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Autore: Monica Scorsone    02/12/2011    1 recensioni
Un giovane russo si ritrova a dover confrontarsi con la crudeltà della guerra, lascia tutto per scappare via in cerca di un futuro migliore. L'argomento fondamentale sarà l'immigrazione vista come una delle peggiori infamie. Durante la seconda guerra mondiale vedrete lo scontro tra le due grandi potenze come Russia e Germania agli occhi di quest'uomo ferito e umiliato dal mondo circostante
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Guerre mondiali
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 Anno :1939

Ero sulla strada di ritorno per Mosca.
Fui costretto a raggiungere mia madre con urgenza poiché le rimanevano pochi giorni di vita.
Dunque afflitto nel cuore , nella cavità più profonda dell’animo da un tarlo che mi rodeva oramai da mesi  ritornai nella capitale.
Ricordo ancora come bella si presentò ai miei occhi pochi giorni prima.
Maestosa nel suo complesso architettonico così matematicamente congegnato che pareva adatto alla città che più di tutto amavo.
Le strade così familiari ospitavano come caldi giacigli mille favelle allegre che arricchivano il paese più freddo d’Europa.
Casupole disordinate si spingevano timide sul giaciglio dell’asfalto color del catrame.
Un luogo più di tutti era rimasto dipinto come su di una parete nella mia mente.
Il Bar ad angolo proprio sotto un grande negozio di profumi “ Krum”.
L’uomo talvolta si affeziona a luoghi o spazi poiché  questi rievocano ricordi piacevoli o sgradevoli nel suo pensiero.
Talvolta potei percepire il buon profumo che era rimasto come intrappolato tra quelle vecchie mura.
Profumo di familiare, profumo di casa. Non appena arrivai il panorama di orrore che mi si presentò violentò così irruentemente  i miei dolci e confusi pensieri sino a prevaricare arrogante.
La gente fuggiva in preda al panico , madri cercavano i propri bimbi che ingenui erano fatalmente caduti sotto qualche grosso masso.
La guerra aveva portato con se i sui frutti anche nella città che tanto non avrebbe mai conosciuto la sua triste e spietata ira.
Almeno così credevo quando Rose mi parlava di un possibile attacco da parte della Germania. Vivevo in un mondo iperuranio costellato dalle mie idee, davvero non avevo mai avuto il coraggio di schiudere gli occhi alla cruda realtà che prepotente mi irruppe nel cuore.

Soldati vestiti di verde marcio comandavano alle donne di rimanere in casa senza aprire a nessuno. Ma davvero erano convinti che i tedeschi avrebbero bussato prima di penetrare nelle abitazioni?

La guerra non ha regole ,ti lacera l’animo senza lasciare via di scampo alcuno. Adesso mi ritrovavo ad un bivio : rimanere a combattere una lotta già perduta accanto alla donna che amavo o andare via, scappare in cerca di un futuro adesso oscurato da nuvole di fumo. 

