Le
fiamme del coraggio riflesse nei tuoi occhi
Riflessi sugli specchi
Il
ritorno è doloroso come la morte stessa, soprattutto quando una speranza si
infrange, una speranza nutrita nel cuore e nell’anima, una speranza cui ci si
aggrappa fino a sentirsi strappare le viscere, in una totale tensione di membra
e spirito; poi ti ritrovi sulla terra fredda, ma subito dopo il tuo corpo è
bollente, gli occhi feriti da un sole abbagliante… e sei solo… l’oggetto di
tale speranza non si risveglia accanto a te…
Il sole… questo disco fluorescente per il quale abbiamo
dato la vita prima che il fato ci avvolgesse nelle sue mani pietose, per
riportarci indietro… l’astro che ha rischiato di venire inghiottito dalla
tenebra eterna mi ha ringraziato ferendomi le iridi ormai avvezze alle ombre
putride degli Inferi.
Perché
tornare a vivere mi ha fatto così male? Perché il nome che pronunciai, prima
parola al mio risveglio, non mi ha risposto, perché i miei occhi non hanno
potuto scorgere la sola immagine che hanno morbosamente cercato?
Li riconobbi tutti, uno ad uno, i miei compagni, i miei
amici… ma lui non c’era…
E poi ricordai… udii le sue parole mentre il fato mi
sottraeva, generoso e crudele, all’oblio…
Eravamo
solo spirito, eppure parlavamo, eppure mi sembrava di percepire il tocco della
sua mano, la carezza del suo sorriso, finalmente per me, dopo una vita così dedita
alla Dea da rendere secondario, per lui, il fraterno legame che ci ha visto
nascere dal medesimo ventre materno… e così lieto ero di tale contatto di menti
e di cuore che non compresi, al momento, il senso profondo e terribile delle
sue parole:
“Non posso tornare… cosa potrei mai fare, adesso,
catapultato ancora in una materiale esistenza? Ho esaurito il mio compito, non
saprei più per cosa vivere… non servo laggiù… io servo qui… sarò per sempre una
guida per voi, il mio spirito non potrà mai lasciarvi… ma non chiedetemi di
più… non posso tornare… non voglio…”
La mia incorporea essenza non volle credere e si concentrò
sul ritorno in quel corpo, si concentrò sul dolore, sulle grida dei compagni
intorno a me che come me urlavano e soffrivano; come se, anziché restituirci la
vita, ci stessero dando una nuova morte, un’agonia ancor più lancinante della
morte stessa…
Non volli credere… e dimenticai… feci mia la speranza che
in realtà mai ebbe ragion d’essere… la speranza che a noi, fratelli, sarebbe
stata concessa una seconda possibilità per amarci in un mondo di pace,
finalmente, da fratelli.
“Smetti di starmi tra i piedi, non
lo accetto!”
Il giovane attraversò l’uscio con una violenza tale da far
quasi incrinare la porta sui cardini; a nulla valevano gli insistenti inviti
alla calma del compagno che lo seguiva. Distolto così bruscamente dai propri
pensieri, Seiya si voltò nella direzione di quegli strepiti irrazionali;
conosceva benissimo entrambi gli uomini che uscirono dalla casa.
Aiolia non era più stato lo stesso da quando a tutti loro
era stato concesso il ritorno dagli Inferi; un chiodo fisso lo tormentava e non
faceva nulla per nasconderlo. Scoprire che il fratello Aioros, per qualche
motivo, non era tornato, l’aveva reso come folle, in preda ad istintivi scatti
di rabbia che sguinzagliavano la belva inferocita celata dal suo segno cosmico…
un tempo sapeva far tacere questa belva, permettendole di ruggire solo nei
momenti opportuni… adesso, la ragione non apparteneva più al santo di Leo;
quell’ennesima delusione, quell’ennesima ferita aperta nel suo spirito,
quell’ennesima dimostrazione che per il fratello, lui veniva secondo, sempre e
comunque, erano state troppo per lui e un’incontenibile bisogno di ribellione
aveva preso il sopravvento, trasformandolo in un bambino del quale era
difficile tenere a bada gli scatti improvvisi.
