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Autore: Deilantha    04/12/2011    9 recensioni
Pasi è una diciannovenne impulsiva e socievole, dal futuro incerto ma dal buon cuore, che vive una situazione di conflitto in famiglia, sentendosi sempre la pecora nera rispetto ad una sorella apparentemente perfetta. Provando un vuoto affettivo tra le mura domestiche, Pasi si circonda di amici, che reputa la sua vera unità familiare.
Emile è il suo esatto opposto: non è un tipo socievole e vive esclusivamente per la musica, sul cui argomento è terribilmente arrogante. Ma il suo modo di essere così rigido e poco aperto agli altri, nasconde un dolore che il ragazzo si porta dietro dall’infanzia, dovuto ad una madre caduta vittima della depressione quando lui era ancora in fasce.
Emile e Pasi si scontreranno la prima volta che si vedranno, ma le loro vite sono destinate ad incrociarsi e farli crescere nella reciproca conoscenza.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Filrouge'
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Capitolo 21





 

 

«Pasi stai esagerando, non ho nulla, davvero!»

«Queste ferite non vanno prese alla leggera, devi mettere una pomata e controllare che le ossa siano a posto!»

La prima cosa che feci quando ci svegliammo, fu controllare lo stato di salute della mano di Emile: non riuscivo a guardare quell’arto fasciato senza sentirmi dannatamente in colpa, così lo condussi in cucina, con la cassetta dei medicinali aperta accanto a me, tolsi le bende e iniziai a tastare sperando di non sentire nulla di rotto.

«Ahia, mi fa male!» Emile staccò di scatto la mano dalla mia per massaggiarsela.

«Non prendere il colpo sottogamba, dovresti andare in ospedale a farti una radiografia, magari tu non te ne sei accorto, ma potrebbe essersi leso qualche osso e…»

«Pasi, smettila di sentirti in colpa.»

Fermai di colpo la mia arringa, rendendomi conto che Emile aveva letto sul mio viso cosa si agitava nella mia anima.

«Scusami… è che non potrei sopportare l’idea che la tua mano subisca qualche incidente proprio ora, a causa mia… se dovesse capitarle qualcosa…»

«È tutto a posto, stai tranquilla.»

No, non era tutto a posto,  non lo era affatto e lui continuava a mentire, continuava a fare il forte, a tenere dentro di sé i suoi sentimenti…  

«Emile, ti prego, almeno questo puoi farlo! A costo di accompagnarti io con la forza, fai questa benedetta radiografia!»

Il mio Pel di Carota emise un sospiro e mi prese una mano con l’arto sano: «Ok, va bene, prenoto la visita seduta stante, sei contenta?»

«Ti accompagno io, ora.»

Non riuscendo ad attendere un secondo di più, feci per allontanarmi in cerca delle chiavi dell’auto, quando mi prese il braccio:

«Pasi datti una calmata, ora stai esagerando! Non c’è tutta questa fretta, stai piantando una storia immensa su un’idiozia!» Il viso di Emile era spazientito, ma il mio senso di colpa sovrastava qualsiasi manifestazione di rabbia avesse potuto esternare e non mi arresi.

«Non è un’idiozia se ti fai male e non riesci più a suonare, Emile! Non lo è affatto e non voglio nemmeno che accada per colpa mia!»

«Allora la prossima volta parla, così eviterai che mi faccia male!»

Touchée. Aveva perfettamente ragione e nonostante quelle parole fossero state come stilettate dritte al cuore, mi sentii sollevata nel sentirgliele dire: ero più a mio agio con questo lato di Emile che con quell’apatica mancanza di reattività.

«Certo che parlo, stai sicuro che parlerò, non voglio più far del male né a te, né a Claudine!»  Il mio Pel di Carota, perse lo sguardo tagliente che mi aveva rivolto con quell’ultima affermazione e si rabbuiò; calò la testa prima di parlare.

«Mia madre ora è in pace, non può più essere ferita.»

«Sì invece, può essere ancora ferito il suo ricordo, Emile.  Se tu non riuscissi ad emergere, se il tuo obiettivo non dovesse essere raggiunto, sarebbe un danno anche alla sua memoria!»

«Non c’è bisogno che me lo ricordi!» Si stava alterando ed io iniziai a sperare di essere sulla strada giusta per farlo sfogare, così continuai.

«Invece devo, perché mi sono immischiata in questa situazione ed ora il tuo impegno verso Claudine è anche affar mio… ed io non voglio che lei venga dimenticata, soprattutto ora che non c’è più!» Stavo girando il coltello nella piaga, gli stavo procurando un dolore più grande di quanto avessi fatto alla sua mano, ma strinsi i denti e continuai:  «Claudine merita di essere ricordata e non puoi permetterti di perdere l’uso della mano! Non posso sostituire Claudio, ma posso impedirti di fare qualche sciocchezza!»

«Non venire a fare la ramanzina a me, Pasi! Credi che sia uno stupido? Io non perderò l’uso della mano, perché non ho nulla che non va! Non verrò certamente meno al mio obiettivo per una cosa del genere! Per chi mi hai preso? È tutta la vita che lotto per emergere, per dare un senso a questa mia esistenza che ha rovinato quella di mia madre ed ora più che mai lotterò, ora più che mai, dannazione!»

 Spazientito, diede un colpo al mobile su cui era appoggiato e uscì dalla cucina. Non ero riuscita del tutto nel mio intento, ma il fatto che avesse dato un segno di reazione, mi fece sperare per il meglio: forse quella discussione l’avrebbe aiutato ad esternare quello che non riusciva a far emergere dall’interno della sua anima… Forse avrei dovuto continuare a  incalzarlo...

Ero persa in quelle riflessioni quando mi accorsi di stringere le bende pulite: concentrata nella discussione, non gli avevo più curato la mano. Presi anche la pomata e lo cercai: probabilmente non voleva più discutere con me e arrivai alla conclusione che fosse meglio così, che sarebbe stato meglio dargli il tempo di riflettere su ciò che ci eravamo detti… Ciononostante volevo accertarmi  del suo stato d’animo, perché dopo avergli detto quelle parole dure, ero certa che si stesse tormentando più del solito.  