Mi venne imposta la seconda alternativa.
Quando decidono gli altri del tuo futuro non puoi ribellarti e per lo più quando è il motivo della tua esistenza a convincerti di tale scelta. Così la sera stessa raccolsi i miei pochi averi e mi diressi alla fermata del treno che mi avrebbe portato lontano da quell’orrore , lontano dalla mia amata casa, la mia patria, la donna che amo. Solo con un semplice sostantivo potevo definire la mia scelta : Fuga. Ma su questo avrei da ridire perché colui che fugge lo fa esclusivamente per vigliaccheria mentre al canto mio dovevo sopravvivere a tale tragedia e il miglior modo per farlo sarebbe stato andando via. Mi sedetti in un vagone vuoto spoglio come il mio umore. Denudato da tutto quello che di bello potessi possedere. Nudo dinnanzi a persone che non avrebbero mai accettato uno straniero. Come la relazione perfetta del cosmo non può essere intaccata in modo alcuno anche quelle genti non avrebbero permesso a nessuno di poter squilibrare il moto uniforme che unisce un popolo. Così mi stavo cimentando in un viaggio senza ritorno , un viaggio che già dal momento in cui avevo messo piede su quel vagone stava correndo incessante nella mia mente quasi a farmi male. Cosa più della discriminazione può far male ad un uomo? Se andrai via di qui dimenticati di possedere un’ identità , il tuo nome diviene una semplice macchia su di un foglio di carta. Basta guardare i tuoi occhi glaciali per capire che sei russo, mi diranno. L’accento è troppo differente da nostro come vuoi davvero farti capire? Come puoi rinnegare le tue origini, il tuo paese? Non farlo abbi la dignità che ogni uomo conquista e possiede sin dalla nascita. Osservavo malinconico i paesaggi bianchi che il mio paese nativo adorava offrirmi. Un lacrima solitaria segnò un solco sul mio volto . Stavo piangendo. Poche volte mi capitò , quando Rose mi disse che avrebbe perso il nostro bambino. Ricordo ancora quel dolore che stringeva dentro me una morsa letale. Lei amava così tanto quella creaturina già nitida nella nostra mente che non riuscì a capacitarsene. E adesso? Sono andato via senza darle una spiegazione. Senza donarle un ultimo bacio. Passarono diverse settimane prima che arrivammo alla volta del Piemonte. Perché proprio in quel posto? Forse c’erano posti di lavoro per noi immigranti.

Cosa dico? Visto?, mi illudo che codesto termine non abbia nessuna sfumatura arcigna e accusatrice. 

Mi sbagliavo parecchio. Quello sarebbe stato il grande macigno che dovetti sopportare per molto tempo. Arrivammo di mattina all’alba. Le nuvole rosee accoglievano il nuovo giorno che si svegliava prevaricando sulle tenebre oscure padrone della notte. La stella Diafana risplendeva ancora lassù regina tra le altre stelle. Ricordi Rose? Quella stella sarebbe stata il tuo regalo .. Spesso ti paragonavo a così indefinita bellezza. Il Bello è comprensibile solo a coloro che sanno osservare il mondo da un prospetto differente, questo durante la guerra non è possibile almeno per me.

Così costantemente seguito da un forte dolore scesi dalla cabina ispirando aria nuova, aria sconosciuta. Sentivo voci che risuonavano come note di un violino scordato. Non c’era nulla che mi sembrasse in qualche modo familiare nulla.  Mi accompagnarono in un cantiere. C’erano molti uomini che indifferenti si allontanarono di qualche passo consentendomi di passare. Avrei lavorato in quel luogo per il tempo rimanente. Ma chi voglio prendere in giro ,probabilmente per sempre.