Seiya di Pegasus comprese immediatamente cosa doveva essere
accaduto; per l’ennesima volta, Milo aveva offerto il proprio sostegno al
custode della quinta casa, forse tentando di fargli coraggio, di spingerlo a
sfogarsi, parlandone anziché aggredire ogni oggetto o ogni persona che si
parava sul suo cammino… aveva nuovamente insistito, invitandolo ad aggrapparsi
con tutto sé stesso ad un amico… gettare fuori tutto quel dolore con parole
anziché con ira.
Ancora si era rivelato un tentativo inutile quello di Milo e
Aiolia era semplicemente fuggito da lui, con quella foga che mal celava il
terrore di trovarsi in presenza di altri. Scorpio rimase pochi istanti sulla
soglia, titubante, evidentemente incerto sul da farsi ma, dopo quella
momentanea esitazione, decise che non voleva arrendersi e, con pochi passi
veloci, raggiunse l’amico in fuga, afferrandolo per un braccio:
“Ascolta, Aiolia, io posso capire
come ti senti ma…”
Non ebbe tempo di terminare; l’altro si voltò, strappandosi
a quel contatto con un ringhio ed un vigoroso strattone:
“Cosa potresti capire, tu? Non ti sei forse risvegliato
tenendo per mano la persona che ami?”
La pazienza non era una delle maggiori prerogative di Milo e
un certo, rabbioso nervosismo, era facilmente ravvisabile in ogni suo
atteggiamento e nella voce quando rispose:
“Non osare dire che sei l’unico qui a conoscere la
sofferenza! Io avevo perduto la persona che amavo!”
“Ma davvero? Ebbene, io non ho più alcuna speranza di
ritrovare Aioros… tu e Camus ora potete abbracciarvi nello stesso letto ogni
notte!”
Quella tagliente ironia fece fremere il santo dello
scorpione, ma evidentemente, troppo emotivamente coinvolto dal dolore di
Aiolia, troppo comprensivo in quella situazione, si trattenne dal portare
ancora avanti una discussione che si sarebbe rivelata sterile e avrebbe accumulato
unicamente tensione su entrambi; deglutì e raccolse il fiato prima di tentare
ancora, disperatamente, un approccio amichevole:
“Aiolia… se tu accettassi
l’amicizia e l’affetto di chi ti è amico…”
Gli rispose, immediatamente, una
minaccia, ringhiata sottilmente tra i denti:
“Fammi un favore, Scorpio, sparisci dalla mia vista! Non
voglio farti male, non voglio alzare le mani su te, né su nessun altro ma sono
pericoloso e non rispondo di me!”
Non aggiunse altro Aiolia e, dando nuovamente le spalle al
compagno, riprese a camminare. Ogni attitudine del suo corpo trasmetteva il
chiaro messaggio che non ammetteva repliche né ulteriori seccature.
Il santo dello Scorpione non poté fare altro che abbandonare
le braccia inerti lungo i fianchi, osservando l’amico che un’altra volta se ne
andava senza permettergli di aiutarlo; Milo abbassò il capo, lo scosse
mestamente, accompagnando quel gesto con un melanconico sospiro, ravvisato da
Seiya, pur da lontano, grazie al sollevarsi e riabbassarsi successivo delle spalle
avvolte in un pesante mantello.
Il ragazzino, nascosto nel vicolo che sbucava sulla strada
imboccata da Aiolia, lottava tra due differenti impulsi: correre dietro al
santo di Leo, suo amico da sempre, per cercare lui stesso di parlargli e
portargli conforto o andare da Milo, in modo da confidarsi reciprocamente su
cosa fosse meglio fare in quel frangente? Si lasciò andare con le spalle contro
una parete, il volto cupamente imbronciato, sospirando e dandosi mentalmente
dello stupido; perché Milo avrebbe dovuto accettare simili confidenze e come
avrebbe reagito venendo a scoprire che Seiya li aveva spiati, seppur
involontariamente? Non erano più in cattivi rapporti ma da questo a parlare di
autentica amicizia… erano sulla buona strada forse, ma c’era tempo.
