio per lui in
quel
cuore già preso.
“Sai,
lui mi ha chiesto di te. Due giorni fa, dopo il
Glee. Mi è venuto accanto appena si è riuscito a
svicolare da quell’appiccicoso
di Anderson. Voleva sapere perché te ne volessi
andare”- gli svelò, con un fil
di voce. Ormai erano seduti sul pavimento, sulle mattonelle dure e
fredde del
corridoio, a farsi compagnia. Gettato ai loro piedi, il povero
scatolone.
Sembravano due
buoni vecchi amici che si confidavano.
Anche
perché lo erano veramente.
Legati da vecchi
segreti, enormi paure passate,
risate, un ballo scolastico folle del secondo anno che nessuno dei due
avrebbe
mai potuto dimenticare.
Dave
sobbalzò per un istante, poi tornò ad assumere
un’aria
dura.
“Come
ha fatto a saperlo?”- le chiese, dubbioso, le
rughe d’espressione evidenti ai lati della bocca mentre
rifletteva.
“Tette
mosce di un Hudson! Sicuro gliel’ha spifferato
lui quando sei andato a salutare la Beiste e la squadra un paio di
giorni fa.
No?”- mormorò Santana, sottolineando acidamente il
cognome del giocatore.
“Si,
sicuramente è stato lui”- le annuì di
rimando. “Poco
male. Tanto la cosa non farà alcuna differenza…
non gli importa molto di me o
del mio destino”- concluse con dolore malcelato.
“Invece
era molto preoccupato ed era scioccato dalla
tua scelta. Comunque, mi sono trincerata dietro un Non
so niente e ti ho protetto su tutto”-
asserì fiera Santana. Era
stupenda la sensazione che la stava attraversando dentro: la
consapevolezza di
aver preservato qualcosa di importante per qualcuno.
“Non
gli hai raccontato del mio coming out con papà,
vero?”- domandò ancora Dave. Gli interrogativi tra
loro due non avevano più
fine, ormai.
“Tranquillo,
cucciolo d’orso. Non è uscita una sola
sillaba a riguardo dalla mia boccuccia caliente. Anche se secondo me
hai
sbagliato a non comunicargli almeno questa notizia”- gli
confessò con la
massima schiettezza, per poi giustificarsi della cosa con gli occhi.
“A che
sarebbe servito, scusa? Sarebbe venuto da me,
tutto fiero, a chiedermi dettagli, a sapere come l’aveva
presa mio padre, mi
avrebbe abbracciato, avrebbe voluto trascinarmi chissà dove
per parlare, se ne
sarebbe uscito nuovamente con quella storia del PFLAG. E io…
non sarei stato in
grado di sopportare la sua vicinanza continua dopo la
notizia che per mio padre non c'erano problemi e che rimanevo sempre suo figlio”- ammise la
guardia. Non c’era niente di più perfetto e di
più orribile dello stare accanto a
Kurt.
Così
vicino da poterlo toccare, così lontano da
volerlo dimenticare.
Non poteva
esprimere quello che nutriva dentro di sé,
doveva reprimerlo a ogni costo. Che senso aveva renderlo orgoglioso dei
suoi
comportamenti finalmente giusti se non poteva condividere fino in fondo
ciò che
provava per lui?
“E’
proprio un cretino. Preferisce un tipo come
Anderson a te. Ma come si fa?”- Santana si pose sinceramente
la questione.
Ma, nello stesso
tempo, avrebbe voluto prendere Dave e
scuoterlo per le spalle così forte da fargli credere che ci
fosse una scossa di
terremoto.
Perché,
per quanto lo si desideri disperatamente, non
si può fuggire da se stessi, dai propri sentimenti, da
ciò che si desidera.
Ovunque si vada,
ci si imbatte in ciò da cui si scappa.
E a Dave, prima
o poi, sarebbe successo, anche se non
avesse più frequentato il McKinley e si fosse tenuto a
distanza dall’edificio
cinque chilometri.
Ma lei ci
sarebbe stata, al suo fianco. Qualsiasi cosa
sarebbe accaduta.
“Evidentemente,
non siamo fatti per stare assieme. Non
è scritto nelle stelle che debba essere io la persona a
renderlo felice”-
borbottò triste.
Santana si
sentì il cuore stritolarsi nel petto fino a
diventare uno straccio consumato e gli strinse una mano.
“Se ti
può consolare, sono la presidentessa del club
Odio Blaine Anderson in tutti e cinquanta gli Stati, compresi
l’Alaska e le
Hawaii”- scherzò. Non poteva sopportarlo di
vederlo così abbattuto, così in
lotta, così diviso.
Era ovvio che
per lui non era semplice mollare tutto l’ultimo
anno, voltare le spalle al passato e lasciare andare l’unica
cosa di cui gli
fosse realmente mai importato. Anche se cercava di mostrarsi rassegnato
e calmo
per via del trasferimento, Santana intravedeva le crepe già
incrinare quell’equilibrio
precario che si era costruito a fatica per sopportare il distacco e la
perdita.
Eppure,
incredibilmente, riuscì a farlo ridere di gusto.
Dave le sorrise, per la prima volta con calore reale da quando avevano
iniziato
a parlare.
“Scusami?
Mi hai appena fatto sogghignare! Santana
Lopez ha un cuore, chi l’avrebbe mai detto?”
– le disse lanciandole un leggero
pugno sul braccio.
“Shhhh,
non rovinarmi l’immagine! Ho faticato tanto a
costruirmela, non vorrai mica distruggermela?”-
ridacchiò anche lei, con l’anima
alleggerita.
Era bello
mostrare vera familiarità, senza chiedere
niente in cambio. Era bello voler bene a qualcuno ed essere se stessi
in quella
strana alchimia chiamata affetto.
“Non
oserei mai. Lo giuro”- e fece con gli indici una
croce per compiere il solenne voto.
“Ecco,
così va meglio”- e gli tirò una
gomitata allegra.
“Adesso
devo proprio andare, San. Tanto l’armadietto è
sgombro ormai e non vedo l’ora di uscirmene da qui per
sempre. Hai bisogno di
un passaggio a casa?”
Santana lo
osservò, a lungo, anche se in un intervallo
di pochi secondi.
Il sorriso le si
allargò in viso e contagiò persino
gli occhi scuri.
“Certo”- gli disse, mettendosi sottobraccio, mentre lui afferrava lo scatolone ormai strapieno.
***
Santofsky... volevo
scrivere su di loro, e l'ho fatto XD Nella mia testa sarebbe un Missing
Moment (insomma, Dave sarà pure andato a prendersi della
roba dall'armadietto, cacchio... nel mio headcanon lui si trasferisce
perché vede Blaine e puf... bye bye, soffro troppo. Oltre al
fatto che lui vuole essere sereno e trascorrere in modo decente
l'ultimo anno di liceo. E poi, come sapeva Kurt che si era trasferito?)