 

Appena uscita dalla cucina, sentii dei rumori provenire dal basso: era nel seminterrato, ma sembrava che stesse avvenendo una colluttazione in quella stanza: era mai possibile che nell’arco di qualche minuto fosse entrato Claudio e non me ne fossi resa conto? Non mi sembrava possibile che quel tipo fosse tornato a cercare il litigio, ormai la sua vendetta l’aveva avuta e non c’era motivo di tornare a dar battaglia… allora cosa diavolo stava accadendo li sotto? Iniziai a scendere le scale preoccupata  e sentii più forte il rumore di oggetti lanciati a terra insieme ad una voce che gridava: era Emile e molto probabilmente si stava sfogando!

Una volta giunta alla fine dei gradini, mi fermai di colpo:  

«Maledizione! Maledizione!»

Emile urlava e lanciava per aria gli oggetti che si trovava davanti: il tavolino posto in quell’anticamera della saletta era ribaltato, le sedie avevano subito lo stesso destino e tutti i piccoli oggetti (bicchieri, bottiglie, posacenere, lattine di birra) erano stati utilizzati come ciottoli da scaraventare lontano. Urlava a squarciagola e prendeva a calci tutto quello che aveva gettato a terra: evidentemente i miei tentativi di scuoterlo avevano funzionato! Per un momento rimasi paralizzata dalla paura, nel vedere la sua furia lanciata a briglia sciolta, ma dopo poco mi calmai e rimasi lì sofferente ad osservarlo, mentre sfogava tutto il suo dolore.

Quando esaurì le energie, cadde a cavalcioni a terra, sfinito: a quel punto mi avvicinai a lui e m’inginocchiai per guardarlo in viso.

«Emile! Emile! Guardami, guardami Emile!» Alzò il viso rigato dalle lacrime verso di me:

«Se n’è andata via Pasi, se n’è andata via davvero!  Nessuno potrà congratularsi con lei per il suo talento, non vedrà mai più il suo nome riabilitato! Non potrò più vederla, non tornerà mai più da me! L’ho uccisa Pasi! L’ho uccisa!»

Il suo viso era una maschera di dolore, gli occhi erano rossi per il pianto e di un azzurro profondo; il desiderio di proteggerlo tornò ad invadermi, il mio cuore tornò a contrarsi per la sofferenza di vederlo in quello stato e l’abbracciai, per donargli un po’ della mia forza.

«Piangi amore mio, piangi e sfogati, io sono qui con te, non me ne vado.»

Spezzato dentro e colmo di angoscia, si piegò su di me stringendomi forte,  sfogando finalmente tutto il suo dolore, tutta la sofferenza del bambino e del ragazzo, che avevano perso quella madre senza averla mai avuta davvero. 

 

*****

 

«Quand’ero piccolo, venivo sempre qui  se volevo starmene da solo a pensare… in qualche modo, vedere queste pareti azzurre mi dava un senso di pace e sapendo che era la stanza preferita di mia madre,  mi rifugiavo qui per sentirla accanto a me, quando non l’ascoltavo nel salotto.»

Eravamo a terra nell’anticamera della saletta, appoggiati al muro, circondati da uno spettacolo post catastrofico: in tutta la lunghezza della stanza c’erano oggetti sparsi a terra, la bacheca cadendo aveva fatto volare tutti i fogli di carta che ora rivestivano il pavimento come un manto di neve, il tavolino era ribaltato e ovunque  regnava la legge del caos. Eppure immersi in quel quadro apocalittico, eravamo silenziosi e sereni: Emile era visibilmente stanco, ma più rilassato, ed io ero felice che finalmente avesse trovato il modo di sfogarsi, per cui mi sentii sollevata dalla maggior parte delle mie ansie e mi concessi un sospiro di sollievo.

«Tua madre è dentro di te Emile, molto più di quanto tu possa immaginare. Non ti abbandonerà mai, nemmeno se lo volessi… e tu non abbandonerai mai lei, di questo ne sono certa!»

Fece un sorriso stanco e chiuse gli occhi, alzando la testa verso il soffitto.

«A volte la sento quasi come una maledizione… si può essere così contorti? Ho cercato la sua attenzione tutta la vita eppure la sua presenza mi schiaccia… forse sto diventando pazzo!»

«Non sei pazzo, sei solo schiavo del senso di colpa e non riesci a liberartene, non riesci a vivere senza sentirti la causa della sofferenza di Claudine.»

«Perché è così: sono io la causa della sua malattia, se non fossi nato non sarebbe mai caduta in depressione e non avrebbe perso la sua vita.»

«Lo so che nessuna delle mie parole ti farà rinsavire da quest’assurda convinzione, ma io credo che Claudine fosse predisposta da prima a cadere malata: tua madre era fragile, è bastato poco per farla cedere e se non fosse stato il parto, sarebbe stato qualcos’altro… Tu non c’entri Emile, è stato solo un caso che sia accaduto dopo la tua nascita.»

«Un caso, eh? Detto da colei che crede nel Destino!» Mi accarezzò una guancia rivolgendomi un sorriso amaro, era chiaro ciò che il suo viso mi stava dicendo: “Apprezzo il tuo tentativo di consolarmi, ma non c’è modo di farlo”.

«È un discorso differente quello: mi piace credere al Filo Rosso del Destino, perché sono sempre più convinta che io e te eravamo destinati ad incontrarci… ma non significa che nella vita non ci sia spazio per le casualità! Non rigirare il discorso con me, piccolo saputello!»  

Emile tornò a sorridermi, ma stavolta c’era una nota di serenità sul suo viso, l’amarezza era volata via:

«Sei proprio un’adorabile strega.» Avvicinò il suo viso al mio e mi diede un dolcissimo bacio, mi strinse a sé e rimanemmo in silenzio per un po’, finché disse:  «Ho fatto davvero un disastro qui! Forse è il caso che ripulisca…»

Guardai la rivoluzione che regnava in quella stanza e risposi: «Tutto sommato non mi dispiace mica così, ha un’aria più vissuta!»