D’altronde, era probabile che raggiungere Aiolia avrebbe
potuto non rivelarsi una decisione migliore; se il santo di Leo si rifiutava di
ascoltare Milo e i suoi compagni gold saints, perché avrebbe dovuto lasciarsi
fare la morale da un bronze? Senza contare che a Seiya non era sfuggita
l’ostilità che Aiolia covava nei suoi confronti da quando erano tornati e il
ragazzino era convinto di averne intuito i motivi… Aioros non era tornato a
causa sua… se era così, Seiya non avrebbe saputo dirlo, ma questo pensava
Aiolia e glielo aveva fatto, più volte, capire…
A testa bassa si avviò, senza sapere dove andare,
lasciandosi guidare solo dai suoi passi… e da una voce che sembrava prenderlo
per mano.
“Perché
una simile decisione che ha portato solo sofferenza? Puoi darmela questa
risposta, sacro guerriero di Sagitter? Puoi spiegarmi perché tuo fratello mi
colpevolizza a tal punto?”
“Perché
lui non ha ancora compreso, Seiya… perché mio fratello è più fragile di quello
che sembra e io conosco le mie colpe… mai gli sono stato realmente vicino… e
una volta di più si sente abbandonato e tradito da me; il dolore e la rabbia
gli impediscono di considerare le cose con la dovuta razionalità…”
“Ma,
Aioros… io non comprendo più di quanto lui comprenda… cosa ti ha impedito di
tornare? Davvero è colpa mia? Perché?”
“Fare
un discorso di colpe non ha senso… è dovuto a te, ma non per tua colpa… per
volere del fato… perché tu e io non possiamo sussistere su un medesimo piano di
esistenza… tu e io ci completiamo, la medesima luce brilla in noi, tu santo di
Pegasus, io santo di Sagitter, abbiamo il dovere di coesistere, in simbiosi, al
servizio della Dea; rinascere avrebbe significato al tempo stesso separarmi da
te, dalla tua essenza… e ciò non poteva avvenire senza incrinare fondamentali
equilibri…”
“Mi sembra… tutto così difficile…”
“Aiutami,
Seiya… aiutami a parlare con Aiolia… e forse anche tu comprenderai meglio…”
Così
com’era venuta, la nebbia svanì e Seiya scosse il capo, come per scrollare via
dalla mente le ultime nubi di confusione; aveva davvero parlato con Aioros? O
tutto era stato frutto di un’immaginazione troppo fervida?
Nel frattempo aveva continuato a camminare senza meta ma si stupì
non poco quando si rese conto di essere giunto ai piedi della collina del
Grande Tempio; la prima casa, o meglio quel che ne rimaneva in seguito
all'attacco di Hades, si ergeva di fronte a lui, in corso di restauro. non c'era ancora molto da fare. Seiya aveva
scoperto con stupore che era stato lo stesso Santo di Aries, con la sua
telecinesi, ad occuparsi della rimessa in ordine della casa... anche gli altri
templi erano destinati ad essere restaurati dal custode della prima casa.
Ancora una volta, il giovane giapponese si era ritrovato ad apprezzare le doti
nascoste del Grande Mu!
Eppure non era il momento di
osannare le grazie del mitico gold saint.
Perché
era venuto lì? Un caso? Non ne era certo, in quanto sentiva il bisogno di
proseguire, salire le scale… Dove si sarebbe fermato?