Il nome fù la prima cosa che vollero sapere Liovchik Satekwoski ... Lavoravo tutti i giorni inclusi anche quelli festivi , ci nutrivano con pasti preconfezionati che arrivavano da un esportatore , dormivamo tutti nella stessa stanza. Spoglie pareti adornavano quel luogo, solo una finestra ci consentiva di vedere cosa stesse succedendo all’infuori di quella struttura. Fuori da quel magazzino c’era un mondo a me sconosciuto. Mi sentivo come colui che è estraneo all’interno della sua stessa vita. La mia vita? Non era questa. Almeno avrei voluto che non lo fosse. Ti senti smarrito tra gente che ti evita con tanta cautela riservata solo a noi immigrati .Quella parola risuonava forte nella mia mente. Voleva fare a pugni con i miei ideali patriottici, con l’amore per la mia città. A mia volta mi sento però un  patriottico a metà come dire qualora lo fossi stato non avrei abbandonato la Russia in guerra ma avrei combattuto e poi nel mio cuore si sarebbe fatto spazio l’onore di cittadino mentre sono qui, fuggito per trovare una soluzione più semplice. Di questo mi sento colpevole. Colpevole di essere me stesso in un contesto che esclude l’individualismo agglomerando la gente come mole indefinita. Di ciò mi preoccupo. Il mondo indefinito ci attende sempre con più voracità. Siamo atomi opachi del male diceva Pascoli. Non posso negarlo soffro maledettamente ogni qual volta mi apostrofano a quel modo. La mia narrazione continua cadendo nel drammatico contesto della guerra. Vengono degli uomini armati di artiglieria pesante e mi portano in Germania lì mi chiudono in un carcere. Triste l’idea del prigioniero ma ancor di più lo è quella di non poter sperare di tornare nella mia terra. Passano settimane, mesi, anni. Qui i giorni sono tutti uguali l’unica cosa che li differenzia è il calare e il sorgere del sole. Il cielo azzurro che osservavo con la mia Rose non c’è più ha lasciato spazio ad una malinconica esibizione del dolore confondendo le candide nuvole con il fumo oscuro. Tanto oscuro quanto i miei pensieri adesso. Decisi di scrivere una lettera dalle poche righe a quelle donna che avevo lasciato sola e priva di sostegno. Ricordo che cominciai così Salve signorina, sono il tuo lui che non ha avuto idea migliore di quella della fuga ma non biasimarmi non avevo scelta. Avrebbe potuto rispondermi accusandomi di stupidità oppure impaurito da un futuro sconosciuto. Le raccontavo del mio viaggio, del lavoro e di adesso. Messo in un carcere come un qualsiasi altro criminale per la sola colpa di essere Russo. Sono venuti qualche giorno fa al cantiere ci hanno fatto tante domande e poi mi hanno portato via..Mi auguro che tu stia bene amore mio… Come voglio che stia? La guerra persevera sempre di più e non ha nessuno che si possa prendere cura di lei. Non soffrire per me , al dolore sono temperato quanto all’aria straniera che respiro ogni giorno. Però ti confesso amore mio è come veleno che mi riempie i polmoni rischiando di farli scoppiare.. Ricordi il buon profumo di quel bar dove ci incontrammo?

Come poteva dimenticare le mie caldi mani che avare si intrecciavano alle sue in una folle danza del piacere inalando il profumo di vaniglia che emanava..? Scrivimi una lettera dolce ragazza , dimmi che stai bene, che tutto è finito, che era solo un incubo, che tornerò un giorno..

Mi reputo crudele nell’averle scritto queste parole. Perché illuderla di un’inutile ritorno? Perché farle sognare i miei occhi dentro i suoi.. Perché tanta cattiveria? … Volevo punirmi per il grande male che avevo fatto a me stesso e a l’unica persona che abbia mai amato.. Volevo punire il mio atto di vigliaccheria. Eravamo già nel mese delle primule.. mi recapitarono un telegramma che avrebbe sconvolto quella che era diventata la mia vita. Signorina Rose Lowoski deceduta da pochi giorni . Cordiali I familiari. Le mani mi tremavano, gli occhi fuori dalle orbite, urlavo in preda alla pazzia.. Come era possibile? Perché questa pena così grande?. Dirò soltanto che Liovchik era un uomo come tanti che provò a lottare contro un mondo avverso ma abbandonò il suoi intento di resistenza pochi giorni dopo quella terribile notizia. Lo trovarono in fin di vita con un cappio al collo nella sua cella ma non fecero in tempo a salvarlo dal destino che lo stesso si era prefisso. Destino crudele , uomo infelice. Ricordano gli agenti che proprio vicino alla foto della donna amata sul comò c’era un sudicio foglio che recitava poche righe, io tengo a riportarle di seguito : Non fui straniero nel cuore, ugualmente fedele al mio paese nativo provai a lottare contro la discriminazione ma non vi riuscì .
Vorrei solo che la mia storia sia da monito per rivalutare gli immigrati che tanto disprezzate. 

  
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