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Autore: _Syn    02/12/2011    1 recensioni
Embry/Quil
Erano entrambi ancora lì, nonostante tutto, l'uno per l'altro. Per sostenere file interminabili in biblioteca, per rimanere insieme sotto la pioggia quando il mondo diventava troppo, per racimolare un po' di soldi in più e comprare quei jeans fichissimi al centro commerciale. E anche per darsi pacche sulla spalla quando quei jeans finivano a pezzi.
Genere: Commedia, Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Quileute
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Note di Alexiel: Embry/Quil, perché avevo bisogno di fluff tra cuccioli. E perché ho sempre voluto scriverne una. Oh, in questa storia Claire non esiste, l'imprinting non viene menzionato neanche per sbaglio e tutto è normale, tenero, a tratti malinconico, ma sempre tenero. Perché un fantasy si può scrivere anche senza snaturare l'amore fino a renderlo qualcosa di contorto e eccessivo. A me piacciono le cose naturali, magiche di loro, senza che qualcuno la trasformi nella fiera della spaventosa perfezione.

Grazie, come sempre, a chi leggerà e a chi commenterà.
Baci,
Alexiel.



Ancora qui


Se qualcuno avesse chiesto l'opinione di Quil Ateara, la biblioteca di Forks era il luogo più noioso del mondo. Era grande, silenziosa, piena di scaffali polverosi e di persone sempre zitte e capaci di guardarti tanto male da farti quasi sentire in colpa. Neanche in tribunale uno sguardo era così gelido e tagliente; certo, Quil non era mai stato a un processo, però aveva visto Ally McBeal.

Dopo le persone silenziose, devote alle sacrosante regole di quel luogo, c'erano quelli come Quil che, un po' per natura e un po' per l'impaccio provocato dalla perplessità, riuscivano a fare più rumore di un branco guerriero di insetti. Più che un rumore ruggente e spaccatimpani, era simile al ticchettare echeggiante di un pendolo nel silenzio, fastidioso come il cigolare di una porta con i cardini non oleati, imbarazzante come quando il sedere ti si appiccica alla sedia e, quando fai per alzarti, il suono che ne esce è più compromettente che altro. Certo, perché funzioni devi essere in una stanza piena di gente, se sei solo ti fai una bella risata oppure ci riprovi. Peccato che la biblioteca fosse piena: un alveare pieno di api silenziose. Poi c'era il fuco idiota. Lui.

Insomma, Quil oltre che annoiato si sentiva un attimino ingombrante.

La gente se ne infischiava e non faceva che guardarlo in maniera cattiva, manco avesse appena dato fuoco a uno scaffale pieno di libri.

Per esempio, un uomo sulla trentina, con il viso tuffato in un volume immenso, l'aveva praticamente inchiodato al suolo quando Quil aveva tamburellato con le dita su uno dei tavoli. Lui aveva continuato a tamburellare, perché in ogni caso, se avesse smesso il tizio avrebbe trovato un nuovo motivo per fargli notare quanto sgradita fosse la sua presenza. Quando Embry era tornato con il suo libro, Quil aveva salutato il tipo e gli aveva augurato buona lettura.

Che maleducato, non gli aveva neanche risposto.


In effetti, la vera tortura era iniziata dopo, quando avevano raggiunto la fila di ragazzi e ragazze che aspettava di ricevere il timbro dalla bibliotecaria e, finalmente, andare via.

“Ma dobbiamo proprio fare questa dannata fila? Non riesco a parlare così tutto il tempo, mi sento un cretino!”

La voce di Quil uscì come il soffio di un gatto arrabbiato ed Embry ridacchiò al pensiero. Quil, il gatto arrabbiato. Poi scrollò le spalle – e il pensiero felino, anche se Quil l'avrebbe intercettato una volta fuori – e rivolse all'amico uno sguardo un po' solidale e un po' “resisti, mica dobbiamo restarci tutta la vita”. Neanche a lui andava di rimanere lì quando invece avrebbe potuto scorrazzare per la spiaggia di La Push, tuffarsi da uno scoglio, andare a mangiare i dolci di Emily.

“Dico solo che potresti prendere questo coso e andare! Domani lo riporti, sai chi se ne accorge.”

Embry non si fermò troppo a riflettere sul “domani lo riporti”, ma si limitò a scuotere il capo e a voltarsi per incontrare la testa riccioluta di una ragazza che aspettava che la fila si accorciasse in fretta proprio con loro. Agitava la testa a destra e sinistra e i ricci le dondolavano come pendoli deformi. Per non parlare degli orecchini che aveva alla orecchie. Il ragazzo spostò lo sguardo: ci mancava solo il mal di mare.

“Le telecamere di sicurezza, magari. E non voglio altri guai.” replicò Embry.