Ascoltò
l’istinto e, un passo dopo l’altro, scalino dopo scalino, si apprestò ad
attraversare la prima casa; nessuno gli avrebbe più impedito di passare per i
Dodici Templi. Gli sarebbe bastato ampliare appena il proprio cosmo per farsi
riconoscere, ne era certo; ma non ebbe bisogno neanche di quello, in quanto
trovò quasi tutti i templi incustoditi, eccetto quello di Shaka, del quale
percepì chiaramente l’aura vitale, nei pressi della porta che dava sui giardini
di Sala. Non scambiarono parole; comunicarono semplicemente tramite i cosmi,
una sorta di reciproco saluto formale… Shaka, rinato, era diventato ancor più
solitario e silenzioso di prima.
Quanti
ricordi erano legati a quella casa? Il sacrificio del suo custode era ancora
fortemente impresso nel cuore di Seiya, come lo erano gli istanti successivi
allorché, con l’aiuto dei suoi tre compagni, aveva deviato il corso della
pericolosa Athena Exclamation, innescata dai due gruppi di gold saint rivali;
in seguito aveva scoperto che così non era… nessun nemico, nessun rivale tra
loro… tutto celato sotto un’obbligata menzogna, un inganno che non si poteva
evitare.
Rimembranze
così dolorose erano ancora troppo recenti per non riaprire vecchie ferite, ma
tali ferite, forse, non si sarebbero mai rimarginate; ancor prima di avvedersi
del proprio gesto, Seiya si era portato una mano al petto, istintiva reazione
ad un dolore improvviso, con il quale si era ormai abituato a convivere. Lì,
proprio sul cuore, la spada di Hades aveva trafitto il suo corpo, a fondo… come
guarire del tutto da una simile ferita? Eppure, le fitte si facevano più
lancinanti ed acute quando era la mente a ricordare… Dolore più mentale che
fisico quindi? Probabilmente entrambi i fattori contavano.
Seiya
scosse mestamente il capo e ricominciò a camminare; non gli era ancora chiaro il
motivo che l’aveva condotto fin lì ma sapeva di dover andare avanti. Libra, poi
Scorpio e, alla Nona Casa, si fermò… era giunto a destinazione.
Il
senso di estraniazione che si impadronì di lui gli provocò un violento capogiro
ma, subito dopo, si sentì leggero, come sospeso nelle sconfinate distese del
cosmo, tra quelle stelle, quegli astri che da sempre governavano la sua vita.
Credette di comprendere, in quel frangente, cosa si prova quando l’anima esce
dal corpo, per entrare in contatto con un’altra anima… e poi con essa
condividere il medesimo corpo, la medesima essenza e, con un brivido, si rese
conto di non essere più certo della propria identità…
“Aioros… tu…”
“Non
avere paura, Seiya, e lasciati andare… è già accaduto una volta, ricordi? Una
volta, per qualche istante, tu e io siamo stati una cosa sola…”
“Perché?
Perché io?”
“Perché
i tuoi occhi sono lo specchio perfetto dei miei… amico mio… mio gemello
astrale…”
“Questo
è… l’infinito…” mormorò Seiya, prima di perdere la coscienza di sé stesso e di
espanderla su livelli più ampi, solitamente impensabili per i confini che gli
esseri umani si autoimpongo, non così avvezzi a trovare nella grezza materia i
limiti oltre i quali non possono andare e crogiolandosi in comode verità imposte
dall’esterno. I sacri guerrieri di Athena non potevano permetterselo e questo
Seiya lo sapeva; quell’esperienza non era nuova e lui ci si abbandonò, con la
fiducia e la generosità così radicati nel suo cuore di eroe, di autentico santo
guidato dalle mani di Sacra Giustizia. Perse la consapevolezza di sé ma acquisì
quella del tutto e tale condizione gli permise il contatto che Aioros lo aveva
pregato di assecondare. Due santi di Athena, due essenze differenti guidate
dalle medesima configurazione astrale, divennero una cosa sola, con il consenso
e l’aiuto delle stelle loro sovrane.
Camminai,
non so neanche io per quanto, fuggendo da Milo, fuggendo da tutte le premure
dalle quali ero circondato, dal terrore delle mie stesse reazioni che avrebbero
potuto portarmi a gesti inconsulti, sui quali non avrei saputo porre il minimo
controllo.