Emile ridacchiò ed io mi sentii davvero sollevata nel vederlo più sereno e sperai che il suo animo fosse un po’ più libero da tutte le angosce che si portava dentro.

«Coraggio mia streghetta, alziamoci che devo risistemare questo caos.»

«Dobbiamo vorrai dire! Sai ultimamente sono diventata brava ad arredare, potrei metterti su proprio un bel ambientino…» Emile mi guardò di sottecchi con aria divertita e senza dir parola si alzò… il che costrinse me a fare altrettanto, «Uff, sei proprio un malfidato!»

«Ti dà davvero così fastidio, non essere parte di tutto questo?» Era chino a raccogliere i fogli dal pavimento e non riuscivo a vederlo in viso.

«Cosa? Questo cosa?»

«Essere estromessa da tutto ciò che riguarda queste stanze: la mia musica. In te c’è la disperata richiesta di farne parte ogni volta che ne hai l’occasione… Ti ferisco ogni volta che non ti faccio partecipe, vero?»

Si alzò, con i fogli in mano e mi osservò con lo sguardo dolente; io rimasi appoggiata alla parete e abbassai il capo prima di parlare:

«Sì, è vero… non mi fa piacere essere all’oscuro di ciò che riguarda la tua musica… ma non posso condividere con te tutto ciò che ti riguarda, così come non puoi farlo tu con me. Lo capisco che per il nostro bene, io e la tua musica non dobbiamo avvicinarci, anche perché ogni volta che è accaduto, me ne sono dovuta pentire amaramente, quindi non voglio che tu ti senta obbligato a rendermi partecipe di qualcosa che non vuoi condividere con me…»

«Insomma, mi stai dicendo che siccome io non devo mettere bocca nelle tue amicizie, tu sopporterai l’idea di fare altrettanto, per quanto riguarda la mia musica!» Il suo viso tornò a rabbuiarsi e ad assumere un tono amaro.

«Non intendevo questo! Voglio dire che…»

«Questa sarà la cover del nostro album: come ti sembra?»

«Co-cosa? No, non… insomma non farlo se non te la senti…»

«Stai tranquilla, non ti farò alcuna richiesta in cambio, ti sto solo chiedendo un parere: ti piace?»

Mi stavo perdendo dietro la mutevolezza di quelle espressioni… un attimo prima era tetro e dopo qualche momento era allegro… In quel momento aveva una luce maliziosa ma allo stesso tempo curiosa negli occhi, e sembrava sinceramente interessato alla mia opinione… cosa gli stesse capitando non lo capivo affatto!

«Emile, non riesco a starti dietro. Che ti prende!? Cambi umore alla velocità di un respiro! Calmati per favore e resta con la stessa espressione almeno per qualche minuto!»

E invece no. Il suo viso si fece sorpreso, cambiando nuovamente per poi sorridere ancora di un sorriso autoironico: «Hai ragione… devo sembrarti davvero un pazzo… devo aver tenuto le emozioni troppo a lungo dentro di me ed ora mi sono esplose tutte sul viso in una volta sola! È che… tu sei qui, ad ascoltare tutti i miei sfoghi, a sostenermi da non so più quanto tempo… mi sento in colpa, non faccio altro che crearti dispiaceri!»

A quel punto gli andai incontro e l’abbracciai: «Sei proprio uno stupido, Emile!»

Sentii la sua mano che si poggiava sulla mia testa, mentre l’altra stringeva ancora i fogli raccolti da terra.

«Allora, vediamo un po’ questa cover.»

Era un disegno astratto: sembrava un intreccio di fili metallici che avevano più dimensioni, uno di quei disegni in cui l’occhio viene ingannato sulla reale percezione della profondità… e all’interno di quell’intreccio a guardar bene, sembrava esserci un volto, un volto femminile di profilo…

«Oddio ma è impressionante, cambia di continuo, a seconda di quanto tempo resti ad osservarlo… Che bello!»

Emile mi guardò soddisfatto con un sorriso  che la diceva lunga e gli occhi che gli brillavano…

«L’hai fatto tu!» Lo guardai meravigliata, non l’avevo mai visto disegnare, ma avendo un artista come padre, era più che ovvio che avesse ereditato anche quel dono… Il mio Pel di Carota però, fece un cenno di diniego, continuando ad avere quel sorriso sul volto.

«Non è mio, ma ci sei andata vicino… è di mio padre.»

«Alberto ha disegnato la cover per voi?!»

«No… è un vecchio disegno che ho trovato tra i suoi lavori, mi ha colpito subito e ho deciso di usarlo  come cover del nostro primo album: l’arte di mio padre non dev’essere dimenticata!»

Lo guardai ancora una volta meravigliata: era machiavellico, aveva pensato a tutto, aveva fatto in modo che entrambi i suoi genitori potessero risalire alla ribalta attraverso lui, in una sorta di legge del contrappasso personale: così come lui si sentiva la causa del crollo dei sogni dei genitori, allo stesso modo s’impegnava a riscattare entrambi tramite la sua notorietà. Mi chiesi però, cosa ne pensasse il resto del gruppo, considerato che doveva essere stata una decisione esclusivamente sua, quella di usare il disegno di Alberto…

«A-anche agli altri è piaciuta l’idea?» Stavo violando di nuovo il terreno sacro, ma dato che era stato lui ad iniziare e considerata la mia sincera preoccupazione, mi feci coraggio nel porgergli quella domanda.

«Gli altri si fidano del mio giudizio, non si curano dei particolari, quindi me ne occupo io.»

 

Vuoi fare sempre la primadonna ecco cosa intendo! …ti comunico che in questo gruppo siamo in cinque!

