Capitolo 21
«Pasi
stai esagerando, non ho nulla, davvero!»
«Queste
ferite non vanno prese alla leggera, devi mettere una pomata e
controllare che
le ossa siano a posto!»
La
prima cosa che feci quando ci svegliammo, fu controllare lo stato di
salute
della mano di Emile: non riuscivo a guardare quell’arto
fasciato senza sentirmi
dannatamente in colpa, così lo condussi in cucina, con la
cassetta dei
medicinali aperta accanto a me, tolsi le bende e iniziai a tastare
sperando di
non sentire nulla di rotto.
«Ahia,
mi fa male!» Emile staccò di scatto la mano dalla
mia per massaggiarsela.
«Non
prendere il colpo sottogamba, dovresti andare in ospedale a farti una
radiografia, magari tu non te ne sei accorto, ma potrebbe essersi leso
qualche
osso e…»
«Pasi,
smettila di sentirti in colpa.»
Fermai
di colpo la mia arringa, rendendomi conto che Emile aveva letto sul mio
viso
cosa si agitava nella mia anima.
«Scusami…
è che non potrei sopportare l’idea che la tua mano
subisca qualche incidente
proprio ora, a causa mia… se dovesse capitarle
qualcosa…»
«È
tutto a posto, stai tranquilla.»
No,
non era tutto a posto, non
lo era
affatto e lui continuava a mentire, continuava a fare il forte, a
tenere dentro
di sé i suoi sentimenti…
«Emile,
ti prego, almeno questo puoi farlo! A costo di accompagnarti io con la
forza,
fai questa benedetta radiografia!»
Il
mio Pel di Carota emise un sospiro e mi prese una mano con
l’arto sano: «Ok, va
bene, prenoto la visita seduta stante, sei contenta?»
«Ti
accompagno io, ora.»
Non
riuscendo ad attendere un secondo di più, feci per
allontanarmi in cerca delle
chiavi dell’auto, quando mi prese il braccio:
«Pasi
datti una calmata, ora stai esagerando! Non c’è
tutta questa fretta, stai
piantando una storia immensa su un’idiozia!» Il
viso di Emile era spazientito,
ma il mio senso di colpa sovrastava qualsiasi manifestazione di rabbia
avesse
potuto esternare e non mi arresi.
«Non
è un’idiozia se ti fai male e non riesci
più a suonare, Emile! Non lo è affatto
e non voglio nemmeno che accada per colpa mia!»
«Allora
la prossima volta parla, così eviterai che mi faccia
male!»
Touchée.
Aveva perfettamente ragione e nonostante quelle parole fossero state
come
stilettate dritte al cuore, mi sentii sollevata nel sentirgliele dire:
ero più
a mio agio con questo lato di Emile che con quell’apatica
mancanza di
reattività.
«Certo
che parlo, stai sicuro che parlerò, non voglio
più far del male né a te, né a
Claudine!» Il
mio Pel di Carota, perse
lo sguardo tagliente che mi aveva rivolto con quell’ultima
affermazione e si
rabbuiò; calò la testa prima di parlare.
«Mia
madre ora è in pace, non può più
essere ferita.»
«Sì
invece, può essere ancora ferito il suo ricordo, Emile. Se tu non riuscissi ad
emergere, se il tuo
obiettivo non dovesse essere raggiunto, sarebbe un danno anche alla sua
memoria!»
«Non
c’è bisogno che me lo ricordi!» Si stava
alterando ed io iniziai a sperare di
essere sulla strada giusta per farlo sfogare, così
continuai.
«Invece
devo, perché mi sono immischiata in questa situazione ed ora
il tuo impegno
verso Claudine è anche affar mio… ed io non
voglio che lei venga dimenticata,
soprattutto ora che non c’è
più!» Stavo girando il coltello nella piaga, gli
stavo procurando un dolore più grande di quanto avessi fatto
alla sua mano, ma
strinsi i denti e continuai: «Claudine
merita di essere ricordata e non puoi permetterti di perdere
l’uso della mano!
Non posso sostituire Claudio, ma posso impedirti di fare qualche
sciocchezza!»
«Non
venire a fare la ramanzina a me, Pasi! Credi che sia uno stupido? Io
non
perderò l’uso della mano, perché non ho
nulla che non va! Non verrò certamente
meno al mio obiettivo per una cosa del genere! Per chi mi hai preso?
È tutta la
vita che lotto per emergere, per dare un senso a questa mia esistenza
che ha
rovinato quella di mia madre ed ora più che mai
lotterò, ora più che mai,
dannazione!»
Spazientito,
diede un colpo al mobile su cui
era appoggiato e uscì dalla cucina. Non ero riuscita del
tutto nel mio intento,
ma il fatto che avesse dato un segno di reazione, mi fece sperare per
il
meglio: forse quella discussione l’avrebbe aiutato ad
esternare quello che non
riusciva a far emergere dall’interno della sua
anima… Forse avrei dovuto
continuare a incalzarlo...
Ero
persa in quelle riflessioni quando mi accorsi di stringere le bende
pulite: concentrata
nella discussione, non gli avevo più curato la mano. Presi
anche la pomata e lo
cercai: probabilmente non voleva più discutere con me e
arrivai alla
conclusione che fosse meglio così, che sarebbe stato meglio
dargli il tempo di
riflettere su ciò che ci eravamo detti…
Ciononostante volevo accertarmi del
suo stato d’animo, perché dopo avergli
detto quelle parole dure, ero certa che si stesse tormentando
più del solito.
Appena
uscita dalla cucina, sentii dei rumori provenire dal basso: era nel
seminterrato, ma sembrava che stesse avvenendo una colluttazione in
quella
stanza: era mai possibile che nell’arco di qualche minuto
fosse entrato Claudio
e non me ne fossi resa conto? Non mi sembrava possibile che quel tipo
fosse
tornato a cercare il litigio, ormai la sua vendetta l’aveva
avuta e non c’era
motivo di tornare a dar battaglia… allora cosa diavolo stava
accadendo li
sotto? Iniziai a scendere le scale preoccupata
e sentii più forte il rumore di oggetti
lanciati a terra insieme ad una
voce che gridava: era Emile e molto probabilmente si stava sfogando!