Non
sapevo dove stavo andando, eppure procedevo sicuro, come se una volontà
superiore guidasse i miei passi; non potei fare a meno di convincermi che
proprio così era, non appena giunsi ai piedi delle Dodici Case. Non avevo avuto
la minima intenzione di giungere fin lì, eppure mi ci ritrovai perché qualcosa…
o qualcuno… mi chiamava…
Oggi
so per certo a chi apparteneva quella voce, ma allora non potevo realmente
rendermi conto di essa perché la mia volontà, al di fuori della stessa
coscienza, obbediva… quella coscienza che era come spenta, la consapevolezza di
me svanita, insieme alla mia lucidità mentale.
Mi
stropicciai gli occhi, stancamente, forse sperando di riacquisire il dominio di
me e, se in parte ci riuscii, ancora una mano spirituale mi spingeva a compiere
passi successivi, a salire i primi gradini e poi ancora su… attraverso le vie
segrete che si snodano lungo il colle, con sbocchi posti a distanze più o meno
regolari, ciascuna in corrispondenza di uno dei sacri templi fino all’ultima,
in cima, l’entrata nascosta del Santuario.
Non
arrivai fin lassù ma superai comunque il mio tempio, il quinto, per andare
oltre, fermandomi solo allorché giunsi in prossimità del nono… Sagitter…
Aioros… fratello mio…
Lì
dovevo arrivare e, pur senza saperne le recondite motivazioni, pensando tra me
che, in fondo, ero stato guidato lì da un desiderio inconscio, dal bisogno di
sentirmi, spiritualmente, vicino a lui per un po’, nel luogo che più in terra
lo rappresentava, mi inoltrai, lungo il buio corridoio alla fine del quale
sarei sbucato nella cella principale dell’edificio. Era buio e le colonne
spiccavano con il loro candore lunare nelle tenebre eppure un fascio di luce,
del quale non recepivo la fonte, sembrava illuminare la scritta sul muro: ragazzi che qui siete giunti, a voi
affido Athena…
Quelle poche, semplici parole, sono l’eterna rimembranza di un evento
miracoloso… uno dei tanti miracoli compiuti dal grande uomo custode di quelle
vestigia che ancora stanno lì, a formare la figura dorata del Sagittario, la
freccia puntata verso quel messaggio… Quando siamo tornati dall’Ade, la sua
armatura è tornata senza di lui e ha riassunto la medesima posizione con la
quale, tempo prima, aveva indicato il testamento di Aioros a Seiya ed ai suoi
fratelli.
Un’ombra
lieve sbucò da dietro l’armatura, posizionandosi tra la punta della freccia di
Sagitter e la scritta sul muro; strinsi un attimo le palpebre. Un gioco di
luce, un bizzarro scherzo della mia mente? Ero diventato terribilmente
suggestionabile… forse lo sono sempre stato e non me ne ero mai reso realmente
conto. Riaprii gli occhi… era ancora lì, immobile… e sembrava fissarmi. Mi
trattenei a stento dall’urlare mentre un nodo di lacrime mi ostruiva la gola,
mozzandomi il fiato. Una mano si tese verso di me e un sussurro si levò nel
buio:
“Fratello…”
Un
gemito strozzato mi uscì dalle labbra e non so con quale energia mossi qualche
passo… eravamo così vicini adesso e mi sentivo così confuso che finii per
crollare in ginocchio, come un bambino in preda ad una tempesta emotiva alla
quale non può conferire una logica, una prospettiva razionale. Il mio volto,
contemporaneamente al cedimento delle gambe, si era abbassato e fu allora che
la sua mano mi sfiorò, delicatamente, una guancia, mi costrinse, con ferma
dolcezza, a sollevare lo sguardo, per fissarlo nel suo, così colmo di fierezza