 

Le parole di Claudio mi risuonarono nella mente ascoltando Emile: come al solito stava imponendo la sua volontà al gruppo… Non era affar mio quello, ma mi ero ripromessa di parlargli se avessi saputo qualcosa che avrebbe potuto danneggiarlo, quindi mi feci coraggio:  

«Emile… lo so che m’impiccio troppo ma… io credo che dovresti chiedere un sincero parere agli altri. La tua è un’idea meravigliosa, ma non sei il solo membro del gruppo, anche gli altri hanno voce in capitolo… rendili partecipi o si sentiranno solo delle appendici e se ne andranno!» Come…

«Come ha fatto Claudio?» Mi stava guardando con un’espressione di amara constatazione sul volto, non volevo pronunciare quelle parole, ma non doveva fuggire dalla realtà dei fatti.

«Sì…»

si rabbuiò, perso in qualche pensiero di cui non mi fece partecipe e dopo qualche secondo, come se non avessi nemmeno parlato, come se quel momento nemmeno  ci fosse stato, mi disse:

«Coraggio, ripuliamo in fretta questo posto, al resto ci penserò in seguito.»  

Evidentemente, quel discorso non voleva affrontarlo… o per lo meno, non voleva farlo con me!

«Emile, stai cambiando discorso...»

«D’accordo Pasi, va bene, ci penserò su, ok? Possiamo mettere a posto questo caos ora, o preferisci che parli con i ragazzi, accomodandoci a terra sui fogli volanti?»

«Emile, fai una cosa, vai al diavolo! Sto cercando di aiutarti, idiota saccente e acido, proprio perché non voglio più nasconderti i miei dubbi come ho fatto per Claudio, ma a quanto vedo, è inutile che ci provi,  tanto io non sono all’altezza di comprendere le tue decisioni, vero? Io non devo minimante permettermi di aprire bocca su tutto ciò che riguarda la tua musica!»

Ero al limite della sopportazione: quella mattina non riuscivamo a starcene tranquilli per un minuto, senza finire a discutere! E pensare che poco prima era in lacrime, distrutto tra le mie braccia! Che cosa gli prendeva? Cosa gli stava accadendo? Perché tutta quell’aggressività verso di me, che non stavo facendo altro che appoggiarlo e sostenerlo? Non mi aveva rivolto la minima accusa per la faccenda di Claudio ma stava ugualmente scaricando verso di me la sua rabbia.

Non riuscii a sopportare ulteriormente quella situazione e feci per andarmene, ma Emile mi trattenne per un braccio:

«Pasi, non voglio litigare con te.»

«Ah no? Strano, a me sembrava esattamente il contrario! Sembra quasi che ti dia fastidio trascorrere del tempo in tranquillità con me, senza avere uno scontro! O questo è il tuo personale modo per punirmi di aver incitato Claudio ad andarsene?»

«Io non voglio punire proprio nessuno!» La sua voce aumentò di volume e mi preparai ad un altro bel battibecco, invece Emile fece un sospiro e si calmò prima di continuare a parlare: «Forse è meglio se non ci vediamo oggi… non sto facendo altro che ferirti.»

«Di’ piuttosto che non vuoi scocciatrici in casa! Me ne vado, stai tranquillo, ti lascio con le tue preziose note e i tuoi preziosi affari!» Vidi il suo volto contrarsi e strinse maggiormente la sua mano sul mio braccio, in un impeto d’ira.

«Lo so benissimo di aver sbagliato a comportarmi con Claudio… sono del tutto consapevole di essere una specie di despota con tutto il gruppo, ma è il mio gruppo! Loro si sono aggregati a me, il progetto è mio, e su certi argomenti non transigo! Si segue la mia linea di condotta, le mie decisioni, altrimenti si torna a casa! È sempre stato così e continuerà ad esserlo! I ragazzi ne sono consapevoli e a loro sta bene, quindi il problema non si pone.»

«Sta bene, come stava bene a Claudio?  Sei cieco Emile, sei accecato dalla voglia di andare in alto e non vedi la giusta strada da percorrere. Non sono io a farti perdere di vista i tuoi obiettivi, sei tu stesso che sbagli strada! Sei tu che non capisci che la prima regola per mantenere un gruppo unito, è dare importanza ad ogni singolo componente e chiedere il parere di tutti su ogni decisione. Se continuerai a comportarti come un despota, resterai solo e sarà ancora più difficile in seguito ricostruire daccapo un intero gruppo!»

Emile lasciò andare la presa sul mio braccio continuando a guardarmi con un misto tra astio e colpevolezza:  probabilmente si sentiva ferito dalle mie parole, probabilmente si sarebbe aspettato elogi e non critiche così feroci da me, ma il mio compito era quello di fargli aprire gli occhi, lo amavo troppo per lasciarlo sguazzare nei suoi stupidi e ciechi errori, inoltre ciò che gli avevo detto precedentemente era vero: ormai il suo obiettivo lo sentivo anche mio, il senso di colpa era ancora forte dentro di me e di conseguenza sentivo maggiormente il desiderio di ridare a Claudine, attraverso suo figlio, la notorietà che si meritava, per cui avrei fatto di tutto pur di aiutare Emile a raggiungere il suo scopo. Soprattutto se si trattava di aprirgli gli occhi!

Cosa che sembrava non voler fare: mi volse le spalle e tornò a ripulire la stanza, offeso e troppo orgoglioso per darmi ragione su quell’argomento; incapace di restare in quel luogo senza continuare ad urlargli contro, presi la volta delle scale e me ne andai  al piano di sopra, diretta a darmi una sistemata prima di andare a lavorare.

 

*****

 

«Davvero Stè io non lo capisco! Un attimo prima è il ritratto della dolcezza e l’attimo dopo mi urla contro, non riesco proprio a capire cos’abbia!»

«Testarossa, forse sta solo elaborando il lutto in un modo un po’ eccentrico… considera che ha perso sua madre da poco ed ora anche il batterista… non credo che possa mantenere i nervi saldi per molto in questa situazione!»

«Ora lo difendi! Da quando siete così amici?!»

«Non lo sto difendendo! Dico solo che non sta attraversando un bel momento e questo dovresti capirlo anche tu, no?»