Una
volta giunta alla fine dei gradini, mi fermai di colpo:
«Maledizione!
Maledizione!»
Emile
urlava e lanciava per aria gli oggetti che si trovava davanti: il
tavolino
posto in quell’anticamera della saletta era ribaltato, le
sedie avevano subito
lo stesso destino e tutti i piccoli oggetti (bicchieri, bottiglie,
posacenere,
lattine di birra) erano stati utilizzati come ciottoli da scaraventare
lontano.
Urlava a squarciagola e prendeva a calci tutto quello che aveva gettato
a
terra: evidentemente i miei tentativi di scuoterlo avevano funzionato!
Per un
momento rimasi paralizzata dalla paura, nel vedere la sua furia
lanciata a
briglia sciolta, ma dopo poco mi calmai e rimasi lì
sofferente ad osservarlo,
mentre sfogava tutto il suo dolore.
Quando
esaurì le energie, cadde a cavalcioni a terra, sfinito: a
quel punto mi
avvicinai a lui e m’inginocchiai per guardarlo in viso.
«Emile!
Emile! Guardami, guardami Emile!» Alzò il viso
rigato dalle lacrime verso di
me:
«Se
n’è andata via Pasi, se n’è
andata via davvero!
Nessuno potrà congratularsi con lei per il suo
talento, non vedrà mai
più il suo nome riabilitato! Non potrò
più vederla, non tornerà mai più da
me!
L’ho uccisa Pasi! L’ho uccisa!»
Il
suo viso era una maschera di dolore, gli occhi erano rossi per il
pianto e di
un azzurro profondo; il desiderio di proteggerlo tornò ad
invadermi, il mio
cuore tornò a contrarsi per la sofferenza di vederlo in
quello stato e
l’abbracciai, per donargli un po’ della mia forza.
«Piangi
amore mio, piangi e sfogati, io sono qui con te, non me ne
vado.»
Spezzato
dentro e colmo di angoscia, si piegò su di me stringendomi
forte, sfogando
finalmente tutto il suo dolore,
tutta la sofferenza del bambino e del ragazzo, che avevano perso quella
madre
senza averla mai avuta davvero.
*****
«Quand’ero
piccolo, venivo sempre qui se
volevo
starmene da solo a pensare… in qualche modo, vedere queste
pareti azzurre mi
dava un senso di pace e sapendo che era la stanza preferita di mia
madre, mi rifugiavo
qui per sentirla accanto a me,
quando non l’ascoltavo nel salotto.»
Eravamo
a terra nell’anticamera della saletta, appoggiati al muro,
circondati da uno
spettacolo post catastrofico: in tutta la lunghezza della stanza
c’erano
oggetti sparsi a terra, la bacheca cadendo aveva fatto volare tutti i
fogli di
carta che ora rivestivano il pavimento come un manto di neve, il
tavolino era
ribaltato e ovunque regnava
la legge del
caos. Eppure immersi in quel quadro apocalittico, eravamo silenziosi e
sereni:
Emile era visibilmente stanco, ma più rilassato, ed io ero
felice che
finalmente avesse trovato il modo di sfogarsi, per cui mi sentii
sollevata
dalla maggior parte delle mie ansie e mi concessi un sospiro di
sollievo.
«Tua
madre è dentro di te Emile, molto più di quanto
tu possa immaginare. Non ti
abbandonerà mai, nemmeno se lo volessi… e tu non
abbandonerai mai lei, di
questo ne sono certa!»
Fece
un sorriso stanco e chiuse gli occhi, alzando la testa verso il
soffitto.
«A
volte la sento quasi come una maledizione… si può
essere così contorti? Ho
cercato la sua attenzione tutta la vita eppure la sua presenza mi
schiaccia…
forse sto diventando pazzo!»
«Non
sei pazzo, sei solo schiavo del senso di colpa e non riesci a
liberartene, non
riesci a vivere senza sentirti la causa della sofferenza di
Claudine.»
«Perché
è così: sono io la causa della sua malattia, se
non fossi nato non sarebbe mai
caduta in depressione e non avrebbe perso la sua vita.»
«Lo
so che nessuna delle mie parole ti farà rinsavire da
quest’assurda convinzione,
ma io credo che Claudine fosse predisposta da prima a cadere malata:
tua madre
era fragile, è bastato poco per farla cedere e se non fosse
stato il parto,
sarebbe stato qualcos’altro… Tu non
c’entri Emile, è stato solo un caso che sia
accaduto dopo la tua nascita.»
«Un
caso, eh? Detto da colei che crede nel Destino!» Mi
accarezzò una guancia
rivolgendomi un sorriso amaro, era chiaro ciò che il suo
viso mi stava dicendo:
“Apprezzo il tuo tentativo di consolarmi, ma non
c’è modo di farlo”.
«È
un discorso differente quello: mi piace credere al Filo Rosso del
Destino,
perché sono sempre più convinta che io e te
eravamo destinati ad incontrarci…
ma non significa che nella vita non ci sia spazio per le
casualità! Non
rigirare il discorso con me, piccolo saputello!»
Emile
tornò a sorridermi, ma stavolta c’era una nota di
serenità sul suo viso,
l’amarezza era volata via:
«Sei
proprio un’adorabile strega.» Avvicinò
il suo viso al mio e mi diede un
dolcissimo bacio, mi strinse a sé e rimanemmo in silenzio
per un po’, finché disse:
«Ho fatto
davvero un disastro qui! Forse
è il caso che ripulisca…»
Guardai
la rivoluzione che regnava in quella stanza e risposi: «Tutto
sommato non mi
dispiace mica così, ha un’aria più
vissuta!»
Emile
ridacchiò ed io mi sentii davvero sollevata nel vederlo
più sereno e sperai che
il suo animo fosse un po’ più libero da tutte le
angosce che si portava dentro.
«Coraggio
mia streghetta, alziamoci che devo risistemare questo caos.»
