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Autore: xheydreamer    04/12/2011    6 recensioni
Mia Cohen e' una ragazza di 17 anni che vive in California. L'anno in cui suo zio (l'unico fratello di suo padre) muore, legge nel testamento che le lascia la casa in Inghilterra, a Brighton. Mia e' abituata in quella casa dove passava l'estate da piccola e decide di andare a passare un'estate lí. Un certo Harry le permetterá di trascorrere l'estate piú bella della sua vita, facendole conoscere una band, ma piú importante, facendola innamorare.
'wake up and breathe'. svegliati e respira. È l'unico modo per sapere se sei ancora viva, se hai un'altro giorno da riempire di sogni, un'altro giorno per sperare, per addormentarti e vivere ancora. ©
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Jamieson Street, 22, Brighton. Avevo le chiavi fredde in mano, presi quella color argento dal mazzetto e aprii la porta. La casa era proprio come la ricordavo, le pareti bianche del corridoio centrale, i tappeti e i quadri ancora immobili e l’arancione dei muri del salone. Ci passavo l’estate li, con tutte le mie cugine, era la casa di mio zio, l’unico fratello di mio padre. Ricordo ancora il suo viso, quegli occhi verdissimi mentre mi fissava quando io gli dicevo ‘ti voglio bene zio, la tua casa e’ stupenda.’ Me lo diceva sempre lui, che me l’avrebbe lasciata. Ero la sua nipotina, la sua unica nipotina e lui mi amava come fossi sua figlia, le cugine con cui andavo li erano dalla parte di mia madre. Presi le valigie e le poggiai al divano color crema nel salone, aprii le finestre e passai lentamente davanti al camino, dove una mensola con tutte le nostre foto da bambine creava malinconia. Abbassai lo sguardo e vidi la presa del telefono staccata, la attaccai. Era tutto stupendo, come sempre quella casa aveva qualcosa di magico, e anche se nelle ultime estati non c’ero andata, qualcosa mi diceva che ci avrei rimesso piede, e  cosí fu. Ero stanchissima, portai un trolley su, in camera mia, lo aprii e tirai fuori una magliettina blu e degli shorts. Mi cambiai velocemente e scesi. Guardando fuori dalla finestra intravedi un’albero, lo stesso che vedevo anni fa, quello del parco lí accanto. Ricordo che mio zio non ci faceva andare mai in quel parco, diceva che molta gente ‘cattiva’ andava lí, e cosí una voglia pazza di entrare lí dentro mi avvolse, mi misi le mie superga blu, afferrai  la borsa e uscii. Dopo pochi metri ero gia’ dentro il parco, il prato verde, le panchine e il vialetto grigio d’asfalto, era proprio un tipico parco inglese. Il sole stava tramontando sul mio viso mentre camminavo sorridente fissando l’acqua limpida del laghetto. Decisi di sedermi, le panchine erano tutte vuote, era calmo, rilassante. Il silenzio mi metteva pace all’anima, ma ecco che in pochi secondi il silenzio si ruppe. Sentii delle ragazze urlanti in lontananza, gente che correva, i passi e le voci si fecero piú vicine. Spaventata mi nascosi dietro l’albero accanto a me e nel giro di 30 secondi un ragazzo coi capelli ricci mi passó davanti col fiatone mentre una folla di ragazze lo rincorreva. Fissai stupita la scena, chi era quel tizio? Uno famoso? Booooh! Presi il cellulare velocemente e scrissi su Twitter ‘eh si, ho perso davvero tante cose su Brighton!’. Mentre posavo il cellulare dentro la tasca esterna della borsa, una mano calda mi toccó la spalla, e una voce soffice mi disse «hey» all’orecchio. Sobbalzai e mi girai di scatto tanto che del gelato mi finí addosso. Era il tizio che correva prima, aveva degli occhi stupendi, color verde smeraldo, e dei ricciolini castano/dorato che gli scendevano giú per il collo.
«Che c’e’? Non urli? Ahah» mi chiese lui.
«Dovrei?» risposi fredda.
«Evidentemente non conosci i One Direction!»
«No no, mai sentiti.» Il ragazzo fece una smorfia seguita da un sorriso
«scusa per il  gelato, fammi rimediare» il ricciolino mi stava per togliere via il gelato dal petto con le mani, ma lo fermai.
«Nono, e’ tutto ok! Vado a cambiarmi subito.»
«Abiti qui vicino?» mi chiese,
«si, in quella casa li» gli dissi indicandola, lui annuí.
«Comunque piacere, sono Harry!»
«Io sono Mia.»
«Cacchio, suona strano dirlo, ci ho perso l’abitudine!»
Sussurró. Io sorrisi, era simpatico.
«Vieni a casa mia, ti do qualcosa a metterti, non posso permetterti di andare per strada cosí!» mi disse, accettai la richiesta.
«Vivi qui anche tu?»
 «No sono in vacanza, ho una villetta piú giú, fammi chiamare il mio autista, sara’ qui nei paraggi.»
Harry fece due squilli e in poco una macchina nera era li davanti a noi. Entrammo e rimasimo silenziosi per tre minuti, finché la macchina non accostó accanto ad una bellissima villetta. Entrammo e Harry mi disse di poggiare la borsa sul divano.
«Mettila pure lí, torno subito.»
Era proprio un bel posticino, calmo, caldo. La lampada con la luce arancione illuminava un’ angolino del salotto e sul tavolino al centro della stanza notai una foto con cinque ragazzi, compreso Harry. La TV al plasma appesa al muro era gigantesca, la libreria con dei libri e tantissimi fogli con parole, tagli, linee, faccine, dovevano essere canzoni. Mi ostinai a non toccare nulla finché non vidi Harry venire con una maglietta in mano.
«Ecco, scusami, non ho trovato niente di piú decente da darti.» Era una maglietta bianca con una scritta blu al centro ‘Jack Wills’. La presi e sorrisi.
«Va benissimo, grazie.»
«Puoi cambiarti di sopra, vieni ti porto.» Seguii il riccio un pó intimorita, mi mostró il bagno ed entrai a cambiarmi.
«Non sbrirciare!» dissi ridendo prima di chiudere la porta. Harry rise e si voltó in segno di rispetto. Mi cambiai in poco tempo e uscii, Harry era ancora girato.
«Allora? Come mi sta?Eheh» Harry si voltó e mi sorrise. «Benissimo. Un pó larga ma..».
  
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