«Proprio perché lo capisco, non riesco a capacitarmi del suo comportamento! Invece di appoggiarsi a chi gli sta accanto, aggredisce! Così si chiude ancora di più in se stesso e soffre il doppio!»

«Pasi, non reagiamo tutti allo stesso modo.»

Fede s’intromise all’improvviso nel discorso: eravamo tutti insieme al centro, ero passata di ritorno da lavoro per stare un po’ lì, quando a distanza di poco tempo, arrivarono sia Stè che Rita e in modo del tutto non calcolato, grazie anche all’incapacità della sottoscritta di celare i propri stati d’animo, ci trovammo tutti insieme a parlare della paradossale mattinata che avevo vissuto con Emile.

«Probabilmente sta esternando tutto con la rabbia e con questi sbalzi d’umore repentini ora che si è liberato… di solito quando si trattengono le emozioni capita che una volta liberate esse siano incontrollabili. Metti poi che ha avuto due colpi duri uno dopo l’altro…»

Anche Rita era d’accordo con Fede e Stè; improvvisamente stavo facendo la figura dell’insensibile nei confronti del mio ragazzo!

«Vi siete coalizzati contro di me, stasera?!» dissi spazientita.

«Testarossa, se solo la smettessi di far fumare quel tuo cranietto di fiammifero, ti renderesti conto anche tu di essere d’accordo con noi. Sei troppo coinvolta ora, per ragionare come si deve.»

«Ah, ora non so nemmeno più pensare! Ma grazie mille!»

«Che ne dici di far passare questa notte e di ragionarci su a mente fredda, domani? Di sicuro Emile avrà pensato a ciò che gli hai detto e si sarà reso conto che hai ragione… A proposito, ma ora è tutto solo in quella casa?» Rita mi riportò all’immediata realtà: arrabbiata com’ero nei suoi confronti, non mi ero resa conto che sarebbe rimasto completamente solo in quella casa, per la prima volta in vita sua.

«Ti dispiace se vado a portargli la cena? Temo che non abbia mangiato affatto oggi!» Ma prima che Rita potesse aprir bocca, fu Fede a parlare, lasciandomi sorpresa:

«Ho un’idea migliore Pasi, che ne dici se andiamo tutti da lui?»

 

*****

 

«Che ci… fate qui?»

Emile fu decisamente sorpreso di trovare me e soprattutto i miei amici, fuori la porta di casa sua: immaginai che avesse già progettato di trascorrere quella giornata rimuginando, maledicendosi e borbottando qualcosa sulle mie intromissioni inopportune e proprio per quel motivo, più che mai non volevo lasciarlo solo! Mi aveva fatto arrabbiare quella mattina, sì, ma era anche vero che il giorno prima avrebbe avuto tutte le ragioni per mettermi alla porta e non l’aveva fatto ed io mi sentivo ancora tremendamente colpevole nei suoi confronti per avergli fatto perdere il batterista, per potermi permettere di restare offesa con lui. 

«Scommetto che non ci aspettavi! Abbiamo pensato di cenare tutti qui insieme, così magari quel tavolo in cucina sarà utilizzato una buona volta!»

Entrai senza troppe cerimonie approfittando della relativa remissività di Emile, per fare spazio ai miei amici. Totalmente confuso, mi portò in disparte per chiedermi delucidazioni:

«Cosa diavolo significa tutto questo? Credevo fossi arrabbiata con me…» Era sorpreso, ma apparentemente non sembrava seccato.

«Lo sono ancora, ma sapevo anche che non avresti cenato e che non avrei mai voluto lasciarti qui da solo… e poi tu ieri non mi hai mandato via dopo quello che è successo con Claudio, come avrei potuto restare ancora offesa con te?»

Emile mi guardò con intensità, come a sondare la veridicità delle mie parole e fece un mite sorriso accarezzandomi il viso:

«C’è un piccolo problema però… ci sono anche i ragazzi ora.»

«E che problema c’è? Finite di discutere mentre prepariamo la cena e poi mangiamo tutti insieme, da veri amici.» gli sorrisi, ma calcai volontariamente il tono su quella parola, cercando di fargli capire che era il momento giusto per trattare il suo gruppo come persone e non come marionette e sperai che avesse recepito il messaggio.

«Amici eh? Strega!» Mi guardò sorridendo e mi diede un bacio sulla fronte, prima di rivolgersi ai miei compagni:

«Grazie di essere venuti ragazzi, prego accomodatevi.»

 

*****

 

Emile spiegò subito ai miei amici che era in piena riunione con il suo gruppo e che non poteva comportarsi da buon ospite, ma precisò che in sua vece ci sarei stata io che ormai ero di casa: rincuorata da quella frase, sentii una grande gioia dentro di me e d’improvviso quella serata mi sembrò bellissima. Ero con i miei amici, con il mio ragazzo e con la sua band: i nostri mondi si stavano incontrando in quelle ore per la prima volta e per la prima volta si sarebbero uniti per condividere qualcosa di unico, qualcosa che non sarebbe più stato parte esclusiva della mia vita o della sua, bensì sarebbe stata una delle prime esperienze della nostra vita in comune, qualcosa che era sia di Emile che di Pasi… e ovviamente di tutti i presenti!

Per questo motivo, prima ancora che finisse di parlare, presi parola dicendogli che appena sarebbe stato pronto in tavola, avremmo chiamato anche loro: Emile mi guardò con gratitudine, ci salutò e tornò dal suo gruppo in attesa.

«Ma con una casa così grande, proprio là sotto devono stare? Mi viene da soffocare al solo pensiero!»

«Hai ragione Stè, ma evidentemente  non si sarà nemmeno reso conto che ha tutta la casa a disposizione ora. E poi questa stanza è praticamente disabitata da tutti loro, non ricordo una sera in cui abbiano cenato qui insieme, Alberto era sempre da Claudine…» al pensiero della madre di Emile, mi rabbuiai: presa dalle mie preoccupazioni per il figlio, avevo messo da parte il dolore per la madre, ma era ancora così fresco, che il solo nominarla mi portava ad un passo dal pianto. Rita se ne accorse e cambiò repentinamente il discorso: «Allora Pasi, io non conosco questa cucina, quindi dicci tu come dobbiamo muoverci!»