«Dobbiamo
vorrai dire! Sai ultimamente
sono diventata brava ad arredare, potrei metterti su proprio un bel
ambientino…» Emile mi guardò di
sottecchi con aria divertita e senza dir parola
si alzò… il che costrinse me a fare altrettanto,
«Uff, sei proprio un
malfidato!»
«Ti
dà davvero così fastidio, non essere parte di
tutto questo?» Era chino a
raccogliere i fogli dal pavimento e non riuscivo a vederlo in viso.
«Cosa?
Questo cosa?»
«Essere
estromessa da tutto ciò che riguarda queste stanze: la mia
musica. In te c’è la
disperata richiesta di farne parte ogni volta che ne hai
l’occasione… Ti
ferisco ogni volta che non ti faccio partecipe, vero?»
Si
alzò, con i fogli in mano e mi osservò con lo
sguardo dolente; io rimasi
appoggiata alla parete e abbassai il capo prima di parlare:
«Sì,
è vero… non mi fa piacere essere
all’oscuro di ciò che riguarda la tua
musica…
ma non posso condividere con te tutto ciò che ti riguarda,
così come non puoi
farlo tu con me. Lo capisco che per il nostro bene, io e la tua musica
non
dobbiamo avvicinarci, anche perché ogni volta che
è accaduto, me ne sono dovuta
pentire amaramente, quindi non voglio che tu ti senta obbligato a
rendermi
partecipe di qualcosa che non vuoi condividere con
me…»
«Insomma,
mi stai dicendo che siccome io non devo mettere bocca nelle tue
amicizie, tu
sopporterai l’idea di fare altrettanto, per quanto riguarda
la mia musica!» Il
suo viso tornò a rabbuiarsi e ad assumere un tono amaro.
«Non
intendevo questo! Voglio dire che…»
«Questa
sarà la cover del nostro album: come ti sembra?»
«Co-cosa?
No, non… insomma non farlo se non te la
senti…»
«Stai
tranquilla, non ti farò alcuna richiesta in cambio, ti sto
solo chiedendo un
parere: ti piace?»
Mi
stavo perdendo dietro la mutevolezza di quelle espressioni…
un attimo prima era
tetro e dopo qualche momento era allegro… In quel momento
aveva una luce
maliziosa ma allo stesso tempo curiosa negli occhi, e sembrava
sinceramente
interessato alla mia opinione… cosa gli stesse capitando non
lo capivo affatto!
«Emile,
non riesco a starti dietro. Che ti prende!? Cambi umore alla
velocità di un
respiro! Calmati per favore e resta con la stessa espressione almeno
per
qualche minuto!»
E
invece no. Il suo viso si fece sorpreso, cambiando nuovamente per poi
sorridere
ancora di un sorriso autoironico: «Hai ragione…
devo sembrarti davvero un
pazzo… devo aver tenuto le emozioni troppo a lungo dentro di
me ed ora mi sono
esplose tutte sul viso in una volta sola! È che…
tu sei qui, ad ascoltare tutti
i miei sfoghi, a sostenermi da non so più quanto
tempo… mi sento in colpa, non
faccio altro che crearti dispiaceri!»
A
quel punto gli andai incontro e l’abbracciai: «Sei
proprio uno stupido, Emile!»
Sentii
la sua mano che si poggiava sulla mia testa, mentre l’altra
stringeva ancora i
fogli raccolti da terra.
«Allora,
vediamo un po’ questa cover.»
Era
un disegno astratto: sembrava un intreccio di fili metallici che
avevano più
dimensioni, uno di quei disegni in cui l’occhio viene
ingannato sulla reale
percezione della profondità… e
all’interno di quell’intreccio a guardar bene,
sembrava esserci un volto, un volto femminile di profilo…
«Oddio
ma è impressionante, cambia di continuo, a seconda di quanto
tempo resti ad
osservarlo… Che bello!»
Emile
mi guardò soddisfatto con un sorriso
che
la diceva lunga e gli occhi che gli brillavano…
«L’hai
fatto tu!» Lo guardai meravigliata, non l’avevo mai
visto disegnare, ma avendo
un artista come padre, era più che ovvio che avesse
ereditato anche quel dono… Il
mio Pel di Carota però, fece un cenno di diniego,
continuando ad avere quel
sorriso sul volto.
«Non
è mio, ma ci sei andata vicino… è di
mio padre.»
«Alberto
ha disegnato la cover per voi?!»
«No…
è un vecchio disegno che ho trovato tra i suoi lavori, mi ha
colpito subito e
ho deciso di usarlo come
cover del
nostro primo album: l’arte di mio padre non
dev’essere dimenticata!»
Lo
guardai ancora una volta meravigliata: era machiavellico, aveva pensato
a
tutto, aveva fatto in modo che entrambi i suoi genitori potessero
risalire alla
ribalta attraverso lui, in una sorta di legge del contrappasso
personale: così
come lui si sentiva la causa del crollo dei sogni dei genitori, allo
stesso
modo s’impegnava a riscattare entrambi tramite la sua
notorietà. Mi chiesi
però, cosa ne pensasse il resto del gruppo, considerato che
doveva essere stata
una decisione esclusivamente sua, quella di usare il disegno di
Alberto…
«A-anche
agli altri è piaciuta l’idea?» Stavo
violando di nuovo il terreno sacro, ma dato
che era stato lui ad iniziare e considerata la mia sincera
preoccupazione, mi
feci coraggio nel porgergli quella domanda.
«Gli
altri si fidano del mio giudizio, non si curano dei particolari, quindi
me ne
occupo io.»
“Vuoi fare
sempre la primadonna ecco cosa
intendo! …ti comunico che in questo gruppo siamo in cinque!”
Le
parole di Claudio mi risuonarono nella mente ascoltando Emile: come al
solito
stava imponendo la sua volontà al gruppo… Non era
affar mio quello, ma mi ero
ripromessa di parlargli se avessi saputo qualcosa che avrebbe potuto
danneggiarlo, quindi mi feci coraggio:
«Emile…
lo so che m’impiccio troppo ma… io credo che
dovresti chiedere un sincero
parere agli altri. La tua è un’idea meravigliosa,
ma non sei il solo membro del
gruppo, anche gli altri hanno voce in capitolo… rendili
partecipi o si
sentiranno solo delle appendici e se ne andranno!» Come…
«Come
ha fatto Claudio?» Mi stava guardando con
un’espressione di amara constatazione
sul volto, non volevo pronunciare quelle parole, ma non doveva fuggire
dalla
realtà dei fatti.
