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Autore: ma89vi    04/12/2011    4 recensioni
Tanti, tantissimi anni fa ho immaginato di scoprire ciò che la vita avesse in mente di riservarmi per il futuro.
Alla fine ero sempre la stessa, solo che la mia vera natura, ciò che era innato dentro di me, era venuta fuori precipitosamente.
MODIFICATO CAPITOLO 1
Genere: Drammatico, Sentimentale, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Haruka/Heles, Michiru/Milena, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Nessuna serie
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N.B. Salve a tutti. Ho modificato il primo capitolo. Spero vi piaccia lo stesso!:)

 

Un’attrazione pericolosa.

Capitolo 1: Questa sono io.

 

Tanti, tantissimi anni fa ho immaginato di scoprire ciò che la vita avesse in mente di riservarmi per il futuro. E un giorno, quasi inaspettatamente, ho trovato la mia strada.

Quando ero solo una bambina, giocavo con la fantasia come la maggior parte delle mie coetanee. Solo che io non ero proprio come loro: non portavo i capelli lunghi e le treccine, né il vestito rosa ricoperto di fiori. Io avevo(e ho tuttora) i capelli corti e indossavo la salopette come tutti i maschietti. E come tutti loro avevo la passione per le auto sportive, per le moto supertecnologiche e adoravo decapitare le bambole.

È evidente che io non sia mai stata veramente “donna”. Forse fisicamente sì, ma nel mio profondo un po’ meno. Anzi per nulla.

A 7 anni ho picchiato il primo bambino. Strano per quell’età, vero? A me sembrava tutto normale e ho continuato nel tempo. Partecipavo alle gare di lotta nel fango, uscendone ogni volta vincitrice. Amavo lottare: prendere a pugni qualcun altro era la mia unica valvola di sfogo, soprattutto alle aspettative dei miei genitori. Mia madre mi ripeteva sempre che una brava signorina doveva essere perfetta in tutto e per tutto: dato il mio caratteraccio non proprio da gentil donzella, mi iscrisse a una scuola di danza classica sperando che potesse addolcirmi un po'.

Cosa sbagliatissima. Che c’entravo io con quell’ambiente? Il tutù rosa mi provocava attacchi di vomito improvvisi. E le scarpette con le punte? Beh, le tiravo in testa alle bambine più antipatiche. Per questo, l’insegnante mi cacciò.

Io volevo essere libera: gli assiomi del balletto non facevano per me.

Fui derisa per questo, ma non ci facevo caso. Non era colpa mia se avevo questi modi “bruschi” fin da quell’età. Io stavo bene così, ero me stessa anche se gli altri non mi comprendevano.

Non mi importava nulla se a 10 anni il mio allenatore di calcio mi faceva marcire tutte le volte in panchina. Non avrei mai ceduto alle sue provocazioni. Perché avrei dovuto mollare tutto solo per il mio essere donna? Era strano che a una ragazzina piacesse dare calci ad un pallone. E allora? Non mi davo mica per vinta. Peccato che quando “questa ragazzina” salvava all’ultimo secondo il risultato, diventasse ogni volta il giocatore più in gamba del mondo. Troppo comodo, eh coach?

Abbandonai. Non faceva per me il lavoro di squadra. E poi non sopportavo l’arbitro. Secondo lui ero troppo aggressiva in campo.

Mah.

Le regole erano e sono decisamente il mio punto debole. Fare sempre di testa mia in tutte le decisioni: questo è il mio motto. Anche il giorno della mia prima gara con una moto. Una moto vera. Fino a quel momento avevo guidato solo un misero scooter. Era un gioco... quasi una sfida che mi ero ripromessa di provare. Quel giorno d’estate, la partecipazione gratuita alla corsa di beneficienza che si teneva ogni anno a Tokyo aveva incentivato la mia idea. Niente poteva spaventarmi. Anzi le sfide più rischiose mi eccitavano.

Quella volta provai e che emozione! Sentire il vento sul viso mi regalava sensazioni uniche... mi trasmetteva passione. Mi sentivo viva per la prima volta in 13 anni di vita.

Ne uscii vincitrice: mi incoronarono regina della corsa. La mia vittoria era stata schiacciante: gli altri concorrenti mi distaccavano circa 10 giri dal traguardo.

Da quell’esperienza, quello sport provato per caso era diventato la mia ragione di vita. Cominciai a seguire tutti i motogp. Ogni volta, mi attaccavo al televisore. Cavolo, anche io volevo essere una di loro! Dovevo esserlo a tutti i costi.

Incominciai a lavorare presso un meccanico perché i miei non mi avrebbero mai comprato una moto. Non mi appoggiavano perché non ero una ragazza come le altre.

“Se ti compri quella robaccia, puoi pure uscire per sempre da questa casa!”, mi ripetevano sempre.

E così fu. Acquistai la mia “bambina”, ma dovetti abbandonare la mia dimora natale. Poco importa. Non avevo bisogno di nessuno, io. Decisi così di presentarmi ad un circuito e uno sponsor mi notò. Oggi, a 18 anni sono la motociclista più ricercata sul mercato.

Non lo faccio per soldi, sia chiaro. Semplicemente amo guidare e gareggiare. Il mio è quasi un amore morboso e ciò non fa altro che appassionarmi di più: il mio sogno è quello di correre per sempre trasmettendo la mia vitalità a tutti coloro che mi seguono.

È vero sono diversa dagli altri. Sono un maschiaccio con una grande carriera davanti.

Questa mia peculiarità è un sintomo di orgoglio: niente può scalfire la mia sicurezza. Per questo combatto contro tutti per distinguermi dalla massa. Ora come in passato.

Perché avrei dovuto somigliare a qualcosa o qualcuno che non riuscivo a sentire mio? Perché avrei dovuto seguire le mode che tanto detestavo? In fondo, le persone che mi vogliono davvero bene mi accetterebbero sempre per quella che sono.

Ma queste personalità esistono davvero?

Spesso molte di esse malignamente mi domandavano se avessi mai avuto un ragazzo visto lo sport che pratico. Un ragazzo cioè un maschio, un uomo. Beh, a me proprio non interessavano e non interessano. Sarà perché il mio unico amore sono le moto, ma non mi piacciono proprio. Li ritengo un branco di idioti che sbavano dietro a un paio di tette o a un sedere accentuato. Non lo nego che ho provato ad immedesimarmi nelle situazioni amorose che vivevano le mie coetanee, quello che sentivano quando erano a contatto con i ragazzi che avevano rubato loro il cuore.

Tutte le volte il risultato era il medesimo: mi chiedevo, per prima cosa, come facessero a riscoprirsi innamorate di persone che a malapena conoscevano. Secondo, come potevano considerare amore ciò che era semplicemente una cotta o qualcosa del genere? Non le capivo proprio. Io vicino un bel ragazzo, considerato tale soggettivamente da me, non provavo nessun tipo di attrazione. Le mie compagne si interrogavano sul motivo della mia totale incapacità a stare con un uomo. Certo, per loro era difficile frequentare una ragazza così fuori dal comune primo perchè era una motociclista professionista  e poi perché non era mai stata a letto con qualcuno di sesso maschile. Io non ci trovavo nulla di strano a non aver fatto questo tipo di esperienze.

Perché perdere tempo con queste sciocchezze?

  
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