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Autore: MadnessOnMars    04/12/2011    1 recensioni
Sora si sente soffocare. Quelle che prima erano le sue certezze, ora si sono dissolte come neve al sole, ribaltando completamente il suo mondo e facendolo sbattere contro un muro che non pensava avrebbe mai incontrato: quello che vuole e quello che dice volere sono davvero la stessa cosa?
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Riku, Sora
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Wanting you is Killing me
 
Un rumore martellante tentò di sfondare le pareti insonorizzate del bozzolo dentro cui si era chiuso. Nonostante giungesse ovattato, il suono gli stava trapanando il cervello non molto delicatamente facendolo impazzire.
Sgusciare fuori dal malloppo di coperte per spegnerla avrebbe però significato sentire quel trillo intensificato dieci volte, nonché abbandonare il confortevole calduccio che era riuscito ad accumulare durante la notte. Fuori discussione, che il maledetto aggeggio continuasse pure a suonare quanto voleva.
Per un momento contemplò l’idea di ribaltarsi nel letto, aggrovigliarsi ancora di più fino a non riuscire più a muoversi né a sentire altro rumore che non fosse il suo respirare affrettato e il pompare sordo del sangue nelle orecchie, e darsi per disperso nel mare di stoffa.
Lo aveva addirittura sfiorato l’idea di fingersi malato, ma sapeva di essere una schiappa come bugiardo, e sua madre lo avrebbe infinocchiato nel giro di una manciata di secondi.
Con un sovrumano sforzo di volontà si decise ad alzarsi. Si raddrizzò a sedere ancora completamente avvolto nel piumone, agitandosi nel tentativo di liberarsi come un grasso bruco rimasto incastrato nel tronco che aveva cercato di smangiucchiare.
Quando finalmente riuscì ad emergere con la testa dal bozzo, il trillo della sveglia lo colpì come un pugno dritto sui denti. Mugugnò finendo di districarsi e cadendo dal letto proprio sull’osso sacro mentre cercava di spegnare il marchingegno infernale.
Si alzò in piedi massaggiandosi il sedere e si diresse con passo strascicato fino al bagno. Si lavò in fretta con l’acqua gelida, rabbrividì quando le goccioline che erano sfuggite alla spugna dell’asciugamano rotolarono giù dal collo fin sotto la maglia del pigiama.
Lanciò un’occhiata alla propria immagine riflessa sullo specchio, le  borse enormi che aveva sotto gli occhi bastarono a confermargli che le due ore di sonno che era riuscito a strappare alla sua notte insonne non erano state minimamente sufficienti a rimetterlo in sesto.
Si stropicciò la faccia, tirando con forza la pelle, torturandosi gli zigomi e le guance quasi con violenza, facendosi venire le lacrime agli occhi dal male, con l’unico risultato di sembrare un idiota a chiazze. Sospirò affranto tornando a rinfrescarsi il viso per migliorare il rossore che si era procurato.
Mugugnò tutto il proprio disappunto tornando in camera per finire di prepararsi.
Si sentiva come una pezza da piedi, anzi come uno straccio usato per pulire i gabinetti pubblici, quindi un vero schifo.
Avrebbe voluto rintanarsi in un cantuccio isolato, nella confortevole solitudine della grotta segreta magari, murarsi lì dentro e restarci finché quella stupida fissa non gli fosse passata del tutto.
Non lo faceva dormire la notte, gli rodeva il fegato e gli divorava il cervello, lo consumava in modo così vorace e rapido che gli sembrava di sentirlo come un male fisico, gelido, che gli si infilava tagliente nella carne, scavando sempre più a fondo, grattando contro le ossa, strappando i muscoli, recidendo i tendini.
Faceva male, malissimo, e allo stesso tempo voleva gliene facesse di più perché in un qualche perverso modo sentiva di meritarlo. Si sentiva così sporco, così maledettamente imbrattato che gli sembrava impossibile tornare ad essere quello di prima, nemmeno dopo aver implorato perdono più di mille volte.
Sin da piccolo aveva sempre pensato che il suo futuro sarebbe stato Kairi, aveva fantasticato di portarla via sul dorso del suo bellissimo cavallo bianco come il principe azzurro che lei una volta gli aveva confessato di stare aspettando, tutta rossa in viso. Era così carina mentre glielo diceva, con le guance rosa e gli occhi nascosti dalle ciglia fitte, mentre seduti sulla spiaggia le loro manine si erano sfiorate, facendoli arrossire entrambi e distogliere lo sguardo imbarazzati.