«Sì…»
si
rabbuiò, perso in qualche pensiero di cui non mi fece
partecipe e dopo qualche
secondo, come se non avessi nemmeno parlato, come se quel momento
nemmeno ci fosse
stato, mi disse:
«Coraggio,
ripuliamo in fretta questo posto, al resto ci penserò in
seguito.»
Evidentemente,
quel discorso non voleva affrontarlo… o per lo meno, non
voleva farlo con me!
«Emile,
stai cambiando discorso...»
«D’accordo
Pasi, va bene, ci penserò su, ok? Possiamo mettere a posto
questo caos ora, o
preferisci che parli con i ragazzi, accomodandoci a terra sui fogli
volanti?»
«Emile,
fai una cosa, vai al diavolo! Sto cercando di aiutarti, idiota saccente
e
acido, proprio perché non voglio più nasconderti
i miei dubbi come ho fatto per
Claudio, ma a quanto vedo, è inutile che ci provi, tanto io non sono
all’altezza di comprendere
le tue decisioni, vero? Io non devo minimante permettermi di aprire
bocca su
tutto ciò che riguarda la tua musica!»
Ero
al limite della sopportazione: quella mattina non riuscivamo a starcene
tranquilli
per un minuto, senza finire a discutere! E pensare che poco prima era
in
lacrime, distrutto tra le mie braccia! Che cosa gli prendeva? Cosa gli
stava
accadendo? Perché tutta
quell’aggressività verso di me, che non stavo
facendo
altro che appoggiarlo e sostenerlo? Non mi aveva rivolto la minima
accusa per
la faccenda di Claudio ma stava ugualmente scaricando verso di me la
sua
rabbia.
Non
riuscii a sopportare ulteriormente quella situazione e feci per
andarmene, ma
Emile mi trattenne per un braccio:
«Pasi,
non voglio litigare con te.»
«Ah
no? Strano, a me sembrava esattamente il contrario! Sembra quasi che ti
dia
fastidio trascorrere del tempo in tranquillità con me, senza
avere uno scontro!
O questo è il tuo personale modo per punirmi di aver
incitato Claudio ad
andarsene?»
«Io
non voglio punire proprio nessuno!» La sua voce
aumentò di volume e mi preparai
ad un altro bel battibecco, invece Emile fece un sospiro e si
calmò prima di
continuare a parlare: «Forse è meglio se non ci
vediamo oggi… non sto facendo
altro che ferirti.»
«Di’
piuttosto che non vuoi scocciatrici in casa! Me ne vado, stai
tranquillo, ti
lascio con le tue preziose note e i tuoi preziosi affari!»
Vidi il suo volto
contrarsi e strinse maggiormente la sua mano sul mio braccio, in un
impeto
d’ira.
«Lo
so benissimo di aver sbagliato a comportarmi con Claudio…
sono del tutto
consapevole di essere una specie di despota con tutto il gruppo, ma
è il mio gruppo! Loro si
sono aggregati a me,
il progetto è mio, e su certi argomenti non transigo! Si
segue la mia linea di
condotta, le mie decisioni, altrimenti si torna a casa! È
sempre stato così e
continuerà ad esserlo! I ragazzi ne sono consapevoli e a
loro sta bene, quindi
il problema non si pone.»
«Sta
bene, come stava bene a Claudio? Sei
cieco Emile, sei accecato dalla voglia di andare in alto e non vedi la
giusta
strada da percorrere. Non sono io a farti perdere di vista i tuoi
obiettivi,
sei tu stesso che sbagli strada! Sei tu che non capisci che la prima
regola per
mantenere un gruppo unito, è dare importanza ad ogni singolo
componente e
chiedere il parere di tutti su ogni decisione. Se continuerai a
comportarti come
un despota, resterai solo e sarà ancora più
difficile in seguito ricostruire
daccapo un intero gruppo!»
Emile
lasciò andare la presa sul mio braccio continuando a
guardarmi con un misto tra
astio e colpevolezza: probabilmente
si
sentiva ferito dalle mie parole, probabilmente si sarebbe aspettato
elogi e non
critiche così feroci da me, ma il mio compito era quello di
fargli aprire gli
occhi, lo amavo troppo per lasciarlo sguazzare nei suoi stupidi e
ciechi
errori, inoltre ciò che gli avevo detto precedentemente era
vero: ormai il suo
obiettivo lo sentivo anche mio, il senso di colpa era ancora forte
dentro di me
e di conseguenza sentivo maggiormente il desiderio di ridare a
Claudine, attraverso
suo figlio, la notorietà che si meritava, per cui avrei
fatto di tutto pur di
aiutare Emile a raggiungere il suo scopo. Soprattutto se si trattava di
aprirgli
gli occhi!
Cosa
che sembrava non voler fare: mi volse le spalle e tornò a
ripulire la stanza,
offeso e troppo orgoglioso per darmi ragione su
quell’argomento; incapace di
restare in quel luogo senza continuare ad urlargli contro, presi la
volta delle
scale e me ne andai al
piano di sopra,
diretta a darmi una sistemata prima di andare a lavorare.
*****
«Davvero
Stè io non lo capisco! Un attimo prima è il
ritratto della dolcezza e l’attimo
dopo mi urla contro, non riesco proprio a capire
cos’abbia!»
«Testarossa,
forse sta solo elaborando il lutto in un modo un po’
eccentrico… considera che
ha perso sua madre da poco ed ora anche il batterista… non
credo che possa
mantenere i nervi saldi per molto in questa situazione!»
«Ora
lo difendi! Da quando siete così amici?!»
«Non
lo sto difendendo! Dico solo che non sta attraversando un bel momento e
questo
dovresti capirlo anche tu, no?»