Quil incassò il colpo. La sera prima sua madre l'aveva beccato mentre tornava a casa di nascosto. Nessuno del branco avrebbe voluto scoprirlo, come lo scoprivano tutte le mattine-dopo, ma non c'era bisogno della telepatia lupesca per sapere quale fosse la situazione a casa di Embry. Sua madre non avrebbe mai saputo della vera natura di suo figlio, e lui avrebbe continuato a mentire e a sopportare. Embry non tirava mai fuori l'argomento, non raccontava niente a nessuno e, contro ogni previsione, si presentava agli incontri sorridente, rilassato, come se non ci fosse niente di cui preoccuparsi. A un osservatore esterno non sarebbe parso strano, gli adolescenti sanno essere così spensierati. Ma al branco non sfuggivano gli sguardi di Embry, quelli lanciati verso il basso insieme a sospiri impercettibili, pieni di una tristezza che gli ingrigiva gli occhi. Come in quel momento: era durato solo una frazione di secondo, poi Embry era tornato a fissare la fila di almeno altre dieci persone davanti a lui. Sembrava che tutta Forks avesse deciso di riversarsi in biblioteca quel giorno.

“Ok. Ma la prossima volta ci veniamo all'alba.” sussurrò Quil, le labbra quasi attaccate al suo orecchio. Avrebbero evitato fila e sguardi omicidi.

“Dillo a te stesso. Ti sei svegliato a mezzogiorno.”

“Tu non mi hai chiamato!” sbottò. Poi si fermò a riflettere un attimo, “Ehi! Tu ti sei svegliato alla tre!” aggiunse, probabilmente ricordandosi che era stato proprio lui, mezz'ora prima, a bussare alla porta di casa Call per buttarlo giù dal letto, convinto che sarebbero andati a divertirsi da qualche parte. Poi Embry l'aveva trascinato in biblioteca. In biblioteca! E per una ricerca di storia, che lui avrebbe scopiazzato da qualcuno. Ma Embry, di tanto in tanto, aveva attacchi di responsabilità e dovere.

In parte indignato per quella presa in giro, in parte annoiato, Quil cominciava comunque a mostrare segni di ilarità, che presto sarebbero esplosi pericolosamente in quel santuario silenzioso.

Embry lo fulminò e poi sorrise. Fu un effetto abbastanza comico, perché Quil non riuscì a trattenere una grossa risata rumorosa che fece voltare la ragazza davanti a loro. I suoi ricci gelarono all'istante, immobili come quelli di una statua, in un'aura severa, e i due ragazzi alzarono il mento contemporaneamente, come fanno gli attori fighi nei musical, in cenno di saluto, come se non avessero idea di cosa stesse succedendo. Quella aggrottò le sopracciglia e si voltò stizzita e la chioma riccia mulinò furiosamente, tanto da colpire Embry sul naso. Il profumo del suo shampoo lo fece quasi starnutire.

“Eucalipto. Punge il naso.” disse, e si grattò la punta del naso con un dito.

La ragazza dovette sentirlo, perché stava per voltarsi ancora una volta, ma all'ultimo momento decise di rimanersene al suo posto e borbottò qualcosa, che nessuno dei due colse, ma che contribuì a dare un motivo a Quil per scoppiare in un'altra risata, stavolta soffocata contro la spalla di Embry. Anche lui si concesse una mezza risata a bassa voce.

A volte, la visione di osservatori esterni e la visione del branco riuscivano a coincidere: quelli erano solo due adolescenti, uno piegato in due dalle risate e l'altro sogghignante. Due adolescenti divertiti da qualcosa di perfettamente normale.

Forse fu per quello che la risata, che emergeva piano piano dal petto di Embry, sembrava avere una freschezza così pura e crescente da fargli dimenticare tutto. O forse era il peso di Quil sulla spalla, il fiato che sgorgava dalle labbra e si riversava sulla sua pelle coperta da una maglietta a maniche corte. Era il suono soffocato appena della voce di Quil, unito alla sua, che facevano vibrare in maniera imbarazzante il silenzio sacro della biblioteca. Era la normalità.

“Visto che non è così noioso?” lo beccò, quando Quil riuscì a riemergere dalla sua spalla.

“Ehi, fallo di nuovo!”

Embry roteò gli occhi e scosse il capo.

“Fallo tu.”

“Nah, scommetto che si è già innamorata di te. Te la lascio.”

“Non sono interessato.”

“Fifone.”

“Pagliaccio.”

“Secchione.” e indicò il libro che aveva in mano.

“Micio arrabbiato.” Embry imitò il tono “a soffio” che Quil aveva usato tutto il tempo. Evitò anche di usare il nome “gatto” e optò per qualcosa di più diretto e provocatorio. Micio andava benissimo, infatti Quil rimase in silenzio senza rispondere, oltraggiato.

“Questa me la paghi, Call.”

“Non vedo l'ora, micio.”

E poi sghignazzarono di nuovo, mentre la ragazza davanti a loro cominciava a battere un piede sul pavimento, con fare minaccioso.

“Senti, ma se fingessi di sentirti male?” propose Qui. Il fine era sottinteso, ma abbastanza ovvio. Quella fila lo stava esasperando e avrebbe fatto di tutto per arrivare in fretta alla fine di quel supplizio.

“Non voglio andare dal dottor Canino.”