Aveva passato notti intere a sognare di baciarla sotto l’ombra di una palma, cercando di immaginare la consistenza morbida e il sapore fresco e delicato che le sue labbra avrebbero avuto contro le sue.
Il suo amore per Kairi era sempre stato una certezza nel suo minuscolo universo, così come l’amicizia di Riku, poi nel giro di una manciata di mesi era riuscito a perdere entrambe. La sua bussola si era messa a vorticare frenetica senza alcun punto di riferimento.
Inconsapevolmente i suoi occhi avevano iniziato a cercare Riku, il suo corpo aveva iniziato a cercare un contatto, uno sfiorarsi appena accennato di spalle, un tocco leggero sul braccio per attirare la sua attenzione, un abbraccio mascherato nel pretesto di una lotta.
All’inizio non ci aveva dato troppo peso, aveva accantonato la cosa dicendosi che era normale per gli amici toccarsi tra loro.
Poi senza nemmeno rendersene conto si era ritrovato a masturbarsi pensando al suo migliore amico, immaginando che fosse lui a toccarlo fino a venire in un mugolio strozzato che lo aveva terrorizzato.
Si era fiondato in bagno, aveva aperto il rubinetto della doccia e vi si era infilato sotto senza nemmeno aspettare che l’acqua si riscaldasse. Si era lavato decine di volte, strofinando con energia la pelle fino a scorticarsela nel tentativo di grattare via quello sporco che si sentiva addosso e il disgusto che provava per sé stesso. Aveva grattato con le unghie fino a incidersi la carne in profondità, fino a sanguinare, e nonostante tutto si sentiva ancora una persona orribile.
Quello che lui aveva immaginato di fare a Riku o che lui gli facesse andava ben oltre l’innocente toccarsi fra amici. Non aveva mai pensato di fare cose simili neanche con Kairi.
Erano pensieri da persona malata. Lui doveva essere malato. Altrimenti perché avrebbe pensato a Riku in quel modo? Si faceva schifo da solo.
Ogni volta che incrociava gli occhi chiari del ragazzo, non poteva fare a meno di distogliere lo sguardo mentre un senso di colpa atroce gli mozzava il respiro in gola. 
Aveva tradito la fiducia di una delle persone che amava di più al mondo, una persona che lui continuava a ingannare e a tenere con sé nella speranza che non scoprisse mai quanto meschino fosse e decidesse di abbandonarlo.
Perché ne era certo, se Riku lo avesse scoperto lo avrebbe odiato a morte, lo avrebbe distrutto.
Lo avrebbe guardato con disgusto prima di voltarsi senza dire nulla e allontanarsi con il passo deciso di chi ha intenzione di chiuderti per sempre fuori dalla sua vita. Faceva male, ma allo stesso tempo sapeva che avrebbe meritato un dolore ben peggiore.
Così aveva cercato di evitare di incontrare Riku, per quanto la cosa gli costasse, doveva guarire da quella stupida malattia mentale che gli spappolava il cervello ogni giorno di più. Ma ogni suo tentativo sembrava sortire l’effetto contrario, più che farlo desistere sembravano spronare il ragazzo a marcarlo ancora più stretto.
La cosa stava diventando ingestibile e Sora era arrivato al suo limite.
Scese le scale con il passo pesante di un condannato a morte che si dirige alla ghigliottina, salutò sua madre e si chiuse la porta alle spalle.
L’aria fredda gli sferzò il viso e entrando nelle narici gli gelò il cervello, procurandogli una fitta alle tempie. Si strinse di più nel giaccone e infossò il collo nella sciarpa, sembrando un kamikaze, ma in quel momento non gliene poteva fregare di meno.
Era in anticipo di mezz’ora sulla sua abituale routine, blando tentativo di evitare Riku di prima mattina, a cui sarebbe seguita una fuga serrata durante la giornata, nonché uno scatto da record alla fine delle lezioni per abbandonare l’edificio prima che il ragazzo intuisse le sue intenzioni e lo intercettasse, mandando, come si suol elegantemente dire, a puttane tutti i suoi sforzi. Si diresse a scuola con passo svelto, cercando di riscaldarsi un minimo.
“Sora. Come mai così di fretta?” Si immobilizzò all’istante. Nella sua testa imprecò in tutte le lingue del mondo più una, prima di girarsi e indirizzare un sorriso tirato a Riku, che lo scrutava appoggiato al muretto davanti a casa sua con le braccia incrociate al petto, avvolto nel suo cappotto nero.
Sembrava rilassato, ma Sora poteva benissimo immaginare quanto fosse in realtà irritato sotto quella spessa maschera di fredda tranquillità.