«Proprio
perché lo capisco, non riesco a capacitarmi del suo
comportamento! Invece di
appoggiarsi a chi gli sta accanto, aggredisce! Così si
chiude ancora di più in se
stesso e soffre il doppio!»
«Pasi,
non reagiamo tutti allo stesso modo.»
Fede
s’intromise all’improvviso nel discorso: eravamo
tutti insieme al centro, ero
passata di ritorno da lavoro per stare un po’ lì,
quando a distanza di poco
tempo, arrivarono sia Stè che Rita e in modo del tutto non
calcolato, grazie
anche all’incapacità della sottoscritta di celare
i propri stati d’animo, ci
trovammo tutti insieme a parlare della paradossale mattinata che avevo
vissuto
con Emile.
«Probabilmente
sta esternando tutto con la rabbia e con questi sbalzi
d’umore repentini ora
che si è liberato… di solito quando si
trattengono le emozioni capita che una
volta liberate esse siano incontrollabili. Metti poi che ha avuto due
colpi
duri uno dopo l’altro…»
Anche
Rita era d’accordo con Fede e Stè; improvvisamente
stavo facendo la figura
dell’insensibile nei confronti del mio ragazzo!
«Vi
siete coalizzati contro di me, stasera?!» dissi spazientita.
«Testarossa,
se solo la smettessi di far fumare quel tuo cranietto di fiammifero, ti
renderesti conto anche tu di essere d’accordo con noi. Sei
troppo coinvolta ora,
per ragionare come si deve.»
«Ah,
ora non so nemmeno più pensare! Ma grazie mille!»
«Che
ne dici di far passare questa notte e di ragionarci su a mente fredda,
domani?
Di sicuro Emile avrà pensato a ciò che gli hai
detto e si sarà reso conto che
hai ragione… A proposito, ma ora è tutto solo in
quella casa?» Rita mi riportò
all’immediata realtà: arrabbiata com’ero
nei suoi confronti, non mi ero resa
conto che sarebbe rimasto completamente solo in quella casa, per la
prima volta
in vita sua.
«Ti
dispiace se vado a portargli la cena? Temo che non abbia mangiato
affatto
oggi!» Ma prima che Rita potesse aprir bocca, fu Fede a
parlare, lasciandomi
sorpresa:
«Ho
un’idea migliore Pasi, che ne dici se andiamo tutti da
lui?»
*****
«Che
ci… fate qui?»
Emile
fu decisamente sorpreso di trovare me e soprattutto i miei amici, fuori
la
porta di casa sua: immaginai che avesse già progettato di
trascorrere quella
giornata rimuginando, maledicendosi e borbottando qualcosa sulle mie
intromissioni inopportune e proprio per quel motivo, più che
mai non volevo
lasciarlo solo! Mi aveva fatto arrabbiare quella mattina,
sì, ma era anche vero
che il giorno prima avrebbe avuto tutte le ragioni per mettermi alla
porta e
non l’aveva fatto ed io mi sentivo ancora tremendamente
colpevole nei suoi
confronti per avergli fatto perdere il batterista, per potermi
permettere di
restare offesa con lui.
«Scommetto
che non ci aspettavi! Abbiamo pensato di cenare tutti qui insieme,
così magari
quel tavolo in cucina sarà utilizzato una buona
volta!»
Entrai
senza troppe cerimonie approfittando della relativa
remissività di Emile, per
fare spazio ai miei amici. Totalmente confuso, mi portò in
disparte per
chiedermi delucidazioni:
«Cosa
diavolo significa tutto questo? Credevo fossi arrabbiata con
me…» Era sorpreso,
ma apparentemente non sembrava seccato.
«Lo
sono ancora, ma sapevo anche che non avresti cenato e che non avrei mai
voluto
lasciarti qui da solo… e poi tu ieri non mi hai mandato via
dopo quello che è
successo con Claudio, come avrei potuto restare ancora offesa con
te?»
Emile
mi guardò con intensità, come a sondare la
veridicità delle mie parole e fece
un mite sorriso accarezzandomi il viso:
«C’è
un piccolo problema però… ci sono anche i ragazzi
ora.»
«E
che problema c’è? Finite di discutere mentre
prepariamo la cena e poi mangiamo
tutti insieme, da veri amici.»
gli
sorrisi, ma calcai volontariamente il tono su quella parola, cercando
di fargli
capire che era il momento giusto per trattare il suo gruppo come
persone e non
come marionette e sperai che avesse recepito il messaggio.
«Amici
eh? Strega!» Mi guardò sorridendo e mi diede un
bacio sulla fronte, prima di
rivolgersi ai miei compagni:
«Grazie
di essere venuti ragazzi, prego accomodatevi.»
*****
Emile
spiegò subito ai miei amici che era in piena riunione con il
suo gruppo e che
non poteva comportarsi da buon ospite, ma precisò che in sua
vece ci sarei
stata io che ormai ero di casa: rincuorata da quella frase, sentii una
grande
gioia dentro di me e d’improvviso quella serata mi
sembrò bellissima. Ero con i
miei amici, con il mio ragazzo e con la sua band: i nostri mondi si
stavano
incontrando in quelle ore per la prima volta e per la prima volta si
sarebbero
uniti per condividere qualcosa di unico, qualcosa che non sarebbe
più stato
parte esclusiva della mia vita o della sua, bensì sarebbe
stata una delle prime
esperienze della nostra vita in comune, qualcosa che era sia di Emile
che di
Pasi… e ovviamente di tutti i presenti!
Per
questo motivo, prima ancora che finisse di parlare, presi parola
dicendogli che
appena sarebbe stato pronto in tavola, avremmo chiamato anche loro:
Emile mi
guardò con gratitudine, ci salutò e
tornò dal suo gruppo in attesa.
«Ma
con una casa così grande, proprio là sotto devono
stare? Mi viene da soffocare
al solo pensiero!»