 

Per quella sera, Rita aveva organizzato una cena a casa sua per stare tutti insieme, poiché sarebbe stata una delle mie ultime sere con lei: aveva già fatto la spesa quando era passata al centro per avvertire Fede e progettava di chiamare anche Stè. Per cui una volta deciso di trasferirci da Emile, portammo i viveri con noi… ora c’erano altre bocche da sfamare e sicuramente avremmo dovuto attingere alle scorte di casa Castoldi, ma quella riunione improvvisa e la cena da reinventare, costrinsero tutti noi quattro a dare una mano in cucina, col risultato che sembravamo davvero una squadra di cuochi di qualche ristorante!

«Mi sembra di non aver mai staccato da lavoro oggi! È tutto il giorno che sto davanti ai fornelli!»

«Ti fa bene Testarossa, così ti tieni in forma.» Stè e Fede stavano affettando le patate (che cena sarebbe senza   un po’ di frittura?) e dopo li attendeva anche la frutta; mentre io e Rita preparavamo i piatti forti.

«Testa di Paglia, se dici ancora qualcosa al riguardo ti metto a tagliare le cipolle!»

Stè si riferiva ad un vecchio litigio che risaliva ai tempi in cui frequentavamo il secondo anno delle superiori: durante una delle ore di Educazione Fisica, un nostro compagno di classe, membro della squadra avversaria alla mia, stizzito dalla sua situazione di svantaggio, esordì con la convinzione che il compito delle donne nella società era solo quello di accudire gli uomini e che il loro regno doveva essere la cucina… Quel tipo di cui non volevo nemmeno ricordare il nome, senza troppe cerimonie, finì a casa con il naso sanguinante ed io mi presi una bella sospensione, per la gioia dei miei genitori… Stè dal canto suo, tentò di dissuadermi dall’attaccare fisicamente quello stupido maschilista, ma ovviamente non ebbe successo e si arrese assistendo allo spettacolo. Così ogni volta che poteva, tirava in ballo quella storia per la gioia di vedermi arrossire di rabbia e farsi una sana risata ai miei danni!

«Che fiero cipiglio Testarossa, si vede che sei abituata a gestirti nella cucina, una cuoca perfetta!» Stè mi guardò con quello che era uno dei suoi migliori sorrisi, che ricordava molto quelli solari e spensierati che non aveva da quando Simona ci aveva lasciato e nonostante mi stesse facendo arrabbiare, fui felicissima di rivedere quell’espressione allegra che tanto amavo.

«Testa di Paglia stai rischiando grosso stasera, sappilo, ti riempio l’insalata di rucola!»

«Oh no ti prego pietà, proprio la rucola no! Sai che poi si irrita la gola!»

Di tutte le allergie più strambe, poteva mai una persona, essere allergico alla rucola? Una cosa che non si era mai sentita e probabilmente Stè era l’unico a soffrirne nel raggio di sei nazioni! Non so nemmeno come abbiano fatto i medici a scoprirlo, non avevo mai sentito che esistesse una cosa simile finché non lo disse lui!

«Pasi, in quanti siamo?» Come sempre, da bravo genitore del gruppo,  Fede interruppe il nostro litigio da bambini con una domanda pratica che ci riportò al nostro dovere.

«Uhm dunque, siamo noi quattro più loro giù che sono in cin… quattro… Siamo in otto.» Fede alzò la testa e mi osservò, avendo sentito il mio lapsus e volendo monitorare sicuramente la mia reazione. Non doveva aver trovato nessun segno preoccupante sul mio viso poiché continuò senza problemi: «Bene, sto facendo dei segnaposti con le zucchine e mi serviva sapere il numero giusto… Come l’ha presa?»

Eccolo, lo scrutatore dell’animo umano al lavoro, voleva sapere con quale stato d’animo Emile avesse accolto la nostra intrusione in casa sua… a volte mi chiedevo per quale motivo fosse stata Rita e non lui a scegliere quella facoltà,  Fede sarebbe stato un eccellente  psicologo!

«Era sorpreso, ma sembra averla presa bene, non abbiamo di che preoccuparci!» gli feci un sorriso per tranquillizzarlo e lui sorrise di rimando.

«Perfetto.»

«Chicco, senti un po’ qui, come ti sembra?» Rita si avvicinò con un cucchiaio pieno del condimento che stava preparando, pronta a farlo assaggiare a Fede:  era bello vederli esternare finalmente il loro amore, era una gioia vedere la mia amica che si chinava verso di lui per baciarlo e lui che la circondava con un braccio, era bello vedere come il loro amore fosse così palese nell’aria da sembrare palpabile… Ero così felice per loro, ero così piena di gioia per l’atmosfera conviviale che si era creata…  e d’un tratto feci un’associazione d’idee che mi fece saltare in aria:

«Sofia!»

Si girarono tutti in mia direzione sorpresi: «Abbiamo dimenticato di chiamarla! Non le abbiamo nemmeno chiesto se era dei nostri, che figuraccia!»

«Testarossa lo sai benissimo che per stanare Sofia, dev’esserci almeno un evento catastrofico tipo tsunami in giro! Non sarebbe venuta di sicuro.»

«Ma almeno potevamo chiederglielo!»

Senza nemmeno sentire i pareri degli altri la chiamai e le proposi di raggiungerci, ma come aveva pronosticato Stè, Sofi rinunciò, anche se sospettai che fosse risentita per essere stata chiamata all’ultimo secondo… mi ripromisi di andare a trovarla il prima possibile: a volte davamo per scontata la sua assenza e forse in qualche occasione avevamo mancato di delicatezza nel non avvisarla, come quella sera, per cui presi la decisione di parlarle appena avessi potuto.

 

*****

 

«Dovevate vederla ragazzi, era una furia! Sembra così piccola e tenera, ma in realtà è una forza della natura, guai a farla arrabbiare!»