“Ciao Riku.” rispose con voce strozzata evitando di guardarlo in faccia. Le labbra tirate in una smorfia che avrebbe voluto imitare un sorriso ma che falliva palesemente nell’intento.
Era tentato di girarsi e partire a correre come un forsennato nel tentativo di sfuggire a quel confronto, che sapeva non avrebbe potuto evitare, ma che sperava almeno di rinviare per i prossimi tre anni. Il ragazzo non rispose.
“Devo... devo andare a scuola e preparare il materiale. Questa settimana tocca a me e...”
“Cazzate.” Lo interruppe Riku con tono secco.
Infilando le mani nelle tasche si era staccato dal muretto facendo qualche passo verso di lui.
“Pensi che non mi sia accorto che mi eviti da tre mesi?” ringhiò piano tra i denti. Sora tenne lo sguardo basso, incapace di guardarlo, un po’ per timore della gelida rabbia di Riku, un po’ per paura di leggere nei suoi occhi quello stesso disgusto che vedeva riflesso nei propri quando si guardava allo specchio.
“Non... è vero...” mugolò piano in risposta. Questo sembrò farlo incazzare davvero.
“Non è vero? Non sono stupido Sora. E guardami quando ti parlo.” Il gelò nella sua voce era paragonabile a quello dell’aria che li circondava.
Sora si trovò costretto ad alzare lo sguardo, e come le altre volte, sentì lo stomaco chiudersi, il respiro bloccarsi in gola e la lingua intorpidirsi, mentre riprendeva famigliarità con quel viso che da un’eternità si era ostinato a non guardare. Nonostante i lineamenti fossero distesi, belli come sempre, gli occhi mandavano lampi, e cercavano di fulminarlo sul posto.
“Perché Sora?” chiese con tono più pacato, osservando lo smarrimento e la paura che probabilmente gli occhi del ragazzino mostravano chiaramente. Sora sentì qualcosa incrinarsi dentro di sé e il suono fu simile a quello di una punta di ferro che raschia una sottile lamina di vetro prima di infrangerla in mille pezzi. Non riusciva più a sopportarla tutta quell’assurda situazione, il peso che gli opprimeva il petto lo stava soffocando e il magone premeva insistente per venire a galla.
“No...” disse arretrando con gli occhi sbarrati di un animale in trappola, la voce rotta e roca. “No, no, no, no, no!”
“No cosa?” chiese Riku imperterrito, avanzando di due passi per ognuno dei suoi. Sora se lo trovò davanti e vicino, troppo vicino. Scosse il capo cercando di allontanarsi da lui ma l’altro lo trattenne.
“No cosa Sora?”
“Basta, ti prego...” aveva ceduto. Non era stato abbastanza forte e aveva ceduto. Ora Riku lo avrebbe scoperto e lo avrebbe abbandonato. Ora piangeva, piangeva perché faceva male ma sapeva che avrebbe meritato di peggio, perché era una persona orribile, piangeva perché era sporco e non riusciva a pulirsi.
“No. Cosa?”
“Mi odieresti! E non voglio!” gli urlò in faccia, fregandosene altamente di disturbare o meno il vicinato. Riku lo squadrò per un attimo.
“Perché?” Sora esitò, poi i muscoli contratti delle sue spalle si distesero e lui si arrese.
“Perché sono una persona orribile... perché non merito la tua fiducia, né quella di Kairi.” Disse con voce smorzata mentre le lacrime continuavano a scendere bollenti sulle guance fredde e i suoi occhi si rifiutavano di mollare quelli di Riku.
“Perché?” lo stava uccidendo, con quello sguardo freddo e inquisitore, lo stava facendo a pezzi nella maniera più dolorosa possibile. Sora deglutì a vuoto. Se glielo avesse detto lo avrebbe perso per sempre, ma era giusto così. Riku meritava di sapere con che razza di persona aveva a che fare, e lui meritava qualsiasi trattamento Riku avesse ritenuto opportuno riservargli. Prese un respirò profondo.
“Ho... immaginato” si interruppe come a cercare le parole più adatte “di farti delle... cose. Brutte. Mi dispiace Riku...” disse infine guardandolo con gli occhi rossi e lucidi.
Sora alzò i pugni per asciugarsi le lacrime e schiarirsi la vista, ma le mani di Riku gli afferrarono i polsi, impedendogli di coprirsi il viso.
“Che genere di cose?” domandò piano. Sembrava  che anche lui stesse trattenendo il fiato.