“Ah, già... fingi di essere impazzito! Tutti assecondano i pazzi.” l'espressione di Quil era così seria che Embry pensò che fosse lui il pazzo.

“E che dovrei fare?” sussurrò.

“Non lo so, mettiti a ballare con il libro, saltella su un piede, fai Tarzan.” snocciolò Quil.

“Questo è il comportamento di un idiota, non di un pazzo. Gli idioti di solito vengono pestati, non assecondati.”

“Piangi!”

Lo sguardo di Embry fu abbastanza eloquente da far retrocedere Quil.

“Almeno fa' qualcosa di utile per passare il tempo. E coinvolgimi, o divento pazzo io.”

“Provaci con qualcuno. Così la pianti di fare il bambino.”

Qualcuno dietro di loro tossicchiò irritato e Embry chiuse la bocca. Quil non rispose e si guardò intorno. Non c'era nessuno per cui valesse la pena di ingannare l'attesa.

La fila sembrava allungarsi invece di accorciarsi e il silenzio era così intenso e compatto da far temere a entrambi di essere diventati sordi. Quil provò a tossire per assicurarsi che non fosse successo davvero e Embry aprì il libro e lo chiuse non troppo delicatamente per sentirne il rumore. Poi si guardarono, rassicurati.

Non siamo sordi, amico, menomale.

“Quanto ci vuole? Ho fame.” si lamentò Quil. Embry lanciò un'occhiata alla fila. Non ricordava che ci fossero dodici persone davanti a lui.

“Ancora un po'.”

“Il mio stomaco non ce la fa.”

“Ho una caramella alla menta. Tieni.” gliela allungò e la stessa persona di prima tossicchiò. Quil prese la caramella e si voltò per metterla in bocca, guardando dritto in faccia lo scocciatore.

“Forse servirebbe anche a lei, a volte fanno miracoli.”

Embry tossì rumorosamente per camuffare una risata e Quil cominciò a far sbattere la caramella contro i denti, tanto perché gli piaceva tediare il mondo quando il mondo cominciava a tediare lui.

“Questo dovrebbe essere un luogo di cultura, ma è pieno di idioti.” Quil vide un ragazzo leggere un libro al contrario, una donna ferma a uno scaffale, immobile, da almeno dieci minuti, la bibliotecaria cercare di far funzionare una penna evidentemente priva di inchiostro e dei bambini toccare le pagine dei libri con le mani appiccicose di chissà che.

“E ho sonno.” concluse Quil. Poggiò la fronte contro la spalle di Embry, stavolta senza ridere, e chiuse gli occhi.

“Un altro po', altri due sono andati.”

La caramella aveva finito di far rumore e ora Embry sentiva solo il respiro di Quil. Avrebbe potuto addormentarsi lì, senza problemi.

“Guarda che la gente potrebbe fraintendere.” fece Embry, scrollando piano la spalla, ma non aveva davvero intenzione di toglierselo di dosso. Quil era abbastanza riguardoso nei suoi confronti, perciò bilanciava il suo peso ed evitava di distruggergli la spalla.

“Magari se ne vanno.” ridacchiò Quil.

“Ci potevi pensare prima, micio.” Embry rise di rimando e sentì Quil pizzicargli il sedere quando lo chiamò in quel modo. Sussultò e gli diede una gomitata scherzosa.

“Sei un cretino.”

“Anche tu.” soffiò Quil sul suo collo. Embry rabbrividì.

“Sei contagioso.”

“Non che a te importi, sei ancora qui.”

E Quil non si riferiva solo a quel giorno. Embry sorrise. Erano entrambi ancora lì, nonostante tutto, l'uno per l'altro. Per sostenere file interminabili in biblioteca, per rimanere insieme sotto la pioggia quando il mondo diventava troppo, per racimolare un po' di soldi in più e comprare quei jeans fichissimi al centro commerciale. E anche per darsi pacche sulla spalla quando quei jeans finivano a pezzi. Erano lì per sapere che i jeans potevano andare a pezzi, ma le loro mani si sarebbero trovate. Erano lì perché si può tornare solo dove c'è profumo di casa e di bello, dove c'è una spalla che accoglie la tua guancia e dove un respiro ti parla e ti rassicura.

“Ehi, poi la facciamo insieme quella ricerca.” disse Quil, all'improvviso. Embry si lasciò prendere dalla sorpresa.

“Spunterà il sole a Forks dopo un mese, oggi.”

“Ah ah. Mi va di studiare. Posso farmi venire voglia di studiare?”

“Quando vuoi. Avrei bisogno del sole più spesso.”

“Va be', fammi dormire, adesso.” borbottò Quil, mezzo imbarazzato, mezzo qualcosa-che-non-sapeva-neanche-lui.

Embry, però, lo sapeva.


Il signore dietro di loro tossicchiò un altro paio di volte, ma loro non lo ascoltarono. La fila proseguì lentamente, come prima, ma Embry e Quil non ci fecero più caso.

Il silenzio era diventato qualcosa di incredibilmente bello, all'improvviso, perché tutto ciò che sentivano erano loro stessi.





  
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