«Stè hai finito di elogiarmi pubblicamente? Perché mai dobbiamo stare qui a sentire quanto io sia così “aggraziata e gentile” quando m’infurio? E poi scusa, tu che avresti fatto al posto mio?» 

A parte la mia gogna pubblica, dovuta all’insano divertimento che provava Testa di Paglia nel sottolineare tutti i lati del mio carattere che più mi davano fastidio, la nostra cena  trascorse nella più assoluta tranquillità: i gemelli ascoltavano il mio Giuda biondo estasiati e ridevano della grossa ad ogni aneddoto che Stè ricordava e che quasi puntualmente aveva la sottoscritta come protagonista…

«Pasi sei uno spasso! Mi stavi simpatica già prima, ma sentendo queste storie da Stefano non posso che pensare che sei un mito!» Francesco rideva a  crepapelle e il suo improvviso elogio lo salvò dall’essere messo nel mio personale libro nero…

Anche Filippo seppur sommessamente se la rideva e insieme quei tre costituivano una vera e propria associazione a delinquere ai miei danni: se Stè avesse raccontato loro tutto ciò che sapeva sul mio conto (e ce n’era da raccontare), mi sarei trovata circondata da risate per il resto della mia vita!

«Sì, ma adesso basta! Non sono mica la protagonista di uno show comico!»

«Testarossa non è colpa mia se sei un talento naturale!» 

«Allora vogliamo parlare di quando il prof. Setti ti fece fare cento canestri e ne sbagliasti ottanta? Ce n’è anche per te Testa di Paglia!» Lo guardai con sguardo maligno e trionfante, ma nuovamente, come quando gli affibbiai quel nomignolo, Stè non fece obiezioni al riguardo, sbaragliando del tutto la mia strategia di attacco e difesa.

«Fai pure Testarossa, non è una novità che non sia una cima a basket. Anzi, ora ve la racconto:  dunque eravamo…» Stè si girò di nuovo verso i suoi interlocutori estasiati  e continuò l’aneddoto con cui l’avevo minacciato, diventando lui stavolta il protagonista di una scena da cabaret: «Quella palla andava ovunque! Finì persino sulla testa del prof, che alterato mi mandò a sedere!»

Le risate del mio amico erano calde e mi rallegrarono l’animo: quella sera lo sentii ridere di cuore come non accadeva da tempo, quasi mi commossi rendendomi conto di quanto mi fosse mancato e di quanto fossi felice che si stesse riprendendo dalla morte di Simona.

L’altro lato del tavolo invece, era più silenzioso: Emile era accanto a me e parlava con Fede, mentre Rita stava chiacchierando con Maurizio; quei due erano capaci di far parlare chiunque, avevano un modo così gentile e incisivo di rivolgersi agli altri, che anche i più timidi e riservati riuscivano ad abbassare le proprie barriere nei loro confronti. Sarebbero diventati dei professionisti davvero capaci e al di là delle loro figure professionali, erano una coppia davvero ben assortita! Guardandoli mi resi conto che la leggenda di Sofia in quel caso si era realizzata in pieno: Rita e Fede erano destinati a stare insieme, gli anni che li avevano separati erano serviti solo a rafforzare la loro unione, a farli diventare ciò che erano e che li avrebbe tenuti insieme per il resto della vita. Già l’immaginavo alle prese con una loro famiglia, a fare da genitori a bambini dai capelli castani di Fede e dagli occhi azzurri di Rita e sarebbe stata anche una famiglia numerosa visto che la mia amica aveva sofferto la solitudine: immaginai bambine con le trecce e maschietti che giocavano insieme nel cortile di una casetta attorniata dal verde e mi ritrovai a sorridere pensando a quel futuro lontano.

D’un tratto Emile mi riscosse da quel sogno ad occhi aperti: «Tutto bene? Avevi l’aria persa.»

Mi girai a guardarlo: il suo viso era lievemente preoccupato, ma l’espressione generale era serena; dopo aver fantasticato su Fede e Rita iniziai a pensare a noi due in quel futuro distante, mi chiesi se fossimo stati ancora insieme nel veder nascere i figli dei miei amici e se avessimo avuto a nostra volta un futuro simile… e in un attimo, guardando quegli occhi grigi mi resi conto che, seppur non avevo le risposte, sapevo che il mio destino era lì. Emile era testardo, arrogante, diffidente e non riusciva a lasciarsi andare del tutto ai suoi sentimenti, ma solo il Signore sapeva quanto l’amassi e quanto la mia vita fosse cambiata da quando c’era lui accanto a me. Non l’avrei mai lasciato, mai, per nessuna ragione al mondo!

«Sì, va tutto bene, è tutto perfetto!»

Mi guardò intensamente, i suoi occhi si scurirono e fece un piccolo sorriso segreto solo per noi due: mi prese una mano nella sua e avvicinò il viso al mio orecchio: «Grazie» 

Sentii la sua presa che si faceva più forte e capii che quel grazie era un: “Scusami, sono un idiota e ti rendo la vita impossibile, ma  senza di te sarei perso”; mi commossi per quel gesto così dolce e così carico di significato e gli rivolsi il mio sorriso più caldo, stringendo a mia volta la sua mano nella mia. 

 

*****

 

Francesco, Filippo e Maurizio andarono via subito dopo cena, mentre i miei amici, che mi avevano aiutato a mettere su quella serata, completarono l’opera rimanendo ad aiutarci a rimettere in ordine la cucina. Mentre io, Stè e Rita eravamo alle prese con i piatti sporchi, notai un confabulare tra Fede ed Emile: chissà cosa si stavano dicendo!?

Ero curiosa da morire ma ero anche felice che quei due stessero parlando: tra i miei amici, Fede era quello che era riuscito più facilmente a penetrare la barriera protettiva di Emile, che sembrava non avere alcuna difficoltà ad aprirsi a lui e Dio solo sapeva se il mio Pel di Carota avesse bisogno di sfogarsi ed aprirsi con qualcuno! A quel pensiero, mi  vennero in mente le parole di Alberto: “Gli unici suoi compagni sono la musica e i ragazzi con cui suona; non è mai stato capace di stringere rapporti duraturi con qualcuno  che non fosse per un suo fine preciso".