ma anche di affetto, quell’amore immenso per me che raramente avevo percepito,
anche quand’ero bambino… quello sguardo che bramavo con tutto me stesso da
quando ero nato e che mi diceva: “Sei il mio fratellino… sei importante per me,
non dimenticarlo mai…”
Forse
una volta sola me l’aveva realmente detto e, con un fremito, mi resi conto che
non la mia immaginazione aveva ricostruito in me quella frase, grazie ad un
ricordo indelebile nel quale tanto spesso mi crogiolavo… quell’ombra che mi
scrutava nel buio aveva davvero pronunciato tali parole e, probabilmente per
essere certa che le avessi udite, per assicurarmi che il mio orecchio non mi
ingannava, le ripeté, ancora:
“Sei il mio fratellino… sei importante per me… sei
importante…”
Qualcosa
si sciolse in me e, ancor prima di avvedermene, ero scoppiato in singhiozzi; di
solito, una cosa del genere mi avrebbe roso di umiliazione ma non mi importava
di nulla in quel momento; solo di lui… e di me… di noi due, del mio adorato
fratello maggiore che mi parlava, come sempre avevo sognato. Si inginocchiò
anche lui, mi prese tra le braccia e io mi aggrappai a lui, come un naufrago
che sente l’appiglio sfuggirgli dalle mani, mi aggrappai ad una speranza, ad
un’illusione che esplicai con un’invocazione disperata:
“Sei
tornato! Sei tornato davvero?”
Tutto
crollò, con la sua risposta:
“Non per restare… ma dovevo parlarti… sono tornato perché
capissi…”
Mi
strappai alla sua stretta con una forza tale che barcollai all’indietro,
ritrovandomi seduto parecchi centimetri più distante da lui e urlai, nuovamente
posseduto da un’ondata di rabbia esplosiva, resa ancor più distruttiva dalle
lacrime che ostruivano la mia vista e le mie percezioni:
“Capire
cosa? Cosa dovrei capire? Tu sei sempre stato troppo elevato per me, troppo
elevato per tutti! Chi può capire le tue sacre decisioni che gli altri devono
solo accettare, perché prese dal santo per eccellenza?! Che senso aveva non
tornare? Quale recondito significato dovrei conferire alle tue azioni
impregnate di sacra superiorità?! Chi sono io in confronto a te?!”
Ascoltò
il mio sfogo, con un’impassibilità che avrebbe rischiato di esasperarmi
maggiormente se non fosse stato per le parole con le quali a tale sfogo
rispose, calmo… e, forse, vagamente commosso:
“Sei
un santo di Athena, esattamente come me… e tuo compito era tornare a svolgere
il tuo dovere nel mondo… io nel mondo non avrei nulla da fare; le mie vestigia
devono restare tra queste mura, non più indossate in questa generazione di
saint, devono erigersi qui, come monito, ad indicare quel messaggio che
definisce l’autentico ruolo dei santi di Athena… in questo tempio le mie
vestigia e in esse il mio spirito… io non posso più mutarmi in materia, io che
sono guida spirituale per le generazioni future e soprattutto ora, per colui
che in sé raccoglie la mia essenza…”
C’era
superbia nelle sue parole? No, lo conoscevo troppo bene; lui credeva fortemente
in ciò che diceva e non si attribuiva meriti per semplice stima di sé… erano le
stelle, che a ciascuno di noi conferiscono un compito sacro, a suggerirgli tali
verità e lui constatava quelle verità, riferendole a me perché ne avevo
bisogno… mai si sarebbe vantato di fronte a qualcuno senza necessità… ma le sue
motivazioni era essenziale per me assimilarle e, in tal modo, mi porgeva
l’aiuto e le spiegazioni di cui necessitavo per riprendere a vivere con la
serena accettazione del mio ruolo.