“Brutte. Scusa...” continuò a piangere. Riku lo strattonò impaziente.
“Che genere di cose?”
“Ti... baciavo.” Soffiò piano “Ti toccavo, anche... e ti chiedevo di... toccarmi...” quando finì di parlare la sua voce si era ridotta ad un flebile sibilo, interrotto da singhiozzi silenziosi e dai respiri affannati dal pianto.
“Perdonami Riku...”
“Sora sei un idiota.” Ribatté serio lui e il ragazzino si sentì sprofondare. Ecco, era fatta. Ora lo avrebbe allontanato e non lo avrebbe mai più voluto nella sua vita. E lui ne sarebbe uscito distrutto.
Strinse forte gli occhi pronto all’impatto con il pugno dell’altro e forse con il terreno, non sapeva bene cosa aspettarsi. Rimase di sasso quando sentì qualcosa di umido e freddo poggiarsi sulla sua bocca, premendo con forza. 
Poi una delle mani gli tenevano i polsi gli afferrò il mento costringendolo ad aprire la bocca, e qualcosa di caldo e questa volta definitivamente bagnato, si infilò tra le sue labbra andando a giocare con la sua lingua. Non riusciva a capire cosa stesse succedendo, il cervello totalmente sconnesso dal resto del corpo, riusciva solo a sentire il calore che aumentava e le gambe che si facevano molli. Il braccio libero corse istintivamente ad aggrapparsi alla spalla dell’altro, che si staccò da lui per guardarlo negli occhi turchesi ancora pieni di lacrime.
“Era questo che mi facevi?” chiese Riku. Sora fece di sì con la testa, muovendola appena.
“Ti sembra che mi sia dispiaciuto?” chiese sarcastico. Il ragazzino registrò la domanda e si accorse di cosa aveva fatto. Si staccò dall’amico con uno spintone coprendosi la bocca con un braccio e asciugando la saliva ormai fredda dalle labbra. Deglutì sentendo in bocca un piacevole aroma di liquerizia e arrossì violentemente.
“Ma! Non è normale! Io non dovrei volerti... toccare così!” strillò confuso e preoccupato.
“Puoi fare quello che vuoi Sora.” Si avvicinò di nuovo intrappolando contro il muretto il ragazzino che continuava ad indietreggiare.
“Va tutto bene. Non c’è niente di sbagliato.” Disse con tono più tranquillo.
Sora si irrigidì. Se quello che Riku fosse stato vero, lui non sarebbe stato una brutta persona, non avrebbe tradito i suoi amici né la loro fiducia. Non avrebbe dovuto sentirsi sporco perché anche Riku diceva che non aveva fatto niente di sbagliato. Non avrebbe più dovuto torturarsi in cerca di espiazione o di perdono, perché non ci sarebbe stato nulla da perdonare. Lui sarebbe tornato quello di sempre e Riku non lo avrebbe lasciato, perché lui stesso aveva detto che gli andava bene.
La cosa lo elettrizzava. Decise che Riku doveva avere ragione, non voleva più contemplare, nemmeno lontanamente, la possibilità di essere una persona orribile. Inoltre non era da lui farsi così tanti problemi, ragionare troppo gli fondeva il cervello.
“Vuoi toccarmi?” gli chiese il ragazzo, avvicinandosi di più, sfiorando con la bocca le labbra di Sora.
“Sì.” Soffiò lui in risposta. Riku ghignò prima di riavventarsi sulla sua bocca.
“Allora siamo in due.”
 

 
 
Ciao a tutte voi, carissime persone che avete deciso di leggere le mie elucubrazioni mentali!! Spero che la storia vi sia piaciuta, anche se a dire il vero proprio una storia non è. Diciamo che è piuttosto un piccolo trip che mi sono fatta su come probabilmente una persona normale (o quasi) avrebbe reagito nello scoprire di essersi pseudo-innamorata del proprio bff (oltretutto dello stesso sesso O.O). Insomma, mi è capitato di leggere ff molto carine ma in cui un giorno Sora è cotto di Kairi e il giorno dopo semplicemente DECIDE che Riku è più gnocco (niente da ridire in contrario!) e quindi si innamora di lui nel giro di due ore. Ora, la cosa mi sembrava poco plausibile e dopo una doccia di venti minuti buoni passati a intripparmi il cervello con questi ragionamenti è uscita ‘sta cosa, scritta molto di botta devo dire... Comunque!! Spero abbiate voglia di lasciare un commentino!! Aiuterebbe molto il mio ego nonché la mia pazzia. Grazie ancora per aver letto!! Alla prossima!! :D 
  
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