«Hai
ragione Stè, ma evidentemente
non si
sarà nemmeno reso conto che ha tutta la casa a disposizione
ora. E poi questa
stanza è praticamente disabitata da tutti loro, non ricordo
una sera in cui
abbiano cenato qui insieme, Alberto era sempre da
Claudine…» al pensiero della
madre di Emile, mi rabbuiai: presa dalle mie preoccupazioni per il
figlio,
avevo messo da parte il dolore per la madre, ma era ancora
così fresco, che il
solo nominarla mi portava ad un passo dal pianto. Rita se ne accorse e
cambiò
repentinamente il discorso: «Allora Pasi, io non conosco
questa cucina, quindi
dicci tu come dobbiamo muoverci!»
Per
quella sera, Rita aveva organizzato una cena a casa sua per stare tutti
insieme, poiché sarebbe stata una delle mie ultime sere con
lei: aveva già
fatto la spesa quando era passata al centro per avvertire Fede e
progettava di
chiamare anche Stè. Per cui una volta deciso di trasferirci
da Emile, portammo
i viveri con noi… ora c’erano altre bocche da
sfamare e sicuramente avremmo
dovuto attingere alle scorte di casa Castoldi, ma quella riunione
improvvisa e
la cena da reinventare, costrinsero tutti noi quattro a dare una mano
in
cucina, col risultato che sembravamo davvero una squadra di cuochi di
qualche
ristorante!
«Mi
sembra di non aver mai staccato da lavoro oggi! È tutto il
giorno che sto
davanti ai fornelli!»
«Ti
fa bene Testarossa, così ti tieni in forma.»
Stè e Fede stavano affettando le
patate (che cena sarebbe senza
un po’
di frittura?) e dopo li attendeva anche la frutta; mentre io e Rita
preparavamo
i piatti forti.
«Testa
di Paglia, se dici ancora qualcosa al riguardo ti metto a tagliare le
cipolle!»
Stè
si riferiva ad un vecchio litigio che risaliva ai tempi in cui
frequentavamo il
secondo anno delle superiori: durante una delle ore di Educazione
Fisica, un
nostro compagno di classe, membro della squadra avversaria alla mia,
stizzito
dalla sua situazione di svantaggio, esordì con la
convinzione che il compito
delle donne nella società era solo quello di accudire gli
uomini e che il loro
regno doveva essere la cucina… Quel tipo di cui non volevo
nemmeno ricordare il
nome, senza troppe cerimonie, finì a casa con il naso
sanguinante ed io mi
presi una bella sospensione, per la gioia dei miei genitori…
Stè dal canto suo,
tentò di dissuadermi dall’attaccare fisicamente
quello stupido maschilista, ma
ovviamente non ebbe successo e si arrese assistendo allo spettacolo.
Così ogni
volta che poteva, tirava in ballo quella storia per la gioia di vedermi
arrossire di rabbia e farsi una sana risata ai miei danni!
«Che
fiero cipiglio Testarossa, si vede che sei abituata a gestirti nella
cucina,
una cuoca perfetta!» Stè mi guardò con
quello che era uno dei suoi migliori
sorrisi, che ricordava molto quelli solari e spensierati che non aveva
da quando
Simona ci aveva lasciato e nonostante mi stesse facendo arrabbiare, fui
felicissima di rivedere quell’espressione allegra che tanto
amavo.
«Testa
di Paglia stai rischiando grosso stasera, sappilo, ti riempio
l’insalata di
rucola!»
«Oh
no ti prego pietà, proprio la rucola no! Sai che poi si
irrita la gola!»
Di
tutte le allergie più strambe, poteva mai una persona,
essere allergico alla
rucola? Una cosa che non si era mai sentita e probabilmente
Stè era l’unico a
soffrirne nel raggio di sei nazioni! Non so nemmeno come abbiano fatto
i medici
a scoprirlo, non avevo mai sentito che esistesse una cosa simile
finché non lo
disse lui!
«Pasi,
in quanti siamo?» Come sempre, da bravo genitore del gruppo, Fede interruppe il nostro
litigio da bambini con
una domanda pratica che ci riportò al nostro dovere.
«Uhm
dunque, siamo noi quattro più loro giù che sono
in cin… quattro… Siamo in otto.»
Fede alzò la testa e mi osservò, avendo sentito
il mio lapsus e volendo
monitorare sicuramente la mia reazione. Non doveva aver trovato nessun
segno
preoccupante sul mio viso poiché continuò senza
problemi: «Bene, sto facendo
dei segnaposti con le zucchine e mi serviva sapere il numero
giusto… Come l’ha
presa?»
Eccolo,
lo scrutatore dell’animo umano al lavoro, voleva sapere con
quale stato d’animo
Emile avesse accolto la nostra intrusione in casa sua… a
volte mi chiedevo per
quale motivo fosse stata Rita e non lui a scegliere quella
facoltà, Fede
sarebbe stato un eccellente psicologo!
«Era
sorpreso, ma sembra averla presa bene, non abbiamo di che
preoccuparci!» gli
feci un sorriso per tranquillizzarlo e lui sorrise di rimando.
«Perfetto.»
«Chicco,
senti un po’ qui, come ti sembra?» Rita si
avvicinò con un cucchiaio pieno del
condimento che stava preparando, pronta a farlo assaggiare a Fede: era bello vederli
esternare finalmente il
loro amore, era una gioia vedere la mia amica che si chinava verso di
lui per baciarlo
e lui che la circondava con un braccio, era bello vedere come il loro
amore
fosse così palese nell’aria da sembrare
palpabile… Ero così felice per loro,
ero così piena di gioia per l’atmosfera conviviale
che si era creata… e
d’un tratto feci un’associazione d’idee
che
mi fece saltare in aria:
«Sofia!»
Si
girarono tutti in mia direzione sorpresi: «Abbiamo
dimenticato di chiamarla!
Non le abbiamo nemmeno chiesto se era dei nostri, che
figuraccia!»
«Testarossa
lo sai benissimo che per stanare Sofia, dev’esserci almeno un
evento
catastrofico tipo tsunami in giro! Non sarebbe venuta di
sicuro.»
«Ma
almeno potevamo chiederglielo!»