Guida
spirituale per colui che in sé racchiude la sua essenza… neanche per un istante
pensai che parlasse di me… lui era stato la mia guida finché, vivo, era stato
al mio fianco… ma dopo no… il suo spirito solo una volta si era a me palesato e
solo per rimproverarmi aspramente… non è mai accorso, come spirito, a
consigliarmi e guidarmi… chi godeva di tale privilegio? Maledii me stesso per
la vampata di gelosia che mi assalì; dovevo reprimerla, non ero un bambino
capriccioso… eppure…
Scossi
il capo e, in quel momento, la figura davanti a me si fece evanescente,
perdendo in qualche modo consistenza, oscillò, trasmutò in qualcos’altro e ogni
similitudine con Aioros svanì, come un velo immateriale che lentamente si
dissolve per rivelare, al di sotto di esso, un’altra realtà… e quella realtà io
la riconobbi immediatamente; si trattava di qualcuno che conoscevo fin troppo
bene e che ora mi fissava, gli occhi immensi e vacui, confusi, colmi di
lacrime… occhi di un bambino, di un ragazzino, non certo quelli di mio
fratello, anche se in qualche modo simili…
Nel
riconoscerlo emisi un’esclamazione che divenne quasi un urlo quando lui
vacillò, ripiegandosi su sé stesso e crollando, un attimo dopo, tra le mia
braccia, abbandonandosi mollemente in esse; non riuscii subito a comprendere se
fosse svenuto o solo semiincosciente… Seiya… e improvvisamente compresi… colui
che in sé raccoglieva l’essenza di Aioros.
“Perché?
Perché non io?” mormorai, vergognandomi al medesimo tempo per la mia
irrazionale gelosia.
In
quel momento gli occhi di Seiya, rimasti chiusi per qualche istante, si
riaprirono, stretti, sofferenti nei miei:
“Non
c’entra niente con l’affetto, Aiolia… lui ti ama… tu sei il suo fratello di
sangue… io il gemello astrale…”
Guardai,
quegli occhi che ardevano nonostante la stanchezza di un’esperienza che l’aveva
spossato e riconobbi la loro luce, seppi leggere in essi… in essi non vidi solo
il sorriso di Seiya ma un altro sorriso, sotto la liquida superficie d’ambra…
il gemello…
Ecco
perché Aioros non poteva tornare con noi; il suo cuore e quello di Seiya ardono
di un’unica ardente fiamma che non può essere scissa ormai, quella medesima
fiamma che i loro occhi riflettono… la fiamma del coraggio, dell’amore supremo
al servizio della Giustizia…
Piansi
ancora, ma questa volta di felicità, di comprensione, di dolcezza e strinsi a
me Seiya… e stringendo così anche mio fratello; le sue braccia mi avvolsero
ancora e pianse con me, cullando il mio capo sul suo petto. Ad ogni battito di
quel cuore immenso, il calore della fiamma cosmica in esso così viva si
infondeva nel mio cuore e io finalmente crescevo, sentendomi degno di essere
ciò che ero…
Ora
sto bene anche io… ora sapete che non vi lascerò mai soli e che il mio spirito
e la mia fiamma arderanno nei vostri cuori finché continuerete a servire
lealmente Giustizia… affinché per questo mondo ci sia ancora qualche speranza
noi continueremo ad esistere, a trovare il senso della nostra esistenza, a far
divampare le nostre fiamme, il nostro coraggio, il nostro amore per tutto ciò
che vive, per questa terra che ha bisogno di noi, più che mai, questa terra che
non lo sa, che non ci conosce… perché l’uomo, un giorno, cominci a credere nei
nostri ideali, senza deriderli, perché egli la smetta di distruggere e seminare
distruzione e morte… noi continueremo a proteggerlo, lui e la terra, da ciò che
li minaccia, continueremo ad insegnare all’uomo a proteggere la terra come noi
facciamo, nella speranza che ci ascolti, prima o poi… ci sarà sempre al mondo
qualcuno che sentirà ardere questa fiamma accesa nel proprio cuore, la fiamma
inestinguibile che noi santi di Athena manteniamo viva, in eterno, continuando
a sperare…
AIOROS
DI SAGITTER, SACRO GUERRIERO DI ATHENA,