Quella mattina si era sfogato con me, ma se io non ci fossi stata, se non avesse avuto me a spronarlo e ad ascoltarlo, da chi sarebbe andato? A chi si sarebbe appoggiato? Non avevo la minima idea di come potesse vivere senza la presenza di un amico accanto!

I miei amici erano la mia ancora di salvezza, il mio punto  di riferimento, l’appoggio e il sostegno che mi facevano andare avanti a testa alta; non avrei mai potuto concepire la mia vita senza di loro e pensare che Emile vivesse isolato e chiuso in se stesso da anni, mi strinse il cuore.

Sperai che tra lui e Fede potesse nascere una vera amicizia, mi augurai in quel momento di essere riuscita a donare ad Emile il piacere di avere un amico, un sostegno, una persona che ti capisca e t’impedisca di vacillare. Io gli sarei stata sempre accanto, ma ci sarebbero stati momenti in cui la mia presenza non sarebbe bastata… momenti come quello che stavamo vivendo, in cui ero troppo coinvolta nel problema Claudio per poter essere un valido sostegno.

 

*****

 

Quando giunse il momento di andar via, dissi ai ragazzi che sarei rimasta in quella casa e nonostante l’evidente tristezza sul volto di Rita, era un opzione che avevano già dato tutti per scontato. Emile li accompagnò alla porta mentre io sistemai le ultime cose  in cucina.

Avevo appena posato gli ultimi bicchieri quando le mie spalle furono avvolte dal suo abbraccio: mi sentii invadere dal calore di quel contatto e poggiai le mie mani sulle sue, ricambiando il suo gesto. Rimase in silenzio per qualche tempo, senza dir nulla, come se volesse solo godere di quella vicinanza ed io non feci alcunché per spezzare quel momento di comunicazione silenziosa. Quel giorno le parole avevano creato più incomprensioni che altro e forse un po’ di sano silenzio avrebbe ridotto le distanze tra di noi e permesso ai nostri cuori di comunicare meglio di quanto facessero i nostri cervelli. Dopo un po’ però, probabilmente dopo aver raccolto le idee, Emile si decise a parlare: 

«Mi sono comportato come un matto oggi, vero?»

«Un po’… ma avevi i tuoi motivi.»

«Dentro di me ora ho così tanti pensieri, così tante emozioni, che non riesco a gestirle come si deve.»

«Perché le hai tenute dentro di te per troppo tempo.»

«Forse… o forse no. Però sono stato bravo a non innervosirmi con Stefano, anche se non faceva che ricordarmi quanto ti conoscesse!»

«Emile, non ricom…»

«Stai tranquilla, non voglio far polemica… non voglio più discutere con te.»

«Nemmeno io voglio farlo.»

«Scusami per oggi, ho esagerato.»

«Beh, nemmeno io ci sono andata tanto leggera.»

«Andiamo a dormire?»

«Non ancora, restiamo un altro po’ così.»

«Ok.»

Rimanemmo per qualche minuto in quella posizione. Eravamo in piedi ma non mi sentivo affatto scomoda: l’abbraccio di Emile, le sue scuse e il calore umano che ci stavamo donando, facevano di quel momento  qualcosa  che volevo non finisse mai.

 

*****

 

Quella notte Emile non pianse: dormì di un sonno agitato, ma le lacrime non gli solcarono il viso. Probabilmente, avendo sfogato il dolore per Claudine, quella sua parte inconsciamente sofferente si era rasserenata… L’agitazione era dovuta di sicuro al problema con Claudio e quello era fuori dalla mia portata; però ero felice di non vedere più il suo volto piangente e anche se di poco, rispetto al senso di colpa che ancora mi devastava, mi sentii gratificata per essere riuscita ad aiutarlo.











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NDA

Stavolta mi sono data: capitolo lunghissimo tutto per voi! ^ ^
Anche questo come il precedente, mi ha lasciato un pò interdetta, ma la mia Beta come al solito, mi ha rassicurato dicendomi che era perfetto così. Voi cosa ne pensate? Attendo i vostri pareri più che mai! ^ ^
Ricordate la famosa foto di Emile citata nelle mie note al capitolo precedente?
Eccola QUI : il fanciullo in questione ha la chioma più lunga di quanto la immagini io, ma guardandolo così sembra proprio il mio bambino *_*
Voi che ne pensate? Come l'immaginate?



Angolo dei Ringraziamenti

Sorelle mie, ora più che mai, con i vostri commenti sempre entusiastici anche quando sono piena di dubbi, siete la mia ancora di salvezza. Ci sono giorni in cui mi sembra che stia scrivendo una solenne schifezza, ma poi penso a quanto siate prese da questa storia e mi dico che forse tanto una schifezza non è. Quindi davvero grazie all'infinito per la vostra presenza e per il vostro sostengo continuo e costante. Vi adoro!!!

Grazie alle mie special sisters: Iloveworld, Saretta, Niky, Vale, Concy sempre presenti, sempre pronte ad infondermi la voglia di continuare e fare sempre meglio <3
Alle sister meno presenti: Cicci, Ana-chan, Ely, che mi sostengono in silenzio <3
A Prim, che mi ha lasciata in vita per il rotto della cuffia (cara omonima per 1/3, come ti sembra l'immagine del rossino?)

Grazie a tutte voi che avete inserito questa storia tra le preferite, tra le ricordate, tra le seguite:
lorenzabu
, samyolivieri, Tattii, Thebeautifulpeople, Aly_Swag, green apple, Aloba, Ami_chan, cara_meLLo, cris325, Drama_Queen, hurry, nickmuffin, Origin753, petusina, roxi, sel4ever, Veronica91, _Grumpy.

ARIGATOU GOZAIMASU a tutte voi!!!!
   
 
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