Senza
nemmeno sentire i pareri degli altri la chiamai e le proposi di
raggiungerci,
ma come aveva pronosticato Stè, Sofi rinunciò,
anche se sospettai che fosse
risentita per essere stata chiamata all’ultimo
secondo… mi ripromisi di andare
a trovarla il prima possibile: a volte davamo per scontata la sua
assenza e
forse in qualche occasione avevamo mancato di delicatezza nel non
avvisarla,
come quella sera, per cui presi la decisione di parlarle appena avessi
potuto.
*****
«Dovevate
vederla ragazzi, era una furia! Sembra così piccola e
tenera, ma in realtà è
una forza della natura, guai a farla arrabbiare!»
«Stè
hai finito di elogiarmi pubblicamente? Perché mai dobbiamo
stare qui a sentire
quanto io sia così “aggraziata e
gentile” quando m’infurio? E poi scusa, tu che
avresti fatto al posto mio?»
A
parte la mia gogna pubblica, dovuta all’insano divertimento
che provava Testa
di Paglia nel sottolineare tutti i lati del mio carattere che
più mi davano
fastidio, la nostra cena trascorse
nella
più assoluta tranquillità: i gemelli ascoltavano
il mio Giuda biondo estasiati
e ridevano della grossa ad ogni aneddoto che Stè ricordava e
che quasi
puntualmente aveva la sottoscritta come protagonista…
«Pasi
sei uno spasso! Mi stavi simpatica già prima, ma sentendo
queste storie da
Stefano non posso che pensare che sei un mito!» Francesco
rideva a crepapelle
e il suo improvviso elogio lo
salvò dall’essere messo nel mio personale libro
nero…
Anche
Filippo seppur sommessamente se la rideva e insieme quei tre
costituivano una
vera e propria associazione a delinquere ai miei danni: se
Stè avesse
raccontato loro tutto ciò che sapeva sul mio conto (e ce
n’era da raccontare),
mi sarei trovata circondata da risate per il resto della mia vita!
«Sì,
ma adesso basta! Non sono mica la protagonista di uno show
comico!»
«Testarossa
non è colpa mia se sei un talento naturale!»
«Allora
vogliamo parlare di quando il prof. Setti ti fece fare cento canestri e
ne
sbagliasti ottanta? Ce n’è anche per te Testa di
Paglia!» Lo guardai con
sguardo maligno e trionfante, ma nuovamente, come quando gli affibbiai
quel
nomignolo, Stè non fece obiezioni al riguardo, sbaragliando
del tutto la mia
strategia di attacco e difesa.
«Fai
pure Testarossa, non è una novità che non sia una
cima a basket. Anzi, ora ve la
racconto: dunque
eravamo…» Stè si girò
di nuovo verso i suoi interlocutori estasiati
e continuò l’aneddoto con cui
l’avevo minacciato, diventando lui
stavolta il protagonista di una scena da cabaret: «Quella
palla andava ovunque!
Finì persino sulla testa del prof, che alterato mi
mandò a sedere!»
Le
risate del mio amico erano calde e mi rallegrarono l’animo:
quella sera lo
sentii ridere di cuore come non accadeva da tempo, quasi mi commossi
rendendomi
conto di quanto mi fosse mancato e di quanto fossi felice che si stesse
riprendendo dalla morte di Simona.
L’altro
lato del tavolo invece, era più silenzioso: Emile era
accanto a me e parlava
con Fede, mentre Rita stava chiacchierando con Maurizio; quei due erano
capaci
di far parlare chiunque, avevano un modo così gentile e
incisivo di rivolgersi
agli altri, che anche i più timidi e riservati riuscivano ad
abbassare le
proprie barriere nei loro confronti. Sarebbero diventati dei
professionisti
davvero capaci e al di là delle loro figure professionali,
erano una coppia
davvero ben assortita! Guardandoli mi resi conto che la leggenda di
Sofia in
quel caso si era realizzata in pieno: Rita e Fede erano destinati a
stare
insieme, gli anni che li avevano separati erano serviti solo a
rafforzare la
loro unione, a farli diventare ciò che erano e che li
avrebbe tenuti insieme
per il resto della vita. Già l’immaginavo alle
prese con una loro famiglia, a
fare da genitori a bambini dai capelli castani di Fede e dagli occhi
azzurri di
Rita e sarebbe stata anche una famiglia numerosa visto che la mia amica
aveva
sofferto la solitudine: immaginai bambine con le trecce e maschietti
che
giocavano insieme nel cortile di una casetta attorniata dal verde e mi
ritrovai
a sorridere pensando a quel futuro lontano.
D’un
tratto Emile mi riscosse da quel sogno ad occhi aperti:
«Tutto bene? Avevi
l’aria persa.»
Mi
girai a guardarlo: il suo viso era lievemente preoccupato, ma
l’espressione
generale era serena; dopo aver fantasticato su Fede e Rita iniziai a
pensare a
noi due in quel futuro distante, mi chiesi se fossimo stati ancora
insieme nel
veder nascere i figli dei miei amici e se avessimo avuto a nostra volta
un
futuro simile… e in un attimo, guardando quegli occhi grigi
mi resi conto che,
seppur non avevo le risposte, sapevo che il mio destino era
lì. Emile era
testardo, arrogante, diffidente e non riusciva a lasciarsi andare del
tutto ai
suoi sentimenti, ma solo il Signore sapeva quanto l’amassi e
quanto la mia vita
fosse cambiata da quando c’era lui accanto a me. Non
l’avrei mai lasciato, mai,
per nessuna ragione al mondo!
«Sì,
va tutto bene, è tutto perfetto!»
Mi
guardò intensamente, i suoi occhi si scurirono e fece un
piccolo sorriso
segreto solo per noi due: mi prese una mano nella sua e
avvicinò il viso al mio
orecchio: «Grazie»
Sentii
la sua presa che si faceva più forte e capii che quel grazie
era un: “Scusami,
sono un idiota e ti rendo la vita impossibile, ma
senza di te sarei perso”; mi commossi per
quel gesto così dolce e così carico di
significato e gli rivolsi il mio sorriso
più caldo, stringendo a mia volta la sua mano nella mia.
*****
Francesco,
Filippo e Maurizio andarono via subito dopo cena, mentre i miei amici,
che mi
avevano aiutato a mettere su quella serata, completarono
l’opera rimanendo ad
aiutarci a rimettere in ordine la cucina. Mentre io, Stè e
Rita eravamo alle
prese con i piatti sporchi, notai un confabulare tra Fede ed Emile:
chissà cosa
si stavano dicendo!?
Ero
curiosa da morire ma ero anche felice che quei due stessero parlando:
tra i
miei amici, Fede era quello che era riuscito più facilmente
a penetrare la
barriera protettiva di Emile, che sembrava non avere alcuna
difficoltà ad
aprirsi a lui e Dio solo sapeva se il mio Pel di Carota avesse bisogno
di
sfogarsi ed aprirsi con qualcuno! A quel pensiero, mi vennero
in mente le parole di Alberto: “Gli
unici suoi compagni sono la musica e i
ragazzi con cui suona; non è mai stato capace di stringere
rapporti duraturi
con qualcuno che
non fosse per un suo
fine preciso".
Quella
mattina si era sfogato con me, ma se io non ci fossi stata, se non
avesse avuto
me a spronarlo e ad ascoltarlo, da chi sarebbe andato? A chi si sarebbe
appoggiato? Non avevo la minima idea di come potesse vivere senza la
presenza
di un amico accanto!
I
miei amici erano la mia ancora di salvezza, il mio punto di riferimento,
l’appoggio e il sostegno che
mi facevano andare avanti a testa alta; non avrei mai potuto concepire
la mia
vita senza di loro e pensare che Emile vivesse isolato e chiuso in se
stesso da
anni, mi strinse il cuore.
Sperai
che tra lui e Fede potesse nascere una vera amicizia, mi augurai in
quel
momento di essere riuscita a donare ad Emile il piacere di avere un
amico, un
sostegno, una persona che ti capisca e t’impedisca di
vacillare. Io gli sarei
stata sempre accanto, ma ci sarebbero stati momenti in cui la mia
presenza non
sarebbe bastata… momenti come quello che stavamo vivendo, in
cui ero troppo
coinvolta nel problema Claudio per poter essere un valido sostegno.
*****
Quando
giunse il momento di andar via, dissi ai ragazzi che sarei rimasta in
quella
casa e nonostante l’evidente tristezza sul volto di Rita, era
un opzione che
avevano già dato tutti per scontato. Emile li
accompagnò alla porta mentre io
sistemai le ultime cose in
cucina.
Avevo
appena posato gli ultimi bicchieri quando le mie spalle furono avvolte
dal suo abbraccio:
mi sentii invadere dal calore di quel contatto e poggiai le mie mani
sulle sue,
ricambiando il suo gesto. Rimase in silenzio per qualche tempo, senza
dir
nulla, come se volesse solo godere di quella vicinanza ed io non feci
alcunché
per spezzare quel momento di comunicazione silenziosa. Quel giorno le
parole
avevano creato più incomprensioni che altro e forse un
po’ di sano silenzio
avrebbe ridotto le distanze tra di noi e permesso ai nostri cuori di
comunicare
meglio di quanto facessero i nostri cervelli. Dopo un po’
però, probabilmente
dopo aver raccolto le idee, Emile si decise a parlare:
«Mi
sono comportato come un matto oggi, vero?»
«Un
po’… ma avevi i tuoi motivi.»
«Dentro
di me ora ho così tanti pensieri, così tante
emozioni, che non riesco a
gestirle come si deve.»
«Perché
le hai tenute dentro di te per troppo tempo.»
«Forse…
o forse no. Però sono stato bravo a non innervosirmi con
Stefano, anche se non
faceva che ricordarmi quanto ti conoscesse!»
«Emile,
non ricom…»
«Stai
tranquilla, non voglio far polemica… non voglio
più discutere con te.»
«Nemmeno
io voglio farlo.»
«Scusami
per oggi, ho esagerato.»
«Beh,
nemmeno io ci sono andata tanto leggera.»
«Andiamo
a dormire?»
«Non
ancora, restiamo un altro po’ così.»
«Ok.»
Rimanemmo
per qualche minuto in quella posizione. Eravamo in piedi ma non mi
sentivo
affatto scomoda: l’abbraccio di Emile, le sue scuse e il
calore umano che ci
stavamo donando, facevano di quel momento
qualcosa che
volevo non finisse
mai.
*****
Quella
notte Emile non pianse: dormì di un sonno agitato, ma le
lacrime non gli solcarono
il viso. Probabilmente, avendo sfogato il dolore per Claudine, quella
sua parte
inconsciamente sofferente si era rasserenata…
L’agitazione era dovuta di sicuro
al problema con Claudio e quello era fuori dalla mia portata;
però ero felice
di non vedere più il suo volto piangente e anche se di poco,
rispetto al senso
di colpa che ancora mi devastava, mi sentii gratificata per essere
riuscita ad
aiutarlo.
Anche questo come il
precedente, mi ha lasciato un pò interdetta, ma la mia Beta
come al solito, mi ha rassicurato dicendomi che era perfetto
così. Voi cosa ne pensate? Attendo i vostri pareri
più che mai! ^ ^
Ricordate la famosa foto
di Emile citata nelle mie note al capitolo precedente?
Eccola QUI
: il fanciullo in questione ha la chioma più lunga
di quanto la
immagini io, ma guardandolo così sembra proprio il mio
bambino *_*
Voi che ne pensate? Come
l'immaginate?
Alle sister meno presenti: Cicci,
Ana-chan,
Ely, che mi sostengono in silenzio
<3
A Prim,
che mi
ha lasciata in vita per il rotto della cuffia (cara omonima per 1/3,
come ti sembra l'immagine del rossino?)
lorenzabu, samyolivieri,
Tattii,
Thebeautifulpeople,
Aly_Swag,
green apple,
Aloba,
Ami_chan,
cara_meLLo,
cris325,
Drama_Queen,
hurry,
nickmuffin,
Origin753,
petusina,
roxi,
sel4ever,
Veronica91,
_